Cantava crisi e disagio quand’ancora non erano esplosi. Quando c’era qualcuno sempre sorridente che voleva farci credere che i tempi difficili erano già alle spalle. Lui, Vasco Brondi - che sabato alle 22 torna al Deposito Giordani di Pordenone -, girava l’Italia, annusava l’aria, parlava con la gente, e capiva che le cose andavano male. E sarebbero andate peggio.
«Non serviva essere economisti - dice il cantautore, classe ’84, che continua a presentarsi come Le luci della centrale elettrica -, bastava guardarsi attorno per capire che il sistema era prossimo al collasso. La crisi invece è stata negata fino all’ultimo, facendo un danno doppio: sarebbe stato importante preparare la gente, anche psicologicamente».
E le sue antenne fra sfigati e mammoni ora cosa segnalano?
«La sensazione, forse il rischio, è che da cittadini stiamo diventando azionisti, per giunta di minoranza. Siamo governati da chi rappresenta più le istituzioni economiche e bancarie che lo stato. E se ne viene pure fuori con quelle frasi infelici: sfigato è chi non ha previsto ma ha negato la crisi»
Ma eravamo messi male.
«Certo, non possiamo tacere sulle responsabilità di chi ci ha portato fin qui: politica ma anche sindacati, che da anni parlavano di cose che non esistevano più. Rappresentando solo dipendenti e pensionati, non si erano accorti del buco nero del precariato, della disoccupazione galoppante».
E comunque il governo Monti non le piace.
«Chiariamo: è mille volte meglio di chi c’era prima. E ha un vantaggio: essendo formato da persone che non puntano a essere rielette, può fare le cose di cui c’è bisogno. Prima, fossero di destra o di sinistra, il principale obbiettivo era la rielezione».
Parliamo di musica: da De Gregori e Jovanotti cosa ha imparato?
«Che sul palco non devo difendermi da nessuno, ma piuttosto espormi, trasmettere al pubblico il più possibile di me stesso. Il primo era un mio mito da ragazzo, cantare con lui a Torino è stato bellissimo. E aprire i concerti di Lorenzo, davanti a migliaia di persone, mi ha insegnato un nuovo modo di stare sul palco».
Nuovo album?
«Non ho fretta, per fortuna non c’è nessuno che mi corre dietro. Amo i ritmi umani, fare un disco quando ho qualcosa da dire».
Lei incide per “La Tempesta” di Pordenone. Come vi siete incontrati?
«Attraverso i Tre Allegri Ragazzi Morti, che ho sempre seguito e ai quali avevo inviato un demo nel 2007. Anzi, ho ritrovato un disegno che Davide Toffoli mi aveva fatto dopo un loro concerto a Copparo, in provincia di Ferrara. Io avevo quindici anni, lui scrisse sotto il disegno: a Vasco, allegro ragazzo morto...».
Il primo disco nel 2008 accolto benissimo, il secondo nel 2010 bollato come una brutta copia.
«Tutto previsto. Santificato all’esordio, criticato dopo. Ma non avevo e non ho nulla da perdere, non devo mica vendere un nuovo modello di automobile, preferisco puntare sulla sincerità. Va detto comunque che le canzoni di quei due album erano state scritte nello stesso periodo».
Due mesi fa ci ha concesso un antipasto.
«Sì, il mini-cd pubblicato con XL, la rivista di Repubblica. L’inedito “C’eravamo abbastanza amati” e alcune cover stravolte, anzi, “canzoni d’amore rovinate”, come le chiamo io. Mi è servito per sperimentare nuove strade».
Dove portano?
«Chi lo sa. Privilegio i sentimenti alle logiche commerciali. Sempre sul crinale fra canzone d’autore e punk. Che assieme fanno quasi un corto circuito...».
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