sabato 18 febbraio 2012

SPRINGSTEEN: CANTO LA MIA AMERICA DEVASTATA DALLA CRISI

SPRINGSTEEN: CANTO LA MIA AMERICA DEVASTATA DALLA CRISI
anteprima a parigi del nuovo album




di Carlo Muscatello
INVIATO A PARIGI
«Certo che ricordo Udine, dopo il concerto ci offrirono dell’ottima grappa. Che spero di trovare anche a Trieste...».
Teatro Marigny, su una laterale degli Champs Elysées. Bruce Springsteen, arrivato da poche ore dal suo New Jersey, dove sta provando il tour che l’11 giugno sarà a Trieste, ha appena finito di presentare alla stampa europea il suo nuovo album: “Wrecking ball”, in uscita il 6 marzo. Un lavoro politico e disilluso, che parla - nell’anno delle elezioni - dell’America lacerata dalla crisi economica di questi anni.
Ascolto e intervista collettiva, poi si avvicina anche ai sei giornalisti italiani “ammessi” al blindatissimo evento (con tanto di depistaggio: era stato annunciato in località segreta fuori Parigi...) per stringere mani e scambiare due parole più o meno di circostanza. E basta dirgli che lo aspettiamo a Trieste, chiedergli se ricorda il concerto a Udine del 2009 e magari di quello a Villa Manin del 2006, che il Boss dimostra di avere memoria lunga.
Giacca nera stropicciata, camicia e jeans scuri, orecchino al lobo destro, scarpacce nere giuste per quelli “nati per correre” e aspetto da “working class”, la sessantatreenne rockstar dimostra di essere in forma. Ha voglia di parlare, sorride e scherza su Obama che recentemente ha canticchiato in pubblico “Let’s stay together” con un bel falsetto che imita per l’occasione.
A un primo ascolto il disco è molto buono, almeno quattro brani potrebbero entrare nel repertorio springsteeniano di sempre: dalla “Wrecking ball” del titolo (la “palla da distruzione” che negli Stati Uniti usano per demolire interi edifici, per poi costruirne di nuovi) a una “Shackled and drawn” di seegeriana memoria, dall’acustica - almeno nell’attacco - “You’ve got it” fino a “We are alive”, messaggio di speranza che conclude il lavoro.
Parla di promesse tradite, della distanza sempre più grande tra sogno americano e realtà. Parla di depressione economica, sociale, morale. E la metafora della “palla da distruzione”, con i “tempi duri che arrivano e se ne vanno”, vuole indicare proprio il momento storico attuale, nel quale dopo la crisi, dopo trent’anni di deregulation c’è spazio per qualcosa di nuovo. E l’America è attesa dalla ricostruzione, dalla rinascita.
Il linguaggio è quello abituale del rock, con tentazioni country e folk, ma anche spiritual e blues, persino hip hop. Suoni di frontiera, a tratti grezzi e ruvidi, che pescano fra Irlanda e ghetti neri, cornamuse e marce militari. Ma sentiamo cosa dice il Boss.
IL DISCO. «Ho cominciato a lavorarci nel 2008, in piena crisi finanziaria. Ci ho messo del tempo: scrivere è l’arte di aspettare. Musicalmente, il produttore Ron Aiello mi ha dato molte idee nuove, a livello di suoni. All’inizio abbiamo lavorato in uno studio casalingo, i brani sono nati quasi come ballate folk, poi si sono trasformati. Come “We take care of own”, un’idea del 2009 poi sviluppata».
SOGNO AMERICANO. «Quel brano nasce da una domanda: stiamo dando un’opportunità a tutti? Purtroppo no. Nei miei dischi ho sempre fatto questo lavoro: misurare la distanza tra realtà e sogno americano. Che ultimamente si è allargata. Il ricco resta ricco, il povero povero. E non riusciamo a prenderci cura di noi, dei nostri fratelli».
LA CRISI. «È un momento duro, nel quale gli americani hanno visto crollare le certezze. Un periodo devastante, questo clima si sentiva fra la gente. Ho visto tanti amici perdere il lavoro, la casa. Ma prima di Occupy Wall Street non c’era nessuno che parlasse di uguaglianza economica, non c’era una voce di protesta contro una situazione che colpiva l’idea stessa di America».
POLITICA. «Fino al 2004 non mi sono mai schierato, pur avendo le mie idee. Quando ho visto cosa stava combinando Bush, ho scelto di appoggiare il suo sfidante John Kerry, che purtroppo non ce l’ha fatta. Ma lì ho capito che non potevo più stare con le mani in mano. Comunque ho un pubblico trasversale: tanti fan repubblicani vengono ai miei concerti perchè amano ballare, amano la mia musica».
OBAMA. «L’ho appoggiato e lo appoggio ancora, non è vero che ne sono deluso. Ha fatto cose importanti in una situazione difficile: penso alla riforma sanitaria, al salvataggio della General Motors, all’uccisione di Bin Laden. Magari avrei preferito che facesse qualcosa di più per la “middle class”. Oltre che chiudere Guantanamo. Ma comunque deve continuare il lavoro avviato».
PATRIOTA. «A modo mio sono un patriota, ma di tipo critico, arrabbiato. Le mie canzoni sono spesso intrise di patriottismo, per questo i politici cercano di usarle. Lo faranno anche con “Land of hopes and dreams”, dove i suoni folk e le atmosfere gospel mi servono per contestualizzare una situazione in senso storico, per trasmettere l'idea che si tratta di qualcosa di ciclico, che è già accaduto».
CHIESA. «Ho avuto un’educazione cattolica, sono cose che ti restano tutta la vita. Vicino a casa c’erano un convento e una chiesa. Sono cresciuto vedendo preti, sentendo l’odore dell’incenso. Mi è rimasta dentro una certa spiritualità, e forse anche qualche disagio sessuale (ride, ndr)».
FAMIGLIA. «A casa, mia madre (Adele Zirilli, di origine italiana - ndr) lavorava sempre duramente, è stata un esempio positivo, una figura dominante. Mio padre spesso lottava per un posto di lavoro. Lo vedevo soffrire, ricordo la sua rabbia e le umiliazioni subite. Una situazione che ritrovo ora, molto diffusa: senza lavoro manca anche l’autostima».
CLEMONS. «Perderlo è stato molto duro. Ci conoscevamo sin da ragazzi, abbiamo cominciato e passato quarant’anni assieme, la E Street Band era quasi più lui di me. Pensare di sostituirlo era praticamente impossibile, non basterebbe un villaggio intero. Per questo al suo posto ho chiamato un’intera sezione di fiati, fra cui c’è anche suo nipote Jack, il figlio di suo fratello, che ha 22 anni. Clarence ha fatto comunque in tempo a lasciarci un regalo: il sax di “Land of hopes and dreams” è infatti suo...».
E quando parte sul disco, è un momento molto emozionante.

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