Nell’anno di Celentano, abbiamo dovuto aspettare Geppi Cucciari e l’una di notte dell’ultima serata, al 62.o Festival di Sanremo finalmente andato in archivio, per sentire parole in sintonia con la realtà. Le ha dette la trentottenne comica e conduttrice sarda, che nei suoi pochi e brucianti interventi ha rivitalizzato la finale di uno dei Festival più mosci degli ultimi tempi.
Prima uscita: «Ho capito che su questo palco bisogna stare senza qualcosa, quindi io mi sono tolta le scarpe. Volevo tatuarmi anch’io una farfallina, ma bisogna stare attenti che poi con gli anni non diventi uno pterodattilo». Sistemata Belen, simbolo di un certo modo di intedere la donna in tivù.
Seconda staffilata: «Io non ho niente contro Gianni Morandi, io ho tanti amici Gianni Morandi». Sistemato anche il sessantasettenne ex ragazzo di Monghidoro, scivolato sulla sciocca gag dei “Soliti idioti” (di nome e di fatto). Perchè certe volte è meglio tacere, e invece Morandi ha peggiorato una situazione già penosa e imbarazzante.
Ma il top è arrivato, come si diceva, poco prima di chiudere. Cucciari ha ricordato agli italiani che da quattro mesi c’è una nostra cooperante, Rossella Urru, ostaggio di Al Qaeda, di cui i media italiani non parlano. E sono queste, ha aggiunto, le donne di cui vorremmo sentir parlare di più.
Con garbo e ironia, la signora ci ha ricordato che anche a Sanremo è possibile parlare di cose serie, senza per questo dover salire sul pulpito, fare predicozzi e lanciare insulti.
Parliamo di musica, che in fondo questo dovrebbe essere pur sempre il Festival della canzone italiana. Emma ha vinto con un brano di moderno pop italiano, “Non è l’inferno”, per la verità più debole di quello dell’anno scorso, arrivato secondo perchè sulla sua strada c’era un certo Roberto Vecchioni. Parlare di realtà, di crisi, di gente che non arriva alla fine del mese, sposare l’impegno alla canzonetta non è di per sé garanzia di qualità. Ne è venuto fuori un polpettone retorico, premiato dalle giurie e dal voto popolare soprattutto per la grinta e la potenza interpretativa della cantante pugliese. Cui una bella spinta è stata data, nella sera dei duetti italiani, da un’altra vincitrice di “Amici”: Alessandra Amoroso.
Meglio la canzone e l’interpretazione di Arisa, che si è finalmente scrollata di dosso l’immagine quasi fumettesca del suo esordio, tre anni fa, sul palco dell’Ariston. Quella volta, ad accompagnare il suo trionfo fra i giovani con “Sincerità”, c’era al pianoforte il compianto Lelio Luttazzi. Stavolta, in cabina di regia, c’era Mauro Pagani. E ne “La notte” il tocco dell’ex Pfm si è sentito, in un esempio di canzone d’autore raffinata, ben orchestrata e meglio cantata.
Buono il terzo posto di Noemi con “Sono solo parole”, confermato nel voto finale dopo che la “golden share” della sala stampa le aveva permesso di scalzare dal provvisorio podio la strada coppia D’Alessio e Bertè (a proposito: memorabile la versione dance della loro “Respirare”, venerdì sera, con il cantante napoletano in versione Village People e la sorella di Mia Martini costretta dalle precarie condizioni vocali a un playback che le ha fatto rischiare l’eliminazione...). La cantante romana ha sbagliato solo una cosa: la tinta rosso fuoco dei capelli. Per il resto, perfetta. Brano pop rock, voce roca, interpretazione “bluesy”. Meritava la vittoria, ma si rifarà nelle classifiche e nel gradimento della “ggente”.
Qualche rammarico per il mancato piazzamento di Nina Zilli, interprete e personaggio dalle potenzialità notevoli: la sua “Per sempre” ha il respiro di certe belle canzoni di Mina, ma evidentemente non ha avuto la forza di arrivare al pubblico come avrebbe meritato. E qualcosa non ha funzionato anche nella “Nanì” di Pierdavide Carone, supportato da Lucio Dalla: ballata all’antica, d’accordo, ma comunque di spessore e qualità.
Il resto è notte. E anche i Marlene Kuntz, colonna del rock italiano, sarebbero passati inosservati se non avessero avuto l’enorme merito di portare al Festival, della serata dei duetti internazionali, quella leggenda vivente che risponde al nome di Patti Smith.
Concluso Sanremo, mai come quest’anno le prospettive per il futuro sono assolutamente incerte. Il Festival - proprio come la Rai, servizio pubblico allo sbando - andrebbe rifondato. O se preferite chiuso, per “ricordarlo com’era”.
Invece, con ogni probabilità, dopo l’addio di Gianni Morandi e del direttore artistico Gianmarco Mazzi (e magari del direttore di Raiuno Mauro Mazza), verrà affidato alle cure di Maria De Filippi, nota per trasformare in oro tutto quel che tocca (tranne ovviamente il marito, Maurizio Costanzo, ricco già di suo).
Tre delle ultime quattro edizioni del Festival sono state vinte da ragazzi usciti dal suo talent show “Amici”: Marco Carta nel 2009, Valerio Scanu nel 2010 (fra l’altro con una canzone proprio di Pierdavide Carone, meno fortunato quest’anno), ora Emma Marrone. Con un pedigree del genere, vedrete che i prossimi capi della Rai le chiederanno “di sacrificarsi”.
Da ultimo, la parola alla fresca vincitrice: «Se si viene fuori da “Amici” o da una cantina, se hai un fuoco dentro, se devi sfondare sfondi. I “talent” sono uno scudo per non accettare l’evidenza che, al di fuori delle telecamere, ci sono artisti come tanti altri. Se uno è forte è forte e arriva alla gente. A decidere è la gente, quella che viene ai concerti e che compra la musica. Non nascondiamoci più dietro a questi schemi: ci siamo e non possiamo scomparire».
È una promessa o una minaccia?
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