LOS ANGELES
È morta Whitney Houston. La cantante e attrice aveva 48 anni. Il suo corpo è stato trovato in un hotel di Beverly Hills, a Los Angeles. Ancora da chiarire le cause del decesso.
di Carlo Muscatello
Sanremo dell’87, Whitney Houston canta “All at once”. Canta dal vivo, e la cosa non era - non è - assolutamente scontata, fra gli ospiti internazionali. Interpretazione da antologia, quasi da brividi. Alla fine la sala dell’Ariston è tutta in piedi. Le richieste di bis somigliano a un’onda che investe dolcemente il palcoscenico. E, cosa più unica che rara nella kermesse festivaliera, Pippo Baudo non può far altro che chiedere all’allora ventiquattrenne cantante americana di esaudire le insistenti richieste.
L’Italia probabilmente scoprì Whitney quella sera di venticinque anni fa. Gli Stati Uniti l’avevano consacrata star l’anno precedente, ai Grammy Awards. E il destino vuole che la cantante sia morta in un hotel di Beverly Hills dove si trovava per partecipare, poche ore più tardi, a uno dei party che precedono la serata dei Grammy Awards. A scoprire il decesso la sua guardia del corpo, un “bodyguard” che non ha potuto salvarla come l’aveva salvata Kevin Costner nell’omonimo film.
Secondo un sito americano, sarebbe morta per annegamento, dopo essersi addormentata nella vasca della sua stanza d’albergo. Pare che da tempo assumesse un forte sedativo normalmente usato per combattere l’ansia e la depressione. E la notte prima di morire, secondo diverse testimonianze, avrebbe bevuto moltissimo. Il mix fra alcol e sedativi provoca un forte stato di incoscienza.
Un’altra morte annunciata, è stato detto appena la notizia della morte si è diffusa in tutto il mondo. Certo una morte che non sorprende chi ha seguito le vicende dell’artista, da anni in lotta contro le dipendenze da alcol e droga.
Whitney era nata a Newark, New Jersey, il 9 agosto 1963. La madre Cissy Houston era una grande cantante gospel, il padre dirigeva un coro misto gospel. Era nipote di Dionne Warwick (cui la legava anche una certa somiglianza per bellezza ed eleganza) e parente lontana di Aretha Franklin, che era sua madrina. Comincia a cantare a undici anni, proprio in un coro gospel.
Pochi anni più tardi la scopre Clive Davis, pezzo grosso della discografia black. Primo album nel 1985: s’intitola semplicemente “Whitney Houston”, debutto col botto, vende qualche milionata di copie. Il brano che la fa conoscere al mondo è “I wanna dance with somebody” (stava nel secondo album, “Whitney”, uscito nell’87). Quando nel ’90 arriva il terzo album, “I’m your baby tonight”, la Houston è ormai una star planetaria.
Un altro suo brano molto noto è “I will always love you”, dalla colonna sonora del citato film “The bodyguard”, di cui fu protagonista nel ’92: altri Grammy e altri ventitre milioni di copie vendute. Nel film la cantante interpreta praticamente se stessa.
Figura sofisticata ed elegante, gran voce capace di spaziare fra vari generi musicali: dal gospel al soul, dal blues al funky. Dei suoi sette album ha venduto chi dice 170 chi 190 milioni di copie, numeri che ne hanno fatto la regina del pop soul ma anche l’artista donna di maggior successo di tutti i tempi.
Negli anni Novanta continua a incassare cachet faraonici per i film e royalties miliardarie per i dischi. Ma la fase ascendente è terminata. Nel ’98 arriva “My love is your love”, due anni dopo la cantante viene premiata con un altro Grammy per la miglior interpretazione femminile rhythm’n’blues, con “It’s not right but it’s okay”. Altri dischi, altri tour. Nel 2009 esce il settimo album, “I look to you”, il cui tour mondiale di presentazione fu però un disastro.
Sì, perchè i numeri, i titoli, i premi non dicono tutto. Per buona parte della sua vita Whitney Houston lotta contro il demone delle dipendenze. Il turbolento matrimonio con il cantante rap Bobby Brown, da cui ebbe la figlia Bobby Kristina, nata nel ’93, non aiuta. «Mio marito era la mia droga», disse la cantante nel 2002 davanti alle telecamere, dopo aver reso noto il suo calvario con le droghe e aver confessato di essersi “annullata come persona” durante il matrimonio.
In questi anni i tentativi di risollevarsi si alternano a brusche ricadute, riabilitazioni che sembrano riuscite vanno a sbattere contro pietosi e tutto sommato malinconici tentativi di tornare in scena, dal vivo o in sala d’incisione. I racconti della tossicodipendenza diventano carne da frullare nelle interviste con Ophra Winfrey se va bene o nei reality se va male, le foto di colei che era stata una splendida ragazza, ora ridotta malissimo dal crack, sono gettate in pasto al famelico pubblico delle riviste scandalistiche.
Il nome di Whitney Houston va adesso ad aggiungersi all’elenco troppo lungo dei grandi talenti della musica schiantati sotto il peso del cinico show business, che significa successo, denaro, lusso, ma spesso anche solitudine, infelicità, dipendenze dalle sostanze.
La cerimonia dei Grammy Awards, che si è svolta stanotte a Los Angeles, non avrà mancato di ricordarla come si conviene a una numero uno. Perchè a livello di tecnica vocale, Whitney Houston è stata una caposcuola. È a lei che si sono ispirate le nuove star del pop-soul che da anni dominano le classifiche. A Sanremo, giovedì, nella serata dei duetti, la ricorderà Nina Zilli con Skye dei Morcheeba.
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