Emma con “Non è l’inferno” ha vinto il 62.o Festival di Sanremo. Seconda Arisa con “La notte”, terza Noemi con “Sono solo parole”. Podio dunque tutto al femminile, dopo che la “golden share” della sala stampa ha fatto salire Noemi e scendere al quarto posto la coppia Gigi D’Alessio e Loredana Bertè.
Ma è stato il peggior Festival degli ultimi anni. Non solo per colpa di Celentano. Per tutta una serie di motivi: dalla costruzione dello spettacolo televisivo alla qualità delle canzoni in gara, da una conduzione debole alle numerose cadute di gusto, e senza dimenticare l’handicap rappresentato dalla scelta di ingaggiare un anziano e ottimo cantante (che infatti ieri sera ha puntato sulla musica) e dargli carta bianca.
Sanremo è sempre stato accettato perchè, nella sua lunga storia, ha rispecchiato nel bene e nel male il Paese. Pur mettendo in scena il più delle volte il nulla. Stavolta l’incantesimo sembra essersi rotto. All’Ariston è andata in scena la rappresentazione di una realtà che non esiste più. L’Italia sta cambiando, tenta di voltare pagina, di risollevarsi dopo anni bui, ma di tutte queste cose al Festival (e alla Rai) non se ne sono accorti, sono rimasti un passo indietro.
Hanno allestito il solito vecchio show, che mostrava da anni i suoi limiti ma ora, in una realtà mutante, non regge più. Non sono riusciti ad allestire un cast all’altezza né a mettere insieme canzoni davvero di qualità: lo scorso anno c’era Vecchioni che stava una spanna sopra tutti gli altri, quest’anno Dalla è venuto a fare il comprimario. Fra gli altri sono davvero pochi (le tre donne del podio, ma anche Nina Zilli e Pierdavide Carone con il citato Lucio...) quelli che meritano la sufficienza. Che poi, fuori dal contesto sanremese probabilmente anche le loro canzoni passerebbero inosservate, mentre qui vengono salvate solo nel confronto con le altre.
Anche Morandi stavolta ha toppato. Reduce dalla buona prova dell’anno scorso, quando aveva fatto qualche figura imbarazzante ma alla fine se l’era cavata, forse pensava già di fare il tris. Ma è scivolato su se stesso, sull’essere anche lui, come Celentano, in scena da oltre mezzo secolo, prim’ancora delle pesanti cadute di gusto nelle quali è stato trascinato dalle cosiddette gag dei cosiddetti “Soliti idioti” (ma a chi è venuto in mente di invitarli...?).
Polemiche sono sorte, oltre che per l’imbarazzante scenetta sui gay, anche per il modo in cui la figura femminile continua, nel 2012, a esser messa in scena a Sanremo. Proprio mentre sono soprattutto le ragazze, quelle che si salvano nel cast canoro, sul palco sembra di stare indietro di tanti anni: dalla stangona Ivana Mrazova (ieri sera in nude look, con telecamere puntate sulle tette...) alle ripescate Belen (con farfallina tatuata sull’inguine scoperto) e Canalis (ricordate le sue “traduzioni” dell’anno scorso con De Niro?), alle tristi battutacce da caserma, c’è davvero di che restare allibiti. E non basta chiamare Geppy Cucciari all’ultima sera, quando la frittata è fatta. Come non basta la presenza di Patti Smith e pochi altre star, nella serata dei duetti internazionali, per giustificare tutto questo caravanserraglio.
Meglio del Gianni nazionale esce Rocco Papaleo, attore e regista al debutto davanti a una platea nazionalpopolare. Spesso ha bonariamente sfottuto Morandi, ed è riuscito a sostituire il tormentone dell’anno scorso (“stiamo uniti, siamo una squadra”) con il più attuale “stiamo tecnici”. Con la sua ironia e autoironia, nonostante l’aria da meridionale perennemente arrapato (della serie: dove sono le donne...?), il lucano ha segnato le poche oasi di leggerezza dell’intera maratona.
Già, maratona. Perchè nel mondo che va sempre più veloce di twitter, dei blog, di youtube, della “tv on demand”, insomma delle nuove tecnologie e dei nuovi media applicati allo spettacolo e al tempo libero, risulta demenziale solo pensare di allestire cinque-serate-cinque che cominciano all’ora di cena e vanno avanti, inframmezzate da miliardate di spot, fino all’una di notte passata. Quarto d’ora più, quarto d’ora meno.
Dietro questo disastro, il disastro Rai. Reso nell’occasione più evidente da come è stato gestito tutto l’affare Celentano. La verità è che, mentre il Paese aspetta che la “cura Monti” tenti di curare - e possibilmente salvare - anche un servizio pubblico ormai e purtroppo allo sbando, Sanremo è considerato in Viale Mazzini solo una gallina dalle uova d’oro per audience e incassi pubblicitari. Obbiettivi per raggiungere i quali si è disposti a passare sopra tutto: qualità, educazione, buon gusto, ragionevolezza.
Dalla nuova Rai che potrebbe uscire dall’indicazione dei nuovi vertici sarebbe bello aspettarsi l’anno prossimo un “vero” festival della canzone italiana. Altrimenti, c’è già la soluzione. Se ne parla da anni, si aspetta solo il momento giusto. Si chiama Maria De Filippi. Forte delle vittorie dei suoi pupilli al Festival (Marco Carta 2009, Valerio Scanu 2010, ora Emma), potrebbe trasformare Sanremo nell’ennesimo talent show sul modello del suo “Amici”. Chissà, a questo punto non sarebbe nemmeno la scelta peggiore. Forse.
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