giovedì 20 novembre 2014

ANNA LAUVERGNAC premiata dalla critica tedesca

La jazzista triestina Anna Lauvergnac ha vinto Premio della critica tedesca con l’album “Coming back home”. Trasferitasi diversi anni fa a Vienna, dove mantiene la residenza, e attualmente “itinerante” fra Austria, Grecia, India e Trieste, la cantante incassa un riconoscimento prestigioso che arriva a premiare una carriera ormai lunga e già ricca di soddisfazioni e collaborazioni. «Il Premio della critica tedesca - dice l’artista - non è legato all’industria discografica né a interessi commerciali. È assegnato da un centinaio di critici musicali, scrittori, musicologi ed editori provenienti da Germania, Austria e Svizzera». Chi viene premiato? «Le “nuove produzioni di straordinaria importanza, giudicate esclusivamente per il loro valore artistico”. Ci sono ventinove categorie. Il premio comprende infatti generi, gli artisti premiati possono essere molto diversi». Qualche premiato del passato? «Nel jazz Ella Fitzgerald, Scott Hamilton, Bill Frisell, Aki Takase. Negli altri generi Martha Argerich con Claudio Abbado, Robben Ford, Erykha Badu. Solo per citare alcuni nomi». Il suo disco premiato? «È uscito quest’estate per l’etichetta austriaca “Alessa Records”, è distribuito in vari paesi europei, ma anche in Giappone e Stati Uniti. Comprende sette brani della tradizione classica del jazz - quindi degli standard, alcuni molto noti come “Get out of town”, altri meno conosciuti come “Soft winds” - e quattro composizioni originali. Gli arrangiamenti sono del nostro pianista, Claus Raible, con la collaborazione di tutti noi». Il suo quartetto? «È formato dal pianista tedesco Claus Raible, Giorgos Antoniou al contrabbasso che è greco ma abita in Svizzera, il batterista londinese Steve Brown, e da me, italiana residente a Vienna ma ormai cittadina del mondo e quasi sempre in viaggio. Insomma, un gruppo internazionale». Come lavorate? «Siamo tutti coinvolti in ogni fase della scelta e dell’elaborazione del repertorio. Credo che questo modo di fare musica assieme e con totale coinvolgimento si percepisca: mi dicono sia stato uno dei motivi per cui la giuria ci ha premiato. Ogni musicista suona in modo profondo, a prescindere dalle doti tecniche. Si avverte una forza comunicativa e la passione per la musica: elementi che ci contraddistinguono». Era stata già premiata? «È la seconda volta che riceviamo una nomination per questo premio, anche il nostro lavoro precedente - registrato a Trieste, alla Casa della musica - era stato selezionato due anni fa. Un onore, è raro che ciò accada con due produzioni di fila». Che ci fa sempre in giro per il mondo? «Mi occupo di bambini di strada e a volte anche di adulti in difficoltà in India, che è il paese in cui passo i miei inverni da dodici anni. Scrivo e fotografo per il mio blog chiamato “Diaries of a nomadic jazz singer”». I suoi primi passi nella musica? «Le prime cose che mi vengono in mente: anni Ottanta, ristorante La Palestra. Un trio formato da Paolo Longo, Roberto Prever e Giancarlo Spirito che ospitava due cantanti alle prime armi: Maurizio Nobili e io. Poi l’incontro con Franco Vallisneri, il primo grande musicista con cui ho cantato: pianista e persona meravigliosa». Andrea Allione? «Una grande avventura musicale, lui alla chitarra e io alla voce. Andrea (chitarrista piemontese di casa a Trieste, recentemente scomparso - ndr) era un musicista con cui i brani cambiavano in ogni esecuzione, a volte radicalmente e in modo imprevedibile». Poi lei partì... «Sì, prima tappa a Graz, alla Scuola superiore di musica, con alcuni dei più grandi cantanti jazz del mondo: Jay Clayton, Mark Murphy, Andy Bey e Sheila Jordan. Negli anni Novanta ho passato vari periodi a New York. Si suonava alle jam session con musicisti allora sconosciuti: Brad Meldhau, Pete Bernstein, Larry Godings, Roy Hargrove...». Più recentemente? «Incontri musicali e collaborazioni molto intense. Quella con Fritz Pauer, uno dei padri del piano jazz in Europa, quella con Bojan Z, per me uno dei pianisti più interessanti nel jazz moderno. Gli otto anni con la Vienna Art Orchestra, con cui ho girato tutta l’Europa ma anche Canada, Cina, Russia, Israele, Cuba. L'amicizia con Sheila Jordan, mia insegnante e fonte d’ispirazione costante». Trieste? «Ci torno quando posso, la trovo sempre più bella. Spero di venire a Natale». Prossimi progetti? «L’ultimo concerto con il quartetto per quest’anno, a Graz; poi faremo un tour a maggio. A dicembre una masterclass e un paio di serate a Belgrado. A gennaio vado a Bombay, dove resterò fino ad aprile...».

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