sabato 22 novembre 2014

DAVID BOWIE, film su mostra londinese e album su 50 anni carriera

Uno, nessuno, centomila. Dal Major Tom di “Space oddity” all’eroe androgino di “Ziggy Stardust”, dall’Uomo che cadde sulla terra del cinema allo “Starman” del rock, dal “White duke”, il Duca bianco di “Station to station” al post-rocker di “Heroes”. E ancora: dalle sbornie psichedeliche al periodo e alla trilogia berlinesi, alle suggestioni pop di “Let’s dance”, allo sguardo sul futuro sempre presente, negli ormai lontani esordi come nel recente “The next day”. Signori, se c’è un uomo nel mondo del rock e della musica in generale (ma anche del cinema) al quale si attaglia perfettamente la massima pirandelliana, se c’è un artista da sempre proiettato sul futuro, ebbene, questo è senz’ombra di smentita mister David Robert Jones, in arte e per tutti David Bowie. A sessantotto anni (li compie a gennaio), il camaleontico artista londinese vive l’ennesimo momento di grazia, l’ennesima stagione della sua straordinaria carriera lunga mezzo secolo. Lunedì anteprima italiana a Milano, all’Arcobaleno Filmcenter, di “David Bowie is” (martedì e mercoledì nelle sale di tutto il Paese, a Trieste allo Space delle “Torri” e al Nazionale, a Udine al Visionario), il film sull’omonima mostra che al Victoria and Albert Museum di Londra è stata vista in pochi mesi da oltre 311.000 visitatori. Negli stessi giorni arriva nei negozi, reali e virtuali, il disco triplo “Nothing has changed”: praticamente la raccolta definitiva di tutto il meglio della sua musica dal 1964 al 2014, che comprende anche del materiale non pubblicato in precedenza e brani presentati per la prima volta. Ma andiamo per ordine. Il film - con una colonna sonora formata da musiche che hanno fatto la storia del rock - accompagna lo spettatore nelle sale del museo londinese, fra trecento oggetti provenienti perlopiù dall’archivio privato del nostro: fotografie, filmati, testi scritti a mano, video e “storyboard” per i video, costumi e bozzetti di costumi, schizzi, scenografie... Insomma un trionfo di memorabilia legati alla vita e al mondo di un artista che non si è limitato a scrivere la storia della musica degli ultimi decenni, ma ha messo a referto anche importanti incursioni nel cinema e ha lasciato il segno nella moda, nel design, nel costume e in definitiva nella cultura del mondo contemporaneo. Ora la mostra va in tour, con ospiti come lo stilista giapponese Kansai Yamamoto e il leader dei Pulp Jarvis Cocker. «Siamo felici - hanno detto i curatori dell’esposizione Victoria Broackes e Geoffrey Marsh - che questa mostra straordinaria viaggi per il mondo, che le persone possano immergersi nel tour cinematografico dell’esposizione di Londra. Il film offre affascinanti dettagli sugli oggetti chiave del David Bowie Archive, commenti di ospiti speciali e naturalmente una fantastica colonna sonora». Una curiosità: il film è stato registrato ad agosto, nell’ultima notte dell’esposizione al Victoria and Albert Museum di Londra ed è diretto da Hamish Hamilton, vincitore di un Bafta Award e regista della cerimonia di apertura delle Olimpiadi del 2012 a Londra. Passiamo al disco, che esce su etichetta Parlophone ed è disponibile in diversi formati: doppio e triplo cd, doppio album in vinile, ovviamente “download digitali”. Ognuno con la sua copertina (le vediamo riprodotte a destra della foto grande). «Ogni formato - conferma Jonathan Barnbrook, che firma il progetto grafico del disco - ha un’immagine diversa. Il tema comune è Bowie che guarda lo specchio: qualcosa che fosse sufficientemente forte come “archetipo” da offrire un “link” visivo immediatamente riconoscibile, ma che fosse anche chiaro nel fare capire che questa è una raccolta di canzoni che copre l’esperienza di vita di una persona, non necessariamente un concetto specifico o un determinato periodo come fanno in genere gli album». Tra le rarità: “Let me sleep beside you” (pubblicata per la prima volta in “The world of David Bowie”, nel 1970, e registrata nuovamente per un album, “Toy”, che non venne pubblicato), “Shadow man” (brano del 1971 che era stato tagliato nella versione finale di un album: insomma, un cosiddetto “out-take”), “Love is lost (Hello Steve Reich mix by James Murphy for the Dfa edit)”, “Your turn to drive” e “Wild is the wind” (entrambe per la prima volta in cd). Ma anche versioni particolari di “Young americans”, “All the young dudes”, “Life on Mars”... L’antologia spazia insomma fra le varie “stazioni” della sua carriera, tutte diverse le une dalle altre: si incrociano glam rock e incubi orwelliani, rhythm’n’blues e tentazioni intellettuali, electro pop e soluzioni sperimentali, spunti colti e retrogusti raffinati, fino alla collaborazione con Brian Eno, che da sola richiederebbe un trattato. C’è anche un inedito: “Sue (or in a season of crime)”, inciso quest’estate con Tony Visconti come produttore, assieme alla Maria Schneider Orchestra, con una sezione di fiati e ottoni che ha come solisti Donny McCaslin al sassofono tenore e Ryan Keberle al trombone. Il Daily Telegraph lo ha definito così: «L’ultimissimo esempio della genialità di Bowie nel reinventarsi. Sì, c’è il suono di una big band alle spalle, ma è un suono strano, senza traccia di nostalgia. E per quanto riguarda la voce è più misteriosa che mai, ma carica di decenni di esperienza. Il brano suona contemporaneamente familiare e molto strano, con una miscela incredibile di nostalgia e ironia. Se il jazz è il “sound of surprise”, allora Bowie lo ha certamente trovato...». Il video del brano, uscito anche come singolo, è caratterizzato da atmosfere noir, è stato girato fra Londra e New York, ed è diretto da Tom Hingston e Jimmy King. La mostra e il disco sono tasselli fondamentali per rileggere e comprendere appieno la carriera straordinaria di questo ex ragazzo inglese nato nei primi anni del dopoguerra, impressionato dai dischi (Elvis, Fats Domino, Little Richard...) che arrivavano dagli Stati Uniti, innamorato del sax ma anche dell’arte, sbarcato dalle periferie londinesi a Soho, culla dei fermenti beat degli anni Sessanta, grazie a un lavoro in un’agenzia pubblicitaria. Lì, mezzo secolo fa, è cominciato tutto. Una storia paragonabile a quella di pochissimi altri, che anche le giovani generazioni possono ora conoscere attraverso questa mostra e questo disco. In attesa della prossima, geniale intuizione/provocazione.

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