domenica 28 gennaio 2007

A volte anche nell’ormai tristo e disperato mondo della canzone e dei dischi avvengono i miracoli. Prendete gli Avion Travel, il talentuoso gruppo campano del cantante Peppe Servillo, che nemmeno un’inopinata vittoria al Festival di Sanremo del 2000, con la canzone «Sentimento», ha sottratto a un marginale destino di gruppo di nicchia. Ebbene, i ragazzi avevano un sogno: una canzone di Paolo Conte scritta per loro. Una canzone che loro avrebbero curato e coccolato come un figlio tanto atteso. E alla quale avrebbero sicuramente riservato le attenzioni del caso e il posto d’onore in uno dei loro tanti - e quasi sempre splendidi - album. Un giorno hanno confidato quel loro sogno alla loro discografica, certa Caterina Caselli, che in una vita precedente aveva fatto anche lei la cantante.

Di più: una volta, quella che all’epoca era soprannominata Casco d’Oro aveva anche portato al successo una canzone dell’avvocato astigiano, nell’epoca in cui quest’ultimo si limitava a fare l’autore, componendo gioiellini per conto terzi. Era «Insieme a te non ci sto più», annata 1968, capolavoro assoluto riportato in vita in anni recenti anche da un paio di film di Nanni Moretti. Dunque, con Paolo Conte la capa della casa discografica Sugar aveva e ha un feeling quarantennale, tanto da poter prendere il telefono, chiamare il maestro, e dirgli che...

Risultato, per farla breve: Conte non solo scrive la canzone per gli Avion Travel, ma butta lì l’idea di fare un album intero, di sue canzoni rivisitate dal gruppo campano. E come ciliegina sulla torta: partecipa pure al disco, regalando la sua voce a quella «Danson Metropoli» che apre l’album e gli dà il titolo, e poi duettando con Peppe Servillo e Gianna Nannini (altra ospite speciale...) in «Elisir».

Il risultato è davvero un evento. Perchè «Danson Metropoli – Canzoni di Paolo Conte» (Sugar) non è soltanto una raccolta di undici fra i successi del maestro astigiano, riarrangiati e reinterpretati dagli Avion Travel: da «Aguaplano» a «Spassiunatamente», da «Max» a «Cosa sai di me?», da «Un vecchio errore» a «Languida»... Non è soltanto l’occasione per scoprire la bellezza sottile dell’inedito «Il giudizio di Paride», la canzone scritta appositamente da Conte per il gruppo, che racconta in napoletano l’antico concorso di bellezza in cui Paride deve premiare la più bella con un pomodoro. È la dimostrazione che la canzone può ancora essere arte, arte popolare e nobilissima, quando i suoi talenti migliori si incontrano e vengono messi nelle condizioni di lavorare senza condizionamenti.

Il disco segna fra l’altro il debutto della nuova formazione degli Avion Travel, che da «Piccola orchestra» si trasformano in quartetto: Peppe Servillo alla voce, Fausto Mesolella alla chitarra, Mimì Ciaramella alla batteria e Vittorio Remino al basso. Il risultato è un nuovo equilibrio musicale, più asciutto ed essenziale rispetto al passato.

Da segnalare infine che in «Danson Metropoli» - che fra febbraio e merzo sarà pubblicato anche in Francia e in Belgio - Paolo Conte non ha firmato «soltanto» le canzoni e la direzione artistica: ha anche disegnato la copertina. E delle oltre settanta opere realizzate per l’occasione, dodici sono stati usate come copertine interne dell’album, associando a ogni brano un’immagine.


Scrive Gianni Mura, nell’interno dell’album: «Il solito rompicoglioni, direte. Sbagliando, perché Jannacci è sì un rompicoglioni, ma insolito. Così insolito da sembrare unico nel panorama della canzone italiana..». E poi ancora: «Più o meno è da mezzo secolo che l’inveterato ma pur sempre insolito Jannacci rompe i coglioni raccontando e cantando. E vogliamo tenercelo caro, come tutti i mammiferi in via d’estinzione, perché senza metterla giù tanto dura sta facendo canzoni politiche da una vita. Più musicista di tanti, stimabili, degli ex Dischi del Sole. Più padrone della scena (da quando ha i capelli bianchi). Ma sempre controtendenza, contro vento. Contro. Non sto parlando di un guerrigliero al pianoforte, ma semplicemente di un uomo che si guarda intorno senza paraocchi e paraorecchi. Perché ci vuole orecchio, ma non solo...».

L’album s’intitola «The best» (Ala Bianca - Warner) ed è un doppio cd - in vendita a prezzo speciale - in cui il settantaduenne Enzo Jannacci, anzichè raccogliere semplicemente le versioni originali delle sue canzoni, come usano molti suoi colleghi, presenta un vero e proprio viaggio lungo 35 brani, scelti da un repertorio praticamente sterminato, cantati ex novo e incisi con la collaborazione del figlio Paolo, musicista e da anni suo alter ego sul palcoscenico.

Riascoltiamo allora «Vengo anch’io no tu no» e «La fotografia», «Giovanni telegrafista» e «Vincenzina e la fabbrica», «Ci vuole orecchio» e «Io e te», «Se me lo dicevi prima» e «Veronica»... Ci sono anche quattro inediti: «Rien ne va plus», «mamma che luna che c’era stasera», «Il ladro di ombrelli», «Donna che dormivi» (versione in italiano della dialettale «Dona che te durmivet»). E un duetto con Paolo Conte nella leggendaria «Bartali». Una versione sbilenca, per divertirsi, a mezza via tra il salmodiare dei frati e l’asincronia degli ubriachi, come scrive ancora Gianni Mura.


CARLA BRUNI Quando due anni fa si è saputo che l’ex modella incideva un disco, molti hanno sorriso con sufficienza. Poi quell’album di sue canzoni in francese è uscito, ha venduto due milioni di copie (quasi interamente oltralpe) e ha messo a tacere tutti. Ora la Bruni mira più in alto. Ha musicato poesie di Yeats, Emily Dickinson, Dorothy Parker... È passata dunque dal francese all’inglese (e dice che nel prossimo disco vuol cantare anche nella sua lingua madre...), ma non ha cambiato il fascino di quella voce delicata e seducente. Al massimo ha stemperato i toni alla Francoise Hardy, virando verso la tradizione delle interpreti pop-folk anglosassoni. Ma il punto è che le canzoni funzionano. E Carla Bruni è ormai una realtà.


LEANDRO BARSOTTI Il cantautore e giornalista padovano canta (e racconta) il grande e controverso Serge Gainsbourg, morto nel ’91. Quello di «Je t’aime...» con Jane Birkin ma anche di tante altre cose. Nel cd dieci sue canzoni riadattate in italiano da Barsotti, che appartengono al primo periodo jazz-cantautorale del poliedrico artista francese, dal ’58 al ’68, più la versione strumentale appunto di «Je t'aime moi non plus». Nel libro lo stesso Barsotti racconta vita, esordi e scandali che hanno segnato il percorso artistico di Gainsbourg, mescolandoci una sorta di diario di una propria esperienza giovanile parigina. Opera originale e interessante, una sorta di inno al genio e alla follia del grande e ancora misconosciuto Serge.

venerdì 26 gennaio 2007

Le belle canzoni non muoiono mai. E dunque sono ancora vive anche quelle di Luigi Tenco, morto giusto quarant’anni fa, alle 2.30 della notte fra il 26 e 27 gennaio 1967, nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo. «Vedrai vedrai», «Mi sono innamorato di te», «Ragazzo mio», «Un giorno dopo l’altro», «Ho capito che ti amo»... E poi quella «Ciao amore ciao» che volle portare al Festival di quell’anno. La versione originaria - ripresa recentemente dal veneto Massimo Priviero - s’intitolava «Li vidi tornare», aveva contenuti antimilitaristi. A Sanremo non andava bene. Gli fecero cambiare il testo. Non bastò...

Tenco era nato il primo giorno di primavera del ’38 in provincia di Alessandria. Aveva dieci anni, quando la famiglia si trasferì in Liguria, prima a Nervi e poi a Genova. Il liceo classico, abbandonato per lo scientifico. E poi la facoltà di ingegneria, abbandonata per scienze politiche. Ma soprattutto l’amore per la musica, prima il jazz e poi la canzone. A quindici anni forma la Jelly Roll Morton Boys Jazz Band: lui al clarino, Bruno Lauzi al banjo, successivamente anche Fabrizio De Andrè e Gino Paoli. Che è ancora con lui nel ’58, nei Diavoli del rock. Nel ’59 debutta come cantante solista nei Cavalieri: ci sono anche Enzo Jannacci e Gianfranco Reverberi, lui si fa chiamare Gigi Mai, suonano rock’n’roll, incidono anche un disco.

Dopo altri due pseudonimi (Dick Ventuno e Gordon Cliff) nel ’61 esce il primo 45 giri firmato col suo vero nome: «Quando». Ed emerge la sua vena autentica, in anticipo sui tempi. Comincia a scrivere canzoni malinconiche, che parlano d’amore in maniera nuova, disincantata. Canzoni dotate di impianti musicali elaborati, originali, dietro le quali si intuiscono rapporti interpersonali nuovi e un Paese che stava cambiando. Canzoni che nell’Italia del boom e dei 45 giri da un milione di copie non avevano successo, non raggiungevano la grande platea.

Forse per questo, per arrivare finalmente al grande pubblico, Tenco quell’anno andò a Sanremo. Aveva appena firmato un contratto con la Rca, i giornali parlavano della sua relazione con Dalida, e poi c’era quella canzone, «Ciao amore ciao», riveduta e corretta proprio per la platea sanremese...

Sappiamo come finì. Il quart’ultimo posto in classifica, un cosiddetto «comitato di ripescaggio» che salva «La rivoluzione» di Gianni Pettenati, e poi il colpo di pistola, il famoso biglietto, il Festival che nemmeno s’interrompe...

Per anni si è dubitato di quello strano suicidio. E per questo l’anno scorso la salma fu riesumata per tentare di stabilire la verità. Le nuove analisi hanno stabilito che sì, si è trattato di suicidio. Ma per molti, e nell’immaginario collettivo, il mistero è rimasto tale.

Non è un mistero invece che Tenco, in quei pochi anni fra il novembre ’62 del primo album e il gennaio ’67 della morte, scrisse una pagina importante nella storia della canzone italiana. Fu un anticipatore, un antesignano, ma si trovò a fare i conti con un pubblico ancora condizionato dall’Italia bigotta degli anni Cinquanta, pur essendo alla vigilia dei nuovi fermenti e dei ribellismi del Sessantotto.

Se ne parla di nuovo in «Ed ora che avrei mille cose da fare», il libro scritto da Renato Tortarolo e Giorgio Carozzi (cugino di Tenco), edito da Arcana. Un libro che vuole ribaltare l'immagine triste che tutti hanno di Tenco. Uno che diceva: «Bisogna creare qualcosa, rompere il cerchio che ci soffoca, altrimenti è meglio piantare tutto. Non si vive per riuscire simpatici agli altri. A me i soldi, il successo, non interessano, li lascio a quelli più furbi di me in questo genere di cose...».

mercoledì 17 gennaio 2007

TRIESTE Sul palco cinque grandi dune di legno, un fondale rosa, un leggìo. Una manciata di minuti dopo le ventuno di ieri sera. Parte la marcetta che ormai fa da sigla a tutte le apparizioni di Roberto Benigni. Che infatti arriva, ringrazia, saluta, fa un paio di piroette, appare e scompare e poi riappare dietro quelle dune che fanno da quinte.

Abito scuro, camicia bianca, il microfono in mano (di quelli col filo, che ormai nessuno usa più...). «Amici di Trieste, quanto vi voglio bene...». I seimila che affollano il PalaTrieste non aspettano altro e non smettono di applaudire.

Lo spettacolo, va detto, sta già nella platea. Seimila persone che pagano un biglietto per vedere e ascoltare un attore, un comico che recita la Divina Commedia. Il titolo dello spettacolo, «TuttoDante», non lascia spazio ai dubbi. Anche se la gente lo sa, che quando c’è di mezzo il toscanaccio Benigni, il Premio Oscar per «La vita è bella», quello che tanti anni fa prese in braccio Berlinguer e pochi anni dopo diede del «Wojtylaccio» al Papa che non c’è più, beh, quando c’è di mezzo lui lo spettacolo è a tutto campo.

E il nostro non tradisce. Dante è il tema, lo spunto, se vogliamo la scusa per parlare di tutto: vita, bellezza, storia, politica, poesia... L’Alighieri viene evocato sin da subito, ritorna continuamente nel discorso, ma passerà più di un’ora prima che Benigni avvicini a sé il leggìo (anche questo all’antica, di quelli che non si usano più, e infatti non vuol saperne di stare all’altezza giusta, e scivola giù, e lui tenta di sistemarlo, ma poi non si fa pregare e si piega quasi in ginocchio per mettercisi davanti...) e si dedichi per davvero alla Divina Commedia. A questo dono «di bellezza incommensurabile che Dante ci ha lasciato», a quest’opera «che voi non immaginate quante persone nel mondo studino l’italiano solo per leggerla nell’originale», a questi «arazzi lussureggianti di bellezza che Dante ha scritto per amore di Beatrice, la sua vicina di casa...».

Prima, prima di dedicarsi al Canto dei lussuriosi («il primo vero dell’Inferno...») e alla storia di Paolo e Francesca, Benigni fa il Piccolo Diavolo, quello delle incursioni televisive, quello che il pubblico ama. «Mi dicono che ultimamente parlo come un prete, anzi, come un arcivescovo. L’arcivescovo di Trieste, non suona male... Vi voglio bene, vorrei leccarvi come un cagnolino, così parlerebbero domani dell’orgia del PalaTrieste... Che bello. Erano anni che non tornavo nella Venezia Giulia, un nome lussurioso...». Poi rivolge a quelli dei settori più alti del palasport e chiede: «Come va lassù a Opcina? E lì a Monrupino...?».

Tutti aspettano le incursioni nell’attualità, nella politica. Eccole. La finanziaria approvata grazie agli spinelli «liberalizzati», quelli che guadagnano oltre 75 mila euro e che pagheranno più tasse. «Pensate: sono andati a discutere nella Reggia di Caserta, che c’hà dùmila stanze. Prodi ci avrà portato i 24 mila elettori che l’hanno fatto vincere...». Le pensioni sono il problema più grave: «Vogliono portare l’età sempre più avanti, fino a quando di solito arriva l’Alzhaimer: così uno di ricorda di aver versato soldi per tutta la vita, ma non ricorda a chi li ha dati e così non chiede nulla a nessuno...».

Giusto una battuta sulla malasanità («Al Policlinico di Roma un posto costa un occhio della testa...»), e siamo a Berlusconi. Con una premessa: «Dopo cinque anni che l’abbiamo tormentato, ora per la pa</CP></CF>r condicio tocca a Prodi. Ma pensate: volevano farlo passare per una spia del Kgb... È come se Lussuria fosse la spia del Vaticano...». Poi non resiste e sbotta: «Silvio ci manchi, ritorna! Senza di te siamo rovinati. Io faccio Dante, Paolo Rossi Shakespeare, la Guzzanti Ariosto... Ritorna, senza di te siamo tutti precari...».

E avanti ancora, con la grande storia e la «scontrosa grazia» di Trieste, con i passi indietro di Baffino D’Alema, con gli insegnamenti cristiani («Aveva detto: crescete e moltiplicatevi, che sarebbe come dire mangiate e fate l’amore. E allora come la mettiamo con quei religiosi che praticano digiuno e castità...?»), con le intercettazioni telefoniche dell’estate scorsa.

La gente ride, applaude. Il Piccolo Diavolo non sta fermo un attimo. È un fiume in piena. Si asciuga continuamente il sudore della fronte con un fazzoletto, si lascia andare ai ricordi e ai personaggi della sua Vergaio, la frazione di Prato dov’è cresciuto. E prima di declamare i versi di Dante («che era povero, non c’aveva mica la Siae: quando si parla di lui si parla di miseria nera...»), ammonisce: «Un popolo che non si occupa del suo passato è pronto per la disperazione. Io sono orgoglioso di essere italiano, ma non sono nazionalista perchè voglio troppo bene all’Italia...».

Una divertente lezione di storia e di bellezza, di senso civico e di poesia. Una lezione-spettacolo di oltre due ore che il pubblico del PalaTrieste (che si aggiunge ai 150 mila che hanno finora assistito allo spettacolo in giro per l’Italia) manda idealmente a memoria...

lunedì 15 gennaio 2007

Il 24 gennaio suona al Comunale di Monfalcone. E poi il 15 febbraio torna in regione, per un concerto al «Nuovo» di Udine. Lui è Giovanni Allevi, autentica rivelazione della scena musicale - e pianistica in particolare - italiana degli ultimi anni. Apprezzato ormai anche fuori dai confini nazionali. Il suo quarto album si intitola «Joy» (Ricordi Sony Bmg) e non fa che confermare quanto di buono aveva intuito per esempio Jovanotti qualche anno fa, quando nel ’97 decise di produrre per l’etichetta Soleluna il primo album (s’intitolava «13 dita») di quel ragazzo alto e magro, con gli occhiali e una gran testa di capelli ricci, diplomato al conservatorio e laureato in filosofia. Che quando si sedeva al pianoforte lasciava - e lascia tuttora... - tutti a bocca aperta.

Il trentasettenne artista ascolano poi ha continuato a collaborare con Jovanotti, in studio e dal vivo. E forse anche da lì ha tratto questa sua splendida sensibilità pop ben innestata su un impianto classico e jazz, che emerge dai solchi. Di Allevi l’ascoltatore apprezza il senso melodico del pianismo, quel suo muoversi oltre ogni barriera di genere e al di fuori di categorie e definizioni. Sembra di ritrovare, trent’anni dopo, gli insegnamenti di un altro celebre pianista, Giorgio Gaslini, sulla musica totale. Dalla semplicità cantabile dell’iniziale «Panic» alle inflessioni gospel di «Downtown», dagli accenti malinconici di «Follow you» fino ai virtuosismi portati all’ennesima potenza di «New Renaissance». Passando per altre perle come «Viaggio in aereo», «Vento d’Europa», «L’orologio degli dei»... Insomma, forse Giovanni Allevi non sarà il Mozart del Duemila, come ha pomposamente sparato qualcuno, ma di certo è oggi una delle voci più interessanti e originali della scena musicale italiana.

Per tutti quelli che non hanno assistito al suo recente concerto al PalaTrieste - ma in fondo anche per chi c’era... - ecco una bella raccolta di <CF32>Gianna Nannini</CF>, intitolata <CF32>«America e altri grandi successi»</CF> (Ricordi Sony Bmg). Dal 1976, anno della pubblicazione del suo primo album, a oggi sono passati più di trent’anni e l’artista senese ha attraversato fasi alterne. Di grande successo (anche in Germania) e di momenti meno felici, anche da un punto di vista creativo. Oggi che, soprattutto con un album come «Grazie», sembra essere tornata al top, ecco un’operazione coraggiosa che alterna alcuni dei suoi maggiori successi («America», «California», «Vieni ragazzo», «Sognami»...) a brani come «Morta per autoprocurato aborto» e «Ti avevo chiesto solo di toccarmi», che erano già conosciutissimi nei circuiti della musica alternativa quando finalmente videro la luce sul primo disco «Gianna Nannini», che la Ricordi pubblicò appunto nel ’76.

C’è un disco uscito poche settimane fa, che in realtà è nato quasi vent’anni fa. Quando <CF32>Umberto Tozzi</CF> era un cantante di grande successo e <CF32>Marco Masini</CF> era il suo giovane tastierista. Si narra anzi che il provino di «Si può dare di più», con cui Morandi Ruggeri e Tozzi vinsero Sanremo nell’87, era cantato proprio da quel giovane tastierista. Che poi è diventato a sua volta un cantante di grande successo. Il disco che i due hanno realizzato assieme, intitolato semplicemente <CF32>«Tozzi Masini»</CF> (Mbo Universal), è un gioco di grandi successi, dell’uno che canta quelli dell’altro, più «T’innamorerai» cantata assieme. Come i tre inediti del disco: «Come si fa...?», «Anima italiana» e «Arrivederci per lei». È grande musica leggera italiana. Comunque.

 

<CF32>«Quam Dilecta»</CF> (RadioFandango) è il titolo del nuovo album del progetto Musica Nuda di <CF32>Petra Magoni e Ferruccio Spinetti</CF>. La formula voce e contrabbasso stavolta ci conduce nei territori della musica religiosa. Registrato dal vivo a Pisa nella chiesa di San Nicola (la stessa nella quale Petra cantava da bambina nel coro di voci bianche), il disco comprende infatti undici brani di musica sacra: Brahms, Mozart, Bach..., ma anche due composti dalla coppia. «Questo è un piccolo disco - scrive Petra - parla di cose piccole e di grandi fedi, di bambini appena nati ma già destinati a salvare il mondo, di amici perduti ma non dimenticati... È un piccolo atto d'amore, una memoria emotiva, un ricordo sincero, importante, dovuto...».

Erano dieci anni che <CF32>Rossana Casale</CF> non pubblicava un disco di inediti, prima di questo <CF32>«Circo immaginario»</CF> (Azzurra Music), un cd e un dvd ispirati al romanzo omonimo di Sara Cerri. Opera complessa, composta di venti brani, di cui sei strumentali. Una sorta di concept album, con la collaborazione dell'Orchestra nazionale della Radio-Tv Moldova. Opera di grande freschezza, con atmosfere a tratti in bilico fra Nino Rota e Goran Bregovic. Fra i titoli: «La bella confusione (Ouverture)», «Gioir d'amore», «Il battello di carta», «Il matto del paese»...

<CF32>Ginevra Di Marco</CF>, oltre a essere stata la cantante dei Csi, è anche una delle migliori interpreti italiane. Il suo nuovo <CF32>«Stazioni lunari prende terra a Puerto Libre»</CF> (RadioFandango) - non fatevi ingannare dal titolo criptico e scomposto... - è un disco di cover, che attraversa il meglio della musica popolare mondiale. Si parte con il Domenico Modugno di «Amara terra mia» (appena riscoperta anche dai Radiodervish), si prosegue con le tradizi greche di «Saranta Palikaria», di torna al Modugno di «Malarazza». Ma poi si fa tappa anche dalle parti di un canto tradizionale gitano dei Balcani e di uno napoletano, di «Gracias a la vida» di Violeta Parra e di «Les Tziganes» di Leo Ferré... Storie di popolo, cantate con il cuore.


Il ragazzo che ha creato - e poi fatto fuori - i Lùnapop ritorna con un nuovo disco che ripropone successi come «50 Special», «Qualcosa di grande», «Vorrei», «Un giorno migliore» nella versione dal vivo registrata in occasione del Maggese Theatre Tour assieme alla London Telefilmonic Orchestra (da cui l’idea del titolo: 1 cantante, 8 musicisti, 24 orchestrali...). Un doppio cd e un dvd per ripercorrere i sette anni della carriera di Cremonini, dai tempi dei Lùnapop a oggi. L'album include anche un bell’omaggio a Giorgio Gaber, con un brano poco noto ma molto toccante del cantautore, «L'orgia», e un inedito intitolato «Deve essere così», uscito anche come singolo.

 

Degli Articolo 31, J-Ax era l'anima rock e in fondo anche la matrice ideologica. E dopo l'esordio solista «americano» di Dj Jad, è arrivato anche quello del suo socio. Dal brano di apertura intitolato «S.N.O.B.» (acronimo di Senza Nessun Obbligo Baciaculistico...) fino alla conclusiva «Generazione zero», il ragazzone snocciola il suo credo di rapper politicamente scorretto, che aveva già dato prova di sé nei lavori del duo. Brani veloci, spesso sparati, costruiti su un territorio di mezzo fra rock, hip hop e tradizione canzonettara italiana. Ma funziona. Almeno per tutti quelli che hanno amato gli Articolo 31 di «Domani smetto»...

venerdì 12 gennaio 2007

Per lei si muovono tutti. Da ogni parte del mondo. E dicono che lei li seduca con grappa, polenta e poi cortesia e familiarità contadina in quantità - questa sì... - industriale. Lei è Giannola Nonino, anima del premio che in più di trent’anni ha trasformato il borgo di Percoto in una piccola capitale della cultura italiana e mondiale. Una volta ha detto: «Il mio motore è stato la voglia di conoscere i protagonisti della cultura di tutti i campi». Con la sua grande famiglia - formata dal marito Benito, dalle tre figlie e a questo punto da ben otto nipoti - è ovviamente ancora e sempre lei quella che tira le fila di una nuova edizione del premio, che vivrà la sua giornata campale, come da consuetudine, nell’ultimo sabato di gennaio.

L’anno scorso eravamo rimasti al premio alle Madri di Plaza de Mayo, definito dal giurato Claudio Magris «il culmine di tante edizioni del Premio Nonino: con loro vengono idealmente premiati tutti coloro che si battono contro le ingiustizie, con loro il dolore per la perdita di un figlio non è una battaglia personale, diventa battaglia per tutti...».

«E quest’anno ripartiamo proprio da lì - tuona al telefono Giannola Nonino dal suo quartier generale friulano - ma abbiamo tante novità già a partire dalla giuria, presieduta come sempre da Ermanno Olmi, ma che è cresciuta con l’ingresso di Norman Manea e Edgar Morin. Due nostri premiati di edizioni passate, che hanno subito fatto sentire il proprio contributo...».

Come lavora la giuria?

«Con i nostri giurati, che hanno la massima autonomia ma che sono sempre aperti a suggerimenti e idee da parte di tutti, siamo in contatto quasi tutto l’anno. Incontri, riflessioni, scambi di opinioni per telefono o per mail... Poi da novembre all’Epifania si entra nel vivo. Ogni giurato fa le sue proposte, vengono confrontate, discusse, fino alla decisione finale, quella che entra negli annali del premio».

Diceva delle novità.

«Sì, penso che quest’anno con il riconoscimento a Sembène Ousmane il Premio Nonino diventa sempre più un premio impegnato socialmente e civilmente. Ogni anno cerchiamo assieme alla giuria di sottolineare e denunciare con forza uno dei tanti problemi che affliggono il mondo intero».

Le Madri di Plaza de Mayo...

«Certo, e il nostro grido di dolore a fianco loro e del loro dramma dei desaparecidos, che era ed è un dramma universale. Quest’anno, premiamo un regista africano che denuncia il grande dramma dell’escissione (operazione che consiste nel tagliare una o più parti dei genitali femminili - ndr) e grida: mai più violenza sulle donne...».

La cultura può salvare quelle donne?

«Certo, questo è un dramma dell’ignoranza che riguarda centoventi milioni di bambine e ragazzine. Il regista e l’attrice del film, Fatoumata Coulibaly, anche lei operata da bambina, ci ricordano che questo dramma avrà fine solo quando le donne africane prenderanno conoscenza e si ribelleranno a tradizioni antiche e primitive. E la conoscenza, la cultura le può salvare...».

Signora, il premio a Carlo Petrini è proprio nel solco della vostra cultura contadina...

«Carlìn Petrini ci emoziona, lo conosciamo bene e lo stimiamo tanto. Quello che diamo a lui è uno dei premi che meglio si identificano con i valori da cui siamo partiti tanti anni fa, per testimoniare l’importanza della civiltà contadina. Lui ha fatto un lavoro enorme, partendo dal suo Piemonte. Ci piace pensare che i nostri lavori, lui nel Nordovest e noi nel Nordest italiano, quest’anno si incontrino con questo riconoscimento...».

Ma non teme che questo mondo, con tutti i suoi mutamenti, stia uccidendo la civiltà contadina che i Nonino e i Petrini d’Italia vogliono preservare?

«Al proposito ricordo sempre quello che disse Leonardo Sciascia, tanti anni fa, quando ricevette il nostro premio. A una persona che gli chiedeva se la civiltà contadina non fosse ormai morta, lui rispose: no, è la civiltà industriale che sta morendo, non quella contadina. Anche perchè - aggiunse - se dovesse un giorno morire quest’ultima, vorrebbe dire che è anche l’uomo, quello che sta morendo...».

Per il popolo del Premio Nonino, per quello strano mix di scrittori, scienziati, artisti, Premi Nobel passati o futuri, uomini di fede, politici, industriali, editori, giornalisti, l’appuntamento è allora per sabato 27 gennaio alle 11, nel salone della grande distilleria di Percoto. Quella nuova, che Giannola definisce «uno spettacolo di tecnologia e tradizione». Con gli alambicchi rossi, sotto un tetto di rame e legno chiaro. A ripetere ancora una volta il miracolo del Premio Nonino, colto e popolare al tempo stesso.

L’anno nuovo? Il futuro? Somigliano in maniera inquietante al passato. Prendete il Festival di Sanremo. Dopo alcuni esperimenti non riusciti, per la 57.a edizione (dal 27 febbraio al 3 marzo) hanno richiamato in servizio Pippo Baudo. Che da astuto sacerdote del rito festivaliero, ripropone la solita ricetta: un occhio alla tradizione e l’altro ai giovani, un pizzico di nazionalpopolare e una buccia di qualità, un grande ritorno e un paio di outsider...
Una macedonia. Con l’obiettivo, nemmeno tanto nascosto, di far contenti tutti. E il rischio speculare, sempre in agguato, di scontentare ognuno.

Il tocco del siciliano di Militello si nota già nei particolari. Dall’annuncio dei venti big, che è stato fatto ieri sera a «Domenica In», nello spazio che il nostro gestisce in beata solitudine. Al collegamento con il Tg1 delle 20.30 di ieri sera, con Vincenzone Mollica benedicente. Insomma, prepariamoci: da qui al 27 febbraio il Pippo nazionale invaderà ogni spazio, pur di non veder fallire la sua creatura.

«Qualcuno ci rimarrà male, ma le scelte vanno fatte», ha detto. «È stato un lavoro faticoso scegliere venti cantanti invitati per un Festival che dev'essere un passo avanti rispetto al passato e deve offrire un panorama della musica moderna italiana. Per quanto riguarda le canzoni ritengo che ce ne sia per tutti i gusti...».

Vediamoli, allora, questi nomi. Cominciando dalle anticaglie. Torna Al Bano, che l’anno scorso era dato per sicuro ma poi non venne scelto. Si affida a una canzone scritta dal figlio Yaris e da Renato Zero. Tornano anche Milva (con un brano di Giorgio Faletti) e Nada, Tosca (che vinse qualche anno fa con Ron) e Mango.

Ma il ritorno che profuma (meglio: odora...) più di passato è quello di Johnny Dorelli, che compirà settant’anni pochi giorni prima dell’inizio del Festival, ed era già qui mezzo secolo fa, nei lontani anni Cinquanta: vinse infatti nel ’58 e nel ’59, un po’ all’ombra di Domenico Modugno, con «Nel blu dipinto di blu» e «Piove». Siamo dalle parti dell’archeologia musicale, insomma.

Andiamo avanti. Per il 57.o Festival si rimettono assieme i fratelli Gianni e Marcella Bella, siciliani come il padrone di casa. Ma nasce anche un’altra, finora inedita e inesplorata, coppia familiare: Roby Facchinetti dei Pooh assieme al figlio Francesco, già idolo dei giovanissimi col nome di Dj Francesco (ora si fa chiamare col solo nome di battesimo).

A proposito di giovani. Tornano Simone Cristicchi, i rocchettari Velvet ma soprattutto gli intimisti Zero Assoluto, sin da ora candidati al podio. Spuntano anche Leda Battisti, Paolo Meneguzzi (altro favorito dei ragazzini, con fan persino in Sudamerica), gli Stadio.

Il tocco di qualità sembra almeno sulla carta garantito dalla canzone d’autore di Fabio Concato, dal fascino di Antonella Ruggiero, dalla voce jazz di Amalia Grè, dall’ecletticità di Daniele Silvestri (altro candidato al podio). Oltre che dall’outsider Paolo Rossi, il teatrante monfalconese ormai di casa a Trieste (ne parliamo anche nelle cronache degli Spettacoli, per la sua ultima incursione al Teatro Miela...). Rossi propone a sorpresa «In Italia si sta male», testo inedito di Rino Gaetano, il cantautore calabrese morto in un incidente stradale nel 1980: parole, quelle sintetizzate nel titolo, che evidentemente valgono in ogni stagione. Brano prodotto da Claudia Mori.

L’oscar del nome sconosciuto spetta di diritto a Piero Mazzocchetti, ma Baudo garantisce che in Germania è da tempo un’autentica star. La commissione selezionatrice lo ha comunque preferito a gente come Morgan, Samuele Bersani, Nino D’Angelo, Cochi e Renato... E ci ha risparmiato Lino Banfi che doveva cantare un brano di Gino Paoli con l’accompagnamento dei famigerati Ragazzi di Scampia, già «apprezzati» l’anno scorso.

A «Domenica In», ieri pomeriggio, il presentatore siciliano ha anche presentato i quattordici Giovani in gara. Sono quelli miracolosamente sopravvissuti a una selezione che partiva da ben 740 nomi. Magari fra loro, com’è spesso accaduto in passato, si nasconde qualcuno che vale. Ma il pubblico se ne accorgerà dopo, a festival finito. Durante la settimana sanremese, per loro, ci saranno pochi riflettori.
Il 2007 musicale comincia sabato a Trieste con il concerto di <CF32>Gianna Nannini</CF> al PalaTrieste. Il tradizionale buon anno musicale organizzato dai commercianti locali riporta dunque in città la cinquantenne artista senese rilanciata nel 2006 dal grande successo dell’album «Grazie» e soprattutto del singolo «Sei nell’anima», che l’ha riportata ai fasti di qualche anno fa, sia nel giudizio della critica sia nel gradimento del pubblico. E anche il concerto triestino - che arriva quasi come un’appendice del tour invernale, concluso nella notte di San Silvestro proprio nella sua Siena - promette di essere un grande successo, almeno a giudicare dagli oltre quattromila biglietti già staccati in prevendita.

Facciamo un salto di un mese e andiamo al 7 febbraio, data prevista per il recupero del concerto della <CF32>Pfm</CF> al Politeama Rossetti, inizialmente previsto per il 21 dicembre e poi rinviato per un infortunio al batterista e cantante della storica band milanese, Franz Di Cioccio.

Passano soltanto ventiquattr’ore e, sempre al Rossetti, arrivano le atmosfere balcaniche del grande <CF32>Goran Bregovic</CF>: l’artista di Sarajevo sarà dunque a Trieste, con la sua Wedding & Funerals Band, la sera dell’8 febbraio.

Ma febbraio propone un altro appuntamento con la grande musicale nel politeama di viale XX Settembre: martedì 20 ritorna infatti <CF32>Fiorella Mannoia</CF>, con il suo nuovo spettacolo dal vivo «Onda tropicale», tratto dall’album omonimo, dedicato alla musica brasiliana e ai suoi grandi protagonisti.

L’11 marzo arriva a Trieste (due giorni dopo il concerto al palasport di Pordenone) un altro grande protagonista della scena italiana, stavolta negli spazi più ampi del PalaTrieste: fa infatti tappa in città il tour di <CF32>Claudio Baglioni</CF>, uscito da poco con il doppio cd (ma anche con il doppio dvd, firmato dal triestino Andrea Sivini) «Quelli degli altri», dedicato alle grandi canzoni degli anni Sessanta con cui il cantautore romano è cresciuto, e con le quali ora si confronta da interprete.

Ma vediamo cosa offre la scena musicale dal vivo nel resto della regione, in questo primo scorcio di 2007. Il 18 gennaio al palasport di Pordenone è in programma il concerto inaugurale della nuova tournée di <CF32>Elisa</CF>. Per la popstar monfalconese si tratta dell’ennesimo momento d’oro: la canzone scritta per lei da Ligabue «Gli ostacoli del cuore» è stata in queste settimane un successo nel successo dell’antologia «Soundtrack - The best of 1996-2006». In attesa del prossimo album.

Il 24 gennaio, al Comunale di Monfalcone, è in programma un concerto del pianista <CF32>Giovanni Allevi</CF>, autentica rivelazione dell’annata trascorsa, apprezzato ormai in mezzo mondo (sarà anche il 15 febbraio al Nuovo di Udine).

Il 27 gennaio arriva in regione, al palasport di Pordenone, il nuovo tour di <CF32>Tiziano Ferro </CF>(che parte il 20 gennaio da Ancona). Il 9 febbraio viene recuperato il concerto di <CF32>Caparezza</CF> al Teatro Verdi di Gorizia, che era stato rinviato nelle settimane scorse. Il 13 febbraio arriva a Udine, per un concerto al Teatro Nuovo, <CF32>Ivano Fossati</CF>.

Molti altri appuntamenti, nel Triveneto e nella vicina Slovenia, si aggiungeranno al calendario col</CP></CF> <CF><CP>passare delle settimane. Nel frattempo, pur non trattandosi di avvenimenti musicali, ci sentiamo di ricordare gli appuntamenti con <CF32>Roberto Benigni</CF> (porterà il suo «TuttoDante» martedì 16 gennaio al PalaTrieste), con<CF32> Beppe Grillo </CF>(il suo nuovo «Reset» sarà il 16 febbraio al palasport di Pordenone, il 17 febbraio al PalaTrieste, il 19 febbraio al palasport di Udine, il 24 febbraio al Palaverde di Treviso) e con la ricostituita coppia storica <CF32>Cochi e Renato</CF> (martedì 6 febbraio saranno di scena al Politeama Rossetti, a Trieste).

E per finire - per ora - in bellezza, niente di meglio di due concerti per i quali si è già scatenata la caccia al biglietto. Il 26 aprile al PalaOlimpico di Torino e il 27 aprile al Forum di Assago a Milano fa tappa il «Never ending tour» di sua maestà <CF32>Bob Dylan</CF>. Only for members... Infine, da registrare la notizia che i Blur hanno fatto pace e, dopo cinque anni, si riformeranno nel 2007.

Ha una firma triestina uno dei dvd musicali più venduti in Italia in queste settimane. Il titolo è «Quelli degli altri», l’artista è Claudio Baglioni, la firma triestina è quella del regista Andrea Sivini. Che prosegue così nella sua fruttuosa collaborazione con il cantautore romano, dopo il triplo dvd «Crescendo e Cercando» (uscito nel 2005 e registrato in parte anche a Trieste, in Porto Vecchio), dopo il programma televisivo «Claudio Baglioni racconta O'Scià» (registrato l’estate scorsa a Lampedusa, nel festival che l’artista organizza da quattro anni nell’isola dove ha una casa) e dopo la diretta su Internet del concerto di Baglioni al Parlamento Europeo.

«Stavolta - spiega Sivini - l’occasione è stata la presentazione alla stampa, nell’ottobre scorso, al Forum Village a Roma, del nuovo album doppio di Baglioni, ”Quelli degli altri”, dedicato alla sua rilettura di tanti classici degli anni Sessanta e Settanta. Abbiamo filmato l’evento. Claudio solo interprete, orchestra in abito di gala in stile anni Sessanta, e sua mia insistenza tutto in bianco e nero... Ne è venuto fuori il materiale per il primo dei due dvd che compongono il doppio. Un vero e proprio concerto, con Baglioni che presenta e spiega i vari brani...».

E i brani pescano nella storia della canzone italiana: «Il nostro concerto» e «Una lacrima sul viso», «Una miniera» e «Cinque minuti e poi», «Insieme a te non ci sto più» e «C’era un ragazzo». Senza dimenticare «Nel blu dipinto di blu», «Se telefonando», «Senza fine», «Emozioni», «Lontano lontano»... Con Claudio Baglioni che fa l’interprete puro. E non sfigura assolutamente.

«Per completare il dvd - prosegue Sivini - abbiamo filmato le prove in sala registrazione durante la realizzazione del cd, un’intervista in cui Baglioni spiega la scelta delle varie canzoni e di tutta l’operazione. Anche qui solo bianco e nero: una mia idea che mi sembra sia risultata azzeccata...».

A proposito di bianco e nero, una curiosità: quando Baglioni parla delle sue origini nella Roma degli anni Cinquanta e Sessanta, oltre ad alcune sue fotografie da bambino, un po’ a sorpresa scorrono frammenti della città di Trieste degli anni Sessanta.

Il motivo lo spiega lo stesso Sivini: «Ci servivano immagini di quel periodo, ma ottenerle dall’Istituto Luce aveva costi esorbitanti. Impossibile averle anche dalla Rai, nazionale e regionale, a causa della burocrazia e dei tempi lunghi. Allora ho provato a rivolgermi alla C<USNUOGRA>ineteca Regionale del Friuli Venezia Giulia: stessi problemi incontrati alla Rai. Per farla breve, la soluzione ce l’hanno offerta alcuni videoamatori triestini, che ci hanno messi a disposizione alcune loro immagini volentieri e gratuitamente. In cambio sono stati citati nei ringraziamenti finali sul dvd...».

Della troupe di Andrea Sivini - tutta triestina - che ha realizzato il dvd di Baglioni fanno parte anche Fabio Rebec, Edi Pinesich, Franco Pilat, Roberto Pischianz, Enzo Iannaccone e sua figlia Alessia Sivini.

Ma il regista triestino non lavora solo con Baglioni. «Recentemente - conclude Sivini - ho realizzato un video a New York del fisarmonicista triestino Denis Novato, in occasione di un suo tour negli States. E poi sono in contatto con il management di Elisa per un progetto a breve (con lei ho già realizzato due filmati, uno della tournèe ”Lotus” e uno dell'ultimo tour ”Pearl days”). E ancora con la cantante/flautista slovena Tinkara Kovac, per completare l'uscita del suo nuovo cd...».