mercoledì 31 dicembre 2014

La favola viennese di Natale del baritono triestino Paolo RUMETZ

Quasi una favola di Natale, quella capitata in questi giorni a Vienna al baritono triestino Paolo Rumetz. In forza da un anno e mezzo al Wiener Staatsoper, il più importante teatro d’opera austriaco e uno dei tre nella capitale, la scorsa settimana viene chiamato a sostituire nella nuova produzione del “Rigoletto”, alla prova generale e all’antigenerale, il famoso baritono inglese Simon Keenlyside che sta poco bene. Rumetz se la cava molto bene, tanto da ricevere i complimenti del direttore d’orchestra Myung-Whun Chung («ma perchè non facciamo cantare lui...», pare abbia detto al sovrintendente Dominique Meyer). Ma Keenlyside si rimette e alla prima in scena c’è lui. «Al pomeriggio tutto sembrava tranquillo - racconta ancora incredulo Rumetz, classe ’62 -, tanto che la sera della prima ero a casa mia, a cena con amici, e mi apprestavo a seguire l’opera alla radio. Al secondo atto mi sono reso conto che c’era qualcosa che non andava, a un certo punto Simon ha smesso di cantare mentre l’orchestra è anadata avanti...». Ancora il baritono: «Devo dire che non ho fatto in tempo a realizzare cosa stesse accadendo che ha cominciato a squillare il telefono. Convocato seduta stante. Per fortuna abito a due passi dal teatro, dunque è bastato un taxi, ma erano disposti a mandarmi un auto scortata dalla polizia... Comunque in un paio di minuti ero in teatro, pronto per il terzo atto». È andato tutto talmente bene, mentre Simon Keenlyside dava il definitivo forfait, che dopo i fasti della prima Rumetz ha fatto, anzi, sta facendo anche tutte le repliche: ieri sera e il 2 gennaio le ultime due. «Sono arrivato qui un anno e mezzo fa - riflette il cantante triestino, che in carriera ha lavorato alla Scala e alla Fenice, ma anche in Germania, Francia e Giappone -, spinto dalla difficile situazione dei teatri in Italia, ma anche dalla voglia di mettermi alla prova. Non avevo mai cantato il “Rigoletto” e mai avrei pensato di farlo per la prima volta allo Staatsoper, in mondovisione, con tremila persone e i critici europei in sala. Mi hanno visto dappertutto, ne hanno scritto tutti i giornali, ricevo complimenti da mezzo mondo. È un’opportunità fantastica». «Una svolta per la mia carriera? Lo spero. Di certo - conclude Rumetz - in Italia il lavoro comincia a mancare anche nel nostro settore. Qui invece ho la fortuna di lavorare in una struttura molto buona, la musica è cultura non soltanto a parole...».

martedì 30 dicembre 2014

TOUR 2015 / FVG

In attesa di scoprire quale sarà il megaconcerto dell’estate a Trieste (nelle settimane scorse si era parlato con una certa insistenza di una data allo Stadio Rocco dei Metallica o dei Foo Fighters, probabilmente agli inizi di giugno, ma l’annuncio ufficiale tarda ad arrivare...), vediamo i nomi sicuri del 2015 nella nostra zona. Si comincia con... l’ultimo nome dell’anno vecchio: domani alle 22.30, “Capodanno rock” a Pordenone, al Deposito/Naonian Concert Hall, con il batterista Marky Ramone e i suoi Wardog, per celebrare i quarant’anni dei Ramones. Giovedì 12 febbraio, al “Nuovo” di Udine, concerto degli Afterhours, che dopo il tour “Hai paura del buio” nell’anno nuovo puntano su “Teatri 2015”. Sabato 21 marzo, al Rossetti di Trieste, primo giorno di primavera con Fiorella Mannoia (per ora unico concerto in regione per l’interprete che ha festeggiato i sessant’anni con l’album “Fiorella”, pubblicato a ottobre). Venerdì 27 marzo, al palasport di Pordenone, fa tappa il tour di Francesco De Gregori, che recentemente ha accompagnato la pubblicazione dell’album “Vivavoce” con un breve tour in alcuni club europei: in Svizzera, Germania, Olanda, Belgio e Inghilterra. Aprile è il mese del concerto di James Taylor, il 22 al Rossetti di Trieste (il tour toccherà anche Torino, Roma, Firenze, Padova e Milano), ma anche dei Negrita il 25 al palasport di Pordenone e di Giovanni Allevi il 26 ancora al Rossetti di Trieste. Finale, per ora, venerdì 13 novembre al PalaTrieste con gli Scorpions, nel tour celebrativo del mezzo secolo della rock band tedesca.

TOUR 2015

Febbraio con Katy Perry (il 21 a Milano). Marzo con Ligabue (il 13 a Padova, poi Milano, Rimini, Ancona, Livorno...), ma anche con Spandau Ballet (Milano, Torino, Padova il 27) e l’accoppiata de luxe Sting e Paul Simon (il 30 a Milano con il loro “On stage together”). Maggio con Mark Knopfler (il 28 a Milano, con ripresa estiva che tocca anche Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova, il 18 luglio). Comincia così il 2015 della grande musica dal vivo. Che anche in Italia, nonostante la crisi nera e senza fine, gode di buona salute. Stadi e palasport si riempiono, ovviamente solo per nomi italiani e internazionali di livello, e spesso anche con molti mesi di anticipo. La nuova tendenza è infatti lanciare le prevendite dei biglietti con anticipi un tempo impensabili, ma con risultati spesso eccellenti, grazie soprattutto ai circuiti on line. Basti pensare che i tagliandi per i due concerti degli U2 (4 e 5 settembre, Torino, palasport) sono volati via in un quarto d’ora. E che i sessantamila biglietti per il megaconcerto degli Ac/Dc a Imola, il 9 luglio, sono andati esauriti in una giornata. Gli italiani, anzi, certi italiani vanno altrettanto bene: Vasco Rossi ha già raddoppiato i concerti negli stadi di Milano (dove finirà per farne tre), Bologna e Bari, da dove parte il 7 giugno; Ligabue raddoppia i palasport citati all’inizio; Tiziano Ferro riempie per la prima volta gli stadi (dal 20 giugno a Torino, poi Firenze, Roma, Bologna, Milano, Verona); Jovanotti ne ha prenotati addirittura una dozzina (dal 20 giugno ad Ancona, poi Milano, Padova, Firenze, Bologna, Roma, Messina...). La buona salute di cui gode il settore della musica dal vivo è strettamente collegata alla crisi che attanaglia da anni l’industria discografica. La musica registrata è ormai considerata un genere che può essere fruito gratuitamente o spendendo pochissimo, l’approccio dei giovanissimi non è più quello di possedere materialmente un disco, è sufficiente poterlo ascoltare, legalmente o illegalmente. E dunque, se ci sono soldi da spendere, meglio farlo per l’esperienza del concerto dal vivo. Da fare da soli o in gruppo, e comunque unica, non replicabile... Ma torniamo ai nomi del 2015. Dopo quelli già detti, brillano gli Ub40 (inglesi, paladini del reggae bianco, 70 milioni di dischi venduti in carriera: il 28 marzo a Padova), l’italoamericana Ariana Grande (il 25 maggio a Milano con il suo ultimo disco “My everything”), i Kiss l’11 giugno all’Arena di Verona con il “40th anniversary tour”, i Muse il 18 luglio a Roma. Altre stelle. Robbie Williams il 23 luglio al Lucca Summer Festival. Lenny Kravitz il 26 luglio sempre nella città toscana. Deep Purple dal 30 ottobre a Padova, Milano, Firenze e Roma. Simple Minds il 21 novembre a Milano. Italiani. Oltre a quelli citati, Francesco De Gregori riparte da Roma il 20 marzo (tappa anche il 27 marzo a Pordenone). Doppio Fedez, il 21 e 22 marzo a Milano. Gianna Nannini parte il 4 maggio dalla sua Firenze. Il 7 maggio Marco Mengoni dà il via da Milano al suo #MengoniLive2015. Eros Ramazzotti riparte con l’Eros World Tour: anteprima il 12 settembre a Rimini, partenza il 16 dall’Arena di Verona. Ed è solo l’inizio.

lunedì 29 dicembre 2014

VOCI DI CORRIDOIO, OMAGGIO A LUTTAZZI

Amare lo swing significa amare Lelio Luttazzi, dicono senza mezze misure le Voci di Corridoio. La cui dedizione per l’arte del musicista triestino li aveva già indotti, anni fa, a inserire nel loro disco “Edizione straordinaria” due suoi brani poco conosciuti: “L’importanza del microfono” (testo godibilissimo di Tata Giacobetti, del Quartetto Cetra) e “Lasciare o raddoppiare”. Il maestro gradì molto, li incoraggiò a proseguire su quella strada e rispose con una mail che diceva «Bravi! Avete “centrato” il carattere delle mie composizioni. Bravi ragazzi, bravi davvero...». Ora il quartetto vocale torinese dedica un intero album alle sue musiche. Titolo “Speciale per Lelio, con Jula de Palma”, etichetta Zanetti Records (distribuzione Self). Oltre ai brani più conosciuti (da “Vecchia America” a “Canto anche se sono stonato”), nel disco sono presenti canzoni meno note, ma sempre e ovviamente all’insegna del suo personalissimo swing (“Rabarbaro blues”, “Mia vecchia Broadway”, “Incredibile amor”), e le ballad più malinconiche ed eleganti: “Perchè domani”, “Lullaby”, “Troppo tardi”. La particolarità dell’opera, in mezzo ai tanti tributi usciti nei quattro anni e mezzo trascorsi dalla scomparsa del maestro, sta proprio nella presenza - richiamata già nel titolo - della grande Jula de Palma, la signora del jazz italiano, da tanti anni assente dalla scena musicale di casa nostra. «Quando le Voci di Corridoio, che ascolto e ammiro da sempre, mi hanno chiesto di far parte di questo loro cd - spiega la cantante, milanese, classe 1932, che da molti anni vive in Canada - ho accettato con entusiasmo. Pensavo di scrivere due parole e di canticchiare qualche nota. Invece, eccomi presente con due canzoni: “Eccezionalmente sì” e “Mi piace”, che hanno un particolare significato per me...». La prima è stata infatti musicata da Luttazzi su un testo della stessa Jula per il suo ultimo concerto al Sistina di Roma, tanti anni fa, e viene ora riproposta in una nuova versione. La seconda, scritta per lei dal musicista triestino e Leo Chiosso, era stata cantata dalla signora in una puntata di Studio Uno: finora non era mai stata registrata. «Il mio incontro con il maestro Luttazzi - ricorda Jula de Palma -, nel 1949, è stato il coronamento di un sogno. Conoscerlo e cantare con lui e la sua orchestra è stato meraviglioso...». Un altro inedito presente nel disco è “Messaggio”, suonato al piano dal nostro. Mentre “Dr Jekyll Mr Hyde”, presentato a Sanremo 2013 da Simona Molinari e Peter Cincotti, è qui vestito da un nuovo arrangiamento. E grazie a un provino del 2007, concesso dalla moglie Rossana, le Voci di Corridoio riescono persino a duettare con lo stesso Luttazzi. «Da sempre - dicono le Voci di Corridoio, che sono Roberta Bacciolo, Elena Bacciolo, Paolo Mosele e Fulvio Albertin - amiamo e proponiamo questo genere musicale intramontabile. Ci siamo avvicinati alla musica e alla personalità di Luttazzi e ne siamo rimasti affascinati. Spinti dall’entusiasmo per l’apprezzamento del maestro nei confronti del nostro precedente cd, abbiamo intrapreso un percorso di ricerca nel suo vastissimo repertorio che ci ha fatto scoprire delle vere e proprie perle...».

venerdì 26 dicembre 2014

RENGA A TRIESTE LUN 22-12

Francesco Renga in "Tempo reale". Il lungo tour del cantautore bresciano - ma nato in Friuli nel '68 - fa tappa lunedì a Trieste, dove si conclude con un concerto al Politeama Rossetti. In programma ci saranno tutti i suoi più grandi successi e ovviamente le canzoni del nuovo album "Tempo reale", pubblicato a primavera e per molte settimane presente nella classifica dei dischi più venduti. E, intanto, sul sito de "Il Piccolo", prosegue con grande successo il contest per assicurarsi due pass gratuiti per il concerto. Renga, concerto prenatalizio nella sua regione di origine: cosa proporrà? «Sentirete tutte le canzoni dell'album "Tempo reale" ma anche i brani che hanno segnato la mia carriera. Avrò con me sul palco dei grandi musicisti: Vincenzo Messina al piano e tastiere, Fulvio Arnoldi alla chitarra acustica e tastiere, Stefano Brandoni alla chitarra, Giorgio Secco alla chitarra, Gabriele Cannarozzo al basso, Phil Mer alla batteria. Vedrete, ho preparato uno show intenso ed emozionante, non vedo l'ora di essere sul palco». Ma quanto ha vissuto nel Friuli Venezia Giulia? Conosce la regione? «Sono nato a Udine, poi assieme alla mia famiglia ci siamo trasferiti a Brescia, dove sono cresciuto. Nonostante sia andato via presto, ho ancora molti ricordi di questa regione che è sempre stata nel mio cuore». Ci parli dell'album "Tempo reale". «Il disco mi ha dato grandi soddisfazioni e devo ringraziare il pubblico per l'accoglienza speciale che ha rivolto a questo nuovo progetto che è nato nel segno del cambiamento. Grazie anche a un nuovo produttore, Michele Canova, e compagni di viaggio fantastici anche per i testi». I vecchi amici dei Timoria che fine hanno fatto? Li vede ancora? «Sì, con i componenti del mio vecchio gruppo rock ogni tanto ci sentiamo. Ognuno ovviamente sta facendo il suo percorso, ma siamo rimasti in buoni rapporti come è giusto che sia fra vecchi amici e compagni d'avventura». Guarda i "talent show"? Che ne pensa? «Li guardo, certo. Quando ho iniziato io, tanti anni fa, non esistevano proprio. Oggi il mondo della musica è molto cambiato e sicuramente la partecipazione a un "talent" è una importante possibilità per farsi conoscere e cominciare una carriera». Quest'anno niente Sanremo. «No, quest'anno no, in futuro chissà. Anche perchè quello di Sanremo è un palco che regala sempre grandi emozioni. Come quelle dell'anno scorso, quando sono arrivato quarto con "Vivendo adesso", il brano scritto assieme a Elisa». Con lei la collaborazione prosegue? «Mi piacerebbe moltissimo: è una grandissima artista e una compagna di viaggio fantastica». Prossimi progetti? «Ci sto lavorando, proprio nei prossimi giorni vorrei annunciare una bella sorpresa». Hai ancora un sogno? «Un sogno musicale? Sì, un duetto con Bono...!» Il "Tempo Reale Tour" (ben quarantacinque concerti nei maggiori teatri italiani) ha segnato un ottimo ritorno sulle scene di Francesco Renga, che i fan hanno visto recentemente in tv ospite anche a "Zelig". Da poche settimane è uscito anche il disco "Tempo Reale Extra", composto da un doppio cd, album originale più un secondo disco di brani "extra". Fra questi, cinque canzoni eseguite in una versione acustica, anzi "unplugged", come si dice ora: "A un isolato da te", "Il mio giorno più bello del mondo", "L'amore altrove", "Era una vita che ti stavo aspettando", "Ora vieni a vedere". Il brano "Almeno un po'" è prodotto da Kekko Silvestre dei Modà, che anche duetta con Francesco Renga.

mercoledì 17 dicembre 2014

TONINO CAROTONE 10-1 a trieste, teatro Miela

"È un mondo difficile, vita intensa, felicità a momenti. E futuro incerto...». Ricordate questi versi? Li cantava Tonino Carotone nel brano “Me cago en el amor”, anno di grazia 2000, album “Mondo difficile”. A distanza di tanti anni, rimane uno dei suoi maggiori successi. All’epoca quasi un tormentone. Lo spagnolo Antonio de la Cuesta, classe 1970, in arte e per l’appunto Tonino Carotone, è il primo nome internazionale che brillerà nel calendario musicale triestino del 2015. Sabato 10 gennaio proporrà infatti il suo spettacolo al Teatro Miela, assieme al suo Rumba Flamenca Trio. Lui è un grande appassionato della musica leggera italiana degli anni Cinquanta e Sessanta. E lo dimostra già la scelta dello pseudonimo, l’ammiccamento al nostro Paese in esso contenuto. «Quando ero bambino - ricorda l’artista - in casa mia non avevamo dischi, si ascoltava la radio che passava Carosone, Modugno, i cantanti italiani. Per me è facile interpretare la vostra musica italiana. Siamo vicini, e non solo geograficamente. I tratti comuni sono tanti. Quello che ci unisce di più è la cultura mediterranea». Ancora Carotone: «Ma ho un grande rapporto anche con la Grecia. Siamo tutti qui, affacciati su questo mare che sta vivendo una situazione politica non facile, che spesso viene dimenticato o snobbato dall’Europa che decide. Ci tiene per ultimi, forse perché non capisce il nostro modo di vivere la vita, la nostra allegria. Ci mette in fondo alla coda. Invece credo che il Mediterraneo sia prezioso, sia ancora il centro della cultura occidentale». Dalle nostre parti, secondo il cantautore spagnolo, «ci sono cose positive e belle. L’arte in tutte le sue forme. La pittura, la scultura, il cinema. Anche la gastronomia. Quando dopo ogni tour torno a Madrid, dove mi sono trasferito, mi dedico alla cucina». Carotone, cresciuto a Pamplona, è arrivato per la prima volta in Italia nel ’95, con altri renitenti alle leva spagnola. Con la sua voce roca e l’aspetto retrò, si propone come un mix tra il napoletano Renato Carosone e Fred Buscaglione, che imita anche nell’abbigliamento. Un vero artista di culto per legioni di appassionati. Dopo l’album “Mondo difficile”, premiato con il Disco d’oro per le oltre 70 mila copie vendute, è tornato a far parlare di sé nel 2003 con l’album “Senza ritorno”, che comprendeva fra l’altro le cover di “Storia d’amore” e “Un ragazzo di strada”. Successivamente, nel disco “Ciao mortali” (2008), ha collaborato con Manu Chao nei brani “Pornofutbol” e “No volveremos mas”, con Eugene Hütz e Gogol Bordello nel brano “Atapuerca” e con Enrico “Erriquez” Greppi nel brano “Primaverando”. Alcuni anni fa Napoli lo ha insignito del Premio Carosone alla carriera come miglior artista straniero. E nel 2009 ha partecipato con la Bandabardò al Concerto del Primo Maggio, in piazza San Giovanni, a Roma. Oltre che in Spagna e in Italia, i suoi tour toccano spesso Grecia, Cile, Argentina (negli stadi con Manu Chao) e Russia. Emir Kusturica lo ha invitato al Film & Music Festival di Kustendorf, da lui organizzato. Lui definisce il suo stile “alcolico romantico”. Dice: «Ho scritto musica per il cinema, per registi soprattutto della scena alternativa. Per la Spagna quest’arte è importantissima. In passato il potere di Franco ha censurato la maggior parte dei film stranieri. Fellini, ad esempio, era vietato. La fine della dittatura è stata la nostra rinascita...». Le prevendite per i biglietti del concerto triestino sono già in corso al Teatro Miela. Info www.miela.it

TINKARA, popstar slovena sabato a trieste

Anche la Slovenia ha le sue stelle nella musica pop/rock. Una di queste si chiama Tinkara Kovac, sabato presenta il suo nuovo spettacolo al Teatro Stabile Sloveno, a Trieste. Nella vicina repubblica è da tempo una delle artiste più amate. Nativa di Capodistria, classe 1978, l’artista ha studiato a Trieste (è diplomata al conservatorio in flauto traverso) e si propone come cantautrice e - appunto - flautista. Ha raggiunto il successo coniugando la sua passione per il rock classico con il pop più orecchiabile, senza dimenticare la lingua e la cultura slovena. Ma canta anche in inglese e in italiano. Nel corso della sua ormai lunga carriera, ha collaborato con grandi nomi della musica internazionale come Ian Anderson, leggendario flautista dei Jethro Tull, Carlos Nunez e Mike Peters degli Alarm. Fra gli italiani, ha collaborato con il cantautore veronese Massimo Bubola (di origini istriane per parte di padre, originario di Umago, e già al fianco di Fabrizio De Andrè, per il quale ha scritto brani storici come “Don Raffaè”) e il chitarrista veneto Tolo Marton. Tinkara parla sei lingue, tiene una media di oltre quaranta concerti all’anno, con i suoi primi tre album ha raggiunto tirature da dischi d’oro e di platino. Il suo quarto album “O-range” - anticipato dal singolo “The Place 2 B” - è uscito anche in Europa per la multinazionale Emi. Un lavoro che ha ottenuto un buon riscontro di critica e di pubblico, grazie all’equilibrio fra suoni rock classici e pop contemporanei, con ampi spazi per il suo flauto. Allo Stabile Sloveno di via Petronio 4, sabato, l’artista proporrà lo spettacolo “Trieste mia”, con la sua band e vari ospiti (alcuni triestini, con cui Tinkara collabora da anni), che le permetteranno di citare vari punti di riferimento musicali collegati alla città così vicina alla sua Capodistria. Ospiti - si legge in una nota di presentazione - «con i quali lei ha avuto modo di collaborare durante il suo cammino musicale: prima al liceo linguistico, poi al Conservatorio, quindi con il progetto in quattro lingue “Enigma”, presentato anche a Trieste. Ospiti speciali saranno dunque le piccole ballerine dell’associazione Igo Gruden di Nabrežina, le ballerine dalla M&N Dance Company di Nuova Gorizia, la flautista di fama internazionale Luisa Sello, la sua band del liceo ritrovata dopo vent’anni...». Nel concerto Tinkara presenterà per la prima volta dal vivo il suo nuovo singolo “Cuori di ossigeno” (in italiano, scritto assieme a Bungaro e al friulano Alberto Zeppieri), che proprio da sabato sarà disponibile su iTunes e sulle maggiori piattaforme digitali in ben 240 paesi nel mondo.

lunedì 15 dicembre 2014

GLENN MILLER ORCHESTRA mart a trieste, rossetti

Hanno cominciato il 2014 con un concerto a Trieste, lo concludono domani con un’altra performance sempre al Rossetti. Sono quelli della Glenn Miller Orchestra, considerato da molti l’ensemble jazz e swing più famoso e più seguito al mondo, ora in tour - cominciato giorni fa a Padova - in Italia. Direttore d’orchestra è Will Salden. Maestro, quando è nata la vostra orchestra? «Ho formato la mia orchestra nel 1984 e dal 1990 abbiamo la licenza della Glenn Miller Orchestra per l’Europa». Quando ha scoperto Glenn Miller? «Ho scoperto la musica swing all’età di dodici/tredici anni. A quell’età ascoltavo moltissima musica registrata da famosi direttori di band, su tutti Glenn Miller, Count Basie, Benny Goodman e Tommy Dorsey. Anche Ella Fitzgerald e Frank Sinatra sono stati molto importanti per la mia crescita e la mia formazione». Cos’aveva Glenn Miller più di tutti gli altri? «Aveva scoperto un suono davvero unico per la sua band e aveva chiesto ai suoi musicisti di suonare gli spartiti in maniera molto energica. E questo ovviamente non è affatto semplice e richieda moltissima disciplina e applicazione. Questa strategia è stata vincente e gli ha portato enorme successo in tutto il mondo». Perchè il pubblico ama tanto la “swing era”? «La musica swing è molto popolare perché questo genere di musica in qualche modo rende la gente felice, inoltre tutti la possono ascoltare e capire. Sfortunatamente al mondo ci sono davvero poche formazioni professionali in grado di portare in tour degnamente questa musica. Anche questo è uno dei motivi per i quali noi siamo veramente felici di poter viaggiare e suonare ovunque con la nostra orchestra sia con il nostro spettacolo classico che con lo spettacolo natalizio». Quali altri autori e musiche proponete nello show? «Durante questo tour, che abbiamo chiamato “Swinging Christmas”, suoneremo tutti i brani più famosi di Glenn Miller e altri brani per celebrare altri grandissimi direttori: da Tommy Dorsey a Count Basie passando per Stan Kanton. Faremo inoltre anche parecchie meravigliose canzoni natalizie, già incise e pubblicate anche nel nostro album natalizio. Per gli amanti della buona e sana musica sarà uno show memorabile...». Avete aperto il 2014 a Trieste e ora lo chiudete a Trieste: che impressione le ha fatto la città? Ha avuto modo di visitarla? «La scorsa volta non abbiamo avuto molto tempo per visitare bene la città, però ricordo di essere rimasto subito incantato dal fascino degli edifici, da alcuni palazzi che si affacciano sul mare e naturalmente da quella bellissima grande piazza centrale che avete. A prima vista mi ha dato anche l’idea di una città europea, molto più delle altre italiane nelle quali abbiamo suonato. E anche il pubblico mi sembrava più preparato. A ogni modo, questa volta arriveremo da Firenze e il giorno dopo ripartiremo con calma per l’ultima data del tour italiano, quindi avremo sicuramente il tempo per un bel giro nella città...». L’orchestra propone canzoni di Natale come “White Christmas”, “A Christmas love song”, “Santa Claus is coming to town” e “Let it snow, let it snow”, tutte arrangiate in chiave swing. Ma non possono mancare i grandi classici del genere swing: da “Moonlight serenade”, “Strike up the band”, “A string of pearls”, “Little brown jug”, “Pennsylvania 6-5000”, “In the mood”, “I got rhythm”, “Sing sing sing”... Grazie alla cantante Ellen Bliek e del piccolo gruppo vocale dei Moonlight Serenaders, un tributo sarà riservato anche a Ella Fitzgerald. Con i suoi spettacoli l’ensemble fa rivivere il mito di una delle figure più carismatiche della musica della prima metà del Novecento, Glenn Miller, fondatore nel 1938 dell’omonima orchestra e tragicamente scomparso con il suo aereo nel 1944 sul Canale della Manica, mentre andava a suonare per i soldati dell’esercito alleato sul fronte francese.

giovedì 11 dicembre 2014

GIANNI MORANDI COMPIE OGGI 70 ANNI: intervista

Gianni Morandi fa parte da oltre mezzo secolo della storia italiana, del nostro immaginario collettivo, delle nostre vite. Oggi compie settant’anni e si/ci regala un doppio cd, “Autoscatto 7.0”, che è una raccolta di venti suoi successi scelti dal pubblico più alcuni inediti. «Come sto? Mah, io bene - risponde al telefono dalla casa di San Lazzaro di Savena, vicino Bologna -, corro ogni mattina, anche se negli ultimi giorni sono stato preso da qualche paura. Mi spiego: a furia di parlare di questo compleanno ho temuto di non arrivarci. L’altro giorno sono andato al funerale di un mio amico di Monghidoro: aveva sessantadue anni, giocavamo assieme a pallone, stroncato da un infarto». Paura della signora in nero? «No, ma se deve succedere preferisco così, di colpo, com’è accaduto a Lucio Dalla, poche ore dopo un concerto a Montreaux. O l’altro giorno al povero Mango, addirittura sul palcoscenico. Morire non piace a nessuno, ma per un artista è la morte migliore. E poi Fiorello mi ha già messo in guardia: dall’eterno ragazzo all’eterno riposo è un attimo...». Cosa la sorprende di questi settant’anni? «Il pensiero di mio padre, ciabattino comunista, che quando feci il primo disco continuava a mettermi in guardia: stai attento, guarda che non dura, il successo finisce presto. Lui mi ha cresciuto con la mentalità del contadino. Avevo diciassette anni, la mia carriera - nonostante il periodo buio degli anni Settanta - dura da oltre mezzo secolo. Davvero, non lo avrei mai immaginato». Pensa mai di smettere? «Ancora no, anche se mi rendo conto che bisogna capire quando è il momento di smettere. Ma sono circondato da artisti più anziani di me che vanno ancora avanti. Non parlo di Aznavour, bravissimo a 92, ma anche Paul McCartney e Mick Jagger, che hanno un paio d’anni più di me, non mollano». Che Italia era, quella dei suoi esordi? «Semplice, povera ma certo più felice. Eravamo contenti con poco. E non è retorica. Nella musica, poi, c’era una pagina bianca tutta da scrivere. Mi considero molto fortunato per la carriera e la vita che ho avuto». Ci ricorda gli inizi? «A quattordici anni cantavo alle feste dell’Unità e nelle balere della mia zona per mille lire a sera. Poi fui selezionato dalla leggendaria maestra di canto Alda Scaglioni di Bologna, grazie alla mia interpretazione di “Nel blu dipinto di blu”, di Modugno». Ma è vero che deve molto a un allenatore di boxe? «Sì, mingherlino com’ero mi cimentavo anche nel pugilato. E il mio allenatore, Paolo Lionetti, era anche un appassionato di musica. Dopo qualche concorso per voci nuove in Emilia Romagna, mi portò a Roma, dove venni ingaggiato dalla Rca e nel ’62 debuttai con “Andavo a cento all’ora”...». Successo subito? «Quasi. Il disco vendette novantamila copie, poca roba per l’epoca, quando i 45 giri si vendevano a carrettate. Ma andai in tivù ad “Alta pressione”, la Rca ci lanciò con Rita Pavone come i “cantanti ragazzini”, e pochi mesi dopo, quando uscì “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, feci veramente il botto». Il periodo buio? «Dopo la sbornia di successo, arrivò il declino. Il pubblico voleva i gruppi rock o i cantautori impegnati, io ero considerato vecchio, anche se non avevo nemmeno trent’anni. Nel ’70 fui anche contestato durante un concerto. Mi feci da parte, andai a studiare al Conservatorio, non ero nemmeno sicuro che sarei tornato, non immaginavo che la parte più lunga della mia carriera doveva ancora cominciare. E devo dire una cosa...» Dica... «Ricordo bene che fu proprio il “Piccolo”, sarà stato l’82, ad annunciare con un’intervista il mio ritorno in scena dopo la parentesi grigia degli anni Settanta. Stavo per lanciare “Canzoni stonate”, la canzone di Mogol e Aldo Donati che segnò il mio ritorno». Parliamo del nuovo disco? «Volentieri. Ogni sera trascorro un’oretta a chiacchierare con i fan su Facebook, aggiorno personalmente il mio profilo, e il mio milione e centomila “like” dimostra che il pubblico apprezza. Così è nata l’idea di lasciare la scelta dei brani a loro, ai giudici supremi». Qual è stata la canzone più votata? «”Uno su mille”, ma anche “Vita” in duetto con Dalla è stata indicata da molti. Pensi che quella canzone era stata pensata per Mina, che non volle cantarla. Inizialmente doveva intitolarsi “Cara”, ma poi Mogol decise di cambiare perchè due uomini che duettavano chiamandosi “cara” non era il massimo...». Quest’estate ha fatto un giro in Istria. «Sì, da qualche anno d’estate non lavoro più tanto, con Anna (la seconda moglie, madre del terzo figlio Pietro, diciassettenne - ndr) giriamo molto. Tanti anni fa avevo fatto un giro sulla costra istriana e dalmata. Quest’anno abbiamo visitato Rovigno (nella foto grande - ndr), Parenzo, Pirano, altri centri dell’interno. Tutto davvero molto bello». Trieste? «Sulla via del ritorno ci siamo fermati per un paio d’ore, il tempo di mangiare in un locale molto caratteristico. L’ho trovata molto più viva, e poi lungomare e piazza Unità sono sempre bellissimi. Ogni volta che torno ricordo i tanti concerti, a San Giusto negli anni Sessanta, in tempi più recenti al Rossetti, al palasport, sotto un tendone...». Sanremo? «Quest’anno lo vedrò da spettatore. Ho bellissimi ricordi sia delle edizioni che ho condotto che di quelle a cui ho partecipato in gara. Ma al Festival credo ormai di avere già dato. E non voglio sembrare quello che ancora si spinge per essere presente». Prepara un tour? «Non immediatamante. Farò le cose con calma, non c’è nessuna fretta, penso di avere diritto a prendermi un po’ di riposo, a godermi la mia famiglia. Lo sa che ho cinque nipoti, tutti maschi? Due di mia figlia Marianna, tre di Marco, due dei quali gemelli...». Neanche progetti per la tv? «Sì, in verità lì qualcosa si muove. Con la Rai si è parlato di un film per la televisione, non musicale, però. Ma finora siamo ancora ai preliminari, chissà se alla fine lo faremo...». Il cinema è ancora il suo secondo amore? «A parte i ”musicarelli” (i film degli anni Sessanta che avevano lo stesso titolo e gli stessi interpreti delle canzoni di successo - ndr), mi sono tolto delle belle soddisfazioni. E non saprò mai come sarebbe andata se, dopo “Le castagne sono buone” di Germi, nel ’70, avessi accettato il ruolo drammatico che Bellocchio mi propose con “I pugni in tasca”. Ma i miei discografici non mi permisero di accettare. E quella parte andò a Lou Castel». È vero che alle ultime regionali non ha votato? «Sì, per la prima volta nella mia vita. Quando a Monghidoro vendevo l’Unità porta a porta c’era Togliatti. Passando per Berlinguer, Occhetto e qualche altro siamo arrivati a Renzi. Sinceramente non mi sembra il massimo. Non mi aspettavo che finissimo così, vent’anni dopo Mani pulite la corruzione non è stata sconfitta, anzi, mi sembra aumentata. Mi sconcerta vedere come è cambiato il modo di fare politica». Aldo Grasso l’ha punzecchiata sul “Corriere”. «Ha scritto che ho il cuore a sinistra, ma a Sanremo e al concertone all’Arena di Verona per Canale 5 ho lavorato con uomini di destra. Gli ho mandato un messaggio, in cui lo ringraziavo per avermi citato sulla prima pagina del Corriere. Io non litigo con nessuno...».

mercoledì 10 dicembre 2014

MARY J. BLIGE, The London Sessions

MARY J. BLIGE “THE LONDON SESSIONS” (Universal) Anni fa l’avevano definita l’erede di Aretha Franklin o perlomeno di Chaka Khan, poi si sa come vanno queste cose: arrivano nuovi protagonisti, magari tu sbagli un disco, e la gente si dimentica di te, o quasi. È più o meno il caso di Mary J. Blige, “black singer” dalle grandi doti vocali e da qualche tempo alla ricerca di un rilancio. Stufa dei suoni, degli studi di registrazione e dei musicisti a stelle e strisce, lo ho cercato qui, nella vecchia Europa, a Londra. Ne è venuto fuori questo disco, realizzato in collaborazione con artisti di primo piano del panorama musicale inglese come Sam Smith, Emeli Sandè, Disclosure, Naughty Boy, Sam Romans, Eg White e Jimmy Napes. “Therapy” è il primo singolo. «Sono davvero felice di aver potuto collaborare - dice - con la scena musica londinese per registrare questo mio nuovo album, mi sento di farne parte ora...». Risciacquare i panni nel Tamigi sembra in effetti averle ridato verve e freschezza.

PAOLO CONTE sempre SNOB ma senza i guizzi di un tempo

Quattro anni dopo “Nelson”, Paolo Conte ha sfornato un nuovo album, intitolato “Snob” (Universal). A gennaio compie settantotto anni, è in carriera dai Sessanta, prima solo come autore e subito dopo (sarà stato il ’74...) come originalissimo cantautore che miete successi anche all’estero. Chiaro che non deve più dimostrare nulla a nessuno. Quando suona a Londra il Guardian lo presenta come un mix fra Tom Waits e George Brassens, l’Observer come “maestro di un’eleganza perduta”. A Parigi è di casa all’Olympia, miete consensi a New York e Berlino, a Montreal e Amsterdam, a Madrid e Atene, insomma, ovunque. Tutti apprezzano le sue canzoni, i suoi spettacoli colti e cosmopoliti sempre in bilico fra Cotton Club e vecchia Europa, New Orleans e Langhe, Duke Ellington e Guido Gozzano, afrori esotici e lampi di passione. Arte vera, che è frutto del genio, della creatività, della fantasia di un italiano che da ragazzo sognava l’America, masticando ogni sera jazz in jam session carbonare. Tutti lo amano anche per “quella faccia un po’ così”, quella voce roca e macerata intenta a scandagliare i segreti delle nostre vite, delle nostre solitudini, del nostro mal di vivere. Il nuovo disco è ben scritto e benissimo cantato, suonato, arrangiato. Ma, va detto per onestà, non aggiunge granchè al mito autentico dell’ex avvocato astigiano. Non siamo ancora al manierismo ma poco ci manca. Intendiamoci, niente di male. Chi in qualche modo crea un genere ha tutto il diritto poi di frequentarlo per il resto dei suoi giorni e dei suoi dischi. E nessuno pretende da Paolo Conte, alla sua età e con la sua magnifica carriera, svolte stilistiche o novità. Ma si avverte il sapore del già sentito. Che poi non è nemmeno questo il problema. Si prenda “Tutti a casa”, uno degli episodi a nostro avviso più riusciti. Profuma della poetica contiana degli anni Settanta, però e forse proprio per questo brilla di una sua semplicità che ne esalta la cifra stilistica. Divertente il brano di apertura “Si sposa l’Africa”, con quel “kunta kinte” che finisce per essere più di uno scherzoso intercalare. Il resto - “Donna dal profumo di caffè” e “Tropical”, “Fandango” e “Incontro”, “L’uomo specchio” e “Maracas”, “Manuale di conversazione” e “Signorina saponetta”, la “Snob” del titolo e “Argentina”, che era stata incisa tanti anni fa da Bruno Lauzi e ricorda le scansioni della classicissima “Sudamerica”... - è il Paolo Conte che ti aspetti. Perfetto, ma senza i guizzi geniali che ce lo hanno fatto amare. Dicono che il nostro, prima di questo disco, avesse accarezzato l’idea di un ritiro “alla Guccini” per sopraggiunta e soffertissima aridità creativa. Fosse vero, si capirebbe tutto.

lunedì 8 dicembre 2014

MARCO CARTA domani a trieste e udine

Potrebbe essere in gara al prossimo Sanremo, che ha già vinto nel 2009 (l’anno precedente aveva trionfato ad “Amici”). Intanto, Marco Carta gira l’italia per presentare il nuovo disco “Merry Christmas”: domani alle 15 sarà al Mediaworld delle Torri, a Trieste; alle 18.30 è atteso sempre al Mediaworld ma di Tavagnacco, Udine. Due appuntamenti veloci, come si può evincere dagli orari fissati: il cantante incontra i fan, firma autografi in quantità industriale, si sottopone all’ormai inevitabile rito dei “selfie”, il tutto mentre l’impianto audio manda i sei classici natalizi compresi nel nuovo disco, magari assieme a qualche suo precedente successo. Difficile che canti dal vivo qualcosa, anche se non si sa mai. Carta, nato a Cagliari nell’85, sta tentando di rilanciarsi dopo il periodo così così seguito al citato doppio trionfo della stagione 2008/2009. Il recente singolo “Splendida ostinazione” ha avuto un buon successo di pubblico, certificato dal disco di platino per le vendite. Ora questo mini-album natalizio (fate attenzione: è difficile trovare un cantante che resista alla tentazione di sfornare almeno una volta in carriera una raccolta in tema natalizio...), realizzato con l’apporto di una grande orchestra di trentaquattro elementi, con arrangiamenti e atmosfere in bilico tra pop e swing. Appena uscito, il disco è balzato subito ai vertici della classifica di i-Tunes. E comprende: “Jingle bell rock” (primo singolo estratto), “Let it snow, let is snow!”, “All I want for Christmas is you”, “Oh happy day”, “Christmas (Baby please come home)”, “White Christmas-Bianco Natale”. Nella scelta, dice l’artista, «ho seguito il mio gusto personale. Sono arrivato in studio con le idee chiare. Ho cercato canzoni natalizie già sentite in versione da crooner. Ho ascoltato molte versioni dei brani che poi ho portato nell’ep. Sono rimasto incantato da “Let it snow, Let it snow!” nelle versioni di Frank Sinatra e Dean Martin, ma ho amato quella di Michael Bublé. Insomma, ho fatto una ricerca sui brani della “old school”, poi ci ho messo del mio». Il breve tour promozionale di Marco Carta che arriva domani a Trieste e Udine è partito il primo dicembre (data anche della pubblicazione del disco) da Milano e si conclude domenica 14 a Parma. Proprio domenica verrà fatto l’annuncio dei cantanti in gara a Sanremo. Sapremo allora se ci sarà anche il cantante sardo nel cast del 65.o Festival, che si terrà dal 10 al 14 febbraio. Ieri, un sito ha dato per sicuri i due primi nomi: Alex Britti e Chiara Galiazzo. Sarà vero?

domenica 7 dicembre 2014

ESTATE 2015 a TRIESTE: METALLICA o FOO FIGHTERS?

Potrebbero essere i Metallica o i Foo Fighters i protagonisti dell’estate rock triestina 2015. Ma c’è in ballo anche qualche altro nome. Che ora tentiamo di scoprire. Andiamo per ordine. Siamo a dicembre, l’estate è ancora un miraggio in fondo al tunnel dell’inverno, ma è proprio in queste settimane fredde che si fanno i giochi, si firmano i contratti per i grandi concerti dei mesi caldi. Lo scorso anno, il concerto triestino dei Pearl Jam (22 giugno scorso) fu annunciato prima di Natale. Tempi analoghi per i Green Day nel 2013 e Bruce Springsteen nel 2012. Abbiamo citato non a caso i tre megaconcerti realizzati con il determinante sostegno dell’amministrazione comunale griffata Cosolini. Non è un mistero che il “sindaco rockettaro” abbia avuto un ruolo importante, assieme al “braccio operativo” dell’Azalea Promotion, nel portare a Trieste gli artisti citati - soprattutto il Boss, ça va sans dire - e tanti altri, che in questi tre anni e mezzo hanno reso decisamente meno asfittica la scena “live” cittadina, in passato storicamente tagliata fuori dai grandi giri. La prossima estate è l’ultima prima del rinnovo dell’amministrazione comunale. Ergo, se il sindaco springsteeniano non dovesse ricandidare o comunque non essere rieletto nella primavera 2016, a scadenza dunque naturale del mandato, il prossimo potrebbe essere l’ultimo megaconcerto con il suo timbro. Per concludere in bellezza, in attesa delle decisioni dell’elettorato (oltre che del suo partito), Cosolini sognerebbe ovviamente il ritorno dell’amato Springsteen. Che nel 2015 sicuramente suonerà da qualche parte (l’altra sera, a New York, a una manifestazione per raccogliere fondi contro l’Aids a Times Square, ha cantato assieme agli U2 momentaneamente orfani di Bono infortunato...), ma per ora non si sa dove. Dunque bisogna affidarsi a quel che offre il famigerato convento. E il convento del rock dice che, per un concerto allo Stadio Rocco di Trieste, diciamo a cavallo fra fine maggio e inizio giugno 2015, un nome spendibile potrebbe essere quello degli immarcescibili metal-rockettari Metallica: a fine maggio sono in Germania, prima a Nürburg e poi a Monaco, e il 4 giugno suonano a Vienna. Un’eventuale tappa triestina si inserirebbe in quell’arco temporale, e sarebbe al momento l’unica tappa italiana del tour mondiale della band statunitense. Che nell’estate 2012 attirò quasi quarantamila fan da mezza Europa nel concerto allo Stadio Friuli di Udine. Altro nome: i Foo Fighters, che saranno in tour in Europa dal 25 maggio al 25 giugno e in questo momento hanno una finestra libera fra il 30 maggio e il 7 giugno. La band fondata vent’anni fa da Dave Grohl (all’epoca ancora nei Nirvana) è più popolare all’estero che in Italia, ma è comunque entrata da tempo fra gli artisti rock “di prima fascia”. Ma la rosa all’interno della quale scegliere il petalo giusto non è ancora ridotta al gambo. Ci sono per esempio i Muse, che saranno in tour in Europa dal 29 maggio al 18 luglio: anche loro hanno al momento una finestra libera dal 30 maggio al 5 giugno. E Trieste è già stata in ballo per il tour del 2013. O ancora i Linkin Park e gli Iron Maiden, le cui date europee non sono ancora state annunciate, e nientemeno che il re del pop Robbie Williams, che sarà in Europa anche lui da maggio a fine luglio. Al momento sembra meno probabile la possibilità di inserirsi nell’asta per portare superstar come gli Ac/Dc o i Coldplay (per entrambi date europee ancora da annunciare), per non parlare degli idoli delle ragazzine One Direction, che saranno in Europa da giugno ma escono decisamente dal target finora perseguito e frequentato. A meno che non spunti l’eterno Vasco Rossi, il cui tour parte il 7 giugno da Bari e tocca Padova il 12 luglio. Chissà, una “data zero” fra fine maggio e inizio giugno forse ci starebbe. E comunque, anche se non fosse, si potrebbe puntare sulla ripresa settembrina del tour. Quel che è (quasi) certo è che il sindaco Cosolini porta la delibera in giunta fra una settimana. Vedremo che nome viene fuori dal cilindro.

venerdì 5 dicembre 2014

PINK FLOYD a Sanremo? Si tratta

I Pink Floyd a Sanremo. Potrebbe essere questo il botto dell’edizione 2015, che si terrà dal 10 al 14 febbraio, affidata alle cure di Carlo Conti. Il conduttore più abbronzato e nazionalpopolare che ci sia l’ha buttata lì, quasi con nonchalance, a margine della presentazione delle due vincitrici di Area Sanremo (per la cronaca: Erika Mineo, in arte Amara, e Chantal Saroldi, in arte Chanty), che saranno sul palco dell’Ariston tra le Nuove Proposte. «Voglio un Sanremo pop - ha detto - dove sarebbe bello poter respirare tanti sapori ed emozioni diverse». Aggiungendo che il festival quest’anno avrà un cast importante di ospiti stranieri (si torna dunque al passato, dopo alcune edizioni nelle quali si è stretta un po’ la cinghia...), e che fra questi potrebbero esserci proprio i leggendari Pink Floyd, o quel che resta di loro, appena usciti con l’album “The endless river”. Il disco - quindicesimo e quasi sicuramente ultimo in studio della band, uscito un mese fa a vent’anni dal precedente “The division bell”, realizzato con materiali che non erano entrati in quell’album, pensato in memoria del tastierista Richard Wright scomparso sei anni fa - ha conquistato le classifiche con l’effetto nostalgia ma ha diviso fan e critica. Un rilancio sanremese, almeno per il mercato italiano, ci starebbe tutto. Dice Conti: «C’è una trattativa in corso, ma non è semplice». L’attesa, intanto, è al solito concentrata sui cantanti in gara. Conti dice che non sarà un’impresa facile scegliere i “big”: «I brani presentati sono circa 250 e noi dobbiamo sceglierne soltanto sedici», ha detto il presentatore, che svelerà i nomi selezionati domenica 14 in tivù, all’Arena di Giletti su Raiuno. Proprio per le difficoltà che stanno emergendo, si parla della possibilità di alzare i cantanti in gara a diciotto. Quel che è invece già certo è che, accanto ad artisti italiani di fama internazionale che si esibiranno in lingua straniera, ci potranno essere interpreti internazionali che canteranno in italiano. I nomi che girano si possono dividere in due gruppi. Serbatoio “Amici” di Maria De Filippi: Dear Jack, Marco Carta, Alessandra Amoroso, Debora Iurato (vincitrice del “talent” dell’anno scorso), Valerio Scanu. Ennesimi ritorni: Enrico Ruggeri, Marco Masini, Loredana Bertè, Dolcenera, Anna Tatangelo, Nek, Irene Grandi. Con l’aggiunta rap napoletana di Rocco Hunt e Clementino. Ad affiancare Conti potrebbero arrivare, nell’inedito ruolo di vallette, le due vincitrici del Festival Emma e Arisa. Oppure Asia Argento e Vanessa Incontrada. Possibile superospite italiano: Gianna Nannini. Superjolly sempre sognato: Fiorello. E un po’ di attori hollywoodiani (Costner, Gere, Clooney...) di contorno. .

GUCCINI domenica a CormonsLibri, Gorizia: intervista

«Mi mancano i musicisti, quell’allegra brigata con cui giravamo nelle tournèe. Vedo ogni tanto Flaco (il chitarrista Juan Carlos “Flaco” Biondini - ndr), gli altri molto meno. Ma a parte questo, sto benissimo. Sono passati due anni, sono contento della scelta fatta...». Francesco Guccini ha appeso metaforicamente la chitarra al chiodo esattamente due anni fa, in concomitanza con l’uscita dell’album “L’ultima Thule”. Non farò più dischi né concerti, disse quella volta, confidando che si sarebbe dedicato interamente all’attività - fino a quel momento secondaria - di scrittore. E solo quanti lo conoscevano poco potevano credere in quell’occasione che il nostro - classe 1940, in carriera dagli anni Sessanta - potesse pentirsi e ripensarci. «Ero stanco - dice al telefono dalla sua Pavana, appennino toscoemiliano, provincia di Pistoia -, fare concerti cominciava a essere faticoso: stare due o tre ore in piedi...». Agli inizi cantava seduto. «Certo, poi ho conquistato la posizione eretta. E non mi sembrava il caso di sedermi di nuovo, poteva rappresentare plasticamente l’inizio del declino. Meglio chiudere quando sei ancora in piedi, prima che ti caccino a pedate. E ho conquistato anche una libertà: quella di prendermi un raffreddore senza pensare al fatto che devo fare un concerto». Domenica a Cormons? «Presento il nuovo libro che ho scritto con Loriano Macchiavelli, “La pioggia fa sul serio”. Il titolo giusto per queste giornate uggiose, adatto al clima, qui a Pavana piove da giorni. Ma il freddo non è ancora arrivato». Basta col maresciallo Santovito? «Santovito lo abbiamo mandato in pensione. La nuova storia è il secondo capitolo delle avventure dell’ispettore forestale Marco Gherardini, che nel paese degli Appennini dove è ambientata la vicenda tutti chiamano Poiana». La vita di città le manca? «Assolutamente no. Ormai vivo qui da tanti anni, le poche volte che vado a Bologna scappo via prima possibile. Ho scoperto di non sopportare più il traffico, il caos, forse anche la gente. E poi qui in paese sto bene, vita tranquilla, molti mi vengono a trovare». L’anno scorso ha fatto una piccola vacanza nella “sua” vecchia Trieste. «Sì, grazie a Paolo Rumiz e altri amici ho fatto un bel giro. Ho scoperto luoghi che non conoscevo, sia in città che sul Carso. Ho scoperto anche il mondo delle “osmize”, una bella tradizione che non «Mi mancano i musicisti, quell’allegra brigata con cui giravamo nelle tournèe. Vedo ogni tanto Flaco (il chitarrista Juan Carlos “Flaco” Biondini - ndr), gli altri molto meno. Ma a parte questo, sto benissimo. Sono passati due anni, sono contento della scelta fatta...». Francesco Guccini ha appeso metaforicamente la chitarra al chiodo esattamente due anni fa, in concomitanza con l’uscita dell’album “L’ultima Thule”. Non farò più dischi né concerti, disse quella volta, confidando che si sarebbe dedicato interamente all’attività - fino a quel momento secondaria - di scrittore. E solo quanti lo conoscevano poco potevano credere in quell’occasione che il nostro - classe 1940, in carriera dagli anni Sessanta - potesse pentirsi e ripensarci. «Ero stanco - dice al telefono dalla sua Pavana, appennino toscoemiliano, provincia di Pistoia -, fare concerti cominciava a essere faticoso: stare due o tre ore in piedi...». Agli inizi cantava seduto. «Certo, poi ho conquistato la posizione eretta. E non mi sembrava il caso di sedermi di nuovo, poteva rappresentare plasticamente l’inizio del declino. Meglio chiudere quando sei ancora in piedi, prima che ti caccino a pedate. E ho conquistato anche una libertà: quella di prendermi un raffreddore senza pensare al fatto che devo fare un concerto». Domenica a Cormons? «Presento il nuovo libro che ho scritto con Loriano Macchiavelli, “La pioggia fa sul serio”. Il titolo giusto per queste giornate uggiose, adatto al clima, qui a Pavana piove da giorni. Ma il freddo non è ancora arrivato». Basta col maresciallo Santovito? «Santovito lo abbiamo mandato in pensione. La nuova storia è il secondo capitolo delle avventure dell’ispettore forestale Marco Gherardini, che nel paese degli Appennini dove è ambientata la vicenda tutti chiamano Poiana». La vita di città le manca? «Assolutamente no. Ormai vivo qui da tanti anni, le poche volte che vado a Bologna scappo via prima possibile. Ho scoperto di non sopportare più il traffico, il caos, forse anche la gente. E poi qui in paese sto bene, vita tranquilla, molti mi vengono a trovare». L’anno scorso ha fatto una piccola vacanza nella “sua” vecchia Trieste. «Sì, grazie a Paolo Rumiz e altri amici ho fatto un bel giro. Ho scoperto luoghi che non conoscevo, sia in città che sul Carso. Ho scoperto anche il mondo delle “osmize”, una bella tradizione che non ricordavo ai tempi della mia naja a Banne». È passato mezzo secolo, ci pensa? «Già, rimasi sul Carso dal gennaio all’ottobre del ’63. Ricordi indelebili. E poi quell’eskimo della canzone, comprato su una bancarella in piazza Ponterosso, prima di ritornare a casa. Bei tempi, difficile dimenticarli». Era una Trieste molto diversa? «Certamente sì, anche se io non conosco bene la città, i suoi problemi. Quando sono tornato, in tutti questi anni, è stato sempre o per lo spazio di un concerto, o comunque per pochi giorni, insufficienti a vivere la città. Quel che posso dire è che Trieste mi è sempre piaciuta e continua a piacermi molto. Mi piacciono le sue strade, le piazze, il mare. Mi piace il vostro modo di vivere, diciamo così, mitteleuropeo. Si avvertono la dimensione europea, il crogiuolo di razze e di culture. Ed è sempre bello vedere la gente che ama divertirsi, frequentare i caffè, le osterie». Come le vecchie balere della sua Emilia Romagna? «In un certo senso. Anche da noi ora quel mondo si è trasformato, ma ho ricordi piacevoli delle balere, delle feste paesane e di quelle dell’Unità. Quando insegnavo agli americani, al Dickinson College di Bologna, dicevo loro: andate alle feste dell’Unità, così capirete come sono veramente i comunisti italiani di cui avete tanta paura...». La sua regione produce cantanti e musicisti in quantità industriale. «Penso sia dovuto alla nostra tradizione contadina, alla gente nei campi, alle mondine che cantavano nelle ore di lavoro. E finito di lavorare c’erano le feste paesane, le sagre. Che dire: siamo individui canori, musicali, che hanno voglia di cantare e suonare. E i cantanti di oggi sono figli e nipoti di quelle tradizioni». Al cinema la chiamano ancora? «Qualche volta. La gente ricorda le mie parti con Pieraccioni o nel “Radiofreccia” di Ligabue, ma la mia frequentazione col cinema ha radici antiche. La prima volta da attore fu nel ’76, in “Bologna. Fantasia, ma non troppo, per violino”, di Gianfranco Mingozzi. Ma ricordo “I giorni cantati” di Paolo Pietrangeli, che inserì nella colonna sonora le mie “Eskimo” e “Canzone di notte n.2”, e poi “Musica per vecchi animali” di Stefano Benni, “Ormai è fatta” di Enzo Monteleone. E le colonne sonore, fra cui “Nené” di Salvatore Samperi». Si divertiva? «Ho ricordi piacevoli, ma “cum grano salis”. Mi spiego: mi piace il cinema, soprattutto da spettatore, ma farlo è molto noioso: tempi morti, ore di attesa, cambi, ripetizioni, non fa per me». Meglio il fumetto? «Certo, molto più vicino alle mie corde. Più compatibile con i miei ritmi di lavoro, in fondo è artigianato anche quello, come la canzone. Ho scritto alcune sceneggiature, le storie di un brigante toscano, alcune cose con l’amico Bonvi». Sono passati quarant’anni da “Stanze di vita quotidiana”: è vero che la vicenda con Bertoncelli e “L’avvelenata” partì da quel disco? «Sì, Riccardo Bertoncelli scrisse che ero “un artista finito, che non aveva più niente da dire”. Non faceva una critica, ovviamente più che legittima, sul disco, sulle canzoni: non si trattava insomma di un “mi piace, non mi piace”. Diceva che ero stato costretto a fare quell’album da una non meglio identificata “logica di mercato”. Allora scrissi quei versi, non volevo nemmeno pubblicare il brano, invece mi convinsero e andò come andò». Poi vi siete chiariti? «Sì, quasi subito. Venne a trovarmi a Bologna, ci parlammo a lungo. In tutti questi anni siamo rimasti in ottimi rapporti, magari non amiconi, ma ottimi rapporti. Tanto che per il suo recente libro dedicato al 1967 mi ha fatto una lunga intervista che conclude il volume». Quando hanno rieletto Napolitano lei ha preso un voto in due scrutinii consecutivi. «In realtà in uno scrutinio ne ho presi due, uno è sfuggito ai conti ufficiali, ed è stata una iattura: mi hanno spiegato che se prendi almeno due voti entri nell’annuario ufficiale del Quirinale...». Scherzi a parte? «Scherzi a parte mi sono fatto una bella risata. E non ho mai scoperto chi è stato il buontempone. Forse era un mio fan. Del resto anche Renzi ha detto che veniva ai miei concerti». Dopo Napolitano meglio un politico o un uomo di cultura? «Io mi ero già espresso a favore di Prodi, ma sembra che non sia più disponibile. Andrebbe bene anche un uomo di cultura, anche se ormai si tratta di un ruolo dai compiti sempre più politici». Alle regionali ha votato Sel. «Ho votato una persona che stimo, non ho cambiato bandiera. Dunque riprenderò a fare come suggeriva Montanelli ai tempi della Dc: mi turo il naso e voto Pd». Che dunque non la entusiasma. Meglio renziani e vincenti ma lontani dalle tradizioni della sinistra o duri, puri e perdenti? «La seconda ipotesi non mi sembra granchè piacevole».

giovedì 4 dicembre 2014

PATTI SMITH domani VEN a Udine

Alle 11 incontra gli studenti del liceo Percoto, a Udine, nell’ambito di “Music for you(th)”. Poi un pranzo leggero, forse un riposo in albergo, e alle 21 appuntamento al “Nuovo” per il concerto. Biglietti già tutti esauriti in prevendita. Sarà questa, domani, la giornata udinese di Patti Smith: sacerdotessa, poetessa, leggenda del rock, icona della musica e della cultura popolare dagli anni Settanta a oggi. Nel suo attuale tour “The (Patti) Smith’s”, l’artista newyorkese propone dei concerti acustici, accompagnata dai figli Jesse Paris e Jackson (ecco spiegato il nome del tour) e dal chitarrista Tony Shanahan. Nei giorni scorsi era a Bergamo e Parma, ieri a Rimini, dopo Udine sarà a Vicenza (sabato), Napoli e Catanzaro. La figlia Jesse, 27 anni, è un’attivista ambientalista come la madre, il figlio Jackson è musicista. «Canteremo - ha detto Patti - quel che il pubblico vorrà: i miei figli conoscono tutto il mio repertorio...». Quel che è certo è che madre e figli canteranno ancora una volta classici come “People have the power”, “Gloria” (cover del brano dei Them di Van Morrison), “Dancing barefoot”, “Because the night” (scritta con Springsteen): un modo per rendere omaggio a Fred Smith, marito di lei e padre dei ragazzi, morto vent’anni fa. Nelle interviste, Patti ammette spesso che la sua vera passione è la scrittura. Dopo “Just kids”, dedicato agli anni giovanili con Robert Mapplethorpe, che le ha fatto guadagnare il National Book Awards, sta preparando un nuovo libro in cui parla della sua vita, «di ciò che vedo e sento, vorrei portare i lettori in viaggio con me attraverso la mia mente...». Uscirà nel 2015. Questo ennesimo tour italiano le sta dando la possibilità di visitare luoghi che la interessano. L’altro giorno, per esempio, è stata alla casa natale di Papa Giovanni XXIII, a Sotto il Monte, in provincia di Bergamo. «È il Papa - ha detto - della mia gioventù. I miei erano testimoni di Geova, ma ammiravano il Papa del presidente Kennedy, colui che l’aveva aiutato a risolvere la crisi dei missili a Cuba. Ho visto i suo vestiti, la croce che portava, il “certificato di povertà” assegnato alla sua famiglia. È stato emozionante». Nella casa pare abbia canticchiato un brano. «Sono le parole di “Coventry Carol”, continuano a ronzarmi nella testa - ha raccontato -: un canto natalizio, racconta di Maria che vorrebbe proteggere Gesù dai mali del mondo, ma è anche il lamento delle madri i cui bambini sono stati uccisi dai poteri forti». A ottobre, Patti Smith ha celebrato con John Cale (Velvet Underground), solo per una notte, a Parigi, i quarant’anni dell’album “Horses”. Ad aprile l’artista - cattolica, che l’anno scorso ha partecipato al Concerto di Natale in Vaticano - ha parlato brevemente con Papa Francesco in piazza San Pietro: «Ho grande stima di lui, per la sua bellissima semplicità e il carisma naturale, per l’intelligenza che dimostra e per le umili origini che condivide con Giovanni...».

MUSICA JAZZ CELEBRA LUTTAZZI CON LELIOSWING

Esce domani l’album “Lelio Swing”, allegato alla rivista Musica Jazz e realizzato dal produttore friulano Alberto Zeppieri. Si tratta di un nuovo, importante omaggio al grande musicista e conduttore triestino scomparso nel luglio 2010. Il disco porta lo stesso titolo della bella mostra partita da Roma e vista anche a Trieste, realizzata grazie alla fondazione che è nata nell’ottobre 2010 su iniziativa della moglie Rossana Moretti Luttazzi. Dentro, alcune splendide riletture di suoi brani da parte di Mina (la registrazione più antica, datata 1965) e Lucio Dalla, dei pianisti Stefano Bollani e Franco D’Andrea, Rita Marcotulli e Remo Anzovino, passando per Simona Molinari, Fabio Concato, Lorenzo Hengeller, Danilo Rea, Enrico Intra, l’indimenticato Renato Sellani. Alcuni di loro (si pensi innanzitutto alla grande Mina, con lui negli indimenticabili sabati sera della televisione ancora in bianco e nero...) hanno lavorato e collaborato con Luttazzi, altri lo hanno solo amato e probabilmente considerato un grande esempio, un modello da seguire delle loro carriere. Quel che ne vien fuori sono momenti di autentica emozione che celebrano l’arte, lo stile, l’eleganza, l’ironia, indefinitiva lo swing del grande Lelio. Complessivamente venti brani, tutti in versioni nuove, alcuni dei quali realizzati appositamente per questo progetto. L’album è simbolicamente aperto e chiuso proprio dal pianoforte dell’artista triestino. La cavalcata comincia infatti con una versione dal vivo di una fantasia di Gershwin, registrata a Trieste nell’estate 1992 dal trio di Luttazzi, con i fidatissimi Massimo Moriconi al contrabbasso e Sergio Conti alla batteria, e si conclude con un tributo a Cole Porter, dopo aver riproposto anche Jerome Kern. Fra i brani, da segnalare la doppia versione di “Buonanotte Rossana”, dedicata alla moglie: una affidata al tocco del pianista e compositore pordenonese Remo Anzovino (invitato proprio da Rossana a tenere un “concerto per Lelio” lo scorso anno a Roma al Palazzo delle Esposizioni) e una cantata da Simona Molinari (che ha portato a Sanremo 2013, in duetto con Peter Cincotti, l’inedito luttazziano “Dr. Jekyll Mr, Hyde”) inserita fra i tre “bonus” dell’album. Altri brani degni di nota: “Il giovanotto matto” rivisitato da Stefano Bollani, “Eccezionalmente sì” nella versione della cantante friulana Barbara Errico (che ha appena realizzato l’album “Sentimentale - Dedicato a Lelio Luttazzi”) e l’inedito “Innamoriamoci”, di Fausto Cigliano e Iskra Menarini, storica corista di Lucio Dalla, che nella raccolta interpreta invece la classicissima “Vecchia America”. Una curiosità. Nell’album, che abbraccia cinque decadi, dagli anni Sessanta a oggi, il brano più “recente” è l’inedita “Canzone senza pretese”, incisa appositamente da Musica Nuda (ovvero Petra Magoni e Ferruccio Spinetti) il 22 ottobre. Intanto, la mostra “Lelio Swing”, dopo Roma e Trieste, approda sabato nelle sale del leggendario (e felliniano) Grand Hotel di Rimini. Come i tanti triestini che l’hanno visitata al Magazzino delle idee, la mostra ricorda Luttazzi nelle sue varie espressioni: musicista, compositore, presentatore di trasmissioni Rai di successo (come “Studio Uno” con Mina), direttore d'orchestra, jazzista amante dello swing. In esposizione vinili, spartiti originali, memorabilia, vintage, elementi scenografici, installazioni artistiche. Il 27 dicembre, a Rimini, evento di beneficenza per raccogliere fondi per la Fondazione Luttazzi (info www.fondazionelelioluttazzi.it).

martedì 2 dicembre 2014

SON LUX e WHITE HINTERLAND stasera a Trieste, teatro Miela

Oggi alle 21.30, al Teatro Miela, per la rassegna “Mielanext_reloaded”, è in programma un doppio concerto con Son Lux e White Hinterland. Il primo - secondo le note degli organizzatori - «propone un sofisticato “post-rock” e “alternative pop” molto originale, partendo dalla composizione elettronica e imbastendo arrangamenti che si fanno via via sempre più complessi. Vuoti e pieni si alternano mentre la particolare tensione melodrammatica sale come in una colonna sonora di un film, dove da un momento all’altro temi di trovarti a faccia a faccia con qualcosa di tremendo o perlomeno di inaspettato». Con lui, in scena, Rafiq Bhatia alla chitarra elettrica e Ian Chang alla batteria. Proporranno brani dal nuovo album “Lanterns”. Apre la serata White Hinterland, che in realtà si chiama Casey Dienel ed è una cantautrice e pianista statunitense, che ha un repertorio di personalissime ballate. Il suo nuovo album s’intitola “Baby”, fra i suoi brani “Sickle no sword” e “Metronome”. Ma “Mielanext_reloaded” prevede anche una seconda serata. Mercoledì 17 dicembre, sempre al Teatro Miela, attesa per un’altra accoppiata di giovanissimi, stavolta all’insegna della new wave elettronica: gli islandesi Samaris e il duo svedese Kristal & Jonny Boy.

FRANCESCO MESSINA: IL MIO VIAGGIO CON BATTIATO

L’idea iniziale di Francesco Messina era quella di farne un libro “per soli grafici”. Poi, durante una delle loro tradizionali vacanze in Sicilia, Franco Battiato lesse quella che nelle intenzioni dell’autore doveva essere la versione definitiva, ne fu entusiasta e disse che però doveva scrivere “molto ma molto di più”. Messina: «Disse che c’erano tante cose, aneddoti, eventi vari e viaggi che avrei potuto tranquillamente raccontare. Disse che si sarebbe trattato di un bel libro. La cosa, detta da lui che è la persona meno felice di veder pubblicati i fatti suoi che io conosca, mi mise in crisi. Ero felice per il suo giudizio positivo, ma anche infinitamente impreparato: credevo d’aver finito...». Così è nato il libro “Ogni tanto passava una nave - Viaggi e soste con Franco Battiato” (Bompiani, pagg. 256, euro 29,50). Scrive Battiato nella prefazione: «Ho conosciuto Francesco Messina nel 1975. Mi venne a trovare a Milano da Udine, per parlare di musica. Si presentò come grafico e ne approfittai immediatamente, per farmi dare dei consigli sulla copertina di un mio disco che stava per uscire (che finì lui). Diventammo amici...». La versione, appena discordante sulla data, di Messina: «Ho incontrato Franco nel 1974. Era appena uscito “Clic”, suo quarto disco, che da subito, dopo l’ascolto di una facciata, era diventato improvvisamente il mio album italiano preferito di allora. Quel vinile l’avevo quasi consumato quando mi decisi a fare un passo indietro ascoltando il precedente “Sulle corde di Aries”...». Musicista, grafico, produttore, compagno di vita e di lavoro di Alice (vivono assieme in Friuli da una dozzina d’anni), Francesco Messina - nato nel 1952 a Udine - è stato art director della Biennale di Venezia dal ’77 all’82, con il suo Polystudio ha progettato per editori, musei, teatri, giornali, case discografiche, varie istituzioni culturali. Ma la sua passione è la musica. Ha pubblicato album solisti con la Cramps e la Polygram, con Battiato la fondato la casa editrice L’Ottava, per Alice ha prodotto una decina di album, fra cui il recente “Weekend”, ha collaborato con Eugenio Finardi e Giuni Russo. Una nuova conferma arriva da questo libro. Le note avvertono che non si tratta dell’ennesima biografia di Franco Battiato, ma «non è un libro di musica, tantomeno d’arte. Più che altro è una storia fatta di progetti in salita, di viaggi non sempre prevedibili e altre amenità varie, intraprese da due amici che hanno scelto anche di lavorare insieme su questioni molto pop e altre che non lo sono affatto». Ancora dalle note: «È la cronaca, raccontata e disegnata, di quasi una quarantina d’anni di ricerche, tentativi ed esperienze negli ambiti più vari: quelli della musica, della grafica, del teatro, del cinema e di quant’altro fosse al tempo necessario affrontare per trovarsi sempre più spesso coinvolti in un bel viaggio. Quello che conduce alla più personale delle ricerche, quella di se stessi». Insomma, un racconto a due voci tra studi di registrazione, tavoli da disegno ma anche avventure “on the road”: dall’arresto all’aeroporto di Tel Aviv alla perdita della strada nel bel mezzo del Chott el-Djerid, il grande lago salato della Tunisia, girando un video. Un viaggio arricchito da fotografie, poster e copertine perlopiù inedite. Scrive ancora Battiato: «Tornando a Francesco, devo dire che quest’uomo di altri tempi, consapevole, acuto, che sta sempre un passo indietro, un po’ inibito dal suo naturale pudore, ha manifestato lo stesso il suo notevole talento, nella grafica e nella musica. Grazie a Elisabetta Sgarbi (direttore editoriale Bompiani - ndr), finalmente, arriva questo libro, che mostra la sua eccellenza segreta, che ho sempre notato: “la Scrittura”». Rilancia Messina: «Battiato è un metafisico con fortissima inclinazione al misticismo. Finito. Una possibile essenziale versione del testo di questo libro potrebbe esaurirsi in tutto ciò. Risulterebbe veritiera, sintetica ed economica. Al limite si potrebbe aggiungere una frase di Gustav Klimt: “Se volete sapere di più di me, guardate la mia arte...”».

domenica 30 novembre 2014

HEAT, dalla svezia con furore rock, oggi DOM a trieste, teatro miela

Dalla Svezia con furore rock. Arrivano domani alle 21, al Teatro Miela, gli Heat. Giovanissimi, provengono da Upplands Väsby, la stessa città che ha dato i natali agli Europe dei quali da tempo, perlomeno in Scandinavia, sono considerati gli eredi naturali. Suonano infatti un “rock melodico” che si inserisce nella tradizione musicale delle loro terre e in effetti richiama da vicino l’epopea del gruppo che negli anni Ottanta spopolò in tutto il continente soprattutto con l’album - e il brano - “The final countdown”. Nati nel 2007 dall’unione di due diverse band, i Dream e i Trading Fate, gli Heat hanno all’attivo quattro album, usciti con cadenza biennale: l’omonimo “Heat” (pubblicato nel 2008), “Freedom rock” (2010), “Address the nation” (il primo dopo il passaggio alla multinazionale Sony, nel 2012, che comprendeva il singolo “Living on the run”) e il recente “Tearing down the walls”, consegnato alla passione dei fan nella primavera di quest’anno e seguito dal tour europeo ancora in corso e che arriva ora a Trieste. Nel 2008 la band ha partecipato allo Sweden Rock Festival, che per loro ha rappresentato una sorta di trampolino di lancio, e hanno aperto i concerti in Svezia di Alice Cooper e di Thin Lizzy. Nel 2009 ha fatto da supporter al tour degli Edguy di Tobias Sammet, con André Matos e la sua band. Gli Heat sono il cantante Erik Grönwall, il chitarrista Eric Rivers, il tastierista Jona Tee, il bassista Jimmy Jay e il batterista (dal nome che è tutto un programma...) Crash. L’ultimo arrivato nel gruppo è proprio il giovanissimo cantante Grönwall, volto ben noto in Svezia grazie alla sua vittoria di Swedish Idol, un “talent show” per musicisti che è un po’ la versione scandinava del nostro “X Factor”: il suo ingresso è coinciso con un salto di qualità del gruppo ma anche e soprattutto del gradimento da parte del pubblico, che apprezza le sue incendiarie esibizioni dal vivo. Nel 2009 i ragazzi sono stati nominati come miglior band hardrock agli Swedish Metal Awards e sono stati finalisti al Melodifestivalen, il concorso che decreta il rappresentante svedese per l’Eurovision Song Contest. Ma hanno partecipato anche ad altri importanti festival europei, da Bang Your Head a Vasby. Ed è stato proprio il 2009 l’anno della loro consacrazione, grazie alla “sponsorizzazione” del famoso attore svedese-americano Peter Stormare, che si innamora di loro e della loro musica, facendoli esibire in parecchie trasmissioni televisive svedesi. Quest’estate, a luglio, hanno aperto con successo il concerto degli Scorpions a Piazzola sul Brenta, vicino Padova. Domani aprono la serata al “Miela” gli Sherlock Brothers.

giovedì 27 novembre 2014

JAMES MADDOCK e soci al LIGHT OF DAY a muggia, trieste, il 6-12

È la quinta volta che il “Light of day”, di cui parliamo anche qui sopra, arriva a Muggia. Sabato 6 dicembre, al Teatro Verdi, l’associazione Trieste is rock organizza infatti la tappa locale dell’evento itinerante benefico. Sul palco una carovana “a stelle e strisce” guidata da Joe D’Urso, con il quale saranno sul palco anche Guy Davis, James Maddock e Anthony D’Amato, per un set acustico che promette faville. D’Urso, italoamericano del New Jersey, torna a Muggia con la sua musica ricca di riferimenti ai Wallflowers e ai Counting. Il bluesman newyorkese Davis ha come biglietto da visita una versatile carriera come musicista e compositore, ma anche attore, regista e scrittore. D’Amato è una giovane promessa della scena East Coast, sa mischiare ballate folk e riff rock’n’roll. Maddock ha fatto quattro album in quattordici anni di carriera. «Sto lavorando - ha detto agli organizzatori di Trieste is rock - a un nuovo album che uscirà negli States a inizio 2015, s’intitola “The green”. Il precedente “Another life”, pubblicato l’anno scorso, era un disco acustico e morbido. Questo è molto più rockeggiante, pieno e tirato. Sono curioso di vedere come sarà accolto dal pubblico, a partire proprio da quello italiano». Ancora il musicista americano: «Per me è un onore far parte del Light of day e girare l’Europa con gli altri musicisti per raccogliere fondi da destinare alla beneficenza. Ho tanta gente che mi segue a Ashbury Park e che viene a vedermi: questo è dovuto in buona parte all’aiuto di chi lavora con il Light of day...». Con loro, a Muggia, ci saranno anche Rob Dye (altro musicista del New Jersey che mescola rock, country, gospel e rhythm’n’blues), Caris Arkin (poliedrico cantante e percussionista) e i triestini Ressel Brothers, ovvero il trio blues con Sandro Bencich, Joe Thoman e Frank Get di cui parliamo qui sopra, che a gennaio sarà alla settimana conclusiva della manifestazione nel New Jersey. L’intero incasso della serata muggesana sarà devoluto in beneficenza, parte alla “Light of day Foundation” statunitense e parte alla Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze. Tornando alla settimana conclusiva dell’evento nel New Jersey, quest’anno ci sarà un altro triestino: Daniele Benvenuti, autore del libro “All the way home - Bruce Springsteen in the italian land”, pubblicato nel 2012, e fra i massimi springsteenologi di casa nostra. «Mi avevano invitato già negli anni scorsi - dice il giornalista e scrittore, che al Light of day ha dedicato un capitolo del libro citato -, quest’anno riesco finalmente a partecipare. E mi fa piacere esserci assieme al triestino Frank Get...».

FRANK GET a gennaio al LIGHT OF DAY in NEW JERSEY

Il rocker triestino Frank Get suonerà il 16 gennaio alla settimana conclusiva del Light of day, nel Nerw Jersey, ad Ashbury Park. Il concerto benefico itinerante voluto e sponsorizzato da Bruce Springsteen per raccogliere fondi per combattere il Parkinson è ormai un evento mondiale, che tocca tante città in tanti paesi (anche il 6 dicembre a Muggia, come potete leggere qui sotto). Ma quello “a casa del Boss”, dove tutto è nato, peraltro in un luogo leggendario per tutti gli springsteeniani, è ovviamente al centro dell’attenzione di tutti. «Nel 2012 - spiega Franco Ghietti, in arte Frank Get, nome scelto “perchè il mio cognome è impronunciabile all’estero...” - ho partecipato a un “Light of day” suonando assieme a Willie Nile, Joe D’Urso, James Maddock, Graziano Romani, Jesse Malin, Israel Nash Gripka. Sono rimasto in contatto con Joe D’Urso, organizzatore dell’evento, e quest’anno ho suonato con lui a un “private party”. Dopo un paio di mesi mi è arrivata la proposta per fare un set acustico durante la settimana conclusiva, allo Stone Pony ad Ashbury Park». Ghietti ha suonato fino al 2007 con il gruppo triestino Sottofalsonome. «Continuando a suonare e a scrivere - dice - mi sono riavvicinato molto di più all’altro filone che ho sempre ascoltato fin da giovane, dagli Allman Brothers ai Grateful Dead. Ma in fondo rimango anche uno springsteeniano della prima ora, dal lontano 1975, grazie anche ai miei cugini del New Jersey che mi fecero conoscere, oltre a Bruce, Bob Seger, John Mellencamp, Journey, Tom Petty e altri altri artisti statunitensi». A maggior ragione, dunque, la chiamata nella terra del Boss giunge quanto mai gradita. «Come repertorio - prosegue Frank Get, che da qualche anno collabora con la blues band austriaca Nostressbrothers, con cui ha suonato in mezza Europa - attingerò alla mia nuova produzione con i Ressel Brothers, con i quali saremo anche al Light of day muggesano, il 6 dicembre, ma anche ai miei dischi precedenti, da solista e con i Tex Mex. Di certo proporrò la mia versione di “No surrender”, il mio omaggio al Boss...», «Di ritorno dal New Jersey - conclude il rocker triestino - il 31 gennaio presenteremo al Naima (ex Macaki di viale XX Settembre - ndr) con i Ressel Brothers il nostro nuovo album, “To milk a duck!, anticipato in questi giorni dal singolo “Never give up”, che è già in rete...». Come si diceva, il Light of day è un festival itinerante che si svolge fra America del Nord ed Europa. È stato fondato nel 2000 dall’omonima fondazione, al fine di raccogliere fondi a favore della ricerca e per aiutare i malati di Parkinson. Il nome proviene dall’omonimo brano di Bruce Springsteen che ha dato il titolo al film del 1987 con protagonista Michael J. Fox. Pare che le origini dell’iniziativa risalgano invece alla festa svoltasi nel ’98 al Downtown Café di Red Bank per il quarantesimo compleanno del manager discografico Bob Benjamin ammalato da circa due anni, in cui vennero raccolsero fondi in suo favore. Il primo concerto avvenne nel 2000 nel club Stone Pony (lo stesso dove suonerà Frank Get) di Asbury Park, nel New Jersey, su iniziativa dei fratelli Benjamin e Tony Pallagrosi. Nel 2003, lo stesso Michael J. Fox, a cui era stata diagnosticata la malattia, ha partecipato al festival salendo sul palco con Joe Grushecky, Springsteen e Bob Benjamin.

mercoledì 26 novembre 2014

TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI all'alba a monrupino, trieste, 18-12

«Manca giusto un mese al nostro Sunrise Winter Concert sulla rocca di Monrupino, Trieste. Giovedì 18 dicembre dalle 7.30 alle 8 del mattino. Non ne sapevate niente?» I Tre Allegri Ragazzi Morti (per tutti: Tarm) l’annuncio l’hanno dato così, comne si usa adesso, sui “social”. E la lunga sfilza di commenti seguiti, in bilico fra sorpresa, entusiasmo e curiosità, è la prova migliore del seguito che la band pordenonese la fra gli appassionati. «Suoneremo in acustico - ha poi spiegato Davide Toffolo, leader e cantante del gruppo, ma anche disegnatore di successo -, senza nessuna amplificazione. Sarà il miglior risveglio possibile in un luogo incredibile qual è la Rocca di Monrupino». Ancora Toffolo: «È la prima volta che facciamo un’esperienza di questo tipo, credo sarà interessante portare la musica in una dimensione così diversa da quelle abituali, sia per il luogo che per l’orario». A dicembre i Tarm saranno anche protagonisti di un breve tour con i Sick Tamburo, altro gruppo pordenonese, rivelazione discografica dell’anno con “Senza vergogna”. Sette date (apertura l’11 a Torino, chiusura il 23 nella loro Pordenone, al Naonian Concert Hall) per portare in giro i suoni della città che ha dato i natali al punk italiano e, trent’anni dopo, ha visto nascere l’etichetta-collettivo musicale La Tempesta. I “Ragazzi morti” hanno festeggiato quest’anno i vent’anni di attività con un lungo tour, nel quale ha riproposto gran parte del proprio repertorio, da “Il principe in bicicletta” a “Occhi bassi”, da “Ogni adolescenza” a “Il mondo prima”, senza dimenticare ovviamente i brani del recente album “Nel giardino dei fantasmi”. Per il ventennale i Tarm hanno anche realizzato un musical a teatro, una “graphic novel” autobiografica di Davide Toffolo (edizioni Rizzoli/Lizard) e un concerto swing. Ora questo concerto (quasi) all’alba, che sarà aperto dal “Canto n.3 (La fine del giorno)” e proseguirà con una scaletta diversa da quella del tour 2014, più attenta a brani raramente proposti dal vivo.

lunedì 24 novembre 2014

ANCHE GIGI MAIERON con VAN DE SFROOS 6-12 a Udine

Ci sarà anche il nostro Gigi Maieron, sabato 6 dicembre al “Nuovo” di Udine, nella tappa regionale del tour di Davide Van De Sfroos. Il legame fra il cantautore friulano e il lombardo Davide Bernasconi (Van de Sfroos è una sorta di cognome d’arte che richiama foneticamente, nel dialetto comasco, l’espressione “vanno di contrabbando”, o “vanno di frodo”) non è nuovo. Maieron aveva infatti partecipato al fortunato album “Yanez” di Van De Sfroos (quarto al Sanremo 2011 con il brano che dava il titolo al disco), che a sua volta aveva fatto da consulente artistico all’album “Vino, tabacco e cielo” dell’artista friulano. Ma quella del 6 dicembre sarà una serata tutta sul filo delle lingue dialettali, visto che il concerto (nel corso del quale Van De Sfroos e Maieron duetteranno assieme) sarà aperto dal cantautore friulano Aldo Rossi con un set acustico composto da alcuni brani tratti dai suoi cinque album. Torniamo comunque al protagonista principale della serata. Il “Tùur teatràal” del cantautore lombardo, partito a settembre da Crema, ripropone molte delle canzoni che ne hanno fatto un protagonista di primo piano della scena musicale italiana, assieme ad alcuni brani del recente album “Goga e Magoga”, rifatti per l’occasione in chiave acustica. «Avevo voglia - ha detto Van De Sfroos, nato a Monza, classe ’65, cresciuto sul Lago di Como - di riscoprire il passato, affidandomi alle canzoni che ancora oggi fanno parte a pieno titolo della mia storia personale e musicale. Il teatro permette di interpretare i brani in chiave acustica e molto intima, mescolando passato e presente, con uno sguardo, perchè no, anche al futuro». Con lui Angapiemage Galliano Persico al violino, Maurizio Glielmo alle chitarre e il polistrumentista Andrea Cusmano.

sabato 22 novembre 2014

DAVID BOWIE, film su mostra londinese e album su 50 anni carriera

Uno, nessuno, centomila. Dal Major Tom di “Space oddity” all’eroe androgino di “Ziggy Stardust”, dall’Uomo che cadde sulla terra del cinema allo “Starman” del rock, dal “White duke”, il Duca bianco di “Station to station” al post-rocker di “Heroes”. E ancora: dalle sbornie psichedeliche al periodo e alla trilogia berlinesi, alle suggestioni pop di “Let’s dance”, allo sguardo sul futuro sempre presente, negli ormai lontani esordi come nel recente “The next day”. Signori, se c’è un uomo nel mondo del rock e della musica in generale (ma anche del cinema) al quale si attaglia perfettamente la massima pirandelliana, se c’è un artista da sempre proiettato sul futuro, ebbene, questo è senz’ombra di smentita mister David Robert Jones, in arte e per tutti David Bowie. A sessantotto anni (li compie a gennaio), il camaleontico artista londinese vive l’ennesimo momento di grazia, l’ennesima stagione della sua straordinaria carriera lunga mezzo secolo. Lunedì anteprima italiana a Milano, all’Arcobaleno Filmcenter, di “David Bowie is” (martedì e mercoledì nelle sale di tutto il Paese, a Trieste allo Space delle “Torri” e al Nazionale, a Udine al Visionario), il film sull’omonima mostra che al Victoria and Albert Museum di Londra è stata vista in pochi mesi da oltre 311.000 visitatori. Negli stessi giorni arriva nei negozi, reali e virtuali, il disco triplo “Nothing has changed”: praticamente la raccolta definitiva di tutto il meglio della sua musica dal 1964 al 2014, che comprende anche del materiale non pubblicato in precedenza e brani presentati per la prima volta. Ma andiamo per ordine. Il film - con una colonna sonora formata da musiche che hanno fatto la storia del rock - accompagna lo spettatore nelle sale del museo londinese, fra trecento oggetti provenienti perlopiù dall’archivio privato del nostro: fotografie, filmati, testi scritti a mano, video e “storyboard” per i video, costumi e bozzetti di costumi, schizzi, scenografie... Insomma un trionfo di memorabilia legati alla vita e al mondo di un artista che non si è limitato a scrivere la storia della musica degli ultimi decenni, ma ha messo a referto anche importanti incursioni nel cinema e ha lasciato il segno nella moda, nel design, nel costume e in definitiva nella cultura del mondo contemporaneo. Ora la mostra va in tour, con ospiti come lo stilista giapponese Kansai Yamamoto e il leader dei Pulp Jarvis Cocker. «Siamo felici - hanno detto i curatori dell’esposizione Victoria Broackes e Geoffrey Marsh - che questa mostra straordinaria viaggi per il mondo, che le persone possano immergersi nel tour cinematografico dell’esposizione di Londra. Il film offre affascinanti dettagli sugli oggetti chiave del David Bowie Archive, commenti di ospiti speciali e naturalmente una fantastica colonna sonora». Una curiosità: il film è stato registrato ad agosto, nell’ultima notte dell’esposizione al Victoria and Albert Museum di Londra ed è diretto da Hamish Hamilton, vincitore di un Bafta Award e regista della cerimonia di apertura delle Olimpiadi del 2012 a Londra. Passiamo al disco, che esce su etichetta Parlophone ed è disponibile in diversi formati: doppio e triplo cd, doppio album in vinile, ovviamente “download digitali”. Ognuno con la sua copertina (le vediamo riprodotte a destra della foto grande). «Ogni formato - conferma Jonathan Barnbrook, che firma il progetto grafico del disco - ha un’immagine diversa. Il tema comune è Bowie che guarda lo specchio: qualcosa che fosse sufficientemente forte come “archetipo” da offrire un “link” visivo immediatamente riconoscibile, ma che fosse anche chiaro nel fare capire che questa è una raccolta di canzoni che copre l’esperienza di vita di una persona, non necessariamente un concetto specifico o un determinato periodo come fanno in genere gli album». Tra le rarità: “Let me sleep beside you” (pubblicata per la prima volta in “The world of David Bowie”, nel 1970, e registrata nuovamente per un album, “Toy”, che non venne pubblicato), “Shadow man” (brano del 1971 che era stato tagliato nella versione finale di un album: insomma, un cosiddetto “out-take”), “Love is lost (Hello Steve Reich mix by James Murphy for the Dfa edit)”, “Your turn to drive” e “Wild is the wind” (entrambe per la prima volta in cd). Ma anche versioni particolari di “Young americans”, “All the young dudes”, “Life on Mars”... L’antologia spazia insomma fra le varie “stazioni” della sua carriera, tutte diverse le une dalle altre: si incrociano glam rock e incubi orwelliani, rhythm’n’blues e tentazioni intellettuali, electro pop e soluzioni sperimentali, spunti colti e retrogusti raffinati, fino alla collaborazione con Brian Eno, che da sola richiederebbe un trattato. C’è anche un inedito: “Sue (or in a season of crime)”, inciso quest’estate con Tony Visconti come produttore, assieme alla Maria Schneider Orchestra, con una sezione di fiati e ottoni che ha come solisti Donny McCaslin al sassofono tenore e Ryan Keberle al trombone. Il Daily Telegraph lo ha definito così: «L’ultimissimo esempio della genialità di Bowie nel reinventarsi. Sì, c’è il suono di una big band alle spalle, ma è un suono strano, senza traccia di nostalgia. E per quanto riguarda la voce è più misteriosa che mai, ma carica di decenni di esperienza. Il brano suona contemporaneamente familiare e molto strano, con una miscela incredibile di nostalgia e ironia. Se il jazz è il “sound of surprise”, allora Bowie lo ha certamente trovato...». Il video del brano, uscito anche come singolo, è caratterizzato da atmosfere noir, è stato girato fra Londra e New York, ed è diretto da Tom Hingston e Jimmy King. La mostra e il disco sono tasselli fondamentali per rileggere e comprendere appieno la carriera straordinaria di questo ex ragazzo inglese nato nei primi anni del dopoguerra, impressionato dai dischi (Elvis, Fats Domino, Little Richard...) che arrivavano dagli Stati Uniti, innamorato del sax ma anche dell’arte, sbarcato dalle periferie londinesi a Soho, culla dei fermenti beat degli anni Sessanta, grazie a un lavoro in un’agenzia pubblicitaria. Lì, mezzo secolo fa, è cominciato tutto. Una storia paragonabile a quella di pochissimi altri, che anche le giovani generazioni possono ora conoscere attraverso questa mostra e questo disco. In attesa della prossima, geniale intuizione/provocazione.

venerdì 21 novembre 2014

MIELANEXT 2 e 17-12 a trieste

Torna “Mielanext_reloaded”, doppio appuntamento con le nuove tendenze della musica contemporanea proposto dalla Cooperativa Bonawentura al Teatro Miela. Due serate, ognuna con due proposte spettacolari. Si comincia martedì 2 dicembre, con gli statunitensi Ryan Lott (in arte Son Lux) e White Hinterland. Il primo - secondo le note degli organizzatori - «propone un sofisticato “post-rock” e “alternative pop” molto originale, partendo dalla composizione elettronica e imbastendo arrangamenti che si fanno via via sempre più complessi. Vuoti e pieni si alternano mentre la particolare tensione melodrammatica sale come in una colonna sonora di un film, dove da un momento all’altro temi di trovarti a faccia a faccia con qualcosa di tremendo o perlomeno di inaspettato». Con lui, in scena, Rafiq Bhatia alla chitarra elettrica e Ian Chang alla batteria. Proporranno brani dal nuovo album “Lanterns”. White Hinterland in realtà si chiama Casey Dienel, è una cantautrice e pianista, che ha un repertorio di personalissime ballate. Negli ultimi lavori - si legge nelle note - «ha affinato le sue strategie aggregando piano, soul ed elettronica con solide strutture ritmiche e melodiche che evocano sia il candore soul di Carole King che la forza magnetica di Fiona Apple e Tori Amos». Il suo nuovo album s’intitola “Baby”, fra i suoi brani “Sickle no sword” e “Metronome”. E siamo alla seconda serata della mini-rassegna. Mercoledì 17 dicembre, sempre al Miela, un’altra accoppiata di giovanissimi, stavolta all’insegna della new wave elettronica: gli islandesi Samaris e il duo svedese Kristal & Jonny Boy. I primi, soprattutto ascoltando la voce della cantante Jófríður Ákadóttir, ricordano la prima Björk. Propongono un’elettronica in cui «il lato folk minimalista e quieto della terra dei geyser è pronto a erompere in qualsiasi momento in un gioco freddo-caldo (la terra del ghiaccio e del fuoco) che miscela gli stilemi evocanti i gelidi avamposti nordici con il tepore di certe sonorità “chillout” e con le pulsazioni che in certi casi sfiorano addirittura i territori “techno”. Con la citata vocalist ci sono la clarinettista Áslaug Rún Magnúsdóttir e il tastierista e programmatore Þórður Kári Steinþórsson. Il loro album di esordio s’intitola “Silkidrangar”. Completano la serata e il programma Kristina Hanses (voce e danza) e Jonny Eriksson (chitarra e “drum machine”), ovvero Kristal & Jonny Boy, già visti a Trieste lo scorso anno. Mischiano elettronica, ballad acustiche, atmosfere malinconiche. Hanno debuttato discograficamente con l’etichetta pordenonese La Tempesta.

GIOVANNA MARINI il 12-12 a gradisca, gorizia, per ALL FRONTIERS 2014

Sarà Giovanna Marini l’ospite più prestigioso di “All Frontiers 2014”, ventiseiesima edizione del “Festival di indagine sulle musiche d’arte contemporanee” organizzato dall’associazione More Music di Tullio Angelini. Tre serate: il 12, 13 e 14 dicembre, fra la sede storica di Gradisca, Gorizia e Udine. «Quest’anno - anticipa Angelini - abbiamo diverse novità, a partire dalla rete di enti e associazioni partner che si è creata attorno a More Music e tra cui segnaliamo il Mattatoio Scenico, una “zona di confine ed emozioni”, come ama definirsi, con radici a Gradisca e una sfrenata vocazione per l'avanguardia teatrale; Hybrida, la leggendaria factory tarcentina di musica e arte; il DobiaLab di Staranzano, avamposto per il dialogo e la produzione artistica transfrontaliera in bilico tra Slovenia, Croazia e Austria». Ancora l’organizzatore e fondatore della rassegna: «A livello provinciale e regionale abbiamo voluto attirare le forze più vitali della ricerca artistica del nostro territorio, le cui rotte hanno spesso incrociato le nostre, e rafforzare la nostra proposta. Auspichiamo che l'edizione 2014 del festival mostri i frutti migliori di questa sinergia e del nostro coordinamento». Ma passiamo al programma. Venerdì 12 dicembre, alla Sala civica Bergamas di Gradisca, serata dedicata al movimento free jazz degli anni Settanta, con il Dobialab Gravity Ensemble di Staranzano, che dovrebbe esibirsi con il jazzista tedesco Peter Brotzmann (il sassofonista proveniente dal gruppo di avanguardia Fluxus). Sabato 13, sempre alla Bergamas, all’interno dello spazio Interpolazioni (rassegna di indagine nata all’interno della Biennale Musica di Venezia ma che nella sua prima edizione venne organizzata proprio in Friuli Venezia Giulia, a Gorizia, nel 1985), si svolgerà una serata-evento dedicata al compositore goriziano Fausto Romitelli, recentemente celebrato dal festival Milano Musica. E siamo a Giovanna Marini, che arriva per la prima volta a All Frontiers: assieme al coro bolognese Arcanto presenterà in anteprima nazionale lo spettacolo “Aspettava nel sole” (Giovanna Giovannini dirige il coro di trentasei voci; produzione di AngelicA, Centro di ricerca musicale Teatro San Leonardo), “rafforzato” dall’esecuzione di “Dentro e fuori il pentagramma”, selezione di brani storici del suo repertorio per quartetto vocale. Appuntamento domenica 14 dicembre alle 18 al Nuovo Teatro Comunale di Gradisca d’Isonzo. La Marini - romana, classe 1937 - è una musicista, cantautrice e ricercatrice etnomusicale e folklorista italiana. La sua poliedrica attività l’ha imposta nel corso dei decenni come una delle figure più importanti nello studio, nella ricerca e nell’esecuzione della tradizione musicale popolare italiana. È anche autrice di canzoni e cantate popolari e politiche di propria composizione, fra cui non si può non ricordare “I treni per Reggio Calabria”. E il grande pubblico la conosce anche per l’album “Il fischio del vapore”, realizzato con Francesco De Gregori nel 2012. A Gradisca propone in anteprima “Aspettava nel sole”, con musiche che evocano e rileggono la classicità: dalle partiture costruite per l’”Oresteia” di Eschilo e le “Troiane” di Euripide, fino all’omaggio all’opera di Pier Paolo Pasolini, che Giovanna Marini conobbe agli inizi della sua carriera e al quale nel '75 dedicò lo struggente e ormai celebre “Lamento per la morte di Pasolini”.

giovedì 20 novembre 2014

LIZZY BORDEN e NIGHTGLOW giov a trieste, teatro miela

Dopo il successo di Willie Nile, altro botto annunciato per l’associazione Trieste is rock. Domani alle 20.30, al Teatro Miela, serata ad alta gradazione rock con il gruppo Lizzy Borden. Aprono il concerto i Nightglow e i triestini Damned pilots. I Lizzy Borden hanno da poco festeggiato i trent’anni di attività. Nati a Los Angeles nell’83, sono una band heavy metal attualmente formata, oltre che dallo stesso Lizzy Borden, cantante e leader dalla caratteristica chioma bionda (che per il nome d’arte si è ispirato a una donna che fece scalpore nel diciannovesimo secolo per essere stata accusata, e poi assolta, di vari assassinii), dal chitarrista Ira Black, dal bassista Jack Frost e dal batterista Joey Scott Harges. Vari i cambi di formazione nel corso di questi trent’anni. Ex componenti della band: i chitarristi Gene Allen, Tony Matuzak, Alex Nelson, Joe Holmes e Joe Steals, e i bassisti Steve Hochheiser e Mike Davis. Una decina di anni fa ci fu anche un cambio di nome: Starwood. Ispirato nell’aspetto ma anche nella stessa musica ad Alice Cooper, il gruppo ha partecipato al film documentario “The Decline Of Western Civilization Part II: The Metal Years”. Per esserein attività da tanto tempo, il gruppo non ha una discografia molto ampia, forse proprio per questo tutti i dischi sono molto amati dai fan. “Love you to pieces” è uscito nell’85, “Menace to society” l’anno dopo, “Visual lies” nell’87, “Master of disguise” nell’89. Poi, dopo un decennio di silenzio discografico, nel 2000 è stato pubblicato “Deal with the devil”. L’album più recente è “Appointment with death”, uscito nel 2007, ancora portato in tournèe assieme ai classici della band. Per quanto riguarda gli italiani Nightflow, sono una heavy metal band attiva da una decina d’anni, che suona «un metal classico - si legge nelle note - ispirato al filone inglese degli anni Ottanta e impreziosito da sonorità più moderne e ricercate». I triestini Damned pilots sono Don Nuts alla batteria, Willer Hertz alla chitarra e il cantante-chitarrista Ote. Dicono di suonare un genere “post nuclear stoner glam”.

ANNA LAUVERGNAC premiata dalla critica tedesca

La jazzista triestina Anna Lauvergnac ha vinto Premio della critica tedesca con l’album “Coming back home”. Trasferitasi diversi anni fa a Vienna, dove mantiene la residenza, e attualmente “itinerante” fra Austria, Grecia, India e Trieste, la cantante incassa un riconoscimento prestigioso che arriva a premiare una carriera ormai lunga e già ricca di soddisfazioni e collaborazioni. «Il Premio della critica tedesca - dice l’artista - non è legato all’industria discografica né a interessi commerciali. È assegnato da un centinaio di critici musicali, scrittori, musicologi ed editori provenienti da Germania, Austria e Svizzera». Chi viene premiato? «Le “nuove produzioni di straordinaria importanza, giudicate esclusivamente per il loro valore artistico”. Ci sono ventinove categorie. Il premio comprende infatti generi, gli artisti premiati possono essere molto diversi». Qualche premiato del passato? «Nel jazz Ella Fitzgerald, Scott Hamilton, Bill Frisell, Aki Takase. Negli altri generi Martha Argerich con Claudio Abbado, Robben Ford, Erykha Badu. Solo per citare alcuni nomi». Il suo disco premiato? «È uscito quest’estate per l’etichetta austriaca “Alessa Records”, è distribuito in vari paesi europei, ma anche in Giappone e Stati Uniti. Comprende sette brani della tradizione classica del jazz - quindi degli standard, alcuni molto noti come “Get out of town”, altri meno conosciuti come “Soft winds” - e quattro composizioni originali. Gli arrangiamenti sono del nostro pianista, Claus Raible, con la collaborazione di tutti noi». Il suo quartetto? «È formato dal pianista tedesco Claus Raible, Giorgos Antoniou al contrabbasso che è greco ma abita in Svizzera, il batterista londinese Steve Brown, e da me, italiana residente a Vienna ma ormai cittadina del mondo e quasi sempre in viaggio. Insomma, un gruppo internazionale». Come lavorate? «Siamo tutti coinvolti in ogni fase della scelta e dell’elaborazione del repertorio. Credo che questo modo di fare musica assieme e con totale coinvolgimento si percepisca: mi dicono sia stato uno dei motivi per cui la giuria ci ha premiato. Ogni musicista suona in modo profondo, a prescindere dalle doti tecniche. Si avverte una forza comunicativa e la passione per la musica: elementi che ci contraddistinguono». Era stata già premiata? «È la seconda volta che riceviamo una nomination per questo premio, anche il nostro lavoro precedente - registrato a Trieste, alla Casa della musica - era stato selezionato due anni fa. Un onore, è raro che ciò accada con due produzioni di fila». Che ci fa sempre in giro per il mondo? «Mi occupo di bambini di strada e a volte anche di adulti in difficoltà in India, che è il paese in cui passo i miei inverni da dodici anni. Scrivo e fotografo per il mio blog chiamato “Diaries of a nomadic jazz singer”». I suoi primi passi nella musica? «Le prime cose che mi vengono in mente: anni Ottanta, ristorante La Palestra. Un trio formato da Paolo Longo, Roberto Prever e Giancarlo Spirito che ospitava due cantanti alle prime armi: Maurizio Nobili e io. Poi l’incontro con Franco Vallisneri, il primo grande musicista con cui ho cantato: pianista e persona meravigliosa». Andrea Allione? «Una grande avventura musicale, lui alla chitarra e io alla voce. Andrea (chitarrista piemontese di casa a Trieste, recentemente scomparso - ndr) era un musicista con cui i brani cambiavano in ogni esecuzione, a volte radicalmente e in modo imprevedibile». Poi lei partì... «Sì, prima tappa a Graz, alla Scuola superiore di musica, con alcuni dei più grandi cantanti jazz del mondo: Jay Clayton, Mark Murphy, Andy Bey e Sheila Jordan. Negli anni Novanta ho passato vari periodi a New York. Si suonava alle jam session con musicisti allora sconosciuti: Brad Meldhau, Pete Bernstein, Larry Godings, Roy Hargrove...». Più recentemente? «Incontri musicali e collaborazioni molto intense. Quella con Fritz Pauer, uno dei padri del piano jazz in Europa, quella con Bojan Z, per me uno dei pianisti più interessanti nel jazz moderno. Gli otto anni con la Vienna Art Orchestra, con cui ho girato tutta l’Europa ma anche Canada, Cina, Russia, Israele, Cuba. L'amicizia con Sheila Jordan, mia insegnante e fonte d’ispirazione costante». Trieste? «Ci torno quando posso, la trovo sempre più bella. Spero di venire a Natale». Prossimi progetti? «L’ultimo concerto con il quartetto per quest’anno, a Graz; poi faremo un tour a maggio. A dicembre una masterclass e un paio di serate a Belgrado. A gennaio vado a Bombay, dove resterò fino ad aprile...».

martedì 18 novembre 2014

TORNA BAND AID di BOB GELDOF, contro l'ebola

Sarà il singolo più ascoltato (e scaricato) delle vacanze natalizie. È stato registrato sabato a Londra e presentato l’altra sera all’X Factor inglese. Stiamo parlando di “Do they know it’s Christmas” nella versione dei “Band Aid 30”. Ovvero: One Direction, Bono, Ed Sheeran, Paloma Faith, Midge Ure, Chris Martin dei Coldplay, Ellie Goulding, Rita Ora, Emeli Sande, Sinead O’Connor e altre star della musica pop, chiamate nuovamente a raccolta per un fine benefico da Bob Geldof, che nel 1984, trent’anni fa, fondò Band Aid e promosse la prima registrazione del brano, nel frattempo diventato un classico. Stavolta il fine è quello di raccogliere fondi per la lotta contro il virus dell’ebola. Trent’anni fa l’obbiettivo era combattere la carestia in Etiopia. Diedero vita, anzi, voce a quella prima versione stelle come Boy George, Duran Duran, Spandau Ballet, Paul Young, Culture Club, George Michael, Kool and the Gang, Sting, Bono e Adam Clayton degli U2, Phil Collins, Paul Weller... Il disco raccolse otto milioni di sterline, provocò la risposta statunitense di “We are the world” e fu all’origine dell’intero progetto “Live Aid”. Nel ventesimo anniversario della prima registrazione, nel novembre 2004, fu realizzata una nuova versione. Progetto promosso da Chris Martin dei Coldplay, con la partecipazione di Geldof e Midge Ure. Nel “Band Aid 20” c’erano fra gli altri Danny Goffey dei Supergrass, Thom Yorke dei Radiohead, Paul McCartney, Dido, Skye Edwards dei Morcheeba, Joss Stone, Robbie Williams... Nella versione 2015, il testo è stato aggiornato all’emergenza attuale: «Non vi è pace e gioia - cantano gli artisti - questo Natale in Africa occidentale. L’unica speranza che la gente avrà sarà quella si sopravvivere. Dove il comfort è da temere, dove ogni contatto fa paura, come si può credere che è davvero Natale per tutti...». Geldof ha segnalato che il governo britannico ha rinunciato alle tasse sul singolo, in modo da poter devolvere in beneficenza l’intero incasso dell’iniziativa. E ha detto: «Questa è una canzone, ma anche un evento, e adesso la scommessa è riuscire a farla diventare un fenomeno come lo diventò nel 1985».

Casa della musica, festival per bambini va a ravenna

L’anno scorso il prestigioso invito a Stoccolma per l’International children music collaboration, un network europeo per la diffusione della musica per l’infanzia. Quest’anno la trasferta è meno lunga ma altrettanto interessante. Il Festival di musica per bambini - una delle punte di diamante fra le tante attività della Casa della musica di Trieste - sabato è infatti ospite della mostra interattiva “Odorosa. Mostra gioco per nasi curiosi”, prodotta e curata da “Immaginante”, una delle realtà più attive in Italia nel campo della ricerca e delle proposte artistiche per bambini, cominciata la settimana scorsa e che si concluderà domenica 30 novembre. Piatto forte in arrivo dal capoluogo giuliano è lo spettacolo “La musica dello Gnomo mirtillo” (produzione storica del festival triestino, in doppia replica nel pomeriggio di sabato), seguito da “Lo Gnomo Mirtillo gioca ai quattro cantoni”. Ma lo staff giuliano porterà alla manifestazione ravennate anche la testimonianza del proprio lavoro, mentre Vincenzo Stera (coordinatore del festival) terrà al mattino due workshop dedicati a educatori, insegnanti, operatori. «È con grande piacere - dice Stera, napoletano trapiantato da tanti anni a Trieste, docente di scienze motorie nella scuola pubblica e di musica per bambini nella struttura di via Capitelli - che partecipiamo a questa “avventura”, dove porteremo il nostro “piccolo gnomo”. Sarà un interessante momento di confronto e di collaborazione con altri operatori. Si avverte sempre più, infatti, la necessità di riflettere sull’educazione sensoriale in un tempo dominato dalle tecnologie e la voglia di incoraggiare gli adulti a riflettere sui concetti di conoscenza ed esperienza che sono alla base delle installazioni-gioco presentate nella mostra». Lo staff dello “Gnomo Mirtillo” è costituito dalla cantante e attrice Ornella Serafini (la “fata”, voce e narrazione), da Gabriele Centis alla batteria, da Daniele Dibiaggio al pianoforte e dallo stesso Vincenzo Stera ai fiati e alle percussioni. Da segnalare che “La musica dello Gnomo Mirtillo” è da poco diventata anche un libro, accompagnato da un cd con le musiche e alcune proposte interattive, edito da Comunicarte Edizioni, che sta riscuotendo un notevole interesse soprattutto fra gli insegnanti. L’invito a Ravenna è una nuova soddisfazione per la Casa della musica triestina, conosciuta per la sua intensa attività didattica e anche perchè promuove ogni estate il festival TriesteLovesJazz, che già gode di “buona stampa” anche all’estero grazie ai tanti jazzisti che vengono a incidere nell’attrezzato studio di registrazione sito all’ultimo piano della struttura di via dei Capitelli, due passi da piazza Cavana e dunque anche da piazza Unità. Grazie alle produzioni del festival di musica per bambini, ora l’attenzione di operatori - nazionali e internazionali, come dimostra l’invito dell’anno scorso a Stoccolma - è attirata dall’attività di didattica musicale rivolta ai più piccoli che viene svolta a Trieste.