venerdì 28 maggio 2010

ESTATE ROCK
Non c’è crisi che tenga. E non c’è taglio ai bilanci (statali, familiari, personali) che possa fermare il grande circo estivo della musica dal vivo. Sì, perchè nell’Italia 2010 sembra che si risparmi praticamente su tutto, ma non sui concerti del proprio cantante o gruppo preferito. Anche a botte di cinquanta o cento euro a biglietto. Per poter dire ”io c’ero...”.
L’antipasto si è avuto la settimana scorsa allo Stadio Friuli di Udine, dove quarantamila persone arrivate da tutta Italia e da mezza Europa hanno festeggiato il ritorno dal vivo dei rockettari australiani Ac/Dc. Primo, secondo, contorno e frutta sono in arrivo soprattutto fra giugno e luglio, con sostanziose appendici nei mesi di agosto e settembre.
Lo scorso anno, a fronte di un ulteriore e forte calo degli incassi dell’industria discografica (meno 23 per cento rispetto al fatturato dell’anno precedente), sei milioni di spettatori hanno garantito ad artisti e organizzatori una torta di oltre 170 milioni di euro. Quest’anno, nonostante i tempi grami, sembrano esserci tutte le premesse per un ricco bis. Diamo allora un’occhiata ai nomi e alle date finora annunciati, privilegiando come sempre gli appuntamenti più vicini alla nostra zona. E con la solita avvertenza che si tratta di un calendario ”in progress”.
Il 26 giugno al Kursaal di Lignano Riviera c’è Bob Sinclair. Il 28 giugno arrivano a Villa Manin di Passariano (Codroipo) i Motorhead. Il primo luglio al Castello di Udine c’è la gran voce di Malika Ayane. Il 3 luglio Antonello Venditti canta al Giardino Fiera di Pordenone, dove il 4 suonano Heaven & Hell e il 10 arriva J Ax. Ancora Villa Manin: 7 luglio Mika (che il 6 è a ”Rock in Roma”), 9 luglio Giovanni Allevi. Altro appuntamento per il 10 luglio: Elio e le Storie Tese al Parco Europa Unita di Cervignano.
E siamo all’italo-scozzese Paolo Nutini, scoperto dal Paese dei suoi avi al Concertone del Primo maggio: sarà il 16 luglio al Castello di Udine (poi il 17 a Ferrara, il 18 all'Auditorium di Roma, il 20 a Lucca e il 21 a Milano). Al Castello di Udine il 24 luglio arriva anche Emma Marrone, trionfatrice dell’ultima edizione di ”Amici”.
Ma il 16 luglio in regione non arriva solo Nutini: ad Azzano Decimo è infatti di scena Iggy Pop con i suoi Stooges (unico concerto italiano). Dopo i concerti del 17 luglio di Elisa a Trieste, in piazza Unità, e dei Baustelle ad Azzano Decimo, ben cinque appuntamenti a Grado, alla Diga Nazario Sauro: il 21 luglio Stefano Bollani, il 26 Goran Bregovic, il 29 Alessandra Amoroso, il 31 Pierdavide Carone e gran finale il 3 agosto con Patti Smith.
Agosto. Al Festival di Majano ci sono il 7 i riunificati Litfiba e il 12 Alice Cooper. Altri due appuntamenti a Villa Manin: il 17 agosto con gli Iron Maiden, il 3 settembre con i Placebo, E il giorno dopo, il 4 settembre, in piazza Primo Maggio a Udine, ritornano Dalla e De Gregori (trentuno anni dopo il concerto del tour ”Banana Republic” dell’estate ’79 allo Stadio Friuli di Udine...).
E ora ”allarghiamoci” un po’. Richard Ashcroft, leader dei Verve, terrà il suo per ora unico concerto in Italia il 5 giugno ad Ancona. Tre giorni dopo, l’8 giugno, allo stadio milanese di San Siro, suonano i Muse (aprono la serata i Kasabian).
Il ”never ending tour” di Bob Dylan fa tappa il 15 giugno a Piazzola sul Brenta (Padova) e il 18 a Parma, ma prima arriva anche il 6 giugno a Belgrado, il 7 a Zagabria e il 13 a Lubiana. Il 25 giugno allo Stadio Olimpico di Roma è in programma il Michael Jackson Memorial Tribute: sul palco, il fratello Marlon Jackson, Dionne Warwich, Akon, Missy Elliot, Kim Carnes, Lee John, Alfred McCrary e le American Divas.
Cinque date italiane per i Gotan Project: 29 giugno a Marostica, 25 luglio a Tarvisio (a No Borders, di cui parliamo in alto a destra), 26 a Torino, 28 a Caserta e il 29 a Molfetta. L’Arena di Verona ospita il 5 luglio l’unica tappa italiana del tour di Stevie Wonder.
Grande attesa per gliU2, che - schiena di Bono permettendo (si è appena sottoposto a una delicata operazione...) - sbarcheranno in Italia per due date: il 6 agosto all’Olimpico di Torino e poi l'8 ottobre all’Olimpico di Roma.
Sempre dall’Olimpico di Roma, il 9 e 10 luglio parte il tour negli stadi di Ligabue, che poi tocca Firenze il 13, Milano il 16 e 17, Padova il 20, Messina il 24, Pescara il 2 agosto e Oristano il 7. Ma il 9 luglio è anche il giorno del debutto di Mark Knopfler a Piazzola sul Brenta (Padova), con successive tappe a Lucca per il Summer Festival, a Perugia per Umbria Jazz, a Roma e a Milano. I Massive Attack suonano il 5 luglio a Venezia (all’Heineken Jammin' Festival) e il 6 a Torino.
”Rock in Roma” propone all'Ippodromo delle Capanelle il 5 luglio i Cranberries (che il 3 sono anche all’Heineken veneziano), il 6 Mika, il 14 Baustelle e Nina Zilli, il 15 Skunk Anansie, il 21 Afterhours, il 22 i Litfiba, il 26 i Cult (unica data italiana) e il 30 Shaggy. E sempre nella capitale, ma all’Auditorium, il 14 luglio Earth Wind & Fire, il 19 Crosby Stills & Nash (che suonano anche il 16 a Milano, il 18 a Lucca, il 21 ad Aosta), il 20 Erykah Badu e il 24 i Simply Red (che sono anche il 23 a Lucca). Gli altri nomi del Summer Festival di Lucca sono invece il 9 luglio Paco De Lucia, il 16 Seal, il 13 Jeff Beck (che il 12 è a Roma), il 17 Eros Ramazzotti.
Il 14 luglio a Genova canta Diana Krall mentre Norah Jones è attesa il 20 all'Arena Civica di Milano e il 23 al Parco della musica di Roma. Il 22 luglio concerto a Livorno per gli Editors.
Settembre: doppio concerto romano il 19 e il 20 all'Auditorium Parco della Musica per Elton John. Ed è subito autunno: Carlos Santana il 19 ottobre a Milano, al Mediolanum Forum; Lady Gaga con il suo Monster Ball Tour sarà il 3 novembre a Zagabria, il 9 novembre a Torino, il 4 e 5 dicembre a Milano. Ma è già autunno, appunto.

mercoledì 26 maggio 2010

LA CRICCA, di Sergio Rizzo
A San Daniele del Friuli, ben settecento anni fa, avevano già capito tutto. In tema di divisione fra interessi pubblici e privati, s’intende. Sentite infatti cosa prescriveva lo statuto trecentesco di quel comune: «Nell’intento di evitare e stroncare, per quanto ci è possibile, discordie e scandali interni, decretiamo e prescriviamo che, qualora un ex consigliere o un consigliere in carica sia parente o congiunto di una persona la quale abbia qualcosa da trattare o da discutere in consiglio, tale ex consigliere o consigliere in carica venga subito allontanato dal consiglio, su iniziativa del giurato della comunità, per tutto il tempo in cui si discuterà la pratica e non gli sarà permesso di intervenire in alcun modo alle deliberazioni riguardanti il parente o congiunto...».
La curiosità storica, assieme a mille altre ben più recenti, è stata scovata da Sergio Rizzo, inviato del Corriere della Sera e scrittore, nel suo nuovo libro ”La Cricca”, sottotitolo ”Perchè la repubblica italiana è fondata sul conflitto d’interessi” (Rizzoli, pagg. 265, euro 19).
Partendo dallo scandalo che ha coinvolto Guido Bertolaso e i vertici della Protezione civile, e ha fatto luce su un fitto intreccio di affaristi e imprenditori, alti funzionari statali e loro familiari, Rizzo scandaglia gli affari e il malaffare di questo nostro Paese scassato, quasi allo sbando, che sembra sempre alla vigilia di una nuova Tangentopoli soltanto perchè la corruzione è diffusa, è di uso comune, da una parte e dall’altra.
L’autore - che passa così da ”La Casta”, scritta a quattro mani con Gian Antonio Stella, direttamente alla ”Cricca” - riferisce con dovizia di particolari e senza peli sulla lingua, in un racconto che sarebbe avvincente se prima non fosse deprimente sul livello toccato dalla nostra democrazia, di centotredici parlamentari con doppi, tripli e persino quadrupli incarichi, di un politico alla presidenza di una banca che finanzia i suoi amici, di funzionari pubblici e imprenditori con mogli e figli soci in affari, di un assessore alla sanità che vende apparecchiature mediche agli ospedali, del capo di una compagnia statale che diventa presidente della società privata di cui è cliente, di avvocati di destra e di sinistra che litigano in tribunale ma poi in parlamento fanno le leggi assieme, del figlio di un ministro che apre una ditta nel settore controllato dal ministero diretto dal babbo...
Un quadro davvero sconfortante, dove non c’è più senso civico né vergogna, dove il senso o forse la pretesa o persino la consapevolezza dell’impunità sembra avvolgere come un velo sottile ma resistente a tutto e a tutti mezza (o forse più) classe dirigente del nostro scalcagnato Paese. Nel quale il confine fra l'interesse di tutti e gli affari dei pochi soliti noti da tempo non esiste più.
In Italia, scrive Rizzo, quando si nomina il conflitto d’interessi il pensiero corre subito a Silvio Berlusconi, al suo strapotere televisivo, alle leggi ad personam. Ma il Cavaliere, avverte l’autore, è soltanto l’ultimo erede di un sistema consolidato, che comprende tutti: politici, professionisti, manager, funzionari pubblici, sportivi, giornalisti.
Ci sono i casi dei magistrati che si arricchiscono con gli arbitrati, quelli dei rettori universitari che amministrano gli atenei come fossero beni della (propria) famiglia, quelli degli imprenditori che si fanno finanziare da banche di cui loro stessi sono azionisti. E ancora le società di brokeraggio presiedute dai loro clienti, i medici che diventano consapevole e disponibile strumento per aumentare i profitti delle aziende farmaceutiche, i parlamentari che piegano con perizia - e senza nemmeno il bisogno di quei lobbisti che negli Usa almeno fanno parte di una professione riconosciuta, con tanto di regole - le leggi ai loro disegni. Uno per costruirsi una pensione d’oro, un altro per rimettere in sesto un’azienda, un terzo per sistemare qualche amico. Perchè tutti tengono famiglia e amici. E usano il denaro pubblico per farsi gli affari propri.
La mappatura dell’Italia della cricca è ampia e dettagliata. Nel capitolo dedicato agli ex politici piazzati nei consigli di amministrazione delle società pubbliche, c’è un altro caso - oltre a quello nel box qui a sinistra - che riguarda Trieste e il Friuli Venezia Giulia. Rizzo ha infatti scovato un caso limite, con la presenza di politici addirittura in carica negli organi aziendali delle imprese di Stato.
Alla Fincantieri di Trieste - scrive l’autore - «a un giovane leghista da tempo consigliere di quella società controllata dal Tesoro, e nominato il 29 gennaio del 2009 addirittura vicepresidente, è toccato in dote un posto governativo: quello lasciato libero dal povero Maurizio Balocchi, deceduto il 15 febbraio 2010. Una settimana dopo, il 23 febbraio, Francesco Belsito è stato nominato sottosegretario alla Semplificazione normativa. E la vicepresidenza della Fincantieri? Appena ricevuta la nomina, il neo sottosegretario ha comunicato che avrebbe verificato con gli uffici le eventuali incompatibilità fra il ruolo nel governo e quella carica...». Al 30 marzo 2010, segnala Rizzo, «nessuna lettera di dimissioni era ancora arrivata alla Fincantieri».
I conflitti di interessi non lasciano sguarnito nessun campo della vita italiana. Nemmeno quello sportivo. Per esempio, «c’è ancora chi rimugina - scrive il giornalista - sul fatto che lo scudetto del campionato 2005/2006 sia stato assegnato a tavolino all’Inter da un commissario straordinario della Federcalcio, Guido Rossi, qualche anno prima consigliere d’amministrazione del club nerazzurro».
Robetta, si dirà. In un mondo del calcio nel quale l’unica carica da cui Berlusconi si è dovuto dimettere, da presidente del Consiglio, è stata quella di presidente del suo Milan. Che continua comunque a governare, mettendo il becco persino sulle questioni tecniche, attraverso il suo alter ego, geometra Adriano Galliani.
«Da almeno vent’anni - dice Paolo Francia, ex direttore del ”Piccolo” e di Rai Sport, e attuale presidente del Corecom Fvg, in un’intervista al sito Articolo 21 riportata nel libro - non solo il calcio ma tutto lo sport è gestito da una cupola. Scarsi ricambi nelle federazioni, intrecci fra le stesse in un mix di controllori-controllati, organi della giustizia sportiva guidati in larga parte da giudici dei tribunali che rendevano quasi sempre inutili i ricorsi alla magistratura ordinaria...».
Ma lo stesso Francia, annota con malizia Rizzo, è stato anche vicepresidente della Federazione del tennis nel ’76 e animatore della Virtus Bologna di pallacanestro. «Circostanza che gli attirò, nel 2002, accuse di conflitto di interessi». Insomma, davvero difficile individuare chi possa scagliare la prima pietra.

DISCHI - LIGABUE


I sogni di rock’n’roll non tramontano mai. Nemmeno a cinquant’anni. Ed ecco allora il nuovo album di Luciano Ligabue, mezzo secolo perlappunto appena compiuto, vent’anni trascorsi dal tardivo debutto, cinque dal disco precedente ”Nome e cognome”. Cifre tonde, per arrivare a questo album del rocker di Correggio, intitolato ”Arrivederci, mostro!” (Wea).
«Il titolo? Ognuno di noi - spiega il Liga - ha i propri fantasmi, le ossessioni, le cose che conosce anche bene e se non le conosce bene sono comunque lì che lavorano costantemente. Io ho fatto cinquant’anni da poco: ci frequentiamo da tanto, io e i miei fantasmi, per cui riuscire a riconoscerli mi dà la sensazione di poterli salutare anche affettuosamente. Non è un addio perchè non ho la presunzione di pensare che se ne vadano per sempre. È come la sensazione di essermi un po’ liberato...».
Si parte con le chitarre aggressive di ”Quando canterai la tua canzone”, con la voce che è quasi un sussurro quando dice «ma scegli tu fra botte e rime, e scegli tu fra inizio e fine, e scegli tu, ma scegli tu per primo...». Chissà, forse un consiglio di vita al figlio Lenny ancora bambino.
”Ci sei sempre stata” è la classica ballata d’amore, molto ”alla Ligabue”, che si chiude con un lungo assolo di chitarra di quel Corrado Rustici che è anche il produttore dell'intero disco, costruito fra Correggio e la California. «Più ti guardo e meno lo capisco da che posto vieni... Chi ti ha fatto gli occhi e quelle gambe ci sapeva fare, chi ti ha dato tutta la dolcezza ti voleva bene... Eri solo da incontrare ma tu ci sei sempre stata».
Di ”Caro il mio Francesco” si è parlato già tanto, uno sfogo orecchiabile e sincero contro tutto e tutti sotto forma di lettera-canzone all’amico Guccini, che di anni sta per compierne settanta, qualcuno ha detto «in stile ”L’avvelenata”».
”Quando mi vieni a prendere" parla della tragedia avvenuta in Belgio poco più di un anno fa, quando un uomo vestito da clown è entrato in un asilo e ha ammazzato la maestra e due bambini, ferendone altri dodici. Ligabue fa parlare un bambino, con le stesse parole e gli stessi pensieri che potrebbe aver avuto realmente davanti alla tragedia. Sette minuti crudi e toccanti, quasi strazianti.
"Un colpo all'anima" è anche il singolo scelto per lanciare il disco. "Taca banda" è un brano divertente e quasi scanzonato. "Atto di fede" è semplice e lineare come il suo titolo. "Nel tempo" parte dalla tragedia di Ermanno Lavorini (il ragazzo di dodici anni sparito e trovato morto nella pineta di Viareggio nel ’69, un dramma che colpì molto l’artista, che all’epoca aveva solo nove anni...), ripercorrendo mezzo secolo di vita e venti di carriera attraverso immagini e ricordi.
Ma ci sono anche "Il peso della valigia", quasi una poesia delicata e pulita, e "La verità è una scelta", con un ritornello che rimane subito in testa, in mezzo ad altri sogni di rock’n’roll. Di quelli che non muoiono mai. Nemmeno a cinquant’anni.


 


RENATO ZERO


Renato Zero di anni invece ne compie sessanta. Non fa rock, ma musica leggera. Spesso di buona qualità. Come nel dvd/cd ”Presente ZeroNoveTour”, appena uscito per l'etichetta indipendente Tattica. Prosegue dunque la ”scelta autarchica” dell’artista romano, che da un anno ha chiuso con le multinazionali del disco e produce e distribuisce in piena autonomia la sua musica.
Il nuovo lavoro rappresenta la conclusione del percorso cominciato nella primavera dell’anno scorso, con la pubblicazione del cd ”Presente”. Che ora ritorna, allegato al dvd registrato dal vivo al Forum di Milano, nell’ambito del tour seguito al disco, e che propone anche un un brano inedito: ”Unici”, che l’artista dedica al suo pubblico.
Renato Fiacchini in arte Zero si conferma grande autore e interprete di musica leggera, non a caso amato ormai dalle varie generazioni che si sono succedute nel corso degli ultimi decenni. I suoi vecchi ”sorcini” sono cresciuti, insomma, ma continuano ad amare la sua genuina vena popolare e melodica. Assieme a un nuovo pubblico che non era ancora nato ai tempi dei suoi ormai lontani esordi.
Le canzoni sono ”ufficialmente” ventisei, in realtà ce n’è una in più - non dichiarata sul libretto di copertina - e si tratta del duetto fra l’artista romano e Mario Biondi nel cavallo di battaglia di quest’ultimo ”This is what you are”.
I brani: ”Vivo” e ”Ancora qui”, ”Questi amori” e ”Emergenza noia”, ”Mentre aspetto che ritorni” e “Qualcuno mi renda l’anima”... Con l’aggiunta di interviste all'artista e ovviamente un libretto fotografico.
Con l’artista romano, sul palco, ci sono Danilo Madonia alle tastiere, Paolo Costa al basso, Rosario Iermano alle percussioni, Giorgio Cocilovo e Fabrizio “Bicio” Leo alle chitarre, Mark Harris Baldwin al pianoforte, Lele Melotti alla batteria e l’Orchestra Prato Ensemble. La regia dello show è di Roberto Cenci, nome collaudato dopo tanti programmi televisivi di successo.


 


M.PRIVIERO Nell’88, quando uscì il suo ”San Valentino”, molti scommisero che il futuro del rock italiano era lui, Massimo Priviero, veneto, classe 1960. Il suo posto nell’olimpo, poi, lo presero altri (per esempio, uno di cui parliamo qui a sinistra...), ma il nostro ha comunque portato avanti con serietà e onestà una bella carriera fatta di buoni dischi e tanti concerti. Ora questo ”Rolling Live” è un piccolo monumento alla sua storia: due cd e un dvd, tratti dal concerto del marzo 2009 al Rolling Stone di Milano, che propongono tutti i suoi successi (da ”Nessuna resa mai” a ”Bellitalia”, da ”Fragole a Milano” alla citata ”San Valentino”...), ma anche tre inediti: ”Vivere”, ”Splenda il sole” e ”Lettera al figlio”. Da segnalare che negli stessi giorni è uscito anche il libro "Nessuna resa mai. La strada, il rock e la poesia di Massimo Priviero", libro-biografia firmato dal padovano Matteo Strukul (edito da Meridiano Zero): una confessione a cuore aperto in cui il cantautore racconta la sua storia e la sua avventura artistica.
 


AMERICAN IDIOT Gli americani Green Day sono fra i gruppi più importanti della scena punk-rock degli anni Novanta, amati da milioni di giovani in giro per il mondo. Una discografia importante, settanta milioni di copie vendute, quattro Grammy, tour di successo, cose così... Nel 2004 il loro “American idiot” era già una rock-opera che raccontava i giovani americani - confusi e spaesati come il loro Paese - dopo il trauma dell’11 settembre. Il lavoro per trasformare quel disco in un musical è stato lungo, ma il debutto a Broadway pare sia andato benissimo. Ecco allora che arriva anche la colonna sonora dello spettacolo, in questo doppio cd con le canzoni dello storico album, qualche lato b dell’epoca e alcuni brani del recente ”21st century breakdown". Il tutto cantato dal cast del musical, ma suonato e prodotto dagli stessi Green Day, che hanno scritto anche il libretto dello spettacolo. La band, in chiusura, come bonus track, regala pure un inedito: ”When it’s time”, presente anche nello show ma qui cantata e suonata dal gruppo.


 


 


LIBRO BELPOLITI


La vergogna non c’è più. Sparita, scomparsa, fatta fuori, forse superata e sostituita da altri sentimenti umani più in voga nella società contemporanea. Che è sempre più il regno del cattivo gusto, del narcisismo, della supponenza, della sfrontatezza, della sfacciataggine. Ma anche dell’arroganza, dell’impudenza, del senso o forse della pretesa di impunità. Da parte di un esercito di senza vergogna, appunto. Politici in testa.
«In realtà la vergogna c’è ancora - sostiene Marco Belpoliti, saggista e scrittore che, dopo il successo l’anno scorso de ”Il corpo del Capo”, ora manda in libreria questo ”Senza vergogna” (Guanda, pagg. 248, euro 16) -, ma si tratta di una vergogna ”di pelle”, di superficie, e dunque assolutamente amorale. È la vergogna di non aver successo, di non essere notati, di non essere nessuno in una società dell’immagine che ci schiaffa sotto il naso sempre e solo modelli vincenti».
Perchè è scomparsa la ”vergogna morale”?
«Perchè mancano valori socialmente condivisi - spiega Marco Belpoliti -. Le faccio un esempio. Se passi con il rosso, o vieni multato per eccesso di velocità, sono pochi quelli che provano ancora vergogna. Per quasi tutti si tratta di un fastidio, una seccatura per la multa da pagare o per i punti persi sulla patente. E invece una società che sia tale deve riconoscere alcuni valori, prima di tutto quello di rispettare la legge, come elemento fondativo e costitutivo della propria identità».
I politici si vergognano ancora di qualcosa?
«Beh, anche qui le cronache recenti ci vengono in aiuto. Hanno colpito di più, e portato più conseguenze, le vicende legate alla casa, bene primario in un Paese in cui i proprietari di abitazione sono la maggioranza, che non gli scandali legati alle escort e alla prostituzione. Nei paesi protestanti le cose vanno diversamente: negli Stati Uniti scandali legati a questioni di sesso e infedeltà hanno portato alle dimissioni di politici. Ma noi siamo un paese cattolico, dove vige il principio della confessione e del perdono».
La Chiesa ha delle colpe?
«Direi di sì, perchè ha rinunciato al proprio compito primario di indicare dei valori. Forse è la Chiesa stessa che li ha persi, diventando un sistema di potere. Senza nulla togliere alle tante persone oneste che sono al suo interno».
Torniamo alla politica.
«Sì, la causa di questa complessa situazione può in effetti essere cercata anche nella scomparsa dei partiti tradizionali, nella crisi dei sindacati. Un tempo veniva selezionato un personale politico all’altezza del compito da svolgere. Oggi ciò non esiste più. E non è un caso che il partito meno coinvolto negli ultimi scandali, la Lega Nord, sia quello che mantiene maggiormente la struttura classica di partito legato al territorio. Non dico che i suoi uomini siano all’altezza del proprio compito, dico soltanto che per ora sembrano meno compromessi con questo sistema di potere».
Come siamo arrivati a questa situazione?
«Credo che alla base ci sia l’affermarsi del dominio dell’immagine, dell’apparenza. Da quando negli anni Sessanta, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, si sono diffusi a livello di massa i nuovi sistemi di riproduzione audio e video, nella società moderna ha cominciato a prevalare l’immagine, la forma, il senso narcisistico dello specchio. Nello specchio io vedo, o almeno voglio vedere, un’immagine ideale, dell’uomo o della donna di successo».
E se l’immagine che vedo non mi piace?
«Allora cominciano i guai. Perchè la vergogna è un sentimento che sa essere terribile, può portare e purtroppo a volte porta al suicidio. Pensiamo al senso di colpa. Pensiamo ai tanti adolescenti che si sentono inadeguati alle immagini che il mondo attorno propone loro. L’adolescenza è l’età della vergogna».
La vergogna del proprio corpo.
«La vergogna del proprio corpo e della propria presunta inadeguatezza. La vergogna che ci restituisce normalità, la vergogna che ci fa uomini, la vergogna parente stretto del senso dell’onore. E poi c’è il pudore, che può essere considerato il fratello minore della vergogna».
Nel libro lei ricorda che l’uomo è l’unico ”animale vestito”.
«Perchè la vergogna nasce con la nudità. Con l’esposizione del proprio corpo. Oggi il corpo è merce, le stesse merci sono sessualizzate. Pensiamo alla pubblicità. Pensiamo alle copertine dei settimanali».
Come siamo passati dalla caduta del perbenismo bacchettone, positiva, a questa società fin troppo svergognata?
«Trovo che questo passaggio, avvenuto nello spazio di pochi decenni, sia un portato dello sviluppo delle forme peggiori del capitalismo contemporaneo. Che è stato capace di sfruttare anche conquiste civili come la liberazione sessuale, rendendo tutto merce. La verità è che una società dovrebbe porre dei limiti. E in questo, nel non averlo fatto, c’è un’enorme responsabilità delle nostre classi dirigenti».
Facebook, i social network, la voglia di mettere in piazza i fatti propri sono frutto di questa situazione?
«Lì si incontrano due aspetti. Da un lato l’esigenza di conoscenza fra persone, che è positiva: la domanda di amicizia che comprende anche la disponibilità alla confidenza, a volte malriposta. Dall’altro il narcisismo di cui dicevo prima, la voglia di apparire, di farsi vedere. Meno positivo».
All’inizio del libro, a mo’ di dedica, lei scrive ”Per la mia vergogna”. Qual è?
«Rispondo con la citazione di Gilles Deleuze, anch’essa riportata all’inizio del libro. Dice: la vergogna di essere uomo, c’è una ragione migliore per scrivere?»
Lei apre con Berlusconi che non si vergogna di partecipare alla festa della diciottenne Noemi e chiude con Berlusconi che non si vergogna di mostrarsi tumefatto e sanguinante dopo l’aggressione in piazza Duomo. Sempre lui, insomma...
«Altrimenti lei non sarebbe qui a intervistarmi. Scherzi a parte, Berlusconi è l’uomo medio al potere, è la rappresentazione dell’italiano attuale. Per questo ne parlo. Come politico non mi interessa».


MARIO BIONDI


Le luci soffuse, alcuni video punteggiano il palco, un signore col cappello in testa seduto in poltrona beve qualcosa, illuminato dal chiarore di un abat-jour. Vicino, una bionda cantante in tubino nero e capelli raccolti canta ”Birdland”. Attorno, il gruppo le va dietro ch’è un piacere. Poi il signore si alza, si toglie il cappello, e la festa nera può cominciare.
Non c’era neanche uno strapuntino libero, ieri sera al Rossetti, per ascoltare la voce calda e profonda di Mario Biondi, ovvero ”il signore” in questione, nonchè il più internazionale degli artisti italiani. A distanza di due anni dal debutto triestino nello stesso teatro, il crooner catanese ha fatto registrare un clamoroso ”tutto esaurito”. Oltre 1500 presenze, segno dell’affetto e della stima con cui il pubblico segue questo ragazzone alto quasi due metri, classe ’71, che canta come un Barry White cresciuto alle pendici dell’Etna, ispirandosi alla grande tradizione della musica nera.
Tre soli album - ”Handful of soul” del 2006, il live ”I love you more” del 2007 e ”If” del 2009 - sono stati sufficienti per trasformare Mario Ranno (il cognome d’arte l’ha preso dal padre, il cantautore Stefano Biondi) in una star. Che prima di essere amata in patria, aveva già lavorato con successo a New York, a Londra e persino in Giappone.
L’Italia l’ha scoperto tre anni fa, quando la sua ”This is what you are” (che non poteva mancare ieri sera), originariamente pensata per il mercato giapponese, aveva già conquistato Radio Bbc1 prima di essere adottata come jingle natalizio da Radio Montecarlo. Ma ora, a giudicare dai dischi venduti e dalle presenze ai suoi concerti, sembra proprio non volerlo mollare più.
Il concerto triestino, nell’ambito di questo ”Spazio Tempo Tour 2010” (partito da Milano a fine marzo, si conclude lunedì 17 a Roma, prima di riprendere quest’estate), è stato quasi interamente dedicato ai brani dell’ultimo album, ”If”, quasi duecentomila copie vendute. Da ”Serenity” a ”Something that was beautiful” (di Burt Bacharach), da ”Blackshop” a ”Love dreamer”, passando per l’applauditissima ”Be lonely” (ancora Bacharach, che l’ha scritta appositamente per lui) e ”I wanna make it”.
C’è spazio anche per le atmosfere gospel di ”Ecstasy” e per ”I know it’s over”, che altro non è se non la versione inglese e jazzata di ”E se domani”, brano scritto da Carlo Alberto Rossi, recentemente scomparso, e portato al successo nel ’64 da Mina. Con la quale pare sia in arrivo un duetto.
Dal primo album arrivano anche ”Rio de Janeiro blues”, ”On a clear day” (classico americano, tratto dall’omonimo musical), ”Never die”, ”A child runs free”, ”No mercy for me”. E non può mancare nemmeno quella ”I love you more” che dava il titolo al disco registrato dal vivo e pubblicato tre anni fa.
Ma come si diceva il concerto ha soprattutto il marchio dell’ultimo album, da lui scritto e arrangiato. Ecco allora ”Winter of America”, ”Little B’s poem” e ovviamente ”If” (con Giovanni Baglioni, quello per cui papà Claudio ha scritto ”Avrai”, ospite alla chitarra e poi protagonista di una sua apprezzata finestra solista).
Nel concerto, in un crescendo di emozioni e classe, eleganza e buone vibrazioni, soul e musica nera, talento e ironia, Biondi è accompagnato da una band formata da Lorenzo Tucci e Fabio Nobile (batterie e vibrafono), Andrea Satomi Bertorelli (tastiere), Andrea Celestino (basso), Tommaso Scannapieco (contrabbasso), Daniele Scannapieco (sax), Giovanni Amato (tromba), Claudio Filippini (piano), Luca Florian (percussioni), Wendy Lewis (cori). Fra loro, il siculo si muove con leggerezza, quasi sinuoso, accenna persino qualche passo di danza.
La citata ”This is what yu are”, dimostrazione che anche un tormentone può essere elegante e raffinato, chiude il programma prima dei bis. Aperti da ”Cry anymore”.
A Trieste, successo calorosissimo e meritato. Anche se a volte si ha come l’impressione che il nostro inserisca il pilota automatico e gigioneggi un po’ troppo. Ma con quella voce, e questa musica, gli si perdona davvero tutto.