lunedì 27 febbraio 2017

GUAITAMACCHI PRESENTA A TRIESTE IL SUO "ATLANTE ROCK"

Woodstock e il Greenwich Village, Haight-Ashbury e il Chelsea Hotel e ovviamente Abbey Road, ma anche New Orleans, Memphis, Chicago, Austin, Dublino. Quanti sono i luoghi del rock? Ezio Guaitamacchi li ha messi in fila nel suo “Atlante rock”, edito da Hoepli, che l’autore presenta oggi alle 18 alla Libreria Lovat, a Trieste. Guaitamacchi, enciclopedia rock o guida turistica? «Né l’una né l’altra, o entrambe le cose. Diciamo che questo “Atlante rock” può essere visto come un “racconto di viaggio”». Viaggio reale o virtuale? «I venticinque itinerari proposti nel libro li ho percorsi in quarant’anni anni di attività di “rock traveler”, quindi i miei sono stati tutti viaggi reali. Il lettore li può rivivere, replicare (anche per questo ci sono indirizzi e indicazioni di percorso), usando il libro come una guida, ma può anche sognare per un pomeriggio o per una notte di essere sulle strade del rock, nella California dei “figli dei fiori” o nella Dublino degli U2, a Liverpool con i Beatles o a New York con Lou Reed e Andy Warhol». Il suo primo viaggio rock? «Era l’estate del 1976, non avevo ancora vent’anni e con un gruppo di “disperati” partimmo per quella California che per noi, ragazzi degli anni Settanta, era davvero un sogno. Atterrammo a San Francisco e il giorno dopo vidi, in un negozio di dischi, un poster che annunciava il concerto dei miei idoli di quel tempo, Crosby Stills & Nash, quelli che consideravo “i nuovi Beatles”. Convinsi allora i miei amici (a dire il vero non molto interessati alla musica) a venire con me al Frost Amphitheater dell’università di Stanford dove si teneva il concerto. Arrivammo sei ore prima, cancelli ancora chiusi. Ma ricordo che stetti almeno un’ora a bocca aperta di fronte al palco ad ammirare le chitarre dei miei eroi in attesa che loro facessero il loro ingresso sul palco». Dei vari itinerari proposti, quale quello fondamentale? «Dipende dai gusti: ma se seguiamo le rockstar, non sbagliamo mai. Dove le rockstar sono andate a vivere, a suonare, a registrare le loro canzoni, a fare l’amore, a litigare o, purtroppo, anche a morire sono tutti luoghi bellissimi. Al di là del fascino che possono suscitare su noi appassionati». Un esempio? «Andate a Woodstock. È un nome che a tutti i “rockettari” fa venire i brividi, la prima “tre giorni di pace amore e musica” della storia. Il più leggendario rock festival mai avvenuto. La cittadina di Woodstock e le zone limitrofe, le Catskill Mountain, sono un’area meravigliosa a meno di due ore da New York City, piena di boschi, laghi, ruscelli e colline verdissime. Da sempre è una colonia di artisti». Ci andò anche Bob Dylan... «Sì, a metà dei Sessanta Dylan e il suo manager Albert Grossman vi andarono a vivere: da quel momento diventò un nome popolare tra gli appassionati. Ancor oggi, Woodstock è luogo di villeggiatura ma anche residenza di musicisti famosi. David Bowie trascorse gli ultimi giorni nella sua villa lì vicino, c’è chi dice che le sue ceneri siano state sparse proprio nel giardino di quella casa». Dei sei capitoli, cinque sono dedicati agli States e uno alla Gran Bretagna. Il rock è soprattutto America? «Premesso che, per motivi editoriali, sono stato costretto a ridurre a venticinque gli itinerari consigliati, suddivisi in sei capitoli, il rock è effettivamente nato negli Stati Uniti, il 5 luglio 1954 quando un ventenne Elvis Presley registrava il suo primo 45 giri negli studi della Sun Records, al 706 di Union Avenue, a Memphis, Tennessee. Oggi quegli studi sono ancora funzionanti ma sono anche “visitabili”: tutti, per qualche minuto, possiamo sognare di essere Elvis, Johnny Cash, Carl Perkins o uno qualsiasi dei gradi rocker degli anni Cinquanta». Nei suoi mille viaggi lei ha cercato la musica anche in luoghi esotici. «La musica è stata e continua a essere il “fil rouge” della mia vita, che ha condizionato anche la mia passione per il viaggio. Ho scoperto luoghi magnifici grazie a un interesse per le loro musiche. Come quelle ipnotiche degli aborigeni australiani, quelle seducenti delle isole Hawaii, quelle ritmate e trascinanti del continente africano, quelle spirituali dell’India o quelle sorprendenti di posti remoti come l’isola di Pasqua». Dunque anche tanta natura. «Proprio grazie al mio amore per la natura, ho scoperto i suoni che provengono dal mondo animale e vegetale come le melodie affascinanti delle balene, il rombo degli iceberg della Patagonia, il rumore della giungla amazzonica, i versi di animali in via di estinzione come il gorilla di montagna in Uganda, gli orsi grizzly in Alaska, gli oranghi del Borneo. Un mondo di suoni e ritmi che affascina tanto quello delle canzoni poetiche di Bob Dylan, dei riff lancinanti dei Led Zeppelin, del rock blues degli Stones o della chitarra cosmica di Jimi Hendrix». Se dovesse proseguire questo atlante in Europa? «Aggiungerei piuttosto alcuni luoghi d’America e di Gran Bretagna che, per motivi di spazio, non ho potuto inserire. Da Manchester a Bristol, dalla Route 66 al deserto del sud California e all’Arizona. Per non parlare di Miami, della Florida e di una scena musicale che aveva stregato il mondo. L’Europa, fuori dai confini anglofoni, non è terra rock. Ma un viaggetto nella Parigi di Jim Morrison, con tappa finale alla sua tomba al Père Lachaise lo inserirei volentieri...». E in Italia? «Per i motivi detti, non sarebbe un vero “Atlante rock”, ma potrebbe essere un buon “Atlante musicale”...».

domenica 26 febbraio 2017

VASCO BRONDI / LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA: DISCO E TOUR

Il nuovo album s’intitola “Terra” ed esce il 3 marzo. Il conseguente tour parte il 16 marzo proprio dal Friuli Venezia Giulia, con una “data zero” all’Astro Club di Fontanafredda, Pordenone. Lui è il cantautore ferrarese Vasco Brondi, che da anni firma i suoi dischi come Le luci della centrale elettrica. Personaggio quasi di culto della nuova musica italiana, sin dall’album di esordio “Canzoni da spiaggia deturpata”, Targa Tenco 2008 come miglior opera prima dell’anno. In queste settimane l’artista ha creato sul web una certa attesa per l’album, prodotto assieme a Federico Dragogna dei Ministri, distillando notizie e anticipazioni. “Stelle marine” è la prima canzone che ha anticipato il disco, da lui presentata così: «È una città vista dall’alto, una città moderna che prima o poi sarà una città antichissima. Dentro ci sono gli insulti e le preghiere, dei canti allegri e struggenti, gli interessi dell’Eni, il cielo dipinto di blu metallizzato, chi si salva camminando sulle acque del Mediterraneo, la sabbia del Sahara che a volte ritroviamo sul parabrezza della macchina dopo che ha piovuto. La 90 che è la circolare esterna, l’autobus che prendevo appena arrivato a Milano sette/otto anni fa sentendomi molto solo e molto contento di essere lì. Più che un singolo un’apripista...». C’è già stato un secondo “assaggio”, il brano “Coprifuoco”. «È una canzone - dice sempre Brondi - in cui si confondono eventi epocali e fatti personali. In sottofondo c’è questa tabla elettronica, una specie di drum machine che viene dall’India che finalmente siamo riusciti a mettere in una canzone. C’è l’eco di un viaggio in Bosnia che avevo fatto con un amico una decina di anni fa: a Mostar abbiamo scoperto che campanili e minareti ormai crollati si assomigliavano tutti, dalle macerie non riuscivi a distinguere l’uno dall’altro». Ancora Brondi: «Al loro interno erano già cresciuti gli alberi, il tempo passato dalla fine della guerra si misurava con la loro altezza. In questa canzone c’è una ragazza che si trasferisce a Toronto per poi accorgersi che è una Varese più grande e c'è anche un uragano in arrivo a cui gli esperti hanno dato il suo stesso nome». “Terra” è il quarto album di inediti firmato Le luci della centrale elettrica, dopo il citato “Canzoni da spiaggia deturpata” (2008), “Per ora noi la chiameremo felicità” (2010) e “Costellazioni” (2013). L’album verrà pubblicato nel formato speciale a forma di libro che, oltre al cd, conterrà anche il diario di lavorazione, intitolato “La grandiosa autostrada dei ripensamenti”: «Un diario di viaggio e di divagazioni - spiega il cantautore - dell’anno e mezzo di scrittura e degli ultimi tre mesi di registrazioni in studio». L’album verrà presentato nelle Librerie Feltrinelli fra il 3 e il 9 marzo (Milano, Roma, Napoli, Verona, Firenze, Bologna, Torino). E poi parte il tour: dopo il debutto del 16 marzo a Fontanafredda, tappe a Cesena, Torino, Treviso, Napoli, Roma, Ancona, Milano, Bologna...

lunedì 20 febbraio 2017

FNSI E ASSOSTAMPA FVG CONTRO LINGUAGGIO ODIO E VIOLENZA

Fnsi e Assostampa del Friuli Venezia Giulia hanno partecipato alla manifestazione “Parole O_Stili”, svoltasi ieri e oggi a Trieste, aderendo al manifesto contro il linguaggio dell’odio e della violenza, in rete ma non solo, che vi è stato presentato. Il sindacato unitario dei giornalisti – che ha patrocinato la manifestazione triestina assieme all’Ordine dei giornalisti Fvg – condivide i principi che ispirano il manifesto, perché rifiuta la facile strada delle censure, dei bavagli e dei “tribunali della verità”, per puntare invece sul rispetto, sulla formazione, sulla responsabilità, sulla volontà di contrastare sempre e comunque il linguaggio dell’odio e della violenza, dentro e fuori la rete. Una scelta che rientra nel percorso scelto da tempo dalla Fnsi, che infatti partecipa sin dall’inizio anche al progetto dell’associazione Carta di Roma, che da anni analizza e combatte i linguaggi di odio, discriminazione e razzismo. Per tutte queste ragioni la Fnsi proporrà ai ministeri competenti di promuovere nelle scuole e nelle università corsi di formazione e laboratori didattici, a partire proprio dalle proposte di Carta di Roma, di Parole O-Stili e di quanti hanno nel cuore i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione. Il sindacato dei giornalisti raddoppierà inoltre le proprie iniziative volte a contrastare e respingere le parole e le azioni ostili scagliate da più parti contro i cronisti e il diritto di cronaca, con l’unico obiettivo di intimidire chi tenta di illuminare le terre occupate da mafia, malaffare e corruzione. Ma ecco il manifesto che è stato presentato a Trieste: 1 Virtuale è reale Dico o scrivo in Rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona 2 Si è ciò che si comunica Le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano 3 Le parole danno forma al pensiero Mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso 4 Prima di parlare bisogna ascoltare Nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura 5 Le parole sono un ponte Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri 6 Le parole hanno conseguenze So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi 7 Condividere è una responsabilità Condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi 8 Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare Non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare 9 Gli insulti non sono argomenti Non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi 10 Anche il silenzio comunica Quando la scelta migliore è tacere, taccio

lunedì 13 febbraio 2017

ADDIO GIUSTO PIO

«Ciao, Maestro Giusto Pio». Franco Battiato lo ha salutato così, sul suo profilo Facebook. Se n’è infatti andato a novantuno anni, nella Castelfranco Veneto dove era nato nel 1926, il violinista classico che era diventato “un po’ pop” proprio dopo l’incontro con l’artista siciliano. Un incontro avvenuto verso la metà degli anni Settanta. Dalla collaborazione fra i due nacquero album come “L’era del cinghiale bianco”, “Patriots”, soprattutto “La voce del padrone”, l’album di Battiato che uscì nell’81 e superò il milione di copie vendute. Assieme scrissero anche “Per Elisa”, con cui Alice vinse Sanremo sempre nell’81. Ma il musicista veneto ha lavorato negli anni anche con altri artisti “leggeri”, come Milva e Giuni Russo, per cui scrisse - sempre assieme a Battiato - “Un’estate al mare”. Completata la formazione musicale classica a Venezia, Giusto Pio venne ingaggiato come concertista dell'orchestra di musica sinfonica della Rai di Milano, guidata a quel tempo da Cinico Angelini. Nel 1963 con un quartetto d'archi composto, oltre che da lui, da Giuseppe Magnani (violino), Rinaldo Tosatti (viola) e Nereo Gasperini (violoncello), pubblicò un 33 giri per la Durium con l'incisione dell'opera Quartetto Creolo di Livio Cerri. Poi l’incontro con Battiato, grazie al quale scoprì un mondo diverso. Ma l’amore per la classica non lo ha mai abbandonato. Anni fa, in occasione dell’85.o compleanno è uscito un libro biografico dal titolo “Dedicato a Giusto Pio”, edito dalla Zanetti e accompagnato da un cd. .

ADDIO AL JARREAU

Se n’è andato Al Jarreau, autentica leggenda della musica nera. Fra un mese avrebbe compiuto 77 anni, da qualche giorno era ricoverato in ospedale a Los Angeles. Era arrivato da poco l’annuncio dell’annullamento di tutti i concerti che l’artista aveva in programma per i prossimi mesi. Un segnale che non lasciava presagire nulla di buono, anche se un post sulla sua pagina Facebook diceva che il cantante si stava riprendendo, che aveva cantato una canzone al figlio. Nato a Milwaukee, Wisconsin, il 12 marzo 1940, Alwin Lopez “Al” Jarreau era figlio di un religioso. Aveva cominciato a cantare da bambino nel coro gospel della sua chiesa. Il debutto da professionista in piccoli jazzclub nei primi anni Sessanta. Nel ’65 il suo primo album, intitolato appunto “1965”, per l’etichetta Bainbridge. All’inizio non accadde nulla. L’album ebbe successo solo dieci anni dopo, quando la Reprise, l'etichetta di Frank Sinatra, lo aveva riportato sul mercato discografico, facendolo conoscere alla critica e al pubblico. Nel frattempo, dopo una laurea in psicologia, Al aveva costruito la propria carriera ispirandosi al sound e all’eleganza di maestri come Nat King Cole. Per anni ha sfornato un successo dopo l’altro per l’etichetta Warner Bros. Tra gli altri, suo era il tema di della serie televisiva di successo degli anni Ottanta “Moonlighting”. Sapeva mischiare jazz e swing, rhythm’n’blues e pop. Vincitore di ben sette Grammy Awards, è stato un indimenticabile interprete della “black music”, con successi come “We’re in this love together”, “Mornin’”, “Rainbow in your eyes”... Il suo momento d’oro arriva fra gli anni Settanta e Ottanta, quando Al Jarreau diventa maestro indiscusso del pop-jazz americano più sofisticato. Partecipa ai più importanti jazz festival internazionali, sia negli Stati Uniti che in Europa. Riceve molti prestigioso premi. Il suo nome rimane legato anche a molte cover di classici come “Your song” di Elton John, “Rainbow in your eyes” di Leon Russell, “Mas que nada” di Jorge Ben, oltre che all’adattamento vocale di “Take five” di Paul Demond. È molto richiesto nella sale d’incisione. Canta nei dischi di Quincy Jones, Shakatak, Chick Corea, Freddie Hubbard, Joe Sample, Larry Carlton, Bob James, Lee Ritenour. Il primo Grammy lo conquista nel 1977 per “Look to the rainbow” come migliore cantante jazz, l'ultimo risale al 2007, quando ha ricevuto il grammofono d'oro per la sua interpretazione dello standard “God bless the chid”, assieme a George Benson e Jill Scott. Nel 1985 partecipa a “Usa for Africa, supergruppo della musica americana con Michael Jackson, Lionel Richie, Stevie Wonder e Bruce Springsteen, cantando “We are the world” prodotta da Quincy Jones. Il singolo ha venduto in trentadue anni venti milioni di copie, per un ricavato di sessanta milioni di dollari donati all’Africa. Nel 2013 duetta con Mario Biondi in “Light to the world”, nell’album “Sun”. “My old friend: Celebrating George Duke”, pubblicato nel 2014, è stato il suo ultimo lavoro discografico. Quel comunicato stampa di pochi giorni fa non diceva la verità, ma ora somiglia a un addio. “Al sta migliorando lentamente”, diceva la nota. Ma “con suo enorme dispiacere dovrà smettere di fare tour. Al è grato per i suoi cinquant’anni di viaggi intorno al mondo e per chiunque abbia condiviso quest’esperienza con lui: il suo fedele pubblico, i dedicati musicisti e tutti coloro che gli sono stati di supporto nel suo lavoro”. Insomma, la maledizione del 2016 sembra continuare nell’anno appena cominciato. Un altro grande della musica se n’è andato. Era di una generazione di artisti che hanno segnato la musica dei decenni passati.

SANREMO / CONTROCANTO 7

L’elemento sorpresa era quel che mancava al gran finale. Ci sono stati tempi, a Sanremo, nei quali il nome del vincitore era già scritto alla vigilia. Tanto che “Sorrisi” preparava la copertina in anticipo. Quest’anno è andata diversamente. E la vittoria di Francesco Gabbani, che ha sovvertito i pronostici, lasciandosi alle spalle le belle canzoni della favorita Fiorella Mannoia e dell’outsider Ermal Meta, ha aggiunto quel tocco d’imprevisto che non guasta. Anzi. Verdetto che alcuni hanno discusso, com’è giusto che sia, e che è stato scodellato dal sapiente mix fra televoto (40%), giuria demoscopica (30%) e giuria di qualità (altro 30%), presieduta da Giorgio Moroder. Alla fine, contenti quasi tutti, tranne Gigi D’Alessio che reclama giurie più equilibrate. Contenta soprattutto la Rai, che ormai da anni con il Festival ci guadagna. Non avveniva fino al 2013, ultimo anno in perdita. Da allora, le entrate pubblicitarie hanno superato i costi di produzione ai quali va aggiunta la quota della convenzione con il Comune di Sanremo. L’anno scorso il guadagno è stato di cinque milioni di euro. Quest’anno dovrebbe essere andata anche meglio: è previsto un attivo di un milione e mezzo di euro a puntata, totale sette e mezzo. Che alla Rai, e non solo alla Rai, di questi tempi non sono noccioline...

domenica 12 febbraio 2017

SANREMO / CONTROCANTO 6

Ammesso e non concesso che Sanremo 2017 venga ricordato in futuro, sarà perchè ha portato a compimento l’Opa lanciata anni fa sul Festival da Maria De Filippi. Dal suo avanposto Mediaset del talent “Amici”, nostra signora dell’audience prima manda alcuni debuttanti di successo all’Ariston (certi vincono: Marco Carta, Valerio Scanu, Emma Marrone, lo stesso Lele quest’anno fra i Giovani...), accolti con tutti gli onori assieme a quelli degli altri talent. Poi nel 2009 fa una prima incursione nell’edizione condotta da Bonolis. Quest’anno rientra dalla porta principale, affianca Carlo Conti e - con altri “Amici” in gara - diventa di fatto la vera padrona di casa. “Vallettizza” il conduttore abitualmente abbronzato, cambia la liturgia del Festival, immagini dietro le quinte, scalinata usata solo per sedersi sugli scalini. Gli ascolti quasi record, con lo share spesso oltre il 50%, dicono che il pubblico gradisce. Fra eroi quotidiani e alti tassi di demagogia imperanti, ci sarebbero anche i cantanti e le canzoni. L’abbiamo già detto: Fiorella Mannoia e Ermal Meta una spanna su tutti gli altri, svariate spanne su alcuni. Ma anche loro sembrano sempre più una scusa, un dettaglio nel grande carrozzone tv nazionalpopolare. Sipario. L’anno prossimo replica.

sabato 11 febbraio 2017

SANREMO / CONTROCANTO 5

Vinca il migliore? Speriamo di no, rispondeva in triestino Nereo Rocco quando sapeva di affrontare una squadra più forte. La storia di Sanremo è piena di edizioni nelle quali il Paròn sarebbe stato accontentato. Tantissime volte non hanno vinto le canzoni migliori. Vedi il medley con i classici sanremesi della prima sera (con "Vita spericolata" di Vasco, che nell'83 si piazzò penultima). Ma se stasera non dovesse vincere Fiorella Mannoia, beh, allora avremmo la conferma che il Festival, oltre che a parte, è anche un mondo alla rovescia. Già due mesi fa, all'annuncio del cast, indicare la rossa come favorita equivaleva a voler vincere facile. Poi, sentite la sua ma soprattutto le altre canzoni, non c'è stata più storia. La ciliegina sulla torta l'ha messa, nella serata delle cover, la sua toccante versione di "Sempre e per sempre" di De Gregori (la cui "Leva calcistica della classe '68" è stata invece massacrata da Fabrizio Moro...). Affrontiamo dunque la maratona finale, almeno con un sollievo: non rivedremo le coppie Nesli/Alice Paba e Raige/Giulia Luzi. Va bene tutto, ma a chi è venuto in testa di inserirli fra i cosiddetti Campioni?

venerdì 10 febbraio 2017

I GIORNALI SUL SUICIDIO DEL PRECARIO FRIULANO. E I GIORNALISTI PRECARI?

La stampa locale e nazionale, persino il Festival di Sanremo, hanno trattato con toni giustamente partecipi e commossi della drammatica storia del precario suicida in Friuli. Alcuni colleghi collaboratori, iscritti all'Assostampa Fvg, ci hanno inviato questa lettera aperta, che diffondiamo al fine di sollecitare una riflessione sulla situazione dei giornalisti precari. ...... "Perché stanco del precariato e di una vita fatta di rifiuti", è scritto nel titolo. "Il suo grido simile ad altri che migliaia di giovani probabilmente pensano ogni giorno di fronte a una realtà che distrugge i sogni", è evidenziato nel sommario. Queste le parole con cui il Messaggero Veneto, testata di proprietà del gruppo Finegil, ha raccontato la drammatica vicenda del suicidio di Michele, un trentenne friulano che ha scelto di dire basta ad una vita fatta di porte continuamente sbattute in faccia e di precariato infinito. Un tema, quest'ultimo, su cui non solo il Messaggero Veneto, ma diversi altri quotidiani del gruppo di cui questa testata fa parte hanno toccato recentemente, spargendo purtroppo molte lacrime di coccodrillo con assai poca coerenza, pontificando bene e razzolando malissimo. Negli articoli viene infatti denunciata spesso l'inaccettabilità delle condizioni con cui tanti lavoratori sono costretti a fare i conti tra pagamenti irrisori e contratti troppo spesso a termine. "Avere stabilità sarebbe un sogno - Viaggio tra i nuovi schiavi dell'occupazione fra speranze e disillusioni" titolava appena una settimana prima della tragedia di Michele l'altro quotidiano di proprietà Finegil del Friuli Venezia Giulia, Il Piccolo. Peccato che poi entrambe le testate si riempiano la bocca di indignazione per i drammi altrui, dimenticando totalmente i vergognosi trattamenti riservati ai propri, di lavoratori precari: collaboratori che quotidianamente da anni, a volte anche decine di anni, contribuiscono ogni giorno - domeniche e festività comprese - a realizzare il prodotto finito che si trova nelle edicole, venendo pagati con una media che oscilla tra i 5 ed i 10 euro LORDI ad articolo, ed una busta paga che solo in rari casi tocca i 900 euro al mese, senza indennità di malattia, né ferie retribuite, né tredicesime né bonus alcuno. Giornalisti che ogni mese fanno fatica a sbarcare il lunario, schiavi della precarietà e senza alcuna prospettiva riguardo al proprio futuro, ma che con professionalità assicurano ugualmente il loro impegno a servizio del lettore. Tanti colleghi, alcuni più giovani altri meno, che si trovano a vivere un'esistenza purtroppo non troppo dissimile da quella che ha condannato Michele. La cui lettera molti hanno auspicato possa essere la spinta per un cambio di rotta deciso sul tema del precariato in Italia: tanti sono stati in queste ore gli inviti al mondo politico ed imprenditoriale affinché facciano qualcosa di concreto per vincere questa piaga che sta cancellando un'intera generazione. Cosa dite, quotidiani regionali del gruppo Finegil: questo cambio di rotta sul tema del precariato lo facciamo iniziare da quelli come voi che per primi avete denunciato l'intollerabilità di questo sistema, oppure ci riempiamo solo la bocca di tante belle parole e molta, moltissima ipocrisia? In ballo ci sono la pelle ed il futuro di un'intera generazione di giovani giornalisti precari - per citare l'incipit del Messaggero Veneto alla lettera di Michele - "tradita" da chi sta "lasciandola senza prospettive". ---------------------------------------------------------------------------- > 2017-02-09 20:37 >> Giovane suicida: Assostampa Fvg, nessuna strumentalizzazione (V. "Giovane suicida: cdr Messaggero Veneto..." delle 19:30) TRIESTE (ANSA) - TRIESTE, 9 FEB - L'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia, con una nota, replica al Comitato di redazione del Messaggero Veneto e afferma che "l'Assostampa Fvg non si mai sognata di strumentalizzare un fatto tragico come il suicidio del precario friulano. Ha diffuso una lettera aperta di alcuni propri iscritti sulla situazione dei giornalisti precari, quasi sempre pagati poco e male, senza dignitose prospettive professionali, anche nel Friuli Venezia Giulia. E che in buona sostanza chiedono: come mai i giornali parlano dei precari, senza mai parlare dei giornalisti precari che hanno in casa? Fuorviante e inaccettabile, oltre che imbarazzante - conclude l'Assostampa Fvg - la nota del sindacato di base del Messaggero Veneto". (ANSA). >>> GIOVANE SUICIDA: CDR MESSAGGERO VENETO, STRUMENTALIZZAZIONI (V. Giovane suicida: precari FVG, lacrime... delle 13:16) (ANSA) - TRIESTE, 9 FEB - Il Comitato di redazione del Messaggero Veneto, con un comunicato, prende le distanze dalla nota con cui l'Assostampa del Friuli Venezia Giulia, facendo propria una lettera aperta inviata da alcuni colleghi collaboratori iscritti all'Assostampa Fvg , e strumentalizzando in tal modo una notizia di cronaca, ha stigmatizzato il trattamento della testata nei confronti dei propri collaboratori. Peraltro - conclude il Comitato di redazione del giornale friulano - confondendo la figura dei precari con quella dei collaboratori stessi e dei corrispondenti. La ricostruzione proposta, a fini sindacali, fuorviante e inaccettabile. (ANSA)

SANREMO / CONTROCANTO 4

Sanremo è un mondo a parte. Impermeabile a quel che accade al di fuori dell’Ariston, degli hotel e dei ristoranti del centro di una cittadina la cui vita ruota attorno alla settimana del Festival, al Casinò e ai fiori. Fuori dal triangolo delle Bermude festivaliero potrebbe accadere qualsiasi cosa: Trump invade il Messico? Renzi si allea con Salvini? La Juve retrocede in C? Nessuno farebbe una piega. Più importante l’ultimo gossip sui cantanti. Passi per loro: con una comparsata di pochi minuti raggiungono in una botta sola milioni di telespettatori, per intercettare i quali con altri mezzi sarebbero necessari più tempo, più soldi e più fatica. Passi pure per quelli che salgono, a vario titolo, sul grande palco. Ma tutti gli altri? Discografici, produttori, autori, giornalisti (reclusi per giornate intere in sala stampa), dj, blogger, inviati di radio private... Potremmo proseguire, tanto affollata è la schiera di quanti sgomitano per la propria porzione di posto al sole, magari in favore di telecamera o di microfono. Ognuno ha diritto al proprio quarto d’ora di celebrità, diceva Andy Warhol. Non risultano sue incursioni nella città dei fiori nei giorni di qualche vecchio Festival. Altrimenti, forse avrebbe cambiato idea.

giovedì 9 febbraio 2017

STING A CIVIDALE E POLA, SOLER E JOSS STONE IN FRIULI...

L'estate musicale del Friuli (dunque non della Venezia Giulia...) prepara i suoi botti. E sono botti veri, nomi di un certo rilievo, che sin d'ora si candidano a rappresentare gli eventi musicali dell'estate 2017. Primo grosso nome ormai sicuro è quello di Sting, che in regione si è esibito già qualche volta, e che torna per un grande concerto in programma il 25 luglio a Cividale. Il giorno dopo, il 26 luglio, l'ex cantante e bassista dei Police sarà all'Arena di Pola. Altro nome sicuro: quello di Alvaro Soler. Il fascinoso spagnolo di "Sofia", tormentone canoro dell'estate scorsa, reduce dal successone di "X Factor" e dall'affollatissimo concerto triestino dell'ottobre scorso in piazza Unità, sarà a Lignano Sabbiadoro ai primi di agosto. Un altro importante appuntamento in arrivo. Quello con la trentenne inglese Joss Stone, al debutto nel Friuli Venezia Giulia, con un concerto a fine luglio in una località ancora da definire. E poi, sempre in Friuli, sono annunciati concerti dei Korn, dei Litfiba, del pianista Ezio Bosso. Nomi ai quali possiamo aggiungere quello dei Chemical Brothers, in arrivo nella vicina Jesolo. I primi mesi dell'anno sono il periodo nel quale vengono poste le basi per l'estate musicale successiva. Organizzatori e manager trattano gli artisti in tour, le date, firmano i contratti. E infatti i nomi citati dimostrano che i giochi si stanno chiudendo. Poi, nei mesi primaverili, si completano stagioni e cartelloni. Quest'anno c'è anche lo scandalo del “secondary ticketing”, cioè il sistema illegale venuto alla luce, per cui i biglietti dei grandi concerti spariscono subito dai negozi on line per poi riapparire a prezzi moltiplicati su altri circuiti. Comunque, nelle settimane scorse sono già stati annunciati Ligabue il 17 e 18 marzo al PalaTrieste (l'artista ha però annullato alcune date, fra cui Jesolo, per problemi di salute: ha un edema alle corde vocali); Fedez E J-Ax il 16 aprile, sempre al palasport triestino; Mario Biondi il 19 marzo a Udine e il 20 al Rossetti di Trieste, dove il 23 marzo arriva Lorena McKennitt, cantautrice e polistrumentista canadese, icona della musica celtica, il 2 maggio Nek e il 24 maggio Fiorella Mannoia, che sabato notte potrebbe e dovrebbe vincere Sanremo. E a proposito di gente vista al Festival, nel suo caso come ospite, domenica 11 giugno parte dallo stadio comunale di Lignano Sabbiadoro il tour 2017 di Tiziano Ferro. Con annessa settimana di prove, proprio come Vasco Rossi lo scorso anno. Primavera dunque ricca per Trieste. Ma l'estate? Come si ricorderà, anche in occasione degli ultimi grandi concerti visti nel capoluogo regionale negli anni scorsi (Bruce Springsteen, Green Day, Pearl Jam, Iron Maiden...), i giochi si erano chiusi fra dicembre e gennaio, con relativi annuncio e avvio delle prevendite dei biglietti. Oggi, a fronte di queste prime anticipazioni di grandi appuntamenti in Friuli, sulla piazza triestina tutto tace. Ci sono ottime probabilità che prosegua la prestigiosa rassegna Trieste Loves Jazz, che giungerà così all'undicesima edizione, e che anno dopo anno è cresciuta fino a diventare uno dei festival italiani più importanti nel settore. Ma per il resto e per ora, sembra sia tutto fermo. Calma piatta. La collaborazione fra pubblico e privato, sempre più necessaria quando si parla di festival musicali estivi, ha dimostrato negli ultimi anni di poter dare buoni e a volte ottimi frutti. Ma il rischio è che, quando non si programma e non ci si muove per tempo, ci si svegli troppo tardi. A meno che non ci si voglia poi accontentare di qualche nome minore. Scelto magari fra i tanti mezzi sconosciuti che vediamo al Festival di Sanremo proprio in questi giorni...

SANREMO / CONTROCANTO 3

E poi parlano di “fake news”, di post verità. Balle, si chiamano balle. Come quella raccontata alla vigilia da Carlo Conti, alla terza (e ultima) conduzione e direzione artistica del Festival. Il toscano abitualmente abbronzato ha infatti detto: «Vi lascio con trenta canzoni, una più bella dell’altra...». Ma dove? In che cinema, ci si sarebbe chiesti un tempo. Ora che le abbiamo sentite e risentite, possiamo dire che nessuna delle canzoni in gara è degna di passare alla storia del Festival, mai entrerebbero in un medley di grandi successi sanremesi come quello che ha aperto la prima serata. Livello basso, insomma. Dal grigiore si salvano a nostro avviso solo l’inno ottimistico alla vita di Fiorella Mannoia e la storia di violenze domestiche dell’albanese Ermal Meta. Sprazzi di luce si intravedono, seppur a fatica, nel pathos di Fabrizio Moro, nel pop elettronico di Samuel dei Subsonica, nella dignità di Paola Turci e forse di Ron. Il resto, quasi tutto il resto, è noia e banalità, rap e melodia, facce da talent e morti di fama, cose già sentite. Come sorprendersi allora del fatto che Sanremo valga meno del 2% del mercato discografico. Qui le canzoni sono solo una scusa per mettere in scena l'ennesimo carrozzone nazionalpopolare

mercoledì 8 febbraio 2017

SANREMO / CONTROCANTO 2

Sanremo 2017 ha già tre vincitori, anzi, vincitrici. La prima è Maria De Filippi, nostra signora dell'audience, cui saranno intestati probabili record di ascolti. Poi Fiorella Mannoia, favorita della vigilia alla vittoria finale con il suo ottimistico inno alla vita “Che sia benedetta”. E infine una ragazza delle nostre terre: Lodovica Comello, classe 1990, friulana di San Daniele, carriera lampo grazie al successo internazionale della telenovela “Violetta”, in gara con “Il cielo non mi basta”. Canzone piuttosto debole, per la verità. Cui lei regala quel che può e che non è poco, essendo dotata di voce, presenza e verve. Difficile però, ma nulla è impossibile, che scali la classifica finale. In compenso, la ragazza può vantare già un primo posto, e dunque di fatto una vittoria. Stiamo parlando della classifica dei sanremesi più seguiti sui social. Sommando fan e follower su Facebook, Twitter e Instagram, secondo l’istituto “Reputation Manager” la Comello svetta in testa con oltre sei milioni di seguaci. Staccando fra l’altro di brutto gli inseguitori: Clementino fermo a due milioni di fan, Gigi D’Alessio con un milione e otto, a seguire la Mannoia e Michele Bravi. Con numeri che farebbero la felicità loro e dei discografici, se solo si riferissero ai dischi venduti.

martedì 7 febbraio 2017

SANREMO / CONTROCANTO 1

Alzi la mano chi ricorda nome dell’artista e titolo della canzone che ha vinto Sanremo lo scorso anno. E l’anno prima? E quello prim’ancora? Se siete capaci di rispondere, ovviamente senza ricorrere di soppiatto a Google, allora siete dei veri appassionati, dotati di buona memoria. Sì, perchè del Festival, una volta all’anno, sembrano interessarsi tutti. Moltissimi lo guardano (magari non tutte le sere, non dall’inizio alla fine...), da qualche anno molti lo commentano sui social. Giornali, radio e tv pubbliche e private gli dedicano gran spazio. Quest’anno, poi, con la presenza di Maria De Filippi accanto a Carlo Conti, le copertine di Maurizio Crozza (già La7, prossimamente su Discovery), l’apporto di volti Sky (da Diletta Leotta alla friulana Lodovica Comello in gara), siamo in piena pax televisiva: Mediaset, per esempio, non farà controprogrammazione. E ciononostante, passata la festa, vai col “reset”. Nessuno ricorda nulla, i dischi non vendono, gli artisti al massimo fanno qualche concerto o serata in più. Gli unici che ci guadagnano sempre sono Comune di Sanremo e Rai. Un po’ poco. O no? (Per la cronaca: lo scorso anno hanno vinto gli Stadio con “Un giorno mi dirai”, nel 2015 Il Volo, nel 2014 Arisa. E fermiamoci qui...)

domenica 5 febbraio 2017

ADDIO A ENNIO SANGIUSTO, TRIESTINO A SANREMO 63

C’è un altro triestino - oltre a Teddy Reno, Pilat, Umberto Lupi... - che ha partecipato al Festival di Sanremo. E purtroppo proprio recentemente è scomparso a Milano, dove viveva da tanti anni. Aveva ottantatre anni. Si chiamava Ennio Reggente, in arte Ennio Sangiusto, ovviamente in onore del patrono cittadino. Negli anni Cinquanta comincia come ballerino, prosegue come cantante, entra a Radio Trieste. All’alba dei Sessanta si appassiona al twist, il nuovo ballo che furoreggia anche in Italia. Accennava qualche passo di danza anche davanti al microfono, per questo lo chiamavano “il cantante catapulta”. Nel ’63 va a Sanremo, dove presenta due canzoni: “Le voci”, in coppia con Luciano Tajoli, e “La ballata del pedone”, cantata assieme al Quartetto Radar. «Andò malino - disse tanti anni fa al “Piccolo” -. Anche allora non mancavano le pressioni da parte delle case discografiche. Tajoli andava per la maggiore, ma i discografici credevano più al pezzo che presentava in coppia con Milva. Al nostro brano rimasero le briciole». Ancora Sangiusto: «Anche l’altro pezzo era gradevole, ma non ebbe fortuna. Forse per colpa di qualche accenno polemico nel testo...». «Ero fra i più giovani cantanti in gara - disse quella volta l’artista triestino, cresciuto nel rione di San Giacomo -. Tra i big esisteva una rivalità terribile, ma con noi novellini furono tutti gentilissimi. Ricordo per esempio Consolini, lo stesso Tajoli. Adesso il mondo musicale è trasformato, l’immagine ha preso il sopravvento sulla voce». Parole del ’91, oggi ancor più attuali. Dopo quella partecipazione al Festival, il triestino Reggente ha vissuto per tanti anni in Spagna, poi in Sud America, infine si è stabilito a Milano. Una volta era in giuria al festival della canzone a Vina del mar, in Cile. Gli si avvicina un signore e gli chiede se era davvero triestino come lui. Rassicurato al proposito, gli chiede di cantargli una canzone dialettale. Lui accenna “Trieste mia”, quello scoppia a piangere per l’emozione: mancava dalla città da tanti anni.

BOBBY SOLO, QUEL DEBUTTO SENZA VOCE

«Sono arrivato a Sanremo che non avevo nemmeno compiuto diciannove anni. Sapevo di avere una canzone forte. Ma dire che ero emozionato è dir poco. Mi trovai al fianco di miei idoli come Paul Anka e Gene Pitney, io stesso cantavo in coppia con Frankie Laine. Insomma, come fu e come non fu, venni preso dal panico e la sera della mia esibizione rimasi completamente senza voce...». Bobby Solo, nato a Roma il 18 marzo 1945 ma con genitori e nonni triestini o istriani, alla vigilia del 67.o Festival di Sanremo (da martedì 7 a sabato 11 febbraio, diretta su Raiuno), ricorda quel suo indimenticabile esordio nella città dei fiori nel ’64, con “Una lacrima sul viso”. «Quella del playback - prosegue colui che all’anagrafe è Roberto Satti e che da una decina d’anni vive nella nostra regione, ad Aviano, a due passi da Pordenone - fu dunque una scelta obbligata. Altrimenti avrei dovuto dare forfait. Dissero che fu un espediente per avere un audio perfetto, ma non fu così. Però il regolamento prevedeva l’obbligo di cantare dal vivo. Per questo non vinsi. Quell’anno salì sul gradino più alto un’altra giovanissima, Gigliola Cinquetti, con “Non ho l’età”...». Ma le andò molto bene lo stesso. «Assolutamente sì. Pensi che nel solo giorno dopo l’esibizione la mia casa discografica, la Ricordi, ricevette ordini per trecentomila copie di 45 giri. Vabbè che erano tempi in cui i dischi si vendevano a milionate, ma erano comunque grandi numeri. Anche perchè alla fine “Una lacrima sul viso” vendette due milioni di copie in Italia e undici milioni in tutto il mondo: dalla Francia alla Germania, dalla Spagna al Canada, dal Sud America al Giappone...». E comunque, a Sanremo, lei venne “risarcito” l’anno successivo. «Sì, nel ’65 vinsi con “Se piangi se ridi”. Molti dissero che si trattava appunto di una ricompensa per la mancata vittoria dell’anno precedente: una pratica che, fra l’altro, al Festival è stata adottata varie volte nel corso delle tante edizioni. Ma io trovo che quella canzone fosse comunque bella. E la amo lo stesso». Poi lei vinse anche nel ’69. «Con “Zingara”, in coppia con Iva Zanicchi. Se nelle mie prime due partecipazioni ero arrivato da “absolute beginner”, debuttante privo di esperienza ma con un grande amore per la musica e per il rock’n’roll, quella volta scesi in gara con maggiore consapevolezza, con un pubblico che mi seguiva». Come scoprì il rock’n’roll? «Grazie a una ragazza americana. Vivevo a Roma, avevo quattordici anni e mi ero innamorato della figlia di un giornalista del Daily American. Una biondina che mi aveva fatto perdere la testa e mi parlava sempre di questo Elvis Presley, per me all’epoca un illustre sconosciuto. Era il ’59, per conoscere quello che di lì a poco sarebbe diventato il mio idolo, e avere argomenti di discussione con la mia bella, cercai in giro qualche suo disco e andai a vedere il film “Il delinquente del rock’n’roll” (nella versione originale “Jailhouse rock” - ndr). Non sapevo che Elvis mi avrebbe cambiato la vita». Racconti. «Posso dire che, dopo aver ascoltato e visto Presley, rimasi folgorato. Divenni un suo autentico fan. Cominciai a copiarne le movenze, mi feci crescere il ciuffo, mi dedicai alla studio di quella chitarra che mi ero fatto regalare da mia mamma per il mio compleanno. D’estate venivamo in vacanza a Trieste, ne approfittai per prendere delle lezioni dal maestro Ferrara, che mi sembra lavorasse alla Rai. E a Roma misi su un complessino rock». Trieste? «I miei genitori erano triestini. Papà faceva il pilota di quella che sarebbe diventata l’Alitalia, per questo la famiglia si trasferì prima a Roma e poi a Milano. Ma d’estate tornavamo a trovare i nonni. Ricordo i miei pomeriggi al mare, a Barcola, Grignano, Sistiana. Ricordo perfettamente anche l’odore di cuoio che si avvertiva a casa della nonna, nata a Pola e sepolta a Castelvenere, l’attuale Kastel. La guerra era finita da poco, ognuno si arrangiava come poteva, e lei, nella casa di via Raffineria, vendeva anche scarpe. Era una specie di abitazione-negozio...». Come arrivò a Sanremo? «Nei primi anni Sessanta la mia famiglia si era trasferita a Milano. Conobbi Franz Di Cioccio, poi grande batterista della Premiata Forneria Marconi. Cominciammo a suonare assieme e a sostenere provini e audizioni alla Rai, dove venni bocciato, e nelle varie case discografiche. Alla Ricordi mi fecero un contratto. Era il ’63. Pochi mesi dopo ero al Festival...». Che mondo scoprì? «Quello dello spettacolo era un mondo che mi aveva sempre attratto. Ma ero senza esperienza, avevo fatto pochissima gavetta, e inoltre ero timidissimo. Quando salivo sul palco mi tremavano le mai, ero terrorizzato. Fuori dal palco non riuscivo a comunicare, spesso balbettavo». Chi la aiutò? «Due persone. Vincenzo Micocci, discografico lungimirante, praticamente il mio scopritore. E Mariano Rapetti, il padre di Giulio, il celebre Mogol, che mi spinse a collaborare con il figlio. “Una lacrima sul viso” infatti la scrivemmo assieme, lui il testo e io la musica, anche se non potei firmarla perchè non ero ancora iscritto alla Siae. Micocci e Rapetti senior furono i miei padri musicali». Ora lei vive ad Aviano. «Sì, mia moglie è figlia di un militare americano pensionato, che lavorava alla base di Aviano. Una decina d’anni fa lei ha voluto avvicinarsi ai genitori anziani che sono rimasti a vivere qui e ci siamo trasferiti. Stiamo bene, sono contento. Viviamo nel verde, da casa si vedono le montagne. E comunque, se ho con me le mie diciotto chitarre, più quattro bassi, io sono a casa dappertutto...». Roma le manca? «No, troppo caotica, troppo traffico. E comunque, se devo andarci per lavoro, l’aeroporto di Venezia non è lontano da casa mia». A Trieste torna? «Qualche volta. Sempre splendida. Fine, elegante, romantica. E molto migliorata». Prossimo disco? «Un tributo a Elvis, con le sue canzoni dai film, che sto incidendo a Udine». Chi vince Sanremo? «Spero Al Bano, che è mio coetaneo. Ma il Festival non mi appassiona più. È solo un grande spettacolo televisivo». .