sabato 29 luglio 2017

I PADRONI DEL CALCIO

C’è stato un tempo in cui il gioco del calcio erano ventidue ragazzotti in mutande che correvano dietro a un pallone. Con contorno di arbitro e guardalinee, allenatori, panchine cortissime, tifoserie non troppo esagitate al seguito. Un altro mondo. Oggi l’universo pallonaro vive di esagerazioni, muove proventi miliardari, sposta equilibri politici, a volte influisce sui destini dei popoli. Per i diritti televisivi si scatenano aste stellari. Con quei milioni (e i 500 offerti in Italia da Sky impallidiscono dinanzi ai dieci miliardi incassati dalla Premier inglese per il triennio 2018-2021) si pagano le star globali di quello che una volta era solo uno sport. Quest’estate il Psg pagherebbe una clausola di 222 milioni di euro per strappare Neymar al Barcellona (per il brasiliano pronto un contratto da trenta netti a stagione). Il Real Madrid ne offre al Monaco 160 (più venti di bonus) per il diciannovenne Mbappé. E da noi non si è ancora spenta l’eco della telenovela Donnarumma, conclusasi con una firma da sei milioni di euro netti all’anno (più uno al fratellone) per il diciottenne portiere milanista. Cose che sembrano dell’altro mondo. In quel mondo ha provato a scavare Marco Bellinazzo, napoletano, classe ’74, che ha firmato per Feltrinelli il saggio “I veri padroni del calcio”, sottotitolo “Così il potere e la finanza hanno conquistato il calcio mondiale” (pagg. 252, euro 17). L’autore, giornalista del Sole24ore, aveva già indagato in un precedente volume sulle rivoluzioni industriali che hanno trasformato quello che consideriamo ancora “il gioco più bello del mondo” innanzitutto in un enorme business. Ora passa al livello superiore, cercando di capire chi sono i padroni del calcio, quali logiche guidano le loro decisioni. Per esempio: perché oligarchi russi, emiri e sceicchi, magnati americani e da ultimi i cinesi (nuovi padroni dell’Inter e del Milan) sono partiti da alcuni anni, con rubli, petrodollari e yuan, alla conquista del calcio mondiale? Forse perchè «il calcio - scrive - è diventato elemento essenziale della politica». Ancora: «Il calcio è la nazione più potente che sia mai apparsa nella storia ed è un elemento essenziale della geopolitica, al pari di religione, petrolio, tecnologia e business finanziario». Dinanzi a questo tsunami economico e politico, i vecchi equilibri del calcio mondiale, garantiti da quel potentato europeo rappresentato da Blatter e Platini, a capo rispettivamente di Fifa e Uefa, sono stati spazzati via e attendono ancora di essere ricostituiti. Intanto, la mappa delle prossime edizioni del mondiali di calcio disegna un futuro che forse è già presente: Russia 2018, Qatar 2022, probabilmente Stati Uniti 2026 (Trump permettendo) e Cina 2030, candidatura lanciata con largo anticipo da Xi Jinping. Scrive Bellinazzo: «Il calcio è per molti aspetti un’ideologia. O perlomeno una moderna versione dell’ideologia che racchiude in sé un sempre più definito armamentario culturale, economico, sociale. Se dal calcio non deriveranno mai imperi o rivolgimenti istituzionali, è altrettanto vero che il predominio sul football, nondimeno che il controllo della religione, del petrolio, del web o della finanza, può rivelarsi fondamentale per la formazione degli imperi contemporanei o per dirigere e consolidare regimi». Insomma, fra un gol e l’altro non c’è da stare tranquilli.

venerdì 28 luglio 2017

JOSS STONE STASERA A TARVISIO, NO BORDERS MUSIC FESTIVAL

Torna Joss Stone. Bianca con la voce nera. Ed è una festa vera per tutti quelli che amano le grandi interpreti. Stasera alle 21.15, in piazza Unità a Tarvisio, per No Borders Musical Festival 2017, l’inglesina nata a Dover nell’aprile ’87 (dunque ormai ha trent’anni: non è più la ragazzina che avevamo conosciuto e apprezzato agli esordi...) terrà l’unico concerto italiano dell’attuale tournèe mondiale, quel “Total World Tour” partito nel 2014, con il quale l’artista si è prefissata di suonare in ogni paese del pianeta. Finora ha “timbrato il cartellino” in Sudafrica e in Marocco, in Australia e in Nuova Zelanda, in Giappone e in India, in Cina e a Dubai, in America Latina e in tanti altri posti. Dove ha sempre trovato - nei piccoli club come nei teatri, nei palasport come nelle grandi arene - platee entusiaste per la sua voce graffiante, per il suo fascinoso mix di generi, dal rock al rhythm’n’blues, dal reggae al suo “soul senza confini”. Giusto dunque per una manifestazione che fa della mancanza di confini il suo marchio. A Tarvisio presenterà uno spettacolo ormai ben rodato, basato sui brani del suo recente album “Water for your soul”, pubblicato due anni fa, con la partecipazione di Damian Marley come coproduttore ma anche come artista nel brano “Wake up”, e sui classici della sua ormai più che decennale carriera. Una carriera coi fiocchi, cominciata da ragazzina. Aveva infatti solo tredici anni quando vinse un talent show della Bbc, quindici alla firma del primo contratto discografico, sedici al debutto con l’album “The soul sessions” (2003). Esordio davvero col botto. Per qualità e per quantità. Il disco vendette infatti dodici milioni di copie. E la ragazza ottenne cinque nomination ai Grammy Awards, riconoscimento ottenuto poi (finalmente) nel 2007 nella categoria “Best R&B Performance”. Il successo - anche negli Stati Uniti - proseguì con gli album “Mind, body & soul” (2005) e “Introducing Joss Stone” (2007). Mentre il suo canzoniere si è via via arricchito di perle come “Fell in love with a boy”, “You had me”, “Super duper love”, “Right to be wrong”... Ma Joss Stone è anche una donna e un’artista anticonformista, sensibile alle tematiche sociali, che nei suoi tour in giro per il mondo non perde occasione per lavorare con i musicisti indigeni e le organizzazioni umanitarie locali. Una volta ha raccontato: «A otto anni sognavo di diventare una Spice Girls come tutte le bambine della mia età. Una volta però ho visto alla tv uno spot promozionale di un "Greatest Hits" di Aretha Franklin e sono rimasta fulminata. Mi sono appuntata il nome e da allora non ho mai smesso di considerarla la più grande. Ho una certezza: tutti i bambini dovrebbero essere esposti alla musica di Aretha».

lunedì 24 luglio 2017

LA MUSICA PER GIULIO REGENI / da ART.21

L’altra sera a Cervignano del Friuli, a Onde Mediterranee Festival, nell’edizione 2017 dedicata a Giulio Regeni, è toccato a Max Gazzè e Niccolò Fabi alzare lo striscione giallo assieme ai genitori di Giulio e alla legale della famiglia Alessandra Ballerini. Un mese fa, sempre nel Friuli Venezia Giulia, erano stati il pianista Glauco Venier e il trombettista Paolo Fresu, sempre in presenza dei genitori di Giulio, a dedicare la serata di musica jazz al ricercatore di Fiumicello rapito, torturato e barbaramente ucciso in Egitto un anno e mezzo fa (e in quella occasione ci è toccato persino assistere all’incredibile episodio di un assessore locale che ha abbandonato la platea perchè non era stato preventivamente informato delle intenzioni del musicista…). Ma in tutti questi mesi trascorsi e in questa estate di musica sono stati e sono tantissimi i cantanti, i musicisti, gli artisti che non hanno mai fatto mancare la loro piccola o grande voce per ricordare la tragica vicenda di Giulio Regeni, facendo sentire il proprio appoggio alla meravigliosa battaglia che la sua famiglia continua a portare avanti per chiedere verità, per lui e tutti i Giulio d’Egitto. Da quelli che hanno partecipato al Concertone del Primo Maggio di quest’anno, a quelli dell’anno scorso, quando a pochi mesi dal drammatico epilogo lo sgomento era se possibile ancora più vivo. “C’era un ragazzo di ventotto anni che amava la libertà, si chiama Giulio Regeni, chiediamo giustizia e libertà per quel ragazzo che vive in ognuno di noi”, aveva detto Luca Barbarossa aprendo il concerto. “Non smettiamo di chiedere giustizia per lui e per tutte le persone private dei diritti”. Inutile e forse impossibile fare la lista dei mille e più nomi di artisti che hanno dedicato un pensiero a Giulio e alla sua famiglia, prima o durante i propri concerti. Un segno anche questo di una vicenda che ha toccato profondamente, oltre all’opinione pubblica, anche quel mondo della musica che negli ultimi anni forse sta recuperando quell’attenzione per ideali di giustizia e libertà, quelle speranze di vivere in un mondo migliore che avevano caratterizzato epoche ormai lontane. “La tragedia di Giulio è vera – hanno detto Paola e Claudio Regeni l’altra sera a Cervignano – e noi siamo qui in carne ed ossa per testimoniarla. Il popolo giallo vuole verità e giustizia per Giulio ma anche per tutti i Giuli e le Giulie che nel mondo subiscono quello che ha subito nostro figlio. Continuate a stare al nostro fianco perché abbiamo bisogno di tutti voi”. Un lunghissimo, affettuoso e commosso applauso ha salutato il loro coraggio.

martedì 11 luglio 2017

DOMANI A TS "NOVE GIORNI AL CAIRO", #VERITAPERGIULIOREGENI

Domani mercoledì alle 18, al Circolo della Stampa di Trieste, verrà presentato il docufilm "Nove giorni al Cairo", di Carlo Bonini e Giuliano Foschini. Nove interminabili giorni il tempo trascorso dalla scomparsa di Giulio Regeni, avvenuta il 25 gennaio 2016, e il ritrovamento del suo cadavere, avvenuto il 3 febbraio dello stesso anno: i giornalisti di Repubblica Carlo Bonini e Giuliano Foschini ricostruiscono questo tempo in un docufilm, che in 52 minuti attraverso immagini e testimonianze cerca di spiegare perché e come Giulio ha trovato la morte e una morte così brutale. Un percorso fatto di silenzi, inerzie, misteri, a causa dei quali a 17 mesi di distanza siamo ancora orfani di verità e giustizia. Questo è il motivo per cui, in occasione del Vertice sui Balcani Occidentali in programma a Trieste mercoledì 12 luglio, l’associazione Articolo 21 Fvg, sin dall’inizio a fianco della famiglia Regeni, proporrà una proiezione pubblica alle ore 18 al Circolo della Stampa (corso Italia 13) per continuare a chiedere #veritapergiulioregeni. L’iniziativa è patrocinata dall’Ordine dei Giornalisti e dall’Assostampa del Friuli Venezia Giulia. Ingresso libero fino a esaurimento posti a sedere.

mercoledì 5 luglio 2017

da NEWSLETTER ORDINE GIORNALISTI FVG

SOLDI PUBBLICI PER I PREPENSIONAMENTI MANCANO QUELLI PER CREARE NUOVO LAVORO di Carlo Muscatello* Da anni il sindacato unitario dei giornalisti italiani chiede al governo innanzitutto una cosa: che i fondi pubblici per l'editoria siano destinati alla creazione di nuova occupazione. La stessa richiesta portata al tavolo di un difficile rinnovo contrattuale. Senza la ripresa dell'occupazione, dopo anni di forte perdita di posti di lavoro, non c'è infatti futuro per il settore. Ebbene, i fondi pubblici sono arrivati, stanno arrivando, sono tanti, ma sono tutti soldi che il governo mette a disposizione delle aziende per ultimare i propri piani di riorganizzazione e ristrutturazione. Per far uscire insomma dalle redazioni, prepensionandoli, giornalisti attorno ai sessant'anni, senza creare nuovi posti di lavoro. La situazione nel Friuli Venezia Giulia sconta le stesse criticità del panorama nazionale: editori che puntano solo a ridurre i costi e a tagliare, senza pensare allo sviluppo e agli investimenti per il lavoro, soldi pubblici che permettono alle aziende di tagliare i costi senza creare lavoro.Prepensionamenti dunque anche al “Piccolo” di Trieste, che in pochi anni ha visto ridotti di un terzo la propria redazione e di pari passo le copie vendute. In questi mesi usciranno altri sei colleghi, ne entreranno soltanto due (per obbligo di legge), che saranno i primi assunti del quotidiano triestino non per via giudiziaria da diversi anni a questa parte (le ultime quattro assunzioni sono infatti seguite a cause di lavoro). Anche nei recenti decreti attuativi della riforma dell’editoria se c'è un grande assente questo è il lavoro. La legge non affronta alcuni punti fondamentali per la categoria, a partire dall’accesso alla professione. Ci sono dei passi in avanti, come legare i finanziamenti al rispetto degli obblighi contrattuali, o l’eliminazione della cosiddetta “crisi prospettica” per poter accedere agli ammortizzatori sociali, principio che nel passato può aver generato eccessi o abusi. Gli editori utilizzano in maniera impropria contratti atipici e partite iva per sfruttare il lavoro dei collaboratori e far passare per lavoro autonomo quello che in realtà è lavoro subordinato. Finché un collega si stufa di aspettare, fa causa e la vince... Sappiamo bene che un’informazione precaria è un’informazione meno autorevole e meno autonoma. E sappiamo altrettanto bene che il futuro dell’informazione nel nostro Paese non può passare solo da tagli, pensionamenti anticipati e lavoro precario. I giornalisti hanno fatto la propria parte, sappiamo che il periodo è difficile, ma un’informazione di qualità passa per investimenti, formazione, colleghi preparati: aspettiamo che governo e aziende facciano la loro parte. *presidente Assostampa Friuli Venezia Giulia, componente giunta Fnsi

lunedì 3 luglio 2017

C'ERANO UNA VOLTA I TORMENTONI ESTIVI / ROVAZZI MORANDI / Art21

di Carlo Muscatello C'erano una volta i tormentoni estivi: ogni stagione calda aveva la "sua" canzone, quella che sentivi ovunque, quella che ricordava i mesi al mare anche a inverno ormai inoltrato. Ora dicono che i tormentoni non ci sono più. Meglio: stante la frammentazione del gusto, ne esistono tanti, ogni estate ha tante canzoni che si dividono i favori del pubblico. Col risultato che non esiste più "la" canzone legata a ogni singola stagione calda. Eppure, l'estate 2017 ha già il suo primo tormentone. Che è ancora nel segno di Fabio Rovazzi, il cantante che l’estate scorsa ha sbancato tutto e tutti con “Andiamo a comandare”, prima di fare il bis pochi mesi dopo con “Tutto molto interessante”. Stavolta il ventitreenne cantante di Lambrate ha coinvolto nell’operazione nientemeno che Gianni Morandi, classe 1944, un’icona della musica italiana. “Soltanto” mezzo secolo di differenza di età fra i due, ma nel video di “Volare” - questo il titolo del brano che tiene a battesimo l’improbabile ma riuscitissima accoppiata - la differenza non si nota. Grazie soprattutto all’ironia e all’autoironia dell’eterno ragazzo di Monghidoro, disposto a mettersi e rimettersi continuamente in gioco. La storia raccontata nel video è presto detta. Rovazzi va a fare visita in ospedale a Maccio Capatonda (comico e regista molto amato sul web), che in punto di morte gli rivela che la gente ormai lo odia per il suo successo. L’unico modo per uscire da questa sgradevole situazione è fare un video con l’unica persona a suo avviso non odiabile: Morandi, appunto. Ma l’eterno ragazzo non ci sta e allora Rovazzi rapisce sua moglie Anna (che nel video interpreta se stessa): la libererà soltanto in cambio del sospirato sì al video. La finzione s’intreccia dunque con la finzione, in un continuo gioco di rimandi, citazioni e ribaltamenti di ruoli, sempre all’insegna dell’ironia. Con Morandi che ripete più volte: «Ma questi giovani di oggi no, io ti giuro mai li capirò...». Alla fine Anna viene finalmente liberata, ma nell’ultima immagine rivela al marito di aver organizzato tutto lei, per farlo finalmente uscire, perchè «stai sempre su facebook...». Una sciocchezza? Assolutamente sì, ma funziona, diverte, rimane subito in testa. E la cosa è dimostrata dai quasi cinquanta milioni di visualizzazioni del video (ormai il successo di un brano si misura così...) in poche settimane dalla pubblicazione. Fra gli ospiti della ragazzata, anche Fedez, Frank Matano, la friulana Lodovica Comello e lo storico capitano dell’Inter Javier Zanetti. Com’è nata la strana accoppiata? Lo rivela lo stesso Rovazzi: «Era da tempo che volevo fare un “featuring” con Morandi, con il quale ci eravamo già “annusati” sui social. Lui è perfetto perché è l’unico della sua generazione che sui social è attivo. Gli ho cucito addosso un video sartoriale...». Morandi: «Rovazzi mi diverte. Sì, è una cosa molto diversa da quello che faccio di solito, ma a me piace sperimentare sempre qualcosa di nuovo. Io mi sono divertito molto. E mi sembra si stiano divertendo anche gli altri...».