martedì 27 aprile 2010

NAZZARENO CARUSI
Dalla cattedra al conservatorio Tartini al palcoscenico televisivo di ”Zelig”. È l’inabituale percorso compiuto dal pianista Nazzareno Carusi, abruzzese di Celano (provincia dell’Aquila), dal ’97 titolare della cattedra di musica da camera al conservatorio triestino. Dal quale manca però da due anni, essendo in aspettativa proprio per vivere appieno questa esperienza di musicista classico nel mondo dello spettacolo leggero.
«Tutto è cominciato - spiega Carusi, classe ’68 - da un incontro casuale con Mauro Crippa, direttore generale dell’informazione Mediaset. Era molto interessato al discorso della divulgazione musicale e abbiamo pensato di fare qualcosa assieme. Prima sono stato ospite di Claudio Bisio a ”Zelig”: una gag con il conduttore che è sfociata nella mia esecuzione al pianoforte di una sonata di Scarlatti. Poi mi è stata affidata la sigla finale di ”Lucignolo”: ho scelto il ”Chiaro di luna” di Beethoven. Poi, assieme a Claudio Brachino di Videonews, abbiamo ideato delle ”pillole” di musica classica da inserire nel programma ”Mattino 5”, su Canale 5. Abbiamo cominciato l’anno scorso e la collaborazione continua».
Sì, perché nel frattempo Nazzareno Carusi ha firmato un contratto artistico di esclusiva con le reti Mediaset. Pare sia la prima volta che una tivù commerciale metta sotto contratto un pianista di musica classica. E Fedele Confalonieri in persona (pianista lui stesso), nel libretto del cofanetto ”Nazzareno Carusi Live”, recentemente pubblicato dalla Emi, lo definisce «un pianista singolare, lontano da ogni strada tracciata, di idee e forza comunicativa enormi».
«Il cofanetto - spiega l’artista - comprende tre cd registrati dal vivo. Il primo a Chicago, piano solo, dedicato a Scarlatti. Il secondo alla Scala di Milano, musica da camera, Mozart e Schumann. Il terzo a Buenos Aires, dedicato ai ”Quadri a un’esposizione” di Mussorgskij. Ricordo che dopo quel concerto mi fecero particolare piacere i complimenti di uno spettatore, che di quell’opera conosceva solo la versione pop di Emerson Lake and Palmer...».
E della contaminazione fra generi cosa pensa? «Se è accostamento, magari fatto da grandi artisti, va bene. Se diventa perdita di identità, no».
Pavarotti e Bocelli? «Utili per accendere i riflettori sulla musica classica, in passato troppo arroccata su una torre d’avorio. Io sono soddisfatto perché sto contribuendo a portare la classica al grande pubblico, nel contenitore televisivo per eccellenza. Si tratta di un’opera di divulgazione senza approfondimento».
Giovanni Allevi? «Tanti ragazzi si sono avvicinati al pianoforte grazie a lui, dunque va bene. Non è uno scandalo che uno componga e suoni la sua musica e abbia anche successo. Se poi è il nuovo Mozart, beh, questo lasciamolo giudicare alla storia...».
Tornerà al Tartini? «Certo, il rapporto con i ragazzi mi manca. E poi il conservatorio triestino è sempre stato all’avanguardia. Questa che sto vivendo è una parentesi per conoscere un altro mondo».

lunedì 19 aprile 2010

ELISA A TRIESTE
L’aveva detto pochi giorni fa, nell’intervista al nostro giornale, che avrebbe portato molto volentieri il suo nuovo spettacolo anche a Trieste. Chissà, forse qualche uccellino le aveva già fatto sapere che i contatti fra la sua agenzia e gli organizzatori locali erano a buon punto. Sì, perchè ieri è arrivata la conferma ufficiale: Elisa sarà in concerto in piazza Unità sabato 17 luglio, nell’ambito di ”Serestate”, la rassegna di spettacoli organizzata dal Comune di Trieste.
Per la trentaduenne popstar monfalconese si tratta di un grande momento. La nascita della figlia Emma Cecile («nata il 22 ottobre - ci aveva detto - dopo quarantuno, interminabili ore di travaglio...»), l’uscita a novembre dell’album ”Heart”, il disco forse più rock della sua giovane ma già importante carriera, premiato dalla critica e dal pubblico. Poi la partecipazione a Sanremo come ospite (col duetto capolavoro con Fiorella Mannoia in ”Almeno tu nell’universo”) e pochi giorni fa, finalmente, la partenza del tour ”Heart Alive”: anteprima a Conegliano, debutto nazionale a Roma.
Nella capitale, la piccola grande Elisa Toffoli ha fatto faville: musica, danza, poesia, arte visiva, video, ballerini/acrobati, sculture, maschere, mani che disegnano sulla sabbia, acquarelli che creano disegni infantili. Ma anche tanti ospiti-amici che hanno voluto essere presenti: da Fiorello (che ha ricordato l’esordio dell’allora ragazzina in un ”Karaoke” televisivo di tanti anni fa) a Giuliano Sangiorgi (con cui ha duettato nell’ultimo disco), da Paola Cortellesi a Giorgia (con cui ha ”duettato” in sala parto, nel senso che sono diventate mamme quasi in contemporanea...).
Rispetto al precedente ”Mechanical Dream”, lo spettacolo e il tour precedente, stavolta la sensazione è che l’artista punti più in alto. «Per ”Heart Alive”- spiega - abbiamo cercato anche suggestioni date dalla scultura e la pittura, con in testa anche il sapore della magia e l'illusione naive del teatrino di strada. In questo show riporto in luce cose che mi appartengono da sempre, ma che forse non avevo ancora condiviso pienamente con il mio pubblico».
Ancora Elisa: «Da piccola spesso assistevo alle prove degli spettacoli di moda e hairstyling creati da un gruppo di parrucchieri, tra cui c'era mia madre. Mi inserivano nelle coreografie e facevo le imitazioni di star come Liza Minnelli, Madonna e Michael Jackson. Questo mi ha dato libertà e fantasia, forse per questo il palco è un luogo amico e familiare, pur essendo stata timida in molti altri contesti apparentemente meno paurosi. Ho sentito il bisogno e la voglia di tirar fuori quel tipo di energia istintiva ed esplosiva e il fatto di avere una bambina piccola forse in qualche modo mi fa anche tornare indietro ed essere più sperimentale».
In scaletta, oltre alle canzoni di ”Heart”, alcune cover: ”Mad word” dei Tears for Fears, ”Eleanor Rigby” dei Beatles,”Pour que l'amour me quitte” della francese Camille. La band è la solita, collaudatissima, con Andrea Rigonat (papà di Emma Cecile) alle chitarre.
Il tour sarà il 7 maggio a Padova. Poi, dopo tante date su e giù per la penisola, il 17 luglio a Trieste. Un mese dopo l’appuntamento con Fiorello il 18 giugno allo Stadio Rocco. Per ora le punte di diamante dell’estate musicale cittadina 2010.

domenica 18 aprile 2010

DISCHI / BAUSTELLE
Questo mondo fa schifo, cambiarlo è pia illusione, l’unica ricetta per sopravvivere è guardare alle cose con distacco, disincanto, estraniandosi dalla realtà circostante. Quasi come dei moderni mistici. Sembra questa la ”ricetta” dei Baustelle, sontuoso trio di Montepulciano che gravita attorno alla geniale figura di Francesco Bianconi, arrivato al quinto album con ”I mistici dell'Occidente” (Warner). Difficile e colto fin dal titolo, citazione di un libro di Elémire Zolla. Ma di livello qualitativo una buona spanna sopra la media.
«Il titolo - spiega Bianconi, che ha firmato la ”Cometa di Halley” con cui Irene Grandi meritava di vincere Sanremo - sembra un gioco a carte scoperte su un mondo magico e surreale, con venature oscure e misteriose. Zolla era un conoscitore di dottrine esoteriche e uno studioso di mistica occidentale e orientale, morto nel 2002 proprio a Montepulciano. Quel libro è un’interpretazione di tutta l’esperienza mistica dell’Occidente, che parte dal paganesimo e, passando dal rigore dei primi ordini monastici, arriva fino alla passione francescana e ai grandi mistici dell’età moderna. Zolla è stato ritenuto da sempre un intellettuale scomodo e anticonformista per il suo sottrarsi all’impegno sociale a causa di una rassegnazione totale nei confronti della cultura occidentale, trovando invece nuova linfa vitale nell’esplorazione dell’ignoto».
Mamma mia, che discorsi seri per una rock band. Che però, fra citazioni colte e pop, fra chitarre e batterie, fra canzone d'autore e rock, si conferma con questo album - che arriva a due anni da ”Amen”, dove c’erano ”Colombo” e ”Charlie fa surf”, e a cinque da ”La malavita” - come il miglior gruppo italiano da diversi anni a questa parte.
Si parte con un brano per buona parte strumentale, "L'indaco": quasi una canzone di chiesa, con un duetto fra Bianconi e la splendida voce di Rachele Bastreghi (il terzo della band, quello più in ombra, è Claudio Brasini). E subito dopo, giusto per restare in tema, arriva "San Francesco": «Soffio dentro i maestrali, San Francesco fra i maiali, sono in pasto ai cimiteri...». E poi ancora il brano che dà il titolo all’album («Ci salveremo disprezzando la realtà e questo branco di coglioni sparirà...»), che sembra stare nei dintorni del miglior De Andrè degli ultimi tempi.
Fra gli altri titoli: ”Le rane” (un gioiellino), ”Gli spietati” (che ha anticipato l’album: «Vivere così, senza pietà, senza chiedersi perchè... Non avere alcuna proprietà, rinnegare l’anima...»), ”Follonica”, ”La canzone della rivoluzione”, ”Groupies”, ”L’estate enigmistica”... Produzione dello stesso Bianconi con Pat McCarthy, uno che ha lavorato con U2, Rem, Waterboys.
I testi sono più intimisti rispetto al passato. L’impressione è che Bianconi e compagni stavolta trascurino (di proposito) il mondo esterno, per provare a pensare, a ragionare alla maniera dei mistici. Non necessariamente religiosi, ma con un certo distacco, addirittura un disprezzo nei confronti della realtà circostante. Il fine è nobile: salvarsi la vita. Come dar loro torto? Forza Baustelle...!

MIGUEL BOSE'
Torna Miguel Bosè. Tre anni fa l’ottimo ”Papito” (oltre due milioni e mezzo di dischi venduti), per ammissione dell'artista mezzo spagnolo e mezzo italiano, chiudeva una fase della sua carriera lunga trent’anni. E permetteva anche al pubblico di casa nostra di apprezzare la crescita artistica del figlio di Lucia Bosè e del torero Dominquin. Ora una nuova partenza con questo ”Cardio”: tredici brani, tra i quali la versione in italiano di ”Por ti (Per te)” adattata da Lorenzo Cherubini, che spaziano dalla storia del concerto ”Paz sin fronteras” di Cuba (”Jùrame”), all'invenzione di un linguaggio di un immigrato (”A mì me da igual”), alla relazione tra ”uomini-cane” e ”donne-cane”, ovvero tra coloro si rassegnano a essere considerati come strumenti di compagnia (”El Perro”), alla dieta ayurvedica seguita «per entrare - scherza Miguel - nella copertina del nuovo disco» (”Ayurvedico”), fino ai fanatismi religiosi denunciati in un brano claustrofobico ispirato alla crisi di fede di un membro dell'Opus Dei e alle letture originali dell'amore e declinazioni (”Dame argumentos”, la citata ”Por ti”). Il tutto condito dai ritmi di un pop scarno ed essenziale, in linea con le regole del linguaggio contemporaneo. Più che una scelta, quasi una missione, una meta voluta e cercata per liberarsi dai «discorsi in forma barocca»: «Col tempo - spiega Bosè - si cerca di fare le cose con semplicità perchè la sintesi è l'esercizio più difficile. Si scopre che così si lascia più libero il discorso che viaggia più veloce». Ne esce fuori un album che l'artista definisce «sfacciato, irriverente, divertente, che mette di buon umore». Lo porterà in giro per il mondo dal 5 maggio: America Latina, Stati Uniti, naturalmente Spagna e forse anche un salto in Italia, dove ha già fatto una capatina per la promozione televisiva. Dieci delle tredici canzoni saranno riproposte dal vivo, accanto a «una grandissima parte di successi e due perle che ho voluto recuperare».

PIEDAVIDE CARONE
”Amici” - assieme a ”X Factor” - rappresenta ormai il serbatoio a cui attinge a piene mani l’agonizzante discografia di casa nostra. Quest’anno, più della vincitrice Emma, il talento più puro ci sembra il cantautore Pierdavide Carone, ventunenne, romano di nascita e pugliese d’adozione. Al talent show condotto da Maria De Filippi è arrivato terzo, vincendo però il premio della critica, ma si è già tolto la soddisfazione di vincere il Festival di Sanremo come autore: sua infatti ”Per tutte le volte che”, che è valsa la vittoria all’altro prodotto di ”Amici” Valerio Scanu. L’album (già primo in classifica, davanti alle ”colleghe” Emma e Loredana) ci fa scoprire un giovane autore promettente e originale, che alcuni hanno paragonato a Rino Gaetano. «Ho quasi sessanta canzoni nel cassetto. Mi piacerebbe molto scrivere per Fiorella Mannoia (con cui ha duettato in semifinale - ndr), ma anche per Antonella Ruggiero. Ma il mio sogno sarebbe scrivere per Mina». La sua canzone più bella è ”Di notte”. La più originale ”La ballata dell’ospedale”.

LOREDANA ERRORE
L’altro vero talento dell’edizione di quest’anno di ”Amici” è Loredana Errore, seconda classificata. Nata a Bucarest nel 1984, adottata in un orfanotrofio romeno da una famiglia italiana di Agrigento, la ragazza spiccava fra i debuttanti allevati da Maria De Filippi per la sua vocalità originale e mai scontata. ”Ragazza occhi cielo” è il suo primo album, è già ai vertici delle classifiche di vendita, e comprende ben tre canzoni (fra cui quella del titolo) firmate da Biagio Antonacci, che si è subito accorto delle sue potenzialità. E ha saputo calarsi nella sua storia: «Io non ho mai dimenticato quello che ho fatto da me, lascerò questo triste porto, e porto via dolori da qui. Io non ho mai cancellato il dolore che ho dentro da un po’, non c’è riposo mio migliore, e riposo del dopo viaggiare con me...». Grazie al talent show di Canale 5, dice, «ho ritrovato me stessa, portando avanti un sogno che avevo da dieci anni. Ma sognare non basta». Loredana ammira Mia Martini, Mina e Amy Winehouse.

mercoledì 14 aprile 2010

LIGABUE AL CINEMA


Oltre cento sale cinematografiche trasmettono stasera alle 21, in contemporanea via satellite, il concerto di Ligabue ”Olimpico 2008”. Da Roma a Milano, da Bari a Bologna, da Torino a Cagliari, da Perugia a Catanzaro, da Firenze a Napoli, da Catania a Trieste (Cinecity delle Torri d’Europa - info 040-6726800 o www.cinecity.it). E nel Friuli Venezia Giulia anche nelle multisale di Fiume Veneto (Pordenone) e Pradamano (Udine).

Cinquantamila spettatori distribuiti su tutto il territorio nazionale. Un’unica platea per quello che è già stato definito il ”Ligabue Day”, tutti assieme a vedere il concerto che il rocker di Correggio ha tenuto allo Stadio Olimpico di Roma il 18 luglio di due anni fa (regia di Christian Biondani), con l’aggiunta dell’anteprima di ”Un colpo all’anima”, suo nuovo singolo che le radio programmeranno a partire da domani e che anticipa l’album in uscita il 7 maggio.

La visione (produzione Nexo Digital, in proiezione digitale 2K e audio Dolby Digital 5.1), sarà preceduta da una presentazione in video dagli studi di Correggio del ”Liga”, primo italiano a sfruttare questa nuova opportunità che la tecnologia offre alla fruizione musicale.

Se il supporto discografico ormai sembra in via di estinzione (in capitali come Londra e New York è ormai difficile trovare negozi di dischi tradizionali: tutto viaggia on line...), anche l’evento dal vivo fa le prove generali per trasformarsi in qualcosa di diverso, di virtuale.

Domani probabilmente sarà possibile assistere in diretta a concerti rock (ma anche eventi sportivi, opere liriche, rappresentazioni teatrali...) nel relax dei migliori cinema della propria città. A un prezzo contenuto e senza sobbarcarsi faticose trasferte. Certo, manca la magia dello ”stare tutti assieme una notte in uno stadio”, ma il pubblico della musica ormai - oltre che cresciuto - è diversificato, e non tutti hanno l’età e la voglia di sobbarcarsi viaggi, file, scomodità, costi dei biglietti spesso altissimi e quant’altro solo per poter dire ”io c’ero”.

«Il nostro progetto - dice Franco Di Sarro, amministratore delegato di Nexo Digital, azienda leader nel settore cinematografico, che stavolta si propone in veste di editore e distributore di contenuti - prende spunto dalla rivoluzione tecnologica in atto. Nexo Legend prevede la proiezione, da giugno, una o due volte alla settimana, di ottanta capolavori della storia del cinema, molti ormai introvabili. Alcuni sono stati restaurati, altri rimasterizzati».

Nexo Live prevede diverse linee editoriali: una rivolta ai concerti pop e rock, l'altra al jazz. È stato siglato un accordo con il Blue Note di Milano, che sarà il ”centro di produzione” delle riprese dei concerti dei più grandi del jazz, in diretta satellitare in tutta Italia. Ma domani si potrebbero vedere al cinema eventi come la finale del festival di Sanremo, di Amici e di X Factor.

Ma torniamo a Ligabue. Cresce anche l'attesa per il tour negli stadi che il rocker neocinquantenne (ha girato la boa del mezzo secolo il 13 marzo) terrà quest’estate. Le tappe: 9 luglio a Roma, ancora allo Stadio Olimpico; 13 luglio a Firenze, allo Stadio Franchi; 16 luglio a Milano, allo Stadio San Siro; 20 luglio a Padova, allo Stadio Euganeo (la tappa per ora più vicina alla nostra zona); 24 luglio a Messina, allo Stadio San Filippo.

L’attesa come si diceva è molto alta. Basti pensare che due settimane fa, quand’è stato annunciato il tour, in 48 ore sono stati venduti più di centolima biglietti. E che per far fronte alle tante richieste, gli organizzatori stanno pensando di aggiungere altre date che verranno comunicate quanto prima. Per quanto riguarda invece il nuovo album, va segnalato che arriva invece a cinque anni di distanza dalla pubblicazione del suo ultimo album di inediti, che era ”Nome e cognome”, e nel ventennale dell’album di esordio, che s’intitolava semplicemente ”Ligabue” e che impose l’artista allora trentenne come una nuova, splendida realtà del rock di casa nostra.

martedì 13 aprile 2010

 


MANNOIA


 

Il primo applauso a scena aperta, ieri sera al Rossetti, una nerovestita Fiorella Mannoia l’ha incassato dopo un quarto d’ora. ”Le tue parole fanno male” di Cesare Cremonini, ”Cercami” di Renato Zero e ”Ho imparato a sognare” dei Negrita erano solo l’aperitivo. Ma quando è arrivata una versione straniata e straniante di ”Sally”, quasi jazzata, assolutamente da antologia, che forse neanche Vasco quando l’ha scritta e mille volte cantata se l’era mai immaginata così bella, beh, l’applauso è partito forte e spontaneo. E meritato.

Dicono che la signora dalla folta criniera rossa sia il controcanto femminile di una canzone d’autore storicamente declinata al maschile. Rivederla in concerto nel teatro triestino, dove mancava da tre anni, e dove un migliaio abbondante di fan vecchi e nuovi l’ha a lungo festeggiata, ci ha convinti anche di un’altra cosa: Fiorella, protagonista da tre decenni della nostra scena musicale, rappresenta oggi in Italia la quintessenza dell’interprete.

In un mondo di cantautori, nel quale anche chi non lo è cede prima o poi alla tentazione di cimentarsi nella scrittura, lei esalta il ruolo di chi ci mette la voce, ma anche il viso, il corpo, la gestualità, se vogliamo l’anima, per dar vita a parole, versi, storie scritti da altri.

Quasi come un attore che si cala nel personaggio che deve interpretare al cinema o a teatro, lei ha la capacità di far vivere le parole e i versi e le storie trasmettendo sempre emozioni al pubblico, che infatti la segue e la stima per questo. Non è una cosa da poco. E soprattutto non è una cosa di cui sono capaci in tanti.

Ieri sera, nella tappa regionale di questo suo ”Acoustic Tour” partito a fine marzo dal Teatro Regio di Parma, l’artista ha riletto quasi tutte le sue canzoni storiche perlappunto in versione acustica, accompagnata dalla nuova band (con il triestino Fabio Valdemarin al pianoforte) e da un quartetto d'archi.

Canzoni vecchie e nuove (quelle tratte dal recente ”Ho imparato a sognare”, uscito nel novembre scorso, come ”L’amore si odia” del duetto con la Noemi conosciuta a ”X Factor”) vengono quasi spogliate dei propri abiti e proposte nella loro nuda essenzialità. Risultando spesso più efficaci che nelle versioni a cui il pubblico era abituato.

La fossatiana ”Luna spina”, la classicissima ”I dubbi dell’amore” di Ruggeri, ”Sempre per sempre” di De Gregori sono solo alcuni dei brani che guadagnano da questo approccio arrangiativo minimalista. Ma l’interprete romana di nascita e milanese d’adozione è capace anche di sorprendere. Per esempio quando reinventa ”Una giornata uggiosa” di Mogol Battisti, quando si propone in versione no global con ”Clandestino” di Manu Chao, persino quando estrae il meglio dall’”Estate” dei Negramaro.

Ascoltarla dà una sensazione di leggerezza, quella leggerezza che la signora forse ha appreso dai brasiliani (Chico Buarque de Hollanda in primis: e anche ieri sera non poteva mancare la sua ”Oh che sarà”) con cui ha collaborato.

A tratti si ha come l’impressione che metta in scena l’orgoglio femminile, la voglia di autonomia, la necessità di riscatto presente oggi in tanta parte di quella che un tempo veniva chiamata l’altra metà del cielo. La qualità, la coerenza, una credibilità conquistata sul campo fanno il resto.

A Trieste, successo calorosissimo, con finale di altri classici (fra cui ”I treni a vapore”), di bis (la contiana ”Via con me”, ”Quello che le donne non dicono” cantata in coro, ”Il cielo d’Irlanda”) e di tutto il resto. Che con Fiorella Mannoia in scena non è mai poco.




MALCOLM McLAREN +


Non ci sarebbe stato il punk, senza i Sex Pistols. E non sarebbe mai esistita la band ”brutta sporca e cattiva” di Sid Vicious e Johnny Rotten, senza Malcolm McLaren, morto l’altro ieri nella sua casa di New York secondo alcuni, in un ospedale svizzero a sentir altri. Di certo aveva sessantaquattro anni, e da tempo era malato di cancro.

Dei Sex Pistols, McLaren non è stato solo il manager. Piuttosto l’inventore, l’agitatore culturale, lo stratega. Infanzia difficile, padre che abbandona la madre, figlio che viene cresciuto dalla nonna. Dopo gli studi in varie scuole d'arte, comincia a disegnare vestiti con la sua ragazza, una certa Vivienne Westwood.

Con la futura stilista fa un figlio nel ’67 (Joseph) e apre un negozio sulla celebre King’s Road, a Londra, nei primi anni Settanta. Lì, da ”Let it rock”, ci sono abiti e gadget per rocchettari d’ogni risma. Il negozio (ribattezzato successivamente ”Too fast to live”, poi ”Too young to die” e infine - nel ’74, di ritorno da un viaggio a New York - semplicemente ”Sex”) diviene la culla della rivoluzione punk e il ritrovo dei suoi primi adepti, fra magliette strappate, spilloni e abiti sadomaso.

Con quell’aggettivo che significa ”di scarsa qualità”, ”da due soldi”, viene identificata una musica rozza, rumorosa, poco complessa e diretta, che ogni ragazzo può suonare paradossalmente senza nemmeno avere cognizioni musicali. Quasi una risposta al ridondante progressive dei primi anni Settanta. Del punk i Sex Pistols sono i pionieri.

Prima di loro, McLaren aveva ”curato” le New York Dolls, ma l’impresa fu un fiasco e il gruppo si sciolse. Con la band di Sid Vicious (subentrato a Glen Matlock) e John Lydon (ribattezzato Johnny Rotten, ovvero ”il marcio”), che inizialmente si chiamava The Strand, le cose vanno diversamente. Messa al bando dalla Bbc, la trasgressiva e irrispettosa ”God save the queen” nel ’77 conquista i vertici delle classifiche durante il venticinquesimo anniversario dell'incoronazione della regina Elisabetta. Per l’occasione McLaren organizza un concerto della band su una barca sul Tamigi, davanti al palazzo del Parlamento. La barca viene fermata dalla polizia, il manager viene arrestato e tutto finisce in pubblicità gratuita.

I Sex Pistols durano poco. Sid Vicious morì suicida a ventun anni per un overdose di eroina. Il film ”The great rock'n'roll swindle”, la grande truffa del rock’nroll, diretto da Julien Temple, raccontò tutta la storia di McLaren e della band. Un capitolo della più grande storia del rock.

John Lydon: «Per me lui è sempre stato il divertimento. Sopra ogni cosa lui era un uomo di spettacolo. Mi mancherà, e anche a voi».

Vivienne Westwood: «Era una persona carismatica, speciale e di talento. Quando eravamo giovani e ci innamorammo, pensai che fosse una persona meravigliosa, e lo penso ancora».

Il suo agente: «Sarà sepolto a Londra, nello storico cimitero di Highgate di North London, non lontano da dove era nato...».




EDMONDO BERSELLI +


Edmondo Berselli non ce l’ha fatta. Il giornalista e scrittore è morto ieri all’ospedale di Modena, dov’era ricoverato da una settimana. Da un anno lottava contro il cancro. Era nato il 2 febbraio del ’51 a Campogalliano, in provincia di Modena. Giornalista e scrittore, si è occupato negli anni di politica, cultura, sport, televisione, gastronomia. Affermandosi come un attento osservatore della società italiana e come una delle voci più lucide ed eclettiche del nostro panorama politico e culturale.

Proveniente da una famiglia cattolica, nel ’76 comincia come correttore di bozze alla casa editrice Il Mulino, di cui diventa anni dopo direttore editoriale, prima di passare alla direzione dell’omonima rivista. Lì, in quel laboratorio culturale bolognese, nasce anche l’amicizia con Romano Prodi.

La carriera giornalistica vera e propria comincia invece negli anni Ottanta alla Gazzetta di Modena e al Resto del Carlino. Poi scrive tra l'altro per Il Sole 24 ore, Il Messaggero e La Stampa. Attualmente era editorialista dell’Espresso e di Repubblica.

Il debutto come saggista è del ’95, quando pubblica due libri: il volume di saggi ”L’Italia che non muore” e ”Il più mancino dei tiri”, sorta di saggio sull’eccentricità dedicato al calciatore dell'Inter Mariolino Corso, ripubblicato di recente.

In questi quindici anni, sempre in bilico fra inchiesta sociologica e reportage di costume, Berselli firma inoltre ”Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio”, ”Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe", ”Adulti con riserva” (il racconto di «com'era allegra l'Italia prima del ’68», con gli occhi di un ragazzo nato negli anni Cinquanta), ma anche ”Canzoni” e ”Sarà una bella società”, opera teatrale sugli anni Cinquanta e Sessanta, affidata alla voce di Shel Shapiro, già cantante dei Rokes. Tributo a un’altra delle sue grandi passioni: la musica.

I suoi ultimi lavori sono ”Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica”, uscito nel 2008, dopo la sconfitta del Partito Democratico alle ultime elezioni politiche, e nell’autunno scorso "Liù. Biografia morale di un cane". Qui, «approfittando di un periodo di attività solo parziale» (causato dalla malattia che ce l’ha portato via), guarda alla vita e all’Italia di oggi attraverso gli occhi della sua labrador di pelo nero. La politica, l’ideologia, forse anche le grandi speranze di un domani migliore sono messe da parte: rimane l’attenzione forse inedita e tutta particolare alla quotidianità, agli affetti, alle cose di tutti i giorni. Alternando la sfera privata a riflessioni sulla politica e su questa scassatissima Italia di inizio millennio.

Scrive Berselli: «Purtroppo, l’Italia di sinistra, scomparso il gran partito dei lavoratori, e sprofondata l’Atlantide comunista nel nero oceano della storia, ha lasciato una scia di indignazioni senza guida, di manie civili prive di obiettivo, di relitti regolarmente smodati, dove la legalità viene evocata di solito a martellate. In assenza di una guida riconoscibile, si è liberato un torrente di frustrazioni che tende a formare in particolare fronti di ostilità e di rancore. Ci vorrà del Prozac. L’Italia di destra, liquidato il ”partito zia”, è diventata un’estesissima famigliaccia al servizio del Sultano che c’è e di quelli che verranno».

Nel libro, toccante e spiazzante, il racconto del rapporto con Liù diventa quasi autobiografia dell’autore. Che confessa: «Ecco, con il passare del tempo mi è sembrato che tutto l’impianto culturale faticosamente tirato su in una trentina d’anni cominciasse a sgretolarsi, che le categorie e i parametri si sbriciolassero, e in fondo rimanessero solo episodi e citazioni, storie buffe e aneddoti rivelatori. Un modo, anche divertente, per descrivere la realtà, ma con la sensibile consapevolezza di aver perso il filo da qualche parte e di ritrovarlo solo con piccole rapsodie narrative».





mercoledì 7 aprile 2010

LADY GAGA / ITALOAMERICANI


Oggi Lady Gaga, ieri Madonna (peraltro tuttora assolutamente in pista...), l’altro ieri Frank Sinatra. Ma della lista, in bilico fra passato e presente, fanno parte fra gli altri anche Tony Bennett e Frank Zappa, Sonny Bono e Connie Francis, Frankie Avalon e Perry Como, Joe Satriani e i fratelli Porcaro, Don Costa e Gwen Stefani. E in fondo anche Bruce Springsteen, figlio dell’abruzzese Adele Zirilli, può essere inserito a buon diritto nell’allegra brigata.

Una brigata italoamericana, tricolore nelle origini ma rigorosamente a stelle e strisce nella scalata e nel mantenimento del successo. Una brigata che, di decennio in decennio, viene continuamente rimpolpata di nuovi arrivi. A dimostrazione di quello che, dal secondo dopoguerra a oggi (ma esistono sicuramente anche esempi precedenti), può essere considerato un incontestabile assunto: la musica popolare statunitense non sarebbe la stessa, se non ci fossero stati gli italoamericani. Un fatto di cromosomi? Un’antica predilizione per il belcanto? Una forte passione per la musica connaturata all’essere italiani? Chissà. Le ragioni sono difficili da identificare, ma il dato di fatto è sotto gli occhi, anzi, le orecchie, di tutti.

L’ultima italoamericana di successo si fa chiamare Lady Gaga, ma il suo vero nome è Stefani Joanne Angelina Germanotta. È nata a New York nel marzo ’86 da genitori palermitani. Cresciuta nel Lower East Side di Manhattan, a quattro anni già studia pianoforte, a tredici scrive la sua prima canzone, a diciassette ottiene l’ammissione anticipata alla Tisch School of the Arts della New York University, dove studia musica. Lavorando la sera, per mantenersi, anche come cameriera e spogliarellista.

Fan di Madonna (alla quale la accomunano, oltre alle origini italoamericane, gusto per le coreografie e colore dei capelli) e di Michael Jackson, ma anche di David Bowie e dei Queen: a loro si ispira per il nome d’arte, chiaro riferimento a ”Radio Ga Ga”, uno dei singoli di maggior successo del gruppo di Freddie Mercury (uscito nell’84, stava nell’album ”Works”).

Dopo gli esordi nel 2007 come autrice di pezzi per Britney Spears e le Pussycat Dolls, l'8 aprile 2008 - giusto due anni fa - Lady Gaga pubblica il suo primo album, ”The fame”, che la impone quasi subito come nuova protagonista di un genere a metà strada fra elettropop e dance. Nel disco c’è anche quella ”Poker face”, che - oltre a raggiungere il primo posto in classifica in una ventina di paesi - è stata uno dei tormentoni dell’estate musicale italiana dell’anno scorso.

”Paparazzi”, ”Just dance” (primo singolo tratto dall’album d’esordio), ”Bad romance” e la recente ”Telephone” (interpretata in coppia con Beyoncè, secondo singolo tratto dal nuovo album, ”The fame monster”, uscito nel novembre scorso) sono gli altri titoli dell’artista noti al pubblico, soprattutto giovanile, di mezzo mondo. E il 2010, per Lady Gaga, è cominciato con due Grammy Awards (per ”Poker face”, miglior brano dance, e per ”The fame”, disco elettropop dell'anno, che nel frattempo ha venduto oltre quattro milioni di copie) e con tre Brit Awards: miglior artista internazionale femminile, miglior album internazionale, miglior artista emergente. Che poi emersa, la biondissima Stefani Joanne Angelina Germanotta, in questo mondo dello spettacolo che viaggia a mille, lo è già da un bel pezzo...

Fin qui Lady Gaga, che prima o poi - c’è da starne certi - cederà il posto a un altro, o un’altra, discendente più o meno lontano, o lontana, di emigranti italiani partiti tanti anni fa dalla penisola per andare a cercar pane e fortuna in America.

Del resto, secondo l’ultimo censimento ufficiale, quello del 2000, quasi 16 milioni (il 5,6% della popolazione) sono le persone residenti negli Stati Uniti con ascendenze italiane, rappresentando così il sesto gruppo etnico della federazione.

Un dato peraltro in crescita, visto che nel censimento non ufficiale del 2006 il numero è già salito a 17,8 milioni (il 6% della popolazione), e visto anche che, secondo le associazioni culturali italoamericane, le persone che possiedono una qualche discendenza italiana nella loro famiglia sono oggi stimate in oltre venti milioni di persone. Fra le quali la passione per la musica, evidentemente, è un fatto di radici. Notoriamente difficili a cancellarsi.