lunedì 29 dicembre 2008

CAPODANNO BLUES


È un Capodanno a tutto blues, quello organizzato per stanotte dal Comune di Trieste. In piazza dell’Unità saliranno infatti sul palco prima della mezzanotte il duo formato da Stefano Franco e James Thompson, e nel primo giro di lancette del 2009 Andrea Mingardi con la sua Rossoblues Brothers Band.

Una scelta musicale assolutamente di qualità, che fra l’altro interrompe una tradizione ormai pluriennale che vedeva sempre la piazza triestina orfana di artisti di livello nazionale - pur nel rispetto dovuto a tutti i lavoratori dello spettacolo - nella fatidica notte fra il 31 dicembre e il primo gennaio.

Con Mingardi siamo in presenza di un protagonista di primo piano della musica italiana da oltre un trentennio. Bolognese, classe 1940, esordi negli anni Sessanta in bilico fra rock, blues e canzoni più o meno demenziali nel dialetto della sua terra, deve aspettare il ’74 per dare alle stampe il suo primo album. Una certa popolarità gli arriva con «Datemi della musica», pubblicato nel ’76. Molti invece lo scoprono con il brano «Un boa nella canoa», con cui partecipa al Festivalbar dell’83.

A Sanremo invece lo troviamo per la prima volta nel ’92, al fianco dello sfortunato Alessandro Bono (che sarebbe poi morto di Aids, a soli trent’anni, nel ’94), con la canzone «Con un amico vicino». E altre quattro volte fra il ’93 e il 2004, quando ha proposto il brano «È la musica».

Ma il valore di Andrea Mingardi - che è stato per molti anni nel giro della nazionale cantanti, con Mogol, Morandi e tanti altri colleghi - è dimostrato anche dalla recente collaborazione con Mina. Prima il brano «Mogol e Battisti», scritto da Mingardi e cantato da Mina assieme a lui nell’album «Bau», nel 2006. Quest’anno lo abbiamo ritrovato autore di «Amiche mai», per lo storico duetto di Mina con Ornella Vanoni.

Da segnalare ancora che lo scorso anno è uscito l’album «Andrea Mingardi canta Ray Charles - Tribute to the Genius». E che soprattutto dal vivo, </EL>con la sua Rossoblues Brothers Band che lo accompagnerà anche stanotte a Trieste, l’artista bolognese rilegge il suo repertorio e alcuni classici della musica nera.

Ma il Capodanno a tutto blues, come si diceva, non vivrà solo della musica di Mingardi. Prima della mezzanotte il compito di riscaldare temperatura e atmosfera toccherà a The Dukes of Rhythm Duo. Ovvero: il pianista triestino Stefano Franco e il sassofonista statunitense James Thompson, da anni presenza costante della scena «live» cittadina ma anche in giro per l’Italia e all’estero.

Il primo ha un brillante passato anche di «one man band» a Umbria Jazz e in altri importanti festival blues italiani ed europei. Il secondo, originario di Cleveland (Ohio), vive da anni in Italia, dove ha collaborato fra gli altri con Zucchero, Paolo Conte, Stadio e lo stesso Mingardi. Assieme, Franco e Thompson propongono un repertorio che spazia dai classici di Duke Ellington a riletture di brani di Jimi Hendrix, passando per una produzione originale di qualità. Insomma, stanotte in piazza Unità grande musica prima e dopo mezzanotte. Giusto per finire bene e subito dopo ripartire alla grande.

domenica 28 dicembre 2008

...da non perdere CHECCO ZALONE che rifà JOVANOTTI, a Zelig (8-12-2008), davanti allo stesso, via via senza parole...


su:


http://www.youtube.com/watch?v=OxYaa59Xn-I

venerdì 26 dicembre 2008

ANTONACCI A TS


C’è anche Biagio Antonacci, nel 2009 musicale triestino. Le cui prime settimane a questo punto schierano nell’ordine: Patty Pravo lunedì 5 gennaio, poi un tris formato Biagio Antonacci il 12 febbraio, Franco Battiato il 13 e 14, Vinicio Capossela il 15. Il tutto al Politeama Rossetti, che sceglie dunque di cominciare il 2009 proponendo la grande musica italiana.

Per quanto riguarda l’ex ragazza del Piper, al secolo Nicoletta Strambelli, si tratta in realtà del tradizionale concerto «Buon anno Trieste», nell’ambito del quale l’Associazione Commercianti ha portato nel corso degli ultimi anni vari protagonisti di primo piano della musica italiana. Stavolta tocca a Patty Pravo, che nel 2008 ha compiuto i sessanta (complimenti...) e ha proposto una versione «alla Amy Whinehouse» del suo antico classico «La bambola». E ora si prepara a partecipare al Sanremo 2009.

Sì, perchè ci sono vari modi per avvicinarsi al Festival di Sanremo, la cui 59.a edizione si terrà fra il 17 e il 21 febbraio (vedi articolo qui a destra). L’artista veneziana ha scelto di continuare il tour quasi fino alla vigilia. Il Rossetti ha invece pensato bene di proporre il tris di cui si diceva - a mo’ di «disintossicazione preventiva»... - nelle sere immediatamente precedenti alla kermesse, quest’anno allestita e presentata da Paolo Bonolis.

Aprirà dunque il bell’Antonacci, da anni idolo canoro di ragazze e donne di ogni età, che ha appena pubblicato l’album «Il cielo ha una porta sola». L’annesso tour teatrale comincerà il 26 gennaio dal Teatro Augusteo di Napoli, e prima di arrivare a Trieste (dove ultimamente si era fatto vedere al palasport), toccherà alcune città del Sud, poi Varese, Ascoli Piceno, Livorno e Milano, e dopo la tappa al Politeama e alcuni altri concerti in giro per la penisola, si concluderà il 21 febbraio a La Spezia.

Per il pubblico triestino l’occasione per sentire i brani nuovi e gli storici cavalli di battaglia del cantautore di Rozzano, paesotto vicino Milano. Gli uni e gli altri sono compresi nel nuovo disco, che dà il titolo a questo tour. Da segnalare che i vecchi ma sempre validi successi, riletti per l’occasione, sono stati scelti attraverso un sondaggio dai fan (oltre 900 mila contatti) che hanno potuto votare e quindi scegliere la composizione definitiva del cd: inserendo «Pazzo di lei» e «Quanto tempo e ancora», «Iris (fra le tue poesie)» e «Sappi amore mio», «Convivendo» e «Se è vero che ci sei». Senza dimenticare «Angela», «Mio padre è un re», «Fiore», «Quell’uomo lì», «Lo conosco poco»...

Completano il tris, come si diceva, Franco Battiato e Vinicio Capossella. L’artista siciliano dovrebbe tenere al Rossetti ben due concerti: il 13 e 14 febbraio. Reduce dalla pubblicazione di «Fleurs 2», terzo capitolo di cover (nonostante l’inconsueta numerazione...), che brilla soprattutto per l’unico inedito: «Tutto l’universo obbedisce all’amore», a due voci con la compaesana Carmen Consoli.

Per quanto riguarda Capossela, il suo tour «Solo Show» riparte il 26 gennaio da Torino, per uno spettacolo che riprende l’impostazione del suo recente album «Da solo». Che parla di temi importanti e universali come l'unione, la guerra, la distanza, il cielo, il silenzio, l'America, la clandestinità, la verità...

Ultime segnalazioni «trivenete»: domenica al Nuovo di Udine concerto di fine anno con Antonella Ruggiero, domenica primo febbraio al palasport di Pordenone suonano i Sonohra, venerdì 13 febbraio al Nuovo di Udine si esibisce Mango, sabato 21 febbraio al Palaverde di Treviso fa tappa il tour degli Oasis, martedì 31 marzo al palasport di Pordenone concerto dei Nightwish.

mercoledì 24 dicembre 2008

So this is Christmas

And what have you done

Another year over

And a new one just begun



And so this is Christmas

I hope you have fun

The near and the dear one

The old and the young



A very merry Christmas

And a happy New Year

Let’s hope it’s a good one

Without any fear



And so this is Christmas

For weak and for strong

For rich and the poor ones

The world is so wrong



And so happy Christmas

For black and for white

For yellow and red ones

Let’s stop all the fight



A very merry Christmas

And a happy New Year

Let’s hope it’s a good one

Without any fear



And so this is Christmas

And what have we done

Another year over

And a new one just begun



And so this is Christmas

I hope you have fun

The near and the dear one

The old and the young



A very merry Christmas

And a happy New Year

Let’s hope it’s a good one

Without any fear



War is over

If you want it

War is over

Now…


(happy xmas, war is over - john lennon, 1971)

martedì 23 dicembre 2008

SANREMO / ARCIGAY


Sanremo, c’è già la prima polemica. È bastato che nell’elenco dei partecipanti annunciato l’altra sera spuntasse Povia con il titolo «Luca era gay», ed ecco che ieri l’Arcigay si è detta pronta a bloccare il Festival, in programma fra il 17 e il 21 febbraio. Il motivo: quel titolo «sembra già non lasciare dubbi sul tema trattato e sulle posizioni dell'autore; non si può nel 2008 arrivare su un palcoscenico nazionale a sostenere che gay e lesbiche sono malati, sbagliati o immaturi», si legge in una nota dell’associazione. Che ha immediatamente lanciato su Facebook il gruppo «Non lasciamo che Povia canti di ex-gay a Sanreme», al quale sono arrivate oltre duecento adesioni in poche ore. Della serie: fino a febbraio ne sentiremo delle belle.

Per quanto riguarda il cast, si nota il solito effetto macedonia. Cambiano gli ingredienti (l’anno scorso quelli graditi da Baudo, quest’anno scelti da Bonolis), ma la sostanza non cambia. Si contenderanno dunque la vittoria al 59.o Festival gli Afterhours e Al Bano, Alexia (con ospite Mario Lavezzi) e Marco Carta, Dolcenera e i Gemelli Diversi, Fausto Leali e Marco Masini, Nicky Nicolai con Stefano Di Battista e Patty Pravo, il trio Pupo/Paolo Belli/Youssou N’Dour e Francesco Renga, Sal da Vinci e Tricarico, Iva Zanicchi e appunto Povia. Un occhio al rock e uno alla tradizione, una spruzzata di jazz e un buon drappello di ex vincitori. Giusto per non scontentare nessuno.

La vera novità di quest’anno - oltre alla formula che prevede eliminazioni anche fra i big - sta nell’arrivo di un nutrito drappello di grandi della canzone italiana, chiamati a fare da tutor ai giovani. Dunque sul palco saliranno Pino Daniele, Zucchero, Lucio Dalla, Roberto Vecchioni, Riccardo Cocciante, Gino Paoli, Massimo Ranieri, persino Burt Bacharach, ognuno con la sua brava nuova proposta da sponsorizzare. Fra le quali c’è Iskra Menarini, classe 1946, bravissima corista di Dalla ma «giovane» per modo di dire...

lunedì 22 dicembre 2008

ELISA "AMERICANA"


Stavolta pare che la nostra Elisa abbia davvero fatto il botto. Sentite qua: la popstar monfalconese piace agli americani più dei Guns'N Roses, più di Beyoncè, più di Anastacia. A rivelarlo è un sondaggio effettuato tra gli utenti del sito Billboard.com, articolazione internettiana di quella che da sempre è considerata la «bibbia» della musica statunitense.

Nella classifica dei dieci album migliori del 2008, «Dancing» - che è il primo album «americano» di Elisa, pubblicato nel luglio scorso e pensato appositamente per il difficile mercato a stelle e strisce - risulta infatti al quinto posto. Che sarebbe come dire: prima di «Chinese Democracy» dei Guns N'Roses, prima di «I am... Sasha Fierce» di Beyoncè, prima di «Heavy rotation» di Anastacia. Meglio dell'artista originaria del Friuli Venezia Giulia, secondo questo sondaggio, hanno fatto soltanto Mariah Carey, David Cook, David Archuleta e Britney Spears.

È un risultato di grandissimo rilievo. Basti pensare che nell’ultimo mezzo secolo soltanto Domenico Modugno con «Volare» ha scalato per davvero le hit parade statunitensi. Ma era per l’appunto il 1958. Negli anni Settanta fu la Pfm a suscitare un certo interesse oltreoceano, rimanendo però in un circuito abbastanza di nicchia. E in tempi più recenti, il successo di artisti come Laura Pausini ed Eros Ramazzotti, Zucchero e Tiziano Ferro ha sempre interessato più il Centro e Sud America - oltre che l’Europa - che gli Stati Uniti.

Per tutti questi motivi è importante il risultato ottenuto da Elisa, che segue quello già incassato dal vivo. Fra ottobre e novembre la cantante ha infatti tenuto un lungo tour, a cavallo fra gli Stati Uniti e il Canada, toccando ben diciassette città. E suonando al Bowery Ballroom di New York, al Roxy di Los Angeles, al Mod Club di Toronto, a Le Savoy di Montreal, e ancora a Pittsburgh, San Francisco, Seattle e Boston. Ovunque pare sia stata accolta con interesse, simpatia e a tratti con entusiasmo.

Se ne sono accorti anche gli osservatori americani, quando il talent show televisivo «So you think you can dance?» ha proposto un balletto realizzato proprio sulle note di «Dancing». Risultato: un po’ grazie al balletto e un po’ grazie al tour, la canzone è schizzata nella Top 20 della classifica dei singoli più scaricati da iTunes America, grazie alla bellezza di oltre 75 mila acquisti in poche settimane. Di lì a poco è entrato in classifica anche l’album.

Per la monfalconese Elisa Toffoli, che pochi giorni fa ha compiuto trentuno anni (è nata il 19 dicembre ’77), il sogno insomma continua. Era cominciato nei localini dell’isontino e soprattutto con quell’incontro, appena sedicenne, con Caterina Caselli. Poi tutto ha cominciato a filar via velocissimo: il contratto discografico, i mesi in California a preparare l’album d’esordio, il successo, la vittoria a Sanremo, la consacrazione come popstar...

Ora l’ex ragazzina che lavorava nel negozio da parrucchiera della madre ha fatto un altro salto. Quello più difficile. E la cosa bella è che le sta riuscendo perfettamente. Una regione intera fa il tifo per lei...

martedì 16 dicembre 2008

MAGRIS SU CARACCIOLO


«Un uomo che ha saputo unire l’efficienza imprenditoriale, fra l’altro in un campo delicato come quello dell’editoria, a una grande dirittura morale. Un uomo dell’Italia migliore, quella che sta perdendo un tassello dopo l’altro. Di lui il nostro Biagio Marin avrebbe detto: un aristòcrata...».

Anche Claudio Magris ricorda Carlo Caracciolo con parole di grande affetto e sincera ammirazione. Nati sin dal primo incontro. «L’ho visto a Trieste, a Torino, ma la prima volta a Roma. Ricordo che dovevo andare a casa sua, davanti all’Isola Tiberina, e non ricordavo il numero civico. Piuttosto che fare la figuraccia di telefonargli, suonai a un sacco di campanelli sbagliati, prima di trovare quello giusto...».

Con l’acquisto del «Piccolo», nel ’98, qualche occasione di incontro in più. «Sì, mi è capitato di incontrarlo anche qui a Trieste. Nella sede del giornale, a casa di amici, in un ristorante vicino alle Rive, ovviamente al Caffè San Marco. Ricordo soprattutto momenti di spensieratezza, di allegria, anche di sane risate. Ne era scaturita, se non un’amicizia, sicuramente un sentirsi e ritrovarsi su un’analoga lunghezza d’onda. Aveva un’intelligenza ironica, chiara, bella come la sua fronte alta e i suoi capelli bianchi».

Nel ricordo, Magris ne parla qualche volta ancora al presente. «Sì, fa malinconia parlarne già al passato. Per questo mi viene spontaneo usare ancora il presente. Perchè lui è un rappresentante dell’Italia civile che forse, avrebbe detto ancora Marin, era solo una nostra esigenza. L’Italia democratica, liberale, progressista senza essere demagogica. L’Italia migliore, appunto».

Quella che ogni giorno diventa più povera. «La morte prima o poi tocca a tutti. Ma davanti alla scomparsa di un uomo come Carlo Caracciolo, mi sento di dire che non vedo in giro dei possibili ricambi di questi ”quadri alti” della società italiana. È come quando un generale lascia il suo esercito e non c’è nessuno all’altezza di prenderne il posto».

«Si badi bene: non è, non vuol essere un discorso nostalgico. E spero ovviamente di sbagliarmi. Ma assisto da anni a un complessivo cambiamento di stile nella classe dirigente del nostro Paese. Non bisogna mai prescindere dal senso che si dà al proprio lavoro e al legittimo perseguimento dei propri interessi. Nessuno di noi lavora gratis. Ma c’è modo e modo, c’è stile e stile, in quel perseguimento dei propri interessi».

C’è modo e modo anche di essere classe dirigente. «Sì, Caracciolo sapeva di far parte della grande elite del nostro Paese. Un’elite da non intendere in senso snobistico, ma da riconoscere e rispettare per la sua funzione trainante nei confronti della società in cui si trova a operare».

Negli ultimi anni assistiamo a una progressiva volgarizzazione della classe dirigente italiana? «Non voglio cadere nelle generalizzazioni. Lungi da me affermare che tutti gli appartenenti a un dato gruppo o a una data categoria sono in una maniera o in un’altra. E si sa che una classe dirigente cambia di qualità anche col cambiare dei tempi. Ciò valeva ai tempi dell’impero romano e vale certamente anche oggi».

Ma...? «Ma con tutte le cautele del caso, mi sento di ammettere che sì, forse in questi nostri tempi viviamo proprio una fase di involgarimento di quanti dovrebbero avere invece quella funzione trainante di cui dicevo. Per stile di vita, per modo di essere, per livello di civiltà».

«Carlo Caracciolo è stato invece un esempio mirabile della miglior classe dirigente. Quella che, nel rispetto del proprio ruolo e dei propri interessi, sa dare un’impronta alla società in cui vive. L’appartenere a una famiglia di antica nobiltà non c’entra: di per sé non è un merito né un demerito. E in lui non c’era mai nemmeno l’ombra di civetteria demagogica, nello schierarsi dalla parte dei più deboli. Esattamente l’opposto del Berlusconi del 2001, quello con pullover blu che si atteggiava nei manifesti elettorali a ”presidente operaio”...».

Un momento di silenzio. Un attimo di pausa. Quasi a riordinare le idee prima di consegnare gli ultimi ricordi dell’uomo e dell’editore che non c’è più. «Mi interessa comunque - dice Claudio Magris - ricordare il grande, illuminato editore. Al di là della fondazione dell’Espresso e di Repubblica, e per noi dell’acquisizione del Piccolo, Caracciolo ha saputo fare politica in senso lato. È stato uno degli ultimi editori puri, senza altri interessi che non fossero quelli dei giornali».

«E ciò in un mondo - conclude lo scrittore e saggista triestino - in cui tutti fanno tutto ma nessuno fa più il proprio mestiere. Un fenomeno che trovo molto grave, che porta innanzitutto allo scadimento della qualità. E a un progressivo allontanarsi da quel capitalismo legato al mondo delle cose».

Forse il capitalismo migliore, quello di uomini come Carlo Caracciolo.

domenica 14 dicembre 2008

DE ANDRE'/PFM/BUBOLA


Due album ci ricordano che presto saranno già dieci anni dalla prematura e dolorosissima scomparsa di Fabrizio De Andrè (Genova 18 febbraio 1940 – Milano 11 gennaio 1999). Il primo si intitola «Pfm canta De Andrè» (Aereostella/Edel), un doppio composto da un cd e un dvd che rinnova e rafforza il rapporto fra la band milanese e il grande poeta e cantautore. Un rapporto che era cominciato nel lontano ’78/’79, quando Di Cioccio e compagni affrontarono con successo - in tempi in cui i cantautori si esibivano spesso «chitarra e voce» - l'ardua sfida di regalare abiti musicali nuovi e più complessi ad alcune delle canzoni più belle e importanti di De Andrè. Ne vennero fuori una tournèe (passata anche da Trieste, al Politeama Rossetti) e due album dal vivo, premiati dal successo che meritavano. Da notare che quegli arrangiamenti «firmati Pfm» furono poi usati dal vivo dall’artista fino alla fine della sua carriera.

Trent’anni dopo quell’incontro, questo disco - testimonianza «live» di un concerto registrato il 29 marzo di quest'anno al Teatro Caniglia di Sulmona - arriva a chiudere idealmente un percorso. Le canzoni di ieri, il ricordo di quella collaborazione, la sensibilità di oggi.

Le voci di Franz Di Cioccio e Franco Mussida non provano nemmeno a «rifare» De Andrè perchè sanno che sarebbe impossibile («Abbiamo metabolizzato il maestro, ne siamo diventati gli interpreti. Ed è bello immaginare che dove finiscono le nostre dita, ricomincia Faber...»), ma fanno la loro parte con affetto e onestà.

Il resto è musica. La grande musica di «Bocca di rosa» e «La guerra di Piero», «Giugno 73» e «Volta la carta», «La canzone di Marinella» («aveva la cadenza di un funerale, noi la trasformammo in una fiaba leggera...») e «Amico fragile», «Il pescatore» e «Un giudice»...

L’altro disco è «Dall’altra parte del vento» (Eccher/Edel), firmato da quel Massimo Bubola che con De Andrè ha scritto alcune delle canzoni più belle del repertorio di Faber: da «Rimini» (’77) a «Volta la carta», da «Andrea» a «Fiume Sand Creek», da «Don Raffaé» (’90) a «Hotel Supramonte»...

Il titolo è dato dalla canzone (inedita) scritta dal veronese Bubola, che immagina un incontro in un bar con De André. L’altro brano che non fa parte della produzione a quattro mani fra i due artisti è «Invincibili», scritto invece col figlio di Fabrizio, Cristiano. L’intento sembra essere quello di un omaggio sincero, riportando i brani alla loro ispirazione e dimensione originaria, dunque acustica.

Da segnalare infine che a Bubola - l’artista con cui De Andrè ha collaborato più a lungo: tredici anni, nei quali furono scritte ventuno canzoni - ha recentemente dedicato un bel libro il giornalista padovano Matteo Strukul: «Il cavaliere elettrico», sottotitolo «Viaggio romantico nella musica di Massimo Bubola» (edizioni Meridiano Zero). Una lunga intervista che diventa un ritratto completo di un artista che forse, nonostante la lunga carriera (19 album, trecento canzoni, chissà quanti concerti), non ha avuto quel che meritava.


STRENNE


Di dischi ne girano sempre meno. Ma lo scorso anno a dicembre sono stati venduti oltre cinque milioni tra cd e dvd musicali: oltre il 20% dell’intero fatturato annuale dell'industria discografica. Quest’anno i numeri complessivi caleranno ancora, ma quella percentuale forse è destinata ad aumentare. Anche per colpa di una crisi che trasforma il cd in regalo «economico».

Ce n’è ovviamente per tutti i gusti. In perfetto tema natalizio è «A Swingin' Christmas» di Tony Bennet, raccolta di classici natalizi prodotta da Phil Ramone e realizzata con la leggendaria formazione di Count Basie. Idem per «The Priests», raccolta di brani d'ispirazione spirituale con arie classiche e motivi della tradizione irlandese.

Oltre a «Canzoni per Natale» di Irene Grandi, di cui abbiamo scritto nelle settimane scorse, da segnalare anche la riedizione di «And so this is Christmas», dei Neri per caso, che comprende anche la versione di «Give peace a chance» di John Lennon. Ma tra le strenne non possono mancare Giorgia («Spirito libero», 3 cd e un dvd con tutto il meglio dell'artista romana in 44 canzoni), i due album di inediti di Fiorella Mannoia e di Laura Pausini (rispettivamente «Il movimento del dare» e «Primavera in anticipo»).

E poi «Re: Versions» di Elvis Presley (primo remix del re del rock’n’roll), «L’animale» di Adriano Celentano (il doppio di cui abbiamo già scritto), «Zero infinito» di Renato Zero (triplo cd con il meglio delle sue cose anni 70), il cofanetto di Giovanni Allevi (tre cd e un dvd che raccontano la carriera del pianista marchigiano).

Sul versante internazionale: box in metallo a tiratura limitata per l'album degli AC/DC, che contiene anche un dvd con il «making of» e il video del singolo «Rock'n'roll train»; cofanetto deluxe in edizione limitata con triplo cd per Bob Dylan «Tell tale signs» (completo di bonus disc con dodici brani aggiuntivi); cofanetto «Motown 50 - Yesterday, Today, Forever» (tre cd con oltre 60 successi di artisti storici della mitica etichetta americana). E ovviamente un sacco di altre cosucce...


TAKE THAT Ricominciare senza Robbie Williams. È l’impresa che tentano di Take That, usciti con l’album «The Circus», anticipato dal singolo «Greatest Day». Il quinto album in studio della band inglese è stato scritto da tutti i membri - Mark Owen, Jason Orange, Howard Donald e Gary Barlow - e prodotto da John Shanks. L'Observer Music Monthly lo ha già definito come uno dei loro migliori album. In Gran Bretagna i Take That sono tuttora una band da record nel panorama della musica pop: oltre seicentomila copie in prenotazione fanno di «The Circus» uno dei dischi più attesi dell'anno, con una previsione di un milione di copie vendute appena entro la fine del 2008. Lo stesso vale per il tour che prenderà il via dall'Inghilterra a giugno 2009 e che comprende quattro date a Wembley: oltre settecentomila biglietti sono già andati a ruba tra i fan inglesi. Ascoltando i brani, l’impressione però è che tali aspettative si basino soprattutto sui fasti passati. Forse anche per questo lasciano aperte - anzi, spalancate... - le porte all’amico che se n’è andato...


DE SCALZI Vittorio De Scalzi, ovvero: non solo New Trolls. L’artista genovese propone una Liguria di pietre, di mare, di spicchi di limone, di storie che escono fuori da un baule come vecchi fazzoletti. «Mandilli» (fazzoletti, appunto), prodotto con il fratello Aldo per Croeza-Aereostella, «è un disco nato quattro anni fa, registrato d'inverno in uno stabilimento balneare di Genova-Quinto e poi rimasto lì - ha spiegato il fondatore dei New Trolls -. Nostro padre ha prodotto quasi tutti i dischi in genovese, da Franca Lai ai Trilli, ma quarant'anni fa ai tempi dei Rolling Stones al genovese non ci pensavamo. Adesso lo vedo come un disco d'amore dedicato alla mia città».I dieci pezzi, tutti rigorosamente in dialetto, raccontano storie come quella di un barbone che cerca quel che resta della sua vita su una spiaggia («ma quando saero a man m'accorzo che no me resta che sabbia e vin»: chiudo le mani e m'accorgo che non rimane che sabbia e vino), oppure della Liguria «una fetta di luna coricata sul mare, una fetta della mia vita, uno spicchio di limone aspro».


 


 

martedì 9 dicembre 2008

GUCCINI


«Se ricordo quell’eskimo comprato a Trieste? Come potrei dimenticarlo. Anche se ormai sono passati più di quarant’anni...». Parli con Francesco Guccini - il cui tour venerdì alle 21 fa tappa al palasport di Pordenone - e ti sembra veder scorrere mezzo secolo di storia della canzone e del costume italiani. Compreso quell’«eskimo innocente dettato solo dalla povertà» (da «Eskimo», canzone del ’78), che il soldato Guccini acquistò «su una bancarella in un mercato all’aperto, mi sembra vicino al mare (con ogni probabilità in piazza Ponterosso - ndr)», mentre prestava il servizio miliare a Trieste.

«La mia naja triestina - ricorda il cantautore, nato a Modena nel ’40 - durò dal gennaio all’ottobre del ’63. Speravo di essere assegnato a una delle caserme in città, bestemmiai a lungo quando seppi che la mia destinazione era sul Carso, a Banne. Invece mi andò di lusso. Faceva freddo, questo sì. Ecco perchè acquistai quell’eskimo, che non aveva ancora quel significato simbolico che avrebbe assunto in seguito. Ma i collegamenti con il centro città era buoni. E il nostro comandante di battaglione, il maggiore Giacchini di Pesaro, non amava che i suoi soldati girassero per la città con la divisa, così quasi ci costringeva a uscire in borghese. Prendevo novantamila lire al mese, più cinquemila di frontiera orientale, considerata zona disagiata. Che poi disagiata non era per nulla...».

Cantava già?

«Sì. A Banne ero coccolato da tutti perchè sapevo suonare la chitarra. Nelle festicciole che si facevano in caserma, il maggiore Giacchini mi diceva: Guccini, una bottiglia di cognac per il tuo tavolo se ti ricordi questa canzone... Gli accordi magari me li inventavo, ma la bottiglia arrivava sempre».

Ma la musica allora era solo una passione.

«Certo, ma scribacchiavo già delle canzoni, e gli amici mi venivano ad ascoltare. Mi ispiravo a una specie di cabaret alla francese, in stile chansonnier fra satira e discorsi seri. Del resto all’epoca i riferimenti erano quelli, arrivavano da oltralpe. Poi arrivò Bob Dylan e cambiò tutto. Fu come una ventata di idee nuove. Dalla Francia passammo agli Stati Uniti, al sogno americano. Sullo sfondo i primi vagiti della contestazione».

Due anni fa, all’elezione del Presidente della Repubblica, su una scheda c’era il suo nome...

«In realtà le schede erano due, me l’ha detto Prodi. Ma una fu annullata. E quindi non venni citato nel verbale dello scrutinio, per entrare nel quale bisogna avere almeno due voti. Fa nulla. Sì, la cosa mi ha sorpreso e divertito. Ma non ho mai scoperto chi fossero i miei due ”grandi elettori”: di certo due buontemponi, magari parlamentari dell’Emilia Romagna...».

Il suo rapporto col computer è migliorato?

«Le canzoni le scrivo sempre a mano, su un foglio di carta. Il computer lo uso per i libri: è molto più comodo. Ma lo utilizzo come una macchina per scrivere, non ho approfondito le mille altre funzioni, da internet alla posta elettronica. Sarei anche curioso delle sue potenzialità, ma poi non approfondisco. Peccato, perchè mi è arrivato anche un computer nuovo, ma l’amico che lo deve installare si fa attendere».

Colpa della sua storica pigrizia?

«Ma no, è che non sono un uomo tecnologico. Mi sento di appartenere al secolo scorso, in fondo sono del ’40, dunque la mia storia sta tutta nel Novecento. Anche i concerti: ne faccio pochi perchè devi avere voglia di andare sul palco, e se ci vai ogni sera diventi un impiegato della canzone. Vale per me, ma sicuramente anche per il pubblico».

Diciamo che preferisce fare altre cose.

«Oh certo. Ho appena tradotto tre commedie di Plauto in dialetto pavanese, che un gruppo teatrale si è preso anche la briga di rappresentare. E poi, quando la stagione lo permette, qui vicino casa mia c’è un lago, dove nuoto o vado in canoa. Me ne hanno rubate tre, di canoe, ora ne ho una nuova: tento di starci più attento, se no mi fregano anche questa...».

Dunque ha ripreso a stare nella Pàvana della sua infanzia?

«Sì, non abito più a Bologna dal 2001, anche se la casa in via Paolo Fabbri 43 (titolo dello storico album del ’76 - ndr) ce l’ho ancora. Ci vado spesso nei fine settimana. In fondo è solo un’ora di automobile. Pàvana è sull’Appennino, a metà strada fra Bologna e Pistoia, anzi, Pistoia è più vicina, basta mezz’oretta...».

Le piace la vita di paese?

«Sì, anche perchè quando mi stufo prendo la macchina e parto. Da questo punto di vista sono un privilegiato. Qui ho amici di vecchia data, alcuni anche di idee diverse dalle mie. Si discute, magari si litiga amichevolmente. Io sono un po’ fazioso: non capisco ma accetto...».

Com’è il dialetto pavanese?

«Intanto è praticamente estinto, visto che il paese ha meno di novecento abitanti. È una sorta di dialetto toscano diciamo così emilianizzato. Qui siamo sul confine, fai due o tre chilometri e gli accenti cambiano. Comunque è un dialetto abbastanza comprensibile, non lo parlano più in tanti, dunque mi ha fatto piacere farlo un po’ rivivere. Anni fa ho scritto anche un vocabolario...».

Dalla tivù sta sempre a distanza di sicurezza.

«Di sicuro. Anzi, con gli anni la mia idiosincrasia è peggiorata. Trovo la televisione inutile. E volgare. Alla radio invece ci andrei più volentieri. Comunque non sono un fondamentalista. La tivù la guardo anch’io: i tg, qualche film, Annozero, Ballarò... I reality mai».

Nei suoi concerti, nelle chiacchiere fra una canzone e l’altra, lei pesca a piene mani dall’attualità.

«Diciamo che ironizzo, ma non faccio mai discorsi seri. Non è il mio mestiere. Del resto le cronache ci offrono del materiale così ampio, certe frasi bastano da sole per scatenare una risata. Quella storia di Obama abbronzato, per esempio, era davvero incredibile. Il problema magari è che, dopo due/tre giorni, tutto passa nel dimenticatoio...».

A libri come andiamo?

«Con Loriano Macchiavelli stiamo pensando a un nuovo giallo. Ma siamo solo alla fase del progetto: il maresciallo Santovito ormai è andato in pensione, dunque dobbiamo inventarci un nuovo personaggio. Ma l’atmosfera dell’Appennino, quella vorremmo mantenerla...».

«Ritratti» è del 2004. Poi solo un «live» e una raccolta. Il disco nuovo?

«Forse nel 2009. Ma non ho fretta. Alcune canzoni nuove le canto nei concerti di queste settimane. E sono già su YouTube. ”Su in collina” parla della Resistenza, ”Canzone di notte n.4” è dedicata a Pàvana, ”Il testamento di un pagliaccio” racconta delle ultime volontà di un clown giunto alla fine dei suoi giorni. Laddove è abbastanza chiaro che si tratta di un’ironica autocritica: quel pagliaccio sono io, siamo noi...».

Diceva che non ha fretta: dunque il rapporto con la sua casa discografica, in questi tempi di crisi, è abbastanza libero...

«Sì, ho la mia bella libertà. Al punto che, oltre ai cd, ultimamente faccio stampare anche mille copie nel vecchio e caro vinile. Così, perchè mi fa piacere. Comunque la discografia, come l’abbiamo conosciuta noi, ormai sta finendo. I dischi, intesi come supporti discografici, non sono più necessari per ascoltare musica. Meglio allora i concerti, anche il pubblico preferisce vederti e ascoltarti dal vivo...».

E lì lei detiene un primato: saranno più di trent’anni che comincia e conclude i concerti sempre con le stesse due canzoni...

«Sì, apro sempre con ”Canzone per un’amica” e concludo con ”La locomotiva” perchè ormai sono le mie sigle, i miei biglietti da visita. Una sorta di rituale al quale anche il pubblico ormai è abituato. Ma credo di detenere altri due primati: stessa casa discografica e stessi musicisti da un sacco di tempo. Del resto, squadra che vince non si cambia...».

Della squadra, venerdì a Pordenone, unica tappa regionale del tour, fanno dunque sempre parte Ellade Bandini alla batteria, Antonio Marangolo al sax, Vince Tempera al pianoforte, Pierluigi Mingotti al basso, Roberto Manuzzi (sax, tastiere, fisarmonica) e Juan Carlos «Flaco» Biondini alle chitarre. Biglietti ancora disponibili nel circuito delle prevendite e alle casse del palasport.

lunedì 1 dicembre 2008

MUMBAI


L'attentato di Mumbai aveva di certo lo scopo di alzare la tensione fra India e Pakistan. Ma indirettamente anche quello di rendere più difficile il lavoro di Barack Obama. È la tesi di Peter Popham, attualmente corrispondente da Roma dell'Independent, ma che per il giornale britannico ha lavorato per cinque anni, dal '97 al 2002, proprio a Nuova Delhi, viaggiando a lungo per tutta l’India e nel vicino Pakistan.

«La strategia dichiarata del prossimo presidente degli Stati Uniti - spiega Popham - è quella di concentrare in Afghanistan lo sforzo occidentale volto a sconfiggere il terrorismo. Per fare questo gli serve l'appoggio anche del Pakistan, ma è chiaro che tutto diventa molto più difficile, nello scenario venutosi ora a creare».

Ieri l'India ha protestato formalmente con Islamabad per le stragi di Mumbai, accusando «elementi pachistani» di essere dietro gli attacchi e chiedendo al governo di Islamabad di «agire energicamente». E le tv pachistane riferiscono che Nuova Delhi ha messo in stato di massima allerta la difesa aerea, alzando i sistemi di sicurezza «a livello di guerra».

«A Mumbai - dice Popham -, dove ci sono stati molti attentati negli ultimi vent’anni, e dove vivono molti musulmani, abbiamo assistito nei giorni scorsi a un modello nuovo di terrorismo, caratterizzato da elementi classici dell’attentato mischiati ad azioni tipiche della guerra civile. Dieci persone arrivate in gommone sulla spiaggia, una cosa mai vista. Sicuramente la vigilanza è stata debole, anche se l’azione era difficile da evitare. Ma quel che mi ha colpito maggiormente è stato l’incredibile ritardo con cui sono arrivate in zona le teste di cuoio dell’antiterrorismo. È stata una mancanza di prontezza, di velocità che ha pesato nel bilancio delle vittime».

Ancora il giornalista: «Per quanto riguarda gli attentatori, si sa che venivano da Karachi e appartenevano al Lashkar-e-Taiba, un gruppo fondamentalista nato una decina di anni fa con l’appoggio dell’Isi, i servizi segreti pachistani. Lo scopo inizialmente era quello di intralciare l’azione dell’esercito indiano in Kashmir, ora sono collegati con Al Qaida. Gli Stati Uniti li considerano infatti un’organizzazione terroristica, ma fino al 2002 lavoravano apertamente, alla luce del sole. Poi sono entrati in clandestinità».

E ora che succede? «Chi lo sa. Quella fra India e Pakistan - riflette Popham - è la storia di una guerra lunga ormai settant’anni, cominciata sotto l’impero britannico, e proseguita in un alternarsi di tregue e momenti di grande tensione. Che non sempre, per fortuna, lasciano la parola alle armi. Ricordo per esempio l’attentato del 2001 al parlamento indiano, a Nuova Delhi. La tensione era salita a livelli talmente alti che noi giornalisti inglesi e i nostri colleghi americani fummo invitati a lasciare il paese. La tensione durò per un paio di settimane, ma per fortuna poi si tornò alla normalità».

«Il fatto - conclude il corrispondente dell’Independent - è che soprattutto l’India, che fra i due è il paese più grande e più ricco, non può permettersi una nuova guerra, se vuole sviluppare ulteriormente la propria economia. Il fatto poi che entrambi i paesi siano dotati di armi atomiche rende la questione ancor più delicata e pericolosa. Mi sembra che la diplomazia occidentale, e quella statunitense in particolare, si stia già impegnando al fine di attenuare le forti tensioni in atto...».