lunedì 31 dicembre 2012

DISCHI 2013

U2 e Gianna Nannini, Pearl Jam e Renato Zero, Elton John e Baustelle, Beck e Mumford & Sons. Che cos’hanno in comune tutti questi signori? Ovvio: un album in uscita, chi presto e chi prestissimo, ma comunque nel 2013. Alcuni lo compreranno nell’ormai vecchio e desueto cd (eppure ha poco più di trent’anni...), altri lo cercheranno nella versione ormai “vintage” e dunque alla moda del disco in vinile, moltissimi lo scaricheranno legalmente o illegalmente, altrettanti se lo cercheranno da qualche parte in rete. È il panorama discografico del nuovo millennio, e con questo major discografiche ed etichette indipendenti, artisti affermati ed emergenti, nonchè il grande popolo degli appassionati si trovano, volenti o nolenti, a dover fare i conti. Con scelte anche innovative. Come quella di Gianni Maroccolo, già nei Litfiba e nei Csi, che per il suo ritorno in scena ha scelto la strada del “crowdfunding”, la raccolta di fondi via internet sdoganata negli Stati Uniti da Barack Obama già ai tempi della prima elezione, e ora usata anche da molti musicisti americani (come George Benson, che ha in cantiere con questo metodo un album dedicato a Nat KingCole). Il musicista sta allora chiedendo al popolo del web di finanziare il nuovo disco, che non verrà distribuito nei negozi ma messo a disposizione solo di chi avrà versato l’obolo. L’album si intitolerà “vdb32” (acronimo di Via dei Bardi 32, la via di Firenze dove provavano i Litfiba prima di diventare famosi...), il sito dove versare i contributi - entro il 12 febbraio - è su www.musicraiser.com. Scelta più tradizionale quella dei Baustelle. Il nuovo album, intitolato “Fantasma”, uscirà il 29 gennaio ma è stato anticipato nei giorni scorsi, nelle radio e in rete, dal singolo “La morte (non esiste più)”. «È una canzone - spiega il cantante e leader Francesco Bianconi - in cui il protagonista trova conforto in una visione pura, quasi ultraterrena, dell’amore. E che in questo modo riesce ad allontanare, almeno in alcuni momenti dei giorni che gli restano da vivere, la paura della morte. In fondo, è comunque una canzone sul passare del tempo, che è il tema che lega tra loro le canzoni di questo disco». La copertina del disco del trio di Montepulciano - uno dei più attesi nel primo scorcio del 2013 italiano - riproduce una bambina stesa a terra con gli occhi chiusi. Un’immagine che sembra una citazione, quasi un omaggio al cinema horror italiano degli anni Settanta, ai film di Dario Argento in cui la presenza infantile era legata a elementi fra il demoniaco e il soprannaturale. Nelle registrazioni dell’album, il sesto del gruppo, è stata coinvolta anche un’orchestra sinfonica, la FilmHarmony Orchestra di Breslavia, registrata nella Concert Hall di Radio Breslavia. A metà gennaio esce anche “Inno”, il nuovo album di Gianna Nannini, che poi sarà in tour dal 12 aprile, con debutto a Roma. E nei primi giorni nel mese uscirà anche il nuovo disco di Renato Zero, di cui si sa soltanto che è prodotto da Trevor Horn. Sul resto, mistero quasi assoluto. Dunque sono probabili delle sorprese, da parte dell’artista romano che presenterà assieme a Fabio Fazio il galà del venerdì del Festival di Sanremo. Nuovo disco anche per il catanese giramondo Mario Biondi. Dopo due anni di lavoro tra Milano, Los Angeles, New York e Londra, a fine gennaio arriva infatti “Sun”. Un album dal respiro internazionale, prodotto dallo stesso Biondi e da Jean Paul Maunick, alias Bluey, leader degli Incognito. Fra gli ospiti Chaka Khan, con la quale Biondi duetta nel brano “Lowdown”, di Boz Scaggs. Il primo singolo del disco è “Shine on”, già disponibile in rete. Ma usciamo dai confini nazionali. Degli U2 abbiamo già scritto qualcosa. Nuovo album in arrivo, come anticipato dal manager Paul McGuinness. La band irlandese è in sala da tempo, con vari produttori, da Danger Mouse a Will.I.Am. Pare che le foto di copertina saranno firmate da Julian Lennon, che evidentemente si è trovato un nuovo mestiere. L’album, a quattro anni dal precedente “No line on the horizon”, dovrebbe segnare l’ennesimo cambio di suoni e atmosfere per Bono e compagni. Un paio di settimane al massimo e sarà disponibile anche l’album “12-12-12”, cronaca sonora del concertone di beneficenza per le vittime dell’uragano Sandy, andato in scena nella data citata nel titolo al Madison Square Garden di New York. Risposero all’appello Bruce Springsteen e i Rolling Stone, Jon Bon Jovi e Paul McCartney, Eric Clapton e Roger Waters, Alicia Keys e ciò che rimane di Who e Nirvana. Il concerto è stato già visto e rivisto in diretta e differita tv in tutto il mondo (in Italia, per chi non si è collegato quella notte stessa in streaming, è stato trasmesso poche sere dopo da Sky), e offre alcune perle preziose. Per esempio il Boss che canta con Jon Bon Jovi “Born to run”, o il Macca a duettare con il chitarrista dei Nirvana, Eddie Vedder, nel posto che fu del compianto Kurt Cobain. Da non perdere. Altre notizie nella bottiglia. I Pearl Jam stanno per entrare in sala d’incisione per il nuovo album, atteso per la seconda metà del 2013. Mentre il disco di Elton John dicono sia praticamente pronto: sarà pubblicato prima dell’unica tappa italiana del suo tour, il 9 luglio alla rassegna piemontese “Collisioni”, a Barolo. Beck potrebbe far uscire ben due album nel corso del nuovo anno: una registrazione realizzata nel 2008 e «un disco che ho registrato l'anno scorso a Nashville - come ha spiegato al New Musical Express -, e che potrei completare ma anche no». Misterioso. Nuovi dischi in arrivo anche per l’ex Oasis Liam Gallagher con i suoi Beady Eye. E per i Mumford & Sons, che dopo il successo di “Babel” pare vogliano prendersi una pausa dall’amato folk-rcok e abbracciare suoni e atmosfere elettroniche, con tanto di sintetizzatori al posto di banjo e chitarre.

sabato 29 dicembre 2012

TOURNEE 2013

Con i dischi si guadagna sempre meno, dunque tutti gli artisti - grandi e piccoli, italiani e stranieri - puntano sui concerti per rifarsi. Dev’essere banalmente questa la ragione per la quale il 2013 si presenta ai nastri di partenza con una vagonata di tournèe. Si comincia già nelle prime fredde e forse freddissime settimane dell’anno nuovo, si prosegue a primavera, prima dell’abituale esplosione estiva (la stagione calda è notoriamente e comprensibilmente quella giusta per la bisogna...), e prevedendo già sin d’ora alcuni appuntamenti per l’autunno prossimo. Partiamo da qualche nome grosso. Sigur Ros 18 febbraio a Jesolo e 19 a Milano. L’Immortal world tour del Cirque du Soleil dedicato a Michael Jackson il 19 febbraio a Torino e il 20 a Milano. Tre date italiane a marzo per i Mumford & Sons: 14 a Milano, 15 a Firenze (dove hanno dovuto spostare il concerto in uno spazio più grande, dopo la forte richiesta di biglietti) e 16 a Roma. Il 3 maggio debutta a Torino la conturbante Lana Del Rey, che sarà anche il 6 a Roma e il 7 a Milano. Steve Hackett fa rivivere la magia anni Settanta dei Genesis il 23 aprile a Milano. I Fun sono il 26 aprile a Bologna e il 27 a Roma. Per i nuovi idoli dei giovanissimi One Direction biglietti già esauriti per gli show del 19 maggio a Verona e del 20 a Milano. E poi il ritorno di Bruce Springsteen: 23 maggio a Napoli, Padova Milano e Roma. I Green Day: concerto a Trieste, in piazza Unità, il 25 maggio (ma anche il 24 a Milano, il 5 giugno a Roma e il 6 a Bologna). I Muse saranno il 28 e 29 giugno a Torino, il 6 luglio a Roma. Roger Waters con “The wall” il 27 luglio a Padova e il 28 a Roma. Leonard Cohen il 9 luglio al Summer Festival di Lucca, dove arrivano anche Nick Cave l’11 e Neil Young il 25. Unica data italiana il 31 luglio a Milano per Robbie Williams. D’estate attesi anche Bon Jovi e Depeche Mode. Jovanotti, che in questi mesi fa la spola fra l’Italia e gli Stati Uniti, dove ha deciso di far base per un anno, al ritorno stanziale in patria sarà nuovamente in tour. Queste le date del Backup Tour 2013 (dal titolo della raccolta appena pubblicata, “Backup”, appunto) previste al momento: 7 giugno Ancona, Stadio del Conero; 11 giugno Bari, Stadio delle Vittorie; 15 giugno Bologna, Stadio dall’Ara; 19 e 20 giugno Milano, Stadio San Siro (la seconda data è stata appena aggiunta, visto il veloce “sold out” della prima); 23 giugno, Firenze, Stadio Franchi; 28 giugno Roma, Stadio Olimpico; 2 luglio Salerno, Stadio Arechi; 6 luglio Palermo, Velodromo; 10 luglio Pescara, Stadio Adriatico; 13 luglio Padova, Stadio Euganeo; 16 luglio Torino, Stadio Olimpico. Ma torniamo a questi giorni a cavallo fra l’anno vecchio e quello nuovo. La notte di Capodanno, a Trieste, in piazza Unità, sarà dedicata alla musica dei Finley (un’intervista nelle pagine successive). A Padova, al Gran Teatro Geox, alle canzoni di Gianni Morandi. Fino a martedì primo gennaio a Orvieto va in scena Umbria Jazz Winter: in programma, tra gli altri, Dee Alexander e Gregory Porter, il Giovanni Tommaso Reunion Quintet, Paula e Jaques Morelembaum, Gegè Telesforo Nu Joy Band, Kurt Elling, Dr Bobby Jones and the Nashville Gospel Superchoir, Funk Off, Gino Paoli e Danilo Rea, Jonathan Battiste. Claudio Baglioni ha annullato per una forte laringite il concerto previsto ieri sera all’Auditorium del Parco della Musica di Roma: lo show intitolato “Dieci dita” verrà recuperato il primo gennaio. Ieri ha debuttato al Palapartenope, a Napoli, il tour di Pino Daniele “Tutta n’ata storia”, che lo vede di nuovo insieme alla sua storica band napoletana con Tullio De Piscopo, Toni Esposito, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, James Senese, “special guest” Enzo Avitabile ed Enzo Gragnaniello, ma sul palco ci saranno anche Mario Biondi, J Ax e Chiara Galliazzo (la vincitrice di “X Factor”). Si replica oggi e domani, poi si va in tour. Sabato 26 gennaio, all’Orion Club di Roma, Alex Britti alla chitarra con Mel Gaynor e Ged Grimes, rispettivamente batterista e bassista del Simple Minds, saranno insieme in concerto per celebrare Jimi Hendrix. Una sorta di anteprima del tour che girerà l’Italia d’estate e l’Europa in autunno. Niccolò Fabi, che ha appena pubblicato il disco “Ecco”, sarà in concerto sabato 12 gennaio a Montecatini Terme, lunedì 14 a Lecce, sabato 19 a Trento, giovedì 24 a Mestre (Teatro Toniolo), venerdì 25 a Firenze, martedì 29 a Napoli, mercoledì 30 a San Benedetto del Tronto, venerdì 1 febbraio a Roma (dove tornerà il 20 marzo), lunedì 4 a Milano, venerdì 8 a Torino, lunedì 11 a Bologna. Il 12 aprile parte il tour di Gianna Nannini, con biglietto omaggio per tutti gli acquirenti del nuovo album “Inno”, atteso per il 15 gennaio e anticipato venti giorni fa dal singolo “La fine del mondo”. Una sola data italiana del tour di Alicia Keys, che un mese fa è uscita con il suo quinto lavoro discografico, “Girl on fire”. La vedremo dal vivo il 19 giugno al Palaolimpico di Torino. Per ora chiudiamo qui. Non prima di spiattellare il primo nome dell’autunno: Peter Gabriel il 7 ottobre a Milano. --- Altre segnalazioni nel Friuli Venezia Giulia e dintorni. Battiato il 24 gennaio, Richard Galliano il 29 e Raf l’8 febbraio al Nuovo di Udine. Alice il 30 gennaio e Pierdavide Carone il 9 febbraio al Palamostre di Udine. Banco il 18 febbraio al Deposito Giordani, a Pordenone. Negrita il 29 marzo al Rossetti di Trieste. Kiss il 17 giugno a Villa Manin, dove l’11 luglio arrivano i tedeschi Rammstein. Deep Purple il 24 luglio al festival di Majano. Slovenia. Slash 8 febbraio al Tivoli di Lubiana, dove il 14 marzo arriva anche Nelly Furtado. Mark Knopfler il 4 maggio sempre a Lubiana, ma all’Arena Stozice. Croazia. Depeche Mode il 23 maggio allo stadio di Zagabria.

venerdì 28 dicembre 2012

DIECI ANNI SENZA GABER...

Dieci anni senza Giorgio Gaber, scomparso il primo gennaio 2003. Dieci anni nei quali l’artista e intellettuale di origini triestine è stato sempre presente nel panorama culturale e se vogliamo anche politico di casa nostra. Con i versi delle sue canzoni e dei suoi spettacoli, con le sue idee, le intuizioni, persino le sue provocazioni. Un segno della grandezza, dell’importanza del suo pensiero, che l’ha sempre posto una spanna sopra i suoi “colleghi” del mondo della canzone e del teatro italiani. Già, perchè Giorgio Gaberscik in arte solo Gaber, nato a Milano nel ’39, aveva cominciato come cantante di musica leggera ma a un certo punto del suo percorso personale e artistico si era trovato stretto in quegli abiti. E assieme all’amico e collaboratore Sandro Luporini si era inventanto il Signor G, il teatro canzone, gli spettacoli e le tournèe attraverso i quali non ha mai corso il rischio della banalità. Ma andiamo per ordine, ricordandone il grande tragitto artistico. La passione per la musica l’eredita dal padre Guido, gran suonatore di fisarmonica. Comincia a suonare la chitarra a otto anni, per emulare il fratello maggiore ma anche per esercitare quella mano sinistra ferita dalla poliomelite. Ascolta jazz e studia ragioneria, nella Milano del dopoguerra, dove la sua famiglia si era trasferita da Trieste pochi anni dopo la sua nascita. Comincia con un gruppetto jazz in cui suonava anche Luigi Tenco, ma nel frattempo esplode il rock’n’roll. Con Enzo Jannacci prima poi fonda “I due corsari”, poi accompagna Celentano nelle sue prime esibizioni. Negli anni Sessanta arriva il grande successo, anche televisivo: Sanremo, il Festival di Napoli, Canzonissima, il matrimonio con Ombretta Colli. Allora cantante, femminista e di sinistra, per la quale aveva lasciato la storica fidanzata Maria Monti, anche lei cantante e donna di spettacolo, con cui aveva debuttato a teatro nel ’59. Nel ’69 e nel ’70 le tournèe teatrali (con tappa anche a Trieste) assieme a Mina. Fu lì, confessò molti anni dopo, che maturò la scelta della “seconda vita artistica”. Erano anni particolari, di cambiamenti, di riflessione, di impegno politico. “Il signor G” nasce nel ’70: primo di una lunga serie di spettacoli di teatro-canzone, con cui l’artista scandaglierà le sue ma anche le nostre umane debolezze, i tic, i timori, le speranze, i fallimenti. Fustigando i costumi e criticando il consumismo, l’omogeneizzazione della cultura, la galoppante massificazione dei gusti. Disse tanti anni dopo: «La fine degli anni Sessanta era un periodo straordinario, carico di tensione, di voglia, al di là degli avvenimenti politici e non, che conosciamo, e fare televisione era diventato dequalificante. Mi nauseava un po’ una certa formula, mi stavano strette le sue limitazioni di censura, di linguaggio, di espressività, e allora mi dissi, d’accordo, ho fatto questo lavoro e ho avuto successo, ma ora a questo successo vorrei porre delle condizioni. Mi sembrò che l’attività teatrale riacquistasse un senso alla luce del mio rifiuto di un certo narcisismo». Ancora Gaber: «Poi mi sono chiesto se successo, popolarità e denaro che ne derivava dovessero condizionare la mia vita, le mie scelte. La risposta mi sembra risulti chiara: ho scoperto che il teatro mi era più congeniale, mi divertiva di più, mi permetteva un’espressione diretta, senza la mediazione del disco o di una telecamera frapposta tra l’artista e il suo pubblico. Le entrate erano sicuramente minori rispetto ai proventi derivanti dalla vendita dei dischi, ma guadagnavo abbastanza da non dover soffrire la scelta di campo. E rispetto al denaro, penso che se si riesce a guadagnare una lira di più di quello che è necessario per vivere discretamente si è ricchi». Tanti spettacoli, allora. Prima nella divisa da contestatore (maglione blu, jeans e scarpe Clarks), poi di nuovo in giacca e cravatta. “Dialogo tra un impegnato e un non so”, “Far finta di essere sani”, “Anche per oggi non si vola”, “Libertà obbligatoria”, “Polli di allevamento”. E ancora “Anni affollati”, “Io se fossi Gaber”, “Parlami d’amore Mariù”, “Il grigio”, “E pensare che c’era il pensiero”. Quasi tutti passati dal nostro Politeama Rossetti. L’ultima volta che vi tornò, novembre ’98, con lo spettacolo “Un’idiozia conquistata a fatica”, era già da tempo malato. Glielo vedevi in faccia, al cantore del nostro eterno disagio esistenziale. Ma alla fine dello spettacolo, sudato e visibilmente affaticato, almeno per un attimo ci sembrò felice. Felice del fatto che la gente cantasse ancora una volta in coro le sue vecchie canzoni, quelle che non faceva quasi mai mancare fra i bis: “La ballata del Cerutti” e “Porta romana”, “Torpedo blu” e “Barbera e champagne”, persino “Non arrossire” («Questa è del ’60. E non era nemmeno la prima...», disse con un sorriso agrodolce). Era il suo ultimo spettacolo, lo sapeva lui per primo. Con parole che avrebbero avuto di lì a poco una sorta di compendio nei dischi “La mia generazione ha perso” e “Io non mi sento italiano” (ma per fortuna o purtroppo lo sono, proseguiva il verso...). Quasi il testamento di un uomo deluso e disilluso. Alla nostra consueta domanda «Gaber, dov’eravamo rimasti?», nell’ultima di tante interviste, rispose: «Al pensiero, alla preoccupazione di un’assenza totale di pensiero. Che ora è stata sostituita da... un’idiozia conquistata a fatica. Quindi andiamo peggio, perché la situazione della vita è peggiorata. Non dal punto di vista politico, su cui si potrebbero comunque fare tante considerazioni. Andiamo peggio perché segnali positivi dall’umanità non ne arrivano». E ancora: «Prendo atto dello scadimento generalizzato della qualità delle persone. Quindi diventa difficile non sentirsi coinvolti in questa idiozia. Non sto parlando di qualcuno in particolare, anche se ci sono quelli più e meno idioti, ma proprio di uno scadimento generale delle coscienze. Con Sandro (Luporini, ndr) colleghiamo questo fenomeno all’espansione del mercato, al consumo. Il mercato ci garantisce benessere ma ci condiziona la vita, annienta la consapevolezza e la coscienza». Di dischi e libri su Gaber, in questi dieci anni, ne sono usciti tanti, quasi sempre sotto la garanzia della fondazione a lui intitolata. Recentemente un triplo cd che rilegge cinquanta canzoni della sua carriera, dai primi passi nel rock’n’roll italiano fino al teatro canzone. Il 2 gennaio esce “G. Vi racconto Gaber”, scritto da Sandro Luporini (Mondadori-Fondazione Gaber), con il quale l’amico e coautore rompe per la prima volta il suo leggendario riserbo. «Avrebbero voluto da Giorgio e da me delle risposte. Proprio da noi che abbiamo vissuto tutta la vita nell’assoluta certezza del dubbio». Già, il dubbio. L’insegnamento più grande di Giorgio Gaber.

giovedì 27 dicembre 2012

U2 NUOVO DISCO NEL 2013, e Bono canta x strada a Dublino

Il 2013 ci porterà fra le altre cose il nuovo album degli U2. Parola del manager della band irlandese, Paul McGuiness. Intanto, Bono si diletta a cantare per le strade di Dublino, neanche fosse un busker qualsiasi, anzichè una star planetaria e multimiliardaria. Ma andiamo per ordine. Intervistato da un reporter dell’Irish Independent nella tradizionale serata natalizia organizzata per lo staff e gli amici del gruppo, McGuinness ha detto: «Il 2012 è stato bello pieno per gli U2. C’è sempre dell’attività, quindi sicuramente aspettatevi un nuovo disco nel 2013». Nell’ambiente musicale qualcuno ha fatto notare che non sempre il manager del quartetto ha azzeccato le previsioni, ma è un fatto che, nel silenzio di Bono e compagni sull’argomento, la fonte che si è sbilanciata in questo senso è quanto mai attendibile. Intanto, il cantante e leader degli U2 ha partecipato anche quest’anno - il quarto consecutivo - alla tradizionale “busking session” dublinese, nella centralissima Grafton Street. Assieme a pezzi da novanta come Damien Rice, Sinead O’Connor, Lisa Hannigan e altri musicisti irlandesi, Bono ha infatti cantato una sera prima di Natale come un qualunque artista di strada. Raccogliendo fondi per un ente benefico. Fra i brani proposti, anche qualche pezzo in tema natalizio, come “Christmas (Please come home)”, “I believe in Father Christmas” e “Silent night”. Ovviamente, appena si è sparsa la voce della performance, Grafton Street è stata invasa da appassionati e curiosi. E il traffico nell’arteria commerciale dublinese è andato letteralmente in tilt. I giorni precedenti alle feste hanno visto Bono e compagni molto attivi sul versante delle public relation nella capitale irlandese. Fra le segnalazioni: a un evento privato al quale hanno partecipato tutti i componenti della band, il cantante si è unito a un certo punto al gruppo di sala, i dublinesi Jaime Nanci and The Blue Boys, e ha cantato con loro una versione jazzata di “I’ve got you under my skin”, il brano scritto nel 1936 da Cole Porter per il film musicale “Nata per danzare”.

mercoledì 19 dicembre 2012

AMBROSOLI oggi a TS: ripartire dalle regole

Nel nome del padre. E della legalità. Giorgio Ambrosoli, liquidatore del Banco Ambrosiano, fu ucciso a Milano da un killer della mafia nella notte tra l’11 e il 12 luglio 1979. Lui, Umberto, avvocato come il padre, da domenica sera candidato presidente del centrosinistra alla Regione Lombardia, all’epoca aveva otto anni. Pochi per capire, abbastanza per averne la vita segnata. Avvocato, quand’è entrato nella sua vita il tema della legalità? «Quando è stato ucciso mio padre era troppo presto. Non potevo ancora percepire quel lutto sul paradigma della legalità. Allora c’era solo il dolore, l’incredulità di aver perso il proprio padre. Crescendo, ricordo di essere entrato in rapporto con le regole, con i suoi strumenti. In fondo la legalità è solo un sistema di regole, per garantire alla società una convivenza civile». Ai suoi tre figli come spiega questi concetti? «Partendo dal gioco. Nel quale il sistema delle regole viene imparato prestissimo, nell’esigenza di condividere il divertimento con altri bambini. Non è facile, da piccoli vogliamo vincere, senza badare alle regole. A nascondino o a monopoli, magari scegliendo scorciatoie o trucchi non permessi dal regolamento del gioco. Ecco, io tento di spiegare ai miei figli, che sono ancora piccoli, che il divertimento deve passare attraverso il rispetto delle regole. Che vale più del risultato». E del nonno che cosa ha detto loro? «Che era una persona che ha fatto una cosa importante e bellissima. Per tutti noi. E che ha pagato con la vita questo suo impegno». Agli studenti, in questi incontri, cosa racconta? «Che ci sono tanti esempi di altri studenti, più o meno della loro età, che hanno saputo interpretare il concetto di legalità con comportamenti che hanno rappresentato modelli di crescita e di cambiamento. E che ora hanno loro l’occasione di fare qualcosa di utile per tutti. Un tema che ha una certa presa». Da ragazzi le regole non piacciono. «È vero, ma nei miei incontri nelle scuole e nelle università tento proprio di spiegar loro che le regole, la legalità sono il punto d’incontro fra le esigenze dei singoli e quelle della collettività. Si può essere liberi anche e soprattutto rispettando le regole». Lei ha mai occupato la sua scuola? «Occupato in senso tradizionale no. Ma al mio liceo classico, il Manzoni, a Milano, avevamo trovato delle forme di protesta diverse, anche di lunga durata. Per esempio tenendo assemblee durante le ore di lezione e oltre il limite fissato dalla scuola». Quando e perchè ha deciso di scrivere un libro su suo padre? «”Qualunque cosa succeda” è uscito tre anni fa, ma la decisione di scriverlo è nata in me qualche anno prima. Ed esattamente quando è nato il mio primo figlio. Ricordo che in ospedale, poco dopo il parto, un’infermiera ci ha avvertito che era arrivato il nonno. Era ovviamente mio suocero. Ma in quel preciso istante ho deciso che a quel bambino, che abbiamo chiamato come mio padre, avrei dovuto prima o poi raccontare per bene chi era e che cosa aveva fatto l’altro suo nonno. Quello che lui non avrebbe conosciuto, se non attraverso le nostre parole e i nostri ricordi». Perché ha voluto che fosse Ciampi a scrivere la prefazione? «Il presidente emerito è, fra gli uomini delle istituzioni, quello che maggiormente si è adoperato per tenere vivo e onorare il ricordo di mio padre. Ritengo inoltre che sia uno dei pochi esempi di uomo dello Stato, cioè di tutti e non di una parte. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che la prefazione andasse chiesta a lui». Come l’hanno convinta ad accettare l’impegno in politica? «In effetti ho avuto molti dubbi. Già due anni fa, si era parlato di una mia possibile candidatura a sindaco di Milano. Avevo detto di no. Nonostante una riflessione sul senso dell’impegno individuale per il proprio Paese. Stavolta, dopo tanti dubbi e ripensamenti, ho accettato pensando soprattutto a una frase di un mio amico». Continui. «Il concetto era più o meno questo. Davanti allo sfascio al quale siamo arrivati, cosa diremo un giorno ai nostri figli quando ci domanderanno: ma tu cos’hai fatto per evitare tutto questo? Ecco, al di là di quello che è successo in questi ultimi mesi, gli inviti e le pressioni degli uni e degli altri, pensare a quella domanda alla fine mi ha fatto dire sì». Che Milano, che Lombardia ha visto durante la campagna per le primarie? «Una comunità lacerata dalla crisi ma non rassegnata. Donne e uomini con tante idee, tanta volontà di trovare una soluzione, di partecipare, di ascoltare e di essere ascoltati. Persone stufe dei giochi di potere, animate dai valori dell’onestà, della solidarietà, dell’accoglienza. E poi mi hanno colpito le aspettative riposte in me, per avermi letto sul Corriere o nel mio libro. L’aspettativa di trasferire quei concetti, quei valori anche nella politica». In Lombardia oggi c’è più o meno mafia che nel ’79? «Assolutamente di più, lo dicono tutti i dati. La Lombardia è oggi la quinta regione per beni confiscati alla mafia, che ha ramificazioni profonde nella nostra comunità regionale. E la massa di denaro di provenienza illecita ha assunto ormai proporzioni allarmanti». Come pensa, oggi, a suo padre? «Come disse Corrado Stajano nel libro “Un eroe borghese” (da cui il film omonimo con Fabrizio Bentivoglio - ndr), mio padre era una persona animata da un moderato legalitarismo. Non ha fatto quel che ha fatto interpretando il ruolo del combattente di una guerra santa, si è solo messo al servizio dello Stato. E il suo esempio indica cosa significa essere uomini, cittadini, professionisti, nella consapevolezza del proprio ruolo nella società, del valore della propria libertà». Il libro di Ambrosoli comincia così: «Cari Giorgio, Annina e Martino, vorrei raccontarvi una storia...». Il titolo è tratto dalla lettera che il padre scrisse alla moglie quattro anni prima di essere ucciso: «Pagherò a caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare e sono certo saprai farlo benissimo».

giovedì 13 dicembre 2012

SANREMO 2013, ECCO I NOMI

Raphael Gualazzi, Elio e le Storie Tese, Chiara, Almamegretta, Malika Ayane, Daniele Silvestri, i Modà, Simona Molinari con Peter Cincotti, Marco Mengoni, Marta sui Tubi, Simone Cristicchi, Annalisa, Max Gazzé e Maria Nazionale: sono i 14 big che parteciperanno al Festival di Sanremo. Li ha annunciati Fabio Fazio al Tg1. I 14 artisti - invitati dalla direzione artistica, composta da Fabio Fazio, Pietro Galeotti, Marco Posani, Claudio Fasulo, Massimo Martelli, Michele Serra e Francesco Piccolo, avvalendosi della collaborazione del direttore musicale Mauro Pagani, a partecipare alla sezione Campioni del festival - presenteranno due brani ciascuno. Gli Almamegretta - si legge in una nota della Rai - presentano 'Mamma non lo sa' e 'Onda che vai'; Annalisa 'Non so ballare' e 'Scintille'; Chiara 'L'esperienza dell'amoré e 'Il futuro che sara''; Daniele Silvestri 'A bocca chiusa' e 'Il bisogno di te'; Elio e le Storie Tese 'Dannati forever' e 'La canzone mononota'; Malika Ayane 'Niente' e 'E se poi'; Marco Mengoni 'Bellissimo' e 'L'essenzialé; Maria Nazionale 'Quando non parlo' e 'E' colpa mià; Marta sui Tubi 'Dispari' e 'Vorrei'; Max Gazzé 'Sotto casa' e 'I tuoi maledettissimi impegni'; i Modà 'Come l'acqua dentro il maré e 'Se si potesse non morire'; Raphael Gualazzi 'Sai (ci basta un sogno)' e 'Senza ritegno'; Simona Molinari con Peter Cincotti 'Dr. Jekyll and Mr. Hide' e 'La felicita''; Simone Cristicchi 'Mi manchi' e 'La prima volta'. Il prossimo festival di Sanremo sarà caratterizzato da due elementi: qualità e contemporaneità. Ad annunciarlo è stato lo stesso conduttore Fabio Fazio al Tg1 delle 13.30, subito dopo aver letto l'elenco dei 14 Big in gara. "Vogliamo che al centro del festival ci sia la qualità e contemporaneità", ha spiegato Fazio, che a proposito della lista degli artisti che saliranno sul palco dell'Ariston ha parlato di "scelte dolorose" e sottolineato: "Mi dispiace molto non aver potuto inserire tutti gli artisti che avremmo voluto". "Questo festival - ha concluso - sarà una grande festa e ci sarà anche il coinvolgimento di altri artisti che hanno fatto grande il festival nella sua storia".

Addio a RAVI SHANKAR, fra Beatles e NorahJones

Non solo un virtuoso del sitar. Ravi Shankar, morto a 92 anni in un ospedale di San Diego per i postumi di un intervento al cuore, è stato anche colui che iniziò negli anni Sessanta prima George Harrison e poi gli altri Beatles alla musica e alla cultura indiana. E il primo artista orientale a diventare qualcosa di simile a una popstar, vera icona hippy a Woodstock e al Monterey Pop Festival. E l'iniziatore dei grandi raduni musicali per beneficenza, con il Concert for Bangladesh del '71. E il padre della world music, sempre secondo Harrison. Non vi basta ancora? Eccovi accontentati: ultimo ma non ultimo, era anche il padre di una certa Norah Jones. E dire che la sua storia era partita in maniera diversa. Nasce nel 1920 nella terra santa di Varanasi, da una famiglia di brahmini. Giovinezza tra Asia ed Europa, con il gruppo di danza del fratello Uday. A 18 anni capisce che non è la sua strada, s'innamora del sitar, scrive musiche per il cinema, diventa direttore dei programmi musicali di All India Radio, rete radiofonica nazionale. Verso la fine degli anni Cinquanta viaggia tra Europa e Stati Uniti, facendo conoscere una tradizione musicale poco nota in Occidente. Il violinista classico Yehudi Menuhin lo ascolta e, colpito dai suoi virtuosismi, lo invita a suonare negli States. Alle perplessità iniziali subentra l'interesse. Ma la svolta avviene nel '66, quando Shankar incontra a Londra George Harrison, da tempo attratto dal sitar e dalla musica indiana. È quasi un colpo di fulmine. L'irrequieto Beatle lo segue in India, dove si ferma per sei settimane a studiare la tecnica strumentale. Successivamente arrivano anche gli altri tre Baronetti, in pellegrinaggio a Rishikesh nel '68 a seguito del santone Maharishi Mahesh Yogi. L'influenza si sente, nelle successive opere dei Fab Four. Alla fine dei Sessanta, Ravi Shankar è una superstar internazionale. Suona al Monterey Pop Festival e a Woodstock, il sitar diventa strumento necessario per qualsiasi artista o band occidentale che voglia sprovincializzarsi, dai Rolling Stones agli Yardbirds. Nel '71 convince Harrison a organizzare il Concert for Bangladesh, primo "live" benefico della storia a sostegno della popolazione della regione indiana colpita da un ciclone e martoriata dalla guerra civile. Al Madison Square Garden arrivano Bob Dylan ed Eric Clapton, Ringo Starr e Leon Russell e tanti altri. Seguono album triplo, film, fama planetaria. Nei successivi tour il maestro sembra voler innanzitutto colmare il divario, almeno quello musicale, fra Oriente e Occidente. Famiglia numerosa e turbolenta, come si conviene alle star: vari matrimoni e figli, ma la storia più celebre è quella con l'organizzatrice di concerti newyorkese Sue Jones. Nel '79 nasce Norah Jones, ma la cantautrice non avrà mai un buon rapporto col padre. Al contrario della sorella Anoushka Shankar, nata nell'81 dall'unione con la musicista Sukanya Rajan: sul sitar ha le stesse mani del padre, da lei adorato. Il resto? Tre Grammy Award, una nomination all'Oscar per la colonna sonora del film "Gandhi", la Legion d'onore, un'influenza permanente e duratura sulla musica contemporanea, tantissimo altro. Qualcuno dice che non ci sarebbe stata world music, senza di lui. (Da affermata star internazionale, Ravi Shankar continua però vivere in India, spostandosi spesso all'estero per registrare dischi ed esibirsi in lunghi tour, per tenere concerti, per partecipare a festival. E all'estero, negli Stati Uniti diventati nel tempo sua seconda patria, affronta un'operazione al cuore tecnicamente riuscita, ma non superata a causa dell'età avanzata. Ha scritto George Harrison in una biografia: «Ravi è sempre visto come un guru e una figura paterna, ma per me è principalmente un amico: senza di lui non sarei riuscito a entrare così facilmente nell'esperienza indiana». Nello stesso libro, quasi a sorpresa, il musicista indiano rivela: «Devo ammettere che le voci dei Beatles non mi facevano impazzire. Il più delle volte cantavano in falsetto, cosa che da allora è sempre rimasta in voga. Ma molti dei loro pezzi mi piacciono, soprattutto "Here comes the sun" e "My sweet Lord", scritti da George...».) In India, in queste ore, c'è il cordoglio riservato alle più alte cariche dello Stato: il primo ministro indiano Manmohan Singh ha espresso tristezza evocando la perdita di un «tesoro nazionale e di un ambasciatore mondiale dell'eredità culturale dell'India. Si è chiusa un'era, la nazione si unisce a me per rendere omaggio al suo genio insuperabile, alla sua arte e alla sua umiltà».

martedì 11 dicembre 2012

SANREMO rischia di slittare a causa delle ELEZIONI

Verrebbe da domandarsi se siamo su “Scherzi a parte”. E invece è tutto vero, siamo solo nell’Italia del 2012. Dove la crisi di governo e le possibili elezioni politiche a febbraio potrebbero - udite udite... - far slittare l’edizione 2013 del Festival di Sanremo, prevista fra il 12 e il 16 febbraio. Un osservatore disattento commenterebbe “alla Di Pietro”: ma che ci azzecca Sanremo con la politica? Errore da matita rossa. Perchè le vicende del Festivalone, dal ’51 dell’esordio fino ai giorni nostri, dunque lungo la bellezza di 62 edizioni, sono infatti state sempre intrecciate con le cose politiche tricolori. E non solo per gli equilibri interni alla Rai. Ma torniamo al punto. Dopo l’accelerazione dell’ultimo fine settimana, pare che le elezioni potrebbero verosimilmente svolgersi il 17 e 18 febbraio, oppure il 24 e 25. In un caso ma anche nell’altro troppo a ridosso della rassegna canora che da anni ha smesso di essere solo il “festival della canzone italiana”, virando sempre più verso i territori dello spettacolo televisivo. Che non può fare a meno dei comici, della satira, delle battute “politicamente scorrette” per attirare quelle audience ragguardevoli che all’ammiraglia del servizio pubblico servono quanto e più del pane. E qui entriamo nel secondo corno (absit iniuria verbis) della vicenda. Che ha nomi e cognomi: Fabio Fazio e soprattutto Luciana Littizzetto. Il primo, richiamato nella città dei fiori per l’edizione 2013 dopo le (trionfali) edizioni del ’99 e del 2000, è considerato dai pasdaran del centrodestra troppo di parte per garantire la necessaria par condicio in tempi di campagna elettorale. Non parliamo poi di Lucianina Littizzetto, che da anni affianca il conduttore ligure a “Che tempo che fa”, e sarà la sua dolce spalla anche sul palco dell’Ariston. Per restare all’eufemismo, è una che non le manda a dire. Basta ricordare il siparietto dell’altra sera, quando fresca fresca della notizia del ritorno di Berlusconi con conseguenti dimissioni di Monti se n’è uscita con questa battuta: «Mi viene già la colite, è tornato Berlu. Io non dico di avere pudore, che è un sentimento antico. Ma almeno una pragmatica sensazione di avere rotto il c...». Ovazione in sala e prevedibili reazioni di sdegno degli scudieri del Cavaliere. Tipo Fabrizio Cicchitto, attuale capogruppo Pdl alla Camera, già socialista: «L’ipocrisia regna sovrana nel sistema delle comunicazioni. Fra poco scatta la par condicio. Ma proprio alla vigilia delle elezioni, il Festival di Sanremo previsto per il 12-16 febbraio sarà guidato da due personalità come Fazio e la Littizzetto che non sanno dove stia di casa l’imparzialità». Ancora l’ex tessera P2 numero 2232: «Entrambi già si stanno esibendo con toni marcatamente di parte e domenica la Littizzetto ci ha fatto capire quel che ci aspetta. Tutto ciò pone la presidente Tarantola e il dg Gubitosi davanti a enormi responsabilità». Sarà. Intanto ai piani alti di Viale Mazzini si valuta seriamente, e con sprezzo del ridicolo, lo slittamento del Festival a marzo per poter assolvere gli “obblighi informativi di legge legati alla par condicio”. Sul versante musicale, da sempre il meno importante, la lista dei cosiddetti big in gara sarà comunicata venerdì. Sicuri per ora solo i giovani: Andrea Nardinocchi, Antonio Maggio, i Blastema, Il Cile, Ilaria Porceddu e Paolo Simoni, più Irene Ghiotto e Renzo Rubino, selezionati da Area Sanremo. Ma interessa a qualcuno? L’importante è cloroformizzare la Littizzetto.

SHEL SHAPIRO canta la Costituzione

Shel Shapiro canta i primi undici articoli della Costituzione italiana. L’ex cantante dei Rokes, da tanti anni solista e produttore, pubblica oggi su il singolo “Undici”: un brano da lui scritto e recitato, che vuol essere una sorta di manifesto socio-politico-musicale per ricordare innanzitutto che “la sovranità appartiene al popolo, cioè a noi”. E per ricordare “le fondamenta del nostro paese”. Sì, “nostro”, visto che l’artista nato a Londra nel ’43 è da anni cittadino italiano. «Non ricordo quando ci ho pensato la prima volta - dice Shel -, ma era un momento in cui tutti parlavano di cambiare la Costituzione, sembrava che per il nostro paese non ci fosse altro da fare. Ma se chiedi a qualcuno cosa c’è dentro la Costituzione, cosa andrebbe davvero cambiato, ti rendi conto che nessuno lo sa esattamente. Allora ho ripreso in mano la Costituzione, quella che mi è stata regalata quando sono diventato cittadino italiano, ho riletto i principi fondamentali e mi è sembrato che parlassero di un altro paese, diverso da quello in cui vivevo, non c’era nulla che sembrasse un riflesso di come noi stavamo vivendo, e ho pensato che fosse bene che tutti la rileggessero, che qualcuno ne parlasse di nuovo. E mi sono messo al lavoro». Registrato in Italia e masterizzato a New York, il pezzo è accompagnato dal video diretto e firmato da Marco Risi. Ancora Shel: «Ritengo che sia importante che venga ribadito, da uno come me, non più ragazzino, straniero, diventato italiano, l’importanza della Costituzione Italiana in questo preciso momento, in cui sembra che il popolo non abbia più voce in capitolo». Da far ascoltare a scuola.

LA FIABA NERA DEL CARSO di Lucio Fabi

Siamo nell’estate 1616. Nell’attacco al Forte Stella, vicino a San Martino del Carso, un giovane ufficiale veneziano viene decapitato dagli austriaci che difendono il forte. La sua testa mozzata viene issata su una lancia ed esposta per dileggio. Parte da questo episodio storico realmente accaduto il libro “La fiaba nera del Carso”, che il triestino Lucio Fabi ha scritto per Mgs Press e presenterà domani alle 18 alla libreria Minerva assieme al regista e scrittore Lino Marrazzo. Una narrazione sospesa fra realtà e fantasia, dove anche quest’ultima prende comunque spunto dalla prima. L’episodio del “teschio maledetto” ricercato da più generazioni di un’unica famiglia nei dintorni del monte di San Michele è effettivamente ricordato nei testi storici. Sullo sfondo delle battaglie fra Veneziani e Arciducali e degli assalti italiani alle trincee austriache esattamente tre secoli dopo il fatto originario, nel 1916. Ma la storia inciampa anche nella figura di un “poeta speciale” in cui è facile riconoscere Giuseppe Ungaretti, passando per la bonifica dei tanti cimiteri di guerra carsici degli anni Venti e Trenta, per arrivare alla costruzione nel 1938 del Sacrario di Redipuglia. E spingendosi persino nel futuro, quando l’autore immagina che nel 2016, dunque quattro secoli dopo la decapitazione dell’ufficiale veneziano, un ricercatore è protagonista e testimone dell’inatteso epilogo. Al mercatino di Gradisca, sulla bancarella di un certo Toni... «La vicenda storica del giovane ufficiale di vent’anni cui mozzano la testa nel 1616 - spiega Lucio Fabi - è stata per me il pretesto per innestare gli eventi storici: la prima guerra mondiale, coi ricordi di Ungaretti che combatte sul nostro Carso; la seconda guerra mondiale, con i ricordi dei partigiani, le lotte fra italiani e sloveni, le foibe... Per arrivare ai giorni nostri, con le recenti polemiche sui resti dei caduti di Redipuglia, coi gradoni danneggiati e i problemi di conservazione del Sacrario, fino agli interventi di promozione culturale e turistica del Carso in prossimità del centenario della Grande guerra...». Ancora l’autore: «Tutto è nato da un’escursione notturna in questi luoghi. La storia della testa mozzata tornava sempre, con profezie sulla fine del mondo, nei territori in cui guerra e sofferenza sono sempre state ammantate da un’aura di dolore. Non volevo scrivere nè una storia lacrimevole nè un saggio, dunque mi sono costretto in un numero limitato di pagine, in cui inserire fatti veri e di fantasia riguardanti persone e storie che conoscevo». Per Fabi, storico e consulente museale, autore di vari volumi soprattutto sulla Grande guerra, si tratta del primo romanzo.

domenica 9 dicembre 2012

LED ZEPPELIN, CELEBRATION DAY lun 10 in tv

«Per favore, non devastate la Casa Bianca...». Che simpaticone il presidente Obama, che l’altra sera ha accolto così i Led Zeppelin, tra i vincitori dei 35.i Kennedy Center Honors, premio a quanti hanno contribuito alla vita culturale degli Stati Uniti. Ed è significativo che, assieme al bluesman Buddy Guy, all’attore Dustin Hoffman, al conduttore tv David Letterman, quest’anno ci sia stata anche una delle band più importanti della storia del rock. Il cui “Celebration day” arriva in tv (Italia 1, oggi alle 23.45), dopo il trionfo di due mesi fa al cinema (il docufilm fu proiettato per un solo giorno in contemporanea mondiale in 1.500 sale - 177 in Italia, sei nel Fvg, due a Trieste - in quaranta paesi), e mentre l’omonimo cd/dvd continua a scalare le classifiche. Le immagini sono quelle registrate esattamente cinque anni fa, il 10 dicembre 2007, nel concerto londinese che rimane l’unica vera reunion del gruppo. Quello alla 02 Arena fu in effetti il primo concerto del cantante Robert Plant (64 anni), del chitarrista Jimmy Page (68) e del bassista John Paul Jones (67), di nuovo insieme ventisette anni dopo lo scioglimento della band. Con loro alla batteria Jason Bonham, figlio del leggendario John Bonham, il batterista la cui morte nel 1980 aveva segnato la fine della band. All’evento - omaggio al fondatore della Atlantic Records, Ahmet Ertegun, il primo che credette in loro - assistettero 18mila fortunati scelti tra i venti milioni di fan sparsi in tutto il mondo che avevano partecipato in sole 24 ore alla particolarissima lotteria. Il popolo degli Zeppelin ha dunque ora un nuovo film oggetto di culto, da affiancare allo storico “The song remains the same”, uscito nel ’76. Quando la carriera del “dirigibile” inglese era nel pieno del suo splendore. Nati nel ’68 sulle ceneri degli Yardbirds, considerati i pionieri dell’hard rock, progenitore dell’heavy metal, agli inizi pescano in vari generi musicali. Il primo album, intitolato semplicemente “Led Zeppelin”, esce nel gennaio ’69. Nello stesso anno arriva anche “Led Zeppelin II”, il disco della consacrazione. Rispettivamente nel ’70 e nel ’71 i capitoli “III” e “IV”. Poi gli altri album, finalmente senza il nome della band nel titolo. Trecento milioni di dischi venduti, un’influenza indiscutibile su gruppi e artisti arrivati dopo, l’inserimento nel ’95 nella Rock and Roll Hall of Fame. E ora questo riaccendersi di interesse e successo. Più che giustificato, vista la pochezza di tante nuove offerte...

CHIARA, GOFFA MA CON UNA GRAN VOCE, TRIONFATRICE DI X FACTOR

«Papà, scusa se ti ho messo in questa situazione...». C’è tutta Chiara Galiazzo, la ventiseienne padovana che ha vinto il sesto “X Factor” italiano, in questa frase detta allo stranito genitore, coinvolto con amici e parenti nei festeggiamenti, con contorno di domande per forza di cose scontate, dell’altra sera, poco prima di mezzanotte, in diretta su Sky Uno. Laureata in economia, insicura, l’aria un po’ goffa di chi si sente inadeguata e perennemente fuori posto, Chiara ha battuto in finale il rapper/performer bolognese Ics e l’urlatore di Bassano del Grappa Davide, detto “boiler” perchè strappato dal canto al mestiere di riparatore di caldaie. Soprannominata “la voce di questa edizione”, la mancata economista aveva colpito prima i giurati e poi il pubblico, sin dal casting che quest’estate aveva ridotto gli aspiranti cantanti da 60mila ai dodici che se la sono giocata in questi mesi. Durante i quali, guidata dall’esperienza di Morgan, ha inanellato una serie di interpretazioni da professionista: da una rilettura assolutamente credibile di “Purple rain” di Prince fino all’inedito “Due respiri”, scritto per lei da Eros Ramazzotti, ospite della finale. “X Factor”, dopo il passaggio da Raidue a Sky, si conferma vetrina di assoluto rilievo per le nuove leve della musica italiana. Lo confermano i numeri: un milione di spettatori per ognuna delle due serate della finale (cifre importanti per una pay tv), dodici milioni di voti giunti in questa edizione dal pubblico. Roba da far invidia alle primarie del Pd... Capitolo giudici. Morgan, tutor anche del secondo classificato Ics, incassa l’ennesimo successo: a conferma delle sue doti di eccentrico ma a modo suo geniale “allenatore”. Elio meno dissacrante del solito, forse stanco, quasi normalizzato dalla tivù. Simona Ventura (caposquadra del terzo classificato Davide) e Arisa entrambe, per motivi diversi, assolutamente fuori posto. E protagoniste due settimane fa di una patetica piazzata. Tutta roba che fa audience.

sabato 8 dicembre 2012

ALICE a gennaio a Udine, a feb a Nova Gorica

Debutto la settimana scorsa a Correggio, non troppo distante dalla sua Forlì, dove ha suonato la sera dopo. Poi ritorno a casa per qualche giorno a Tricesimo, in Friuli, dove vive da dieci anni con il suo compagno e produttore Francesco Messina (da Forum Livii a Forum Iulii, come dice lei...). Stasera si riparte: Rimini, Rovereto, Verona, Milano, Firenze. Per vederla nelle nostre zone bisognerà aspettare l’anno nuovo: il 30 gennaio al Palamostre di Udine e il 22 febbraio al Perla di Nova Gorica, serata che farà da apripista alle tappe europee. Alice è di nuovo in tour, dopo la pubblicazione a settembre del nuovo album “Samsara”. «È un termine sanscrito - ci spiegava tre mesi fa Carla Bissi, suo vero nome -, che indica l’incessante flusso e la ciclicità della vita, rappresentati da un ruota che gira. L’ho scelto per indicare l’essenza del disco: eterogeneo, fatto di tanti quadri di vita, affidati a vari autori». Il disco è stato realizzato scegliendo brani scritti da lei stessa (“Orientamento” e “Sui giardini del mondo”, composto assieme a Marco Pancaldi, che stava nei Bluvertigo), assieme a canzoni di autori del calibro di Franco Battiato e Tiziano Ferro. «Era dall’82 che Battiato non scriveva per me. È stato tutto molto semplice. L’ho chiamato, gli ho detto che mi sarebbe piaciuto un brano come “L’ombra della luce”, e lui: allora vuoi una canzone mistica, ci proverò. Dopo pochi giorni era pronta “Eri con me”». «Con Tiziano invece ci seguivamo a vicenda da tempo. Gli avevo fatto chiedere un brano, lui me ne fatti due, “Nata ieri” e “Cambio casa”. È stato un incontro gradevole, particolare e inaspettato». Poi c’è Mino De Martino, che gli appassionati ormai vecchiotti ricordano negli anni Sessanta nei Giganti (quelli di “Proposta”, Sanremo del ’67: «Mettete dei fiori nei vostri cannoni...»). Firma ben quattro brani su dodici: “Morire d’amore”, “Un mondo a parte”, “Autunno già” e “Come il mare”. «Con lui siamo amici da tanti anni, ho cantato molte sue canzoni. Ma nel disco ho preso anche alcune strofe di “Al mattino”, brano del ’68 dei Califfi: mi hanno colpito per la freschezza, la luminosità, ma anche l’attualità». Completano l’album una cover de “Il cielo” di Lucio Dalla e il testo di Totò musicato da Giuni Russo: «’A cchiù bella». Sarà bello sentirli dal vivo.

giovedì 6 dicembre 2012

ELISA: ASPETTO IL SECONDO FIGLIO

Sono tempi di social network. E dunque per l’annuncio c’erano due possibilità: Twitter o Facebook. Elisa ha preferito quest’ultimo per annunciare di aspettare il secondo figlio. Ma ecco il testo messo in rete ieri: «Ciao a tutti! Io, Andrea ed Emma Cecile siamo entusiasti di annunciare che la nostra famiglia a breve si allargherà. Un piccolo nuovo arrivo sta per rendere ancora più viva la nostra esistenza. Per godere appieno di questo bellissimo regalo, insieme a Sugar, F&P e Asile, miei compagni di viaggio, abbiamo deciso di posticipare l’uscita del mio nuovo album al prossimo settembre e la partenza del mio nuovo tour a dicembre 2013. Arrivederci a prestissimo! Elisa». Andrea è ovviamente Rigonat, compagno di vita nonchè chitarrista della cantante. Emma Cecile è la bimba che la coppia ha avuto il 22 ottobre 2009. Per Elisa davvero un periodo d’oro, dopo l’annuncio dei giorni scorsi che il suo brano “Ancora qui”, scritto su musica nientemeno che di Ennio Morricone, farà parte della colonna sonora del prossimo film di Quentin Tarantino, “Django unchained”: un action-western che uscirà negli Stati Uniti il 25 dicembre con un cast di superstar tra cui Leonardo DiCaprio e Jamie Foxx. Il brano potrebbe diventare il trampolino di lancio decisivo per la cantante e autrice nata al Burlo di Trieste il 19 dicembre ’77 e monfalconese a tutti gli effetti. Negli States ha già suonato, suscitando interesse nel pubblico e nella critica. Ma stavolta potrebbe essere la volta buona per il salto di qualità. Biberon permettendo...

mercoledì 5 dicembre 2012

ADDIO AL JAZZISTA DAVE BRUBECK

Avesse scritto solo “Take five” (era il ’59, l’album s’intitolava “Time out”), con il celebre tema in cinque/quarti, sarebbe già iscritto di diritto nella storia del jazz. Ma Dave Brubeck, scomparso alla vigilia del 92.o compleanno, è stato una leggenda del genere afroamericano anche per tanti altri motivi. Genio musicale e innovatore, applicò al jazz forme mutuate dalla classica. Con il suo pianoforte ebbe un ruolo anche nella lotta contro la segregazione razziale. Negli anni Cinquanta fu il primo a suonare jazz nero negli Stati Uniti del Sud, che non brillavano per rispetto dei diritti umani e civili. Nato il 6 dicembre del 1920 a Concord, New Hampshire, comincia da ragazzo con la classica ma poi s’innamora dei suoni e delle atmosfere che scova nei jazzclub. E soprattutto dell’improvvisazione. Nel ’42, finita l’università, si ritrova soldato in Europa, agli ordini del celebre generale Patton. Evita il fronte grazie alla musica, suona per i suoi commilitoni. Tornato negli States, lo aspetta il professionismo. Suona in ottetto e in trio, collabora con Paul Desmond, si ritrova a San Francisco con i Geary Cellar, fonda il suo quartetto. Gli anni Cinquanta sono quelli della consacrazione, nasce la leggenda del pianista classico “prestato” al jazz. Con Chet Baker e Gerry Mulligan anima la scuola del cool jazz della West Coast. Fonda l’etichetta Fantasy Records. Suona nei campus universitari. Incide dischi di successo. “Time” gli dedica la copertina... Nonostante l’età avanzata, Brubeck ha suonato fino agli ultimi mesi continuando ad andare in tournèe in giro per il mondo in quartetto. Il suo cuore si è fermato ieri all’ospedale di Norwalk, Connecticut, dove si stava recando per un controllo dal cardiologo. Oggi era atteso da una festa di compleanno nella città di Wilton, nel suo New Hampshire.

domenica 2 dicembre 2012

CAPOSSELA mart a trieste

«Ho sempre amato il “rebetiko” perchè è musica che fa male, che non prova a renderti migliore ma solo te stesso. Musica rivoltosa perchè accende la rivolta di quanto le convenzioni hanno occultato di noi stessi. E poi è bellissima, sa di fierezza, di oriente, di assenza, di qualcosa di perduto. Musica di gente dignitosa, con un’identità, che non faceva dipendere chi si era da quello che si possedeva». Parole di Vinicio Capossela, che ritorna a Trieste. Il cantautore e musicista nato ad Hannover sarà infatti in concerto domani alle 21 al Teatro Sloveno, nell’ambito del tour “Rebetiko Gymnastas”, che, dopo la tappa triestina, organizzata con la Cooperativa Bonawentura, toccherà giovedì il Deposito Giordani di Pordenone. Il tour, partito un mese fa da Marghera, prende il nome dall’album pubblicato a giugno, a un anno di distanza dal precedente “Marinai, profeti e balene”. Non un disco di inediti, ma una raccolta dei suoi maggiori successi reinterpretati in chiave “rebetiko” (“rebeta” viene dal turco “rebet”, ribelle, colui che meno si tira indietro quando le città vanno a fuoco), genere musicale greco secondo alcuni simile al fado portoghese. «Gli strumenti musicali - dice Capossela - sono come imbarcazioni. Servono per affrontare il mare del sentimento, del ricordo, dell’immaginazione. In greco la cassa armonica degli strumenti a plettro si chiama “skafo”. Insomma, imbarcazione e cassa armonica vengono dalla stessa parola. Dunque la musica è in un certo senso un “mezzo di trasporto”, proprio come i porti sono i luoghi dello scambio, della taverna, dell’approvvigionamento. Una canzone una volta arrivata in porto può cambiare lingua, ma l’anima rimane la stessa». Alcuni dicono che il “rebetiko” è una sorta di blues greco, la cui storia affonda le radici nella Salonicco nei primi anni del Novecento, con elementi tratti dalla tradizione ellenica, bizantina e ottomana. Una musica che parla di crisi e di emigrazione, esprimendo la malinconia, le ansie, la sofferenza esistenziale della gente comune. Sentimenti di attualità in questi tempi di pesante crisi economica e sociale, in Grecia più ancora che nel resto d’Europa. «La Grecia - riflette Capossela - in questo momento è un passo avanti su una strada in cui non resterà da sola. Per questo è importante capire cosa vi sta succedendo. Questa non è la crisi della Grecia, è la crisi del sistema capitalistico. Molti ritengono che le politiche applicate in Grecia siano un esperimento sociale, un laboratorio dove mettere alla prova ricette decise da chi regge il sistema finanziario». Ancora il musicista: «La difficoltà non è solo economica, ma anche di identità. Chi siamo una volta che perdiamo quello che abbiamo? Molta gente ha ripreso a emigrare. C’è una grossa passione politica, ma anche una grande sfiducia nella classe politica. Tanto abbiamo in comune, come recita il vecchio motto, “una faza una raza”...». Con Capossela, in scena domani a Trieste e poi Pordenone, Vassilis Massalas alla chitarra e baglamas, Ntino Chatziiordanou alla fisarmonica e all’organo Farfisa, Dimitri Emmanouil alle percussioni e il solista del bouzouki Manolis Pappos. Completano l’organico i fedelissimi Alessandro Asso Stefana alla chitarra e Glauco Zuppiroli al contrabbasso.

venerdì 30 novembre 2012

DE GREGORI, Sulla strada - raccolta FOSSATI

Difficile realizzare un nuovo disco “all’altezza” per un artista che, in quarant’anni di carriera, ha scritto tanta parte della miglior canzone d’autore di casa nostra. Altre volte Francesco De Gregori non ce l’ha fatta, restando al di sotto della sua fama e della sua storia (ogni riferimento a “Per brevità chiamato artista”, uscito quattro anni fa, è assolutamente volontario). Stavolta il sessantunenne cantante e autore romano (lui “aborre” il termine cantautore...) firma invece un buon album, ben piantato nel presente ma con le radici doverosamente salde nel passato. “Sulla strada” comincia con il brano omonimo, ballata elettro-acustica che ha anticipato qualche settimana fa l’album. Il nostro ha ammesso di aver letto soltanto da poco il capolavoro di Kerouac, pubblicato nel lontano 1957. Ma qui la Beat generation c’entra poco. «Io mi sento musicista - spiega - solo andando in giro a suonare: ci sono quelli che fanno un solo concerto per ventimila persone, io preferisco farne dieci per duemila. È un fatto fisico. Il momento peggiore, per me, è quando sono fermo: ho come un senso di colpa, mi sento un perdigiorno». Sulla strada, dunque, ma a “Passo d’uomo”, brano che sta a indicare la lentezza, ma anche la misura con cui camminare nella vita: un passo da esseri umani. “Belle epoque” è la storia di un sergente che festeggia, fra vino e bordelli, il passaggio dall’Ottocento al Novecento. “Omero al Cantagiro” (con la voce di Malika Ayane) immagina il grande poeta presentarsi alla rassegna anni Sessanta sullo sfondo di ritmi latini, che si discostano dalle sonorità country-folk del disco. “Guarda che non sono io” è una finestra sul rapporto non sempre facile dell’artista con il suo pubblico: «E io gli dico scusa, però non so di cosa stai parlando, sono qui con le mie buste della spesa, lo vedi che sto scappando, se credi di conoscermi non è un problema mio...». Archi scritti e diretti da Nicola Piovani. “Ragazza del ‘95” (ancora con la voce di Malika) immagina il futuro in un mondo che sembra voler negare ai giovani la possibilità e il diritto di costruirsene uno, di futuro. “La guerra” è vista attraverso la quotidianità disperata di un soldatino. “Showtime” e “Falso movimento” parlano d’amore, ma alla maniera nobile di De Gregori. Insomma, l’impressione è che l’artista abbia voluto raccontare qualcosa del suo Novecento, della sua (e nostra) Italia amata sin da tempi non sospetti (“Viva l’Italia” è del ’79, quando a sinistra il concetto di patria aveva controversa cittadinanza...), oggi compresa e accettata con difficoltà. Ma non sono io quello che ti spiega il mondo, ammonisce in “Guarda che non sono io”. Lo racconta bene, però. . IVANO FOSSATI “Live: dopo - tutto” (Emi) Con il tour concluso a marzo di quest’anno, Ivano Fossati sembra aver effettivamente posto la parola fine alla sua carriera di musicista che pubblica dischi e tiene concerti. Anche se, quando si parla di industria dello spettacolo, è sempre meglio andare coi piedi di piombo: un ripensamento è sempre possibile, e il mondo della musica è già pieno di infiniti ritorni. Ce lo ricorda la casa discografica dell’artista genovese, che pubblica nei prossimi giorni un nuovo album che è la testimonianza della sua ultima tournèe e arriva a un annetto di distanza da quello che dovrebbe restare come il suo ultimo disco di inediti. Anticipato nelle radio dal brano “Ho sognato una strada”, l’album comprende in tutto sedici canzoni registrate dal vivo per la prima volta, che coprono un arco di tempo che va dagli anni Settanta a oggi. Riascoltiamo “La crisi”, “Cara democrazia”, “Stella benigna”, “Carte da decifrare” e “L’orologio americano”, ma anche classici come “Viaggiatori d’occidente”, “La musica che gira intorno”, “La costruzione di un amore”...

giovedì 29 novembre 2012

SPRINGSTEEN ITALY 2013

Barley Arts presenta BRUCE SPRINGSTEEN AND THE E STREET BAND GIOVEDI' 30 MAGGIO 2013 – NAPOLI, PIAZZA DEL PLEBISCITO; SABATO  1° GIUGNO  2013 - PADOVA, STADIO EUGANEO; LUNEDI' 3 GIUGNO 2013 – MILANO, SAN SIRO; GIOVEDI' 11 LUGLIO 2013 – ROMA, IPPODROMO DELLE CAPANNELLE "ROCK IN ROMA". Le voci si rincorrono ormai da qualche settimana e ora trovano finalmente conferma. BRUCE SPRINGSTEEN AND THE E-STREET BAND ritornano dal vivo in Italia nel 2013 e per ben 4 concerti: il 30 Maggio a Napoli, in Piazza del Plebiscito, il 1° Giugno allo Stadio Euganeo di Padova, il 3 a San Siro, lo stadio di Milano dove Bruce suonerà - unico artista internazionale - per la quinta volta, e infine l'11 Luglio nell'ambito del Rock In Roma all'Ippodromo Delle Capannelle, ma con un allestimento specifico studiato appositamente per questo concerto, così da accogliere i tanti fan che attendono Springsteen di nuovo a Roma dopo 4 anni di assenza dalla Capitale. I biglietti per i quattro concerti, organizzati dalla Barley Arts di Claudio Trotta, saranno resi disponibili secondo il seguente calendario: la prevendita per lo show di San Siro aprirà sabato 1° dicembre nel circuito Ticketone (dalle 10 sul sito Ticketone.it e dalle 16.00 nei punti vendita sul territorio). Con la stessa dinamica, ma da Venerdì 7 Dicembre entreranno in vendita i biglietti per i concerti di Napoli e Padova, mentre da Lunedì 10 Dicembre sarà la volta di Roma: biglietti disponibili dalle 10.00 sul sito Ticketone e dalle 16.00 nei punti vendita sul territorio. In tutti e quattro i casi, dal giorno feriale successivo all'apertura delle prevendite su Ticketone saranno abilitati anche i punti vendita dei circuiti locali (elenco completo consultabile sul sito barleyarts.com). Sarà consentito l'acquisto di 4 biglietti al massimo per ogni transazione. Le nuove date confermate per il 2013 vedranno Bruce Springsteen and The E Street Band ritornare in Europa forti dell'enorme successo riscosso nell'estate 2012 e in particolare in Italia, dove nei 3 concerti a Milano, Firenze e Trieste hanno radunato un pubblico di oltre 130mila persone.

martedì 27 novembre 2012

CONCATO ven 30-11 a cervignano

Ci sono le star da classifica e gli eterni emergenti, quelli “da una botta e via” che spariscono dopo una stagione e quelli che rimangono dignitosamente in sella attraverso i decenni, da non confondersi con i patetici abbonati al revival. E poi ci sono quelli come Fabio Concato, fine artigiano dell’arte nobile e popolare chiamata canzone, il cui tour farà tappa venerdì alle 21 al Teatro Pasolini di Cervignano. Milanese, classe ’53, debutto nel ’77 con l’album “Storie di sempre” (nel quale c’era l’indimenticata “A Dean Martin”), sempre in bilico fra canzone d’autore, amore per il jazz e un filo d’ironia, l’uomo è sopravvissuto anche al successo di classifica, giusto trent’anni fa, con la popolarissima “Domenica bestiale”. «È vero - dice Concato -, molti mi identificano ancora con quel brano, altri con “Guido piano”, “Ti ricordo ancora”, “Rosalina”... La cosa non mi dà particolare fastidio. Evidentemente sono le canzoni rimaste più impresse nel pubblico, all’interno di una produzione e una discografia ormai quasi quarantennale». Il nuovo album è arrivato dopo una lunga pausa. «Sì, “Tutto qua” è uscito undici anni dopo il precedente disco di inediti, “Ballando con Chet Baker”. Ci sono brani che fanno sorridere, commuovere, pensare. Tutto gira attorno alla volontà di mettere l’uomo al centro dell’attenzione. Lo spread sarà pure importante, ma noi forse meritiamo una vita diversa. Dobbiamo cercare di guardare gli altri mettendoci nei panni di tutti, soprattutto delle nuove fasce deboli». Un tema che lei aveva portato al Sanremo 2007. «Lì avevo forse anticipato i tempi. In “Oltre il giardino” cantavo le difficoltà e le angosce di un disoccupato di 40/50 anni, che non riesce a rientrare nel mondo del lavoro. Quanto accaduto in questi ultimi anni conferma tristemente quella mia ispirazione compositiva». Che anni sono? «Viviamo in una dittatura finanziaria. L’essere umano sembra non contare più nulla. Sono tempi che bruciano tutto in pochi giorni, nella musica, nell’editoria, ovunque. E invece dovremmo recuparare il teatro, la cultura, l’attenzione per l’uomo». Ama ancora il jazz? «Certo. Negli anni in cui non ho inciso ho lavorato molto dal vivo, proprio con un gruppo jazz. Sono amori che non finiscono. Io sono cresciuto in un ambiente musicale, mio padre suonava jazz. Attraverso lui ho conosciuto molta della musica che amo, compresa quella sudamericana». Dicono che l’hip hop ha sostituito la canzone d’autore. «Proprio sostituito non lo so. Diciamo che è verosimile che i ragazzi di oggi si sentano rappresentati dall’hip hop alla stessa maniera in cui noi, quarant’anni fa, seguivamo la canzone d’autore. Fabri Fibra dice delle cose acute, intelligenti. Lo stesso Jovanotti è partito da lì. Dunque il paragone regge. Anche se a me il genere non entusiasma...». Quest’anno riprova con Sanremo? «Non so. Nell’ultima edizione ero dato fra i sicuri partecipanti, poi sono stato escluso in extremis, non ho capito perchè. Un peccato, anche perchè avevo pianificato il lavoro per la pubblicazione dell’album e coinvolto Toquinho come possibile ospite internazionale. Un vero peccato». I giovani la ascoltano? «Il mio pubblico è formato soprattutto da miei coetanei, o giù di lì. Ma mi sorprende che ai concerti ci siano anche tanti giovani e giovanissimi, che magari mi hanno conosciuto attraverso i dischi dei propri genitori. La cosa mi dà particolare piacere».

lunedì 26 novembre 2012

JIMI HENDRIX 27-11: 70 anni, film woodstock, etc...

Oggi Jimi Hendrix compirebbe settant’anni. È morto invece il 18 settembre 1970, dopo aver rivoluzionato il rock e l’arte di suonare la chitarra elettrica. Tanto da essere considerato dalla rivista Rolling Stone “il più grande chitarrista di tutti i tempi”, davanti a Eric Clapton e Jimmy Page. I suoi fan di ieri e di oggi lo possono festeggiare con un film, un libro e un disco. Il film è “Hendrix 70. Live at Woodstock”, solo oggi nelle sale italiane (a Trieste allo “Space” delle Torri, in Friuli a Pradamano e a Torrealta di Martignacco). Le immagini - reastaurate - sono quelle girate da Michael Wadleigh all’alba del 19 agosto 1969 al Festival di Woodstock. Due ore di concerto, nel quale Jimi introdusse per la prima volta la sua nuova - e purtroppo ultima - band, lanciata in una scaletta ricca di classici come “Voodoo child” e “Fire”, “Purple Haze” e “Foxy Lady”. Anche se di quella visionaria esibizione rimane soprattutto la versione straniata e straniante dell’inno nazionale statunitense, “Star Spangled Banner”. Era l’alba di lunedì, a chiusura della tre giorni di pace, amore e musica. Hendrix aveva insistito per essere l’ultimo a esibirsi. E lo fece davanti a “sole” 200mila persone, visto che altre 300mila erano già ripartite, lasciando le terre di Nel film anche materiale inedito e interviste ai componenti della band Billy Cox e Mitch Mitchell, all’ingegnere del suono Eddie Kramer e all’organizzatore del festival Michael Lang. Ma si diceva anche di un libro e di un disco. Il primo è “Jimi Hendrix - Mio fratello”, biografia scritta dal fratello Leon con Adam Mitchell. A febbraio arriva il doppio cd “Live at the Fillmore East” con il documentario “Band of Gypsys”. Nell’album sedici brani, tredici dei quali inediti o comunque mai pubblicati in questa versione.

mercoledì 21 novembre 2012

SPRINGSTEEN nuove date italiane 2013

Quasi sicuramente Padova, probabilmente Genova e Roma, forse Torino e Milano, difficilmente Napoli. Sono queste le città che si giocano la possibilità di ospitare le nuove date italiane del tour 2013 di Bruce Springsteen. Questione di giorni, forse di ore e i concerti verranno annunciati. C’è molta attesa fra i seguaci del rocker di Freehold, la corsa alla prevendita dei biglietti partirà un minuto dopo l’annuncio da parte di Barley Arts, l’agenzia di Claudio Trotta che organizza il tour italiano. In queste settimane sono circolate molte voci, suffragate da poche certezze. Andiamo per ordine. Stiamo parlando sempre del “Wrecking ball tour” cominciato il 13 maggio di quest’anno a Siviglia - ma prima c’erano già state delle tappe negli Stati Uniti - e passato l’11 giugno dallo Stadio Rocco di Trieste (le altre date italiane di quest’estate erano il 7 a Milano e il 10 a Firenze). Dopo essere rimbalzato un paio di volte fra Europa e Stati Uniti, e aver ovviamente rispettato alcuni periodi di riposo (seppur tonico, il nostro rocker è pur sempre del ’49...), il tour prosegue in questi giorni lunedì 26 a Vancouver, Canada; il 28 a Portland, il 30 a Oakland, il 4 dicembre a Anaheim, California, il 6 a Glendale, il 10 a Mexico City, e poi il 12 a New York, al Madison Square Garden, nel concerto a favore delle vittime dell’uragano Sandy (con lui anche Paul McCartney, Jon Bon Jovi, Billy Joel, Alicia Keys, Roger Waters, Who...). Ma torniamo alla tappe italiane 2013, che dovrebbero essere tre o quattro, sistemate proprio come quest’anno nella prima metà di giugno. Il 12 giugno Springsteen potrebbe essere allo stadio di Genova, il 13 all’Euganeo di Padova (sarebbe già stato firmato un pre-contratto), mentre nei giorni successivi potrebbero essere calendarizzati i concerti di Torino e Roma. Capitolo Napoli. Alcuni media hanno lanciato nei giorni scorsi la suggestione di un concerto di Springsteen, a giugno, in piazza del Plebiscito. Si è parlato anche di una data: il 30 maggio. Sarebbe una grande sorpresa, perchè i megaconcerti delle grandi rockstar straniere non sono praticamente mai scesi sotto Roma. Probabilmente anche a causa delle cattive esperienze che molti organizzatori hanno avuto in passato nella gestione locale dei tour. Lo stesso Trotta è rimasto scottato per una recente esperienza a Caserta. Ma chissà, forse San Gennaro potrebbe fare la grazia... Capitolo Milano. Il Boss ha un rapporto speciale con la metropoli lombarda, sin da quel primo concerto italiano a San Siro, del giugno ’85, dopo il quale confidò al suo staff il proponimento di non voler più fare tour che non toccassero la terra dei suoi avi materni. Purtroppo, per banali problemi di sforamenti orari, con tanto di strascichi giudiziari, per alcuni anni Milano è stata “bypassata” dalle sue tournèe. Ma il ritorno di quest’anno è stato assolutamente trionfale, e la possibilità di un bis nel 2013 ci sta tutta. «Con ogni probabilità - sostiene il triestino Daniele Benvenuti, che continua a girare l’Italia col suo libro “All the way home”, dedicato al Boss - questo sarà l’ultimo tour con la E Street Band. E credo che Bruce non lo concluderà senza ritornare a Milano. Chissà, magari a luglio, a chiusura della tournèe...».

VASCO film-concerto 2011 giov/ven anche a trieste

Nella permanente incertezza sulle sue reali condizioni di salute, Vasco Rossi continua a mandare messaggi nella bottiglia al suo popolo. Dopo le tante incursioni sul web, oggi e domani è la volta del cinema. Arriva infatti in 170 sale italiane (a Trieste allo “Space” delle Torri e all’Ambasciatori, in Friuli a Pradamano e a Torreano di Martignacco) il film-concerto “Vasco Live Kom 011 al cinema”. Si tratta del leggendario concerto allo stadio milanese di San Siro del giugno 2011, quattro “sold out” di fila, campione assoluto di incassi nel primo semestre di quell’anno. In programma oltre due ore di musica, con tutte le migliori canzoni del Blasco nella potenza ipertecnologica dell’audio Dolby Stereo. E le immagini del backstage e del pubblico, sempre “uno spettacolo nello spettacolo” quando di scena c’è il rocker di Zocca. Alla vigilia della partenza per il “Live Kom 011” Vasco scriveva: «Un tour è un lungo viaggio, comincia mesi prima, con la preparazione atletica e la concentrazione. È un periodo di grande intensità emotiva. L’inizio delle prove, quando ogni giorno le idee, i dubbi e le incertezze sono accompagnati dalla musica che mi tranquillizza. Le prime prove sul palco, quando me lo guardo incantato e me lo godo. E naturalmente la prima data, la seconda,la terza e così via. Cambiano gli alberghi, gli scenari, la tensione è continua ma quando comincia la musica ogni volta è una libidine unica». Ma si diceva dei vari modi che Vasco Rossi ha scoperto da qualche tempo per comunicare con il suo popolo. In primis Facebook, dove usa pubblicare quelli che lui chiama “clippini”, ovvero dei piccoli filmati autoprodotti in casa. Alla vigilia di questo film-concerto, l’altro giorno si è “autointervistato” a cura della “redazione del Blasco”. E ha risposto così a una domanda. «Chi sono oggi? Un padre di famiglia, con un figlio, Luca, desiderato, voluto e nato come frutto dell’amore con Laura, fedele compagna da ormai 25 anni. E altri due figli, Davide e Lorenzo, riconosciuti, assistiti e seguiti con affetto. E... l’artista che tutti conoscono». I fan possono inviare altre domande all’indirizzo e-mail redazione vascorossi.net. Info sul film-concerto su www.vascoalcinema.it e www.thespacecinema.it

FEGIZ, successo al Rossetti

C’è un momento di autentica commozione, sul palco e in platea, nello spettacolo “Io odio i talent show”, che Mario Luzzatto Fegiz ha portato ieri sera in un affollato Rossetti. È quando alla fine del primo tempo, parlando delle origini del Festival di Sanremo, il giornalista e critico musicale triestino, per l’occasione trasformato in showman, ricorda la sua infanzia davanti alla tivù. «A Trieste, occupata dagli angloamericani, c’era una canzone che ci faceva piangere tutti. Era “Vola colomba” di Nilla Pizzi: “che inginocchiato a San Giusto (canticchia - ndr), prega con l’animo mesto, fa che il mio amore torni, ma torni presto...”. L’amore che doveva tornare era l’Italia. Quella canzone era dedicata all’Italia, a cui noi sognavamo di appartenere». In altre parti d’Italia questi versi vengono accolti da applausi educati (“del primo tipo”, per usare la definizione offerta a inizio spettacolo), qui è mancato poco alla standing ovation. Doveroso tributo a un triestino "propheta in patria" che ha lasciato la città da adolescente, senza in realtà mai abbandonarla. Tributo ricambiato da vari passaggi in dialetto che ovviamente non sono presenti nel copione originale. Lo show nasce dall’autoironica riflessione di un critico che vede il suo ruolo, la sua potenza spazzati via nell’epoca dei talent show, dei social network, dei televoti, degli sms. Ma diventa ben presto lo spunto per raccontare - oltre a parte della sua vita - fatti e misfatti di mezzo secolo di musica popolare. Affiancato dal chitarrista e cantante Roberto Santoro e dal fisarmonicista ucraino Vladimir Denissenkov, Fegiz - con la collaborazione di Giulio Nannini e Maurizio Colombi per testi e regia - squaderna decine di aneddoti su Tenco e Mogol-Battisti, De Gregori e Dalla, Michael Jackson e Madonna, Sanremo e i personaggi emersi dai “talent”. Il fondale è rappresentato da una vecchia radio, in una scena completata da un jukebox, una scrivania, la scritta “on air”, dischi di vinile sparsi ovunque. Fra le sue proustiane “madeleine” sfornate nella villa di famiglia di via Rossetti, Fegiz sfoggia verve, autoironia e memoria elefantina, accennando persino qualche passo di twist. Dimostrandosi istrionico e versatile animale da palcoscenico. A Trieste accoglienza molto affettuosa, a tratti trionfale. E alla fine bis pensati apposta per la platea di casa.

lunedì 19 novembre 2012

QUEEN concerto budapest '86 al cinema mart20-11

Budapest, 27 luglio ’86. L’Europa è ancora divisa in due. Quel giorno i Queen di Freddie Mercury tengono nella capitale ungherese quello che sarebbe passato alla storia come il primo concerto di una band occidentale oltre la cortina di ferro. Ma anche l’ultimo con il cantante nato a Zanzibar, che sarebbe morto il 24 novembre ’91. Da quell’evento è nato il film “Hungarian Rhapsody - Queen Live in Budapest”, visibile oggi in duecento sale italiane (a Trieste al Giotto, a Monfalcone al Kinemax). Dinanzi a 80mila spettatori, nella cornice imponente del Nepstadium, la band inglese sforna due ore di grande spettacolo, alternando celebri cavalli di battaglia (da “Bohemian rhapsody” a “Crazy little thing called love”, da “A kind of magic” a “I want to break free”, da “Under pressure” a “Who wants to live forever” alla classicissima “We are the champions”) e immagini del backstage e della visita in Ungheria di Freddie Mercury, Brian May, Roger Taylor e John Deacon. «I Queen - ha scritto il Guardian del film - erano al loro culmine. Una band che viveva per stare sul palco. E questo è il miglior documento mai visto su quell’esperienza». «Siamo felici – hanno detto May e Taylor - che i fan di tutto il mondo possano finalmente rivivere questo momento incredibile per i Queen. Sapevamo che il concerto di Budapest sarebbe stato speciale, ma all’epoca non immaginavamo che notte storica sarebbe stata». Il film, in versione digitale rimasterizzata, arriva mentre Hollywood sta mettendo in cantiere l’atteso film biografico su Mercury e il suo gruppo. Il ruolo del cantante è stato affidato all’attore Sacha Baron Cohen (quello di “Borat”). Le riprese avranno inizio in primavera e che la data di uscita nelle sale è prevista per i primi mesi del 2014.

domenica 18 novembre 2012

MLF, IO ODIO I TALENT SHOW mart20-11 a trieste

Mario Luzzatto Fegiz odia i talent show perchè hanno posto fine alla dittatura della (sua) critica. Nasce da questa autoironica constatazione lo spettacolo “Io odio i talent show”, con cui il giornalista e critico arriva domani al Politeama Rossetti. «Nello spettacolo - spiega Fegiz, nato a Trieste nel ’47 - interpreto me stesso, ovvero un critico musicale in pieno psicodramma. Un tempo temuto e rispettato, mi trovo a dovermi confrontare con una nuova realtà: quella dei social network, dei talent show, dei televoti, degli sms, di improbabili giudici dal retroterra culturale esile». Perchè uno spettacolo? «Da anni giro l’Italia per conferenze per le quali attingo al mio immenso archivio di articoli e ricordi. Spesso gli amici mi chiedono “ma com’è Madonna a tu per tu? e Jagger?”. Così quattro anni fa ho messo assieme una sorta di reading con il musicista e cantante Roberto Santoro». Il balzo a teatro? «Maria De Filippi mi chiese di scrivere le note di copertina del cd del decennale di “Amici”. Le risposi: al massimo posso scrivere che odio i talent show. E lei: mi sembra una buona partenza. Così scrissi il monologo omonimo, per lei e per lo spettacolo che stava prendendo forma». Ci fu una serata a Udine. «Sì, per la rassegna “Bianco e nero”. E una prova aperta al Folk Club di Torino, di cui scrisse sul suo blog la collega Marinella Venegoni. Il manager Claudio Trotta la legge, vede alcuni spezzoni di video, decide di produrre lo spettacolo. E trova anche il regista, Maurizio Colombi, quello di “Peter Pan”. Si crea subito una forte sintonia fra me, lui e il mio storico assistente Giulio Nannini». E poi? «Il collage di aneddoti diventa lo psicodramma comico di un critico che a 65 anni si accorge di non contare più nulla, derubato dai talent show che hanno spalmato la sua funzione su sms, televoti, twitter, giurie popolari». Com’è stato ritrovarsi dall’altra parte della barricata? «Spaventoso. Il teatro è crudele, faticoso, medioevale. Ho perso otto chili in un mese. Imparare a memoria un copione, le posizioni, fare e rifare e sudare è stata una delle esperienze più forti della mia vita». Insomma, si fatica. «Sì, sul palco sudo come un batterista. Il primo tempo dura 52 minuti, il secondo 35. La mia resistenza stabilisce questi tempi. Quel che è rimasto fuori è nel libro “Io odio i talent show” di prossima uscita». Come hanno reagito i cantanti dei “talent” che cita? «Nulla. Tranne Emma, che ha fatto irruzione nel programma tv di Fabio Volo subito dopo il mio monologo, pochi giorni fa. Sembrava divertita. Ha fatto la parte di quella che mi riporta all’ospizio. La Amoroso, di cui ospito un’intervista vera nella quale diceva di non conoscere Jannacci e Bowie, non si è fatta viva». Con Santoro ora c’è anche Vladimir Denissenkov. «Santoro è un bravo artista, versatile e disponibile. Sa cantare, scrive, genera effetti sonori e strumentali con abilità. Vladimir l’ho scoperto in una cantina milanese al raduno di un’associazione culturale. Me l’ha presentato Lella Costa. Aveva lavorato con Moni Ovadia. E De Andrè aveva utilizzato la sua fisarmonica cromatica russa in “Anime salve”». Nello spettacolo si parla di Trieste. «Più volte. In maniera comica ma anche struggente. E c’è un passaggio in cui mi commuovo ogni volta...». Anche se manca da quarant’anni. «Ma il legame non si è mai interrotto. La villa di famiglia in via Rossetti, l’Adriaco e le uscite in barca, gli incontri con i compagni di scuola del Dante e persino con le compagne della prima elementare alle Ancelle della Carità di via Ginnastica. Quando arrivo in auto sulla costiera comincio automaticamente a parlare in dialetto...». Cosa ama e cosa odia della città? «Sono innamorato dell’umorismo triestino, dei witz. Amo il lungomare, i sardoni, le donne di ogni età, quell’ironia unica nel suo genere. Odio la pigrizia e l’immobilismo della serie “no se pol”. E gli orari nei negozi, sempre chiusi». Pensa a un altro spettacolo? «No. Assolutamente». Ora che ha provato il palco, sarà un critico più buono? «Sì, credo che in futuro farò degli sconti a quelli che calcano il palcoscenico. O almeno ci proverò...».

venerdì 16 novembre 2012

MANNOIA sab17-11 a udine

La crisi aguzza l’ingegno. E stavolta riserva una piccola sorpresa per i fan di Fiorella Mannoia che andranno a vedere il concerto della cantante romana di nascita e milanese di adozione, stasera alle 21, al “Nuovo” di Udine. Per il prezzo del biglietto riceveranno anche il recente doppio cd+dvd dedicato a questo “Sud, il tour”, già passato in regione a maggio a Pordenone e ad agosto a Lignano. L’album “Sud”, da cui è nato il tour, è stato ispirato dal libro “Terroni”, di Pino Aprile. E dalla “scoperta” che la storia della nostra penisola, della nostra Italia unita e repubblicana, non è quella che ci hanno insegnato a scuola, né tantomeno quella spacciata da certa propaganda leghista. «Non sapevo - ha detto la cantante - che il nostro Sud prima dell’annessione fosse ricco, opulento, moderno e all’avanguardia. Non sapevo che i briganti fossero resistenti e non criminali. Ignoravo il bagno di sangue e il saccheggio che questa parte del nostro Paese ha subito con il Risorgimento. Da questi elementi è scaturito il disco, che è anche un omaggio al Meridione. È stato un attimo poi allargare il pensiero e la denuncia a tutti coloro che nel mondo subiscono la stessa sorte». Nel disco e nello spettacolo il nuovo approccio alla storia del Meridione diventa dunque il pretesto per focalizzare l’attenzione su tutti i Sud del mondo. Con problemi simili, a partire dalle difficili condizioni di vita di tante persone e dal conseguente dramma dell’emigrazione, dalla necessità di lasciare la propria terra per inseguire pane e lavoro. Un disco sul filo della denuncia sociale, insomma, affidata soprattutto al brano “Non è un film” (scritto da Frankie Hi-Nrg, che nel disco duetta con la cantante), Premio Amnesty Italia come miglior canzone dell’anno sul tema dei diritti umani. Con questo concerto Fiorella Mannoia torna a Udine dopo tre anni di assenza. Sul palco con lei Carlo Di Francesco (percussioni), Davide Aru (chitarra), il triestino Fabio Valdemarin (pianoforte), Luca Visigalli (basso), Diego Corradin (batteria), Arnaldo Vacca (percussioni), Andrea Pistilli (chitarra), Natty Fred e Kaw Dialy Mady Sissoko (cori).

giovedì 15 novembre 2012

TEATRO DEGLI ORRORI domani a Trieste

Il nuovo rock italiano parla la loro lingua. La lingua colta e dura del Teatro degli Orrori, considerato da pubblico e critica uno dei migliori gruppi della scena attuale. Il loro terzo album s’intitola “Il mondo nuovo”, come il lungo tour cominciato a primavera da Pordenone e che arriva domani sera a Trieste, all’Etnoblog. Per il batterista del gruppo, il triestino Francesco Valente, un ritorno a casa... «Con Francesco suoniamo assieme da tanti anni - dice Pierpaolo Capovilla, cantante e leader della band -, dai tempi di One Dimensional Man. E assieme eravamo anche nel nucleo di base che ha dato vita al Teatro degli Orrori, già nel nome un tributo ad Artaud e al suo “Teatro delle crudeltà”...». Citazioni e riferimenti culturali sono una sua costante. «Sì, sono un affezionato citazionista. Sbatto i poeti nella contemporaneità. Se poi l’ascolto della nostra musica induce qualche ragazzo ad andare a cercare un libro, beh, vorrà dire che avremo fatto qualcosa di utile». È vero che per “Il mondo nuovo” voleva citare De Andrè? «Sì, volevamo intitolarlo “Storia di un immigrato”, parafrasando la sua “Storia di un impiegato”. Poi ci è sembrato un po’ presuntuoso. E abbiamo cercato un altro riferimento». Trovandolo in Aldous Huxley. «Esatto, nel suo “Brave new world”, in italiano proprio “Il mondo nuovo”, romanzo di fantascienza in cui nel lontano 1932 lo scrittore inglese immaginava un mondo in cui tecnologia e genetica l’avrebbero fatta da padrone». Lei dice che ci siamo vicini? «Beh, sicuramente tecnologia e genetica hanno cambiato il mondo in cui viviamo. La globalizzazione di cui si parla tanto è innanzitutto una nuova divisione mondiale del lavoro, da cui emerge la figura del migrante». Di cui parla il disco. «Sì, il nostro è una sorta di “concept album”, come quelli che uscivano negli anni Settanta. Sedici istantanee, sedici piccole storie di viaggio e speranza, di lontananza e solitudine, purtroppo anche di violenza e morte». Come quella di “Ion”. «Ion Cazacu era un operaio rumeno ucciso nel 2000 a Varese da un italiano. Una vicenda terribile e paradigmatica. Quando il fatto avvenne mi colpì molto, avrei voluto scrivere subito qualcosa, ma all’epoca il Teatro degli Orrori nemmeno esisteva. Quando abbiamo deciso di fare un disco sui migranti la sua storia mi è tornata in mente». In certi brani avete quasi un approccio giornalistico. «Certo. La cronaca nera è un autentico serbatoio di spunti, di idee. Sulle pagine dei giornali troviamo fatti dai quali emerge la vita reale, che è poi quella che vogliamo raccontare». Nel brano “Rivendico” citate persino Slavoi Zizek. «Il filosofo sloveno è un grande intellettuale post-marxista, capace di guardare al futuro con riferimenti alla cultura popolare. Lo citiamo con Pasolini e Asor Rosa, a mo’ di provocazione. Provocazione che alcuni non hanno capito».

martedì 13 novembre 2012

LUCIANA CASTELLINA presenta a trieste il libro SIBERIANA

«Sul Lago Baikal, nella Siberia meridionale, un luogo splendido dove però d’inverno ci sono quaranta gradi sotto zero, su un traghetto a un certo punto sento parlare italiano. E non era nessuno dei miei compagni d’avventura. Parlo con queste persone e scopro che fra il 1870 e i primi del Novecento settecento lavoratori friulani erano arrivati fin lassù, soprattutto da Clauzetto, per lavorare alla costruzione della Transiberiana. Tanti erano morti, e molte tombe e lapidi con nomi italiani sono lì a testimoniarlo. Altri tornarono a casa. Ma alcuni rimasero lì, e i loro discendenti parlano ancora nella nostra lingua». È l’episodio forse più particolare raccontato da Luciana Castellina nel suo nuovo libro “Siberiana”, che presenta oggi a Trieste. Il diario di un viaggio sospeso tra passato e presente, sulla Transiberiana, sulla linea ferroviaria più lunga del mondo, da Mosca al mar del Giappone, un viaggio durato tre settimane nel settembre 2011. Giornalista e scrittrice, Castellina è stata un pezzo importante della sinistra italiana. Prima nel Pci, dal quale fu radiata nel ’69 assieme al gruppo che diede poi vita al Manifesto, poi nel Pdup, in Democrazione proletaria, in Rifondazione comunista. Un impegno politico di lungo corso, che l’ha portata per tre legislature nel Parlamento italiano e quattro in quello europeo. «Il Salone del libro di Mosca - spiega - ha ogni anno un Paese ospite d’onore. L’anno scorso toccava all’Italia. Dunque siamo stati invitati una decina di scrittori e giornalisti, per prender parte alla spedizione “Transiberiana Italia-Russia”. Ci aspettava un viaggio di seimila chilometri attraverso cinque fusi orari». Partenza ovviamente da Mosca. «Che è diversa dalla Russia alla stessa maniera in cui New York non somiglia agli Stati Uniti. Comunque da Mosca siamo appena passati, giusto il tempo di visitare il Salone del libro. Poi dritti alla stazione, dove siamo sistemati su un vagone speciale della Transiberiana, attrezzato per il nostro lungo viaggio. Tante tappe, in ogni città ci fermavamo due giorni, poi la seconda sera tornavamo su quella che era diventata la nostra piccola casa per tre settimane». Fra voi si era creato un buon clima? «Sì, siamo stati fortunati, andavamo d’accordo, ci eravamo simpatici. Cosa fondamentale, visto il tanto tempo che abbiamo dovuto passare assieme. Tenga conto che dormivamo nelle cuccette, che spesso i pasti venivano serviti a bordo. Ma è stato divertente, eravamo un’allegra brigata. La sera facevamo delle piccole festicciole, c’era quasi un clima da gita scolastica». È stato un viaggio anche nel suo passato? «Diciamo che per me è stata l’occasione innanzitutto per ripensare al fatto che a questo grande paese, che nel bene e nel male ha occupato per tanti anni la nostra immaginazione e quella di almeno un altro paio di generazioni, ormai non pensa quasi più nessuno. È come se non esistesse». E invece? «E invece esiste ancora, rimane il più grande paese del mondo ed è anche molto bello. Uno dice Siberia e pensa ai gulag, e invece si tratta di una regione con paesaggi meravigliosi. Un paese di poeti e di viaggiatori, di prigioneri e di gangster. Una sorta di far west ancora tutto da scoprire, soprattutto per noi occidentali». Con paesaggi diversi. «E meravigliosi, mai monotoni. Centinaia di chilometri di boschi di abeti, di faggi, di betulle, senza mai incontrare una casa. Una vera rivincita della natura sul mondo cosiddetto civilizzato». La sua prima volta in Russia? «Era il ’57, per il Festival della gioventù a Mosca. Ne ho un ricordo bello ma illusorio. C’era ancora Kruscev. Città grigia, austera, poche luci e nessun cartellone pubblicitario per le strade. Ricordo che il ballo fu organizzato dentro le mura del Cremlino. La delegazione italiana portò la Roma Jazz Band. Credo sia stata la prima esibizione di un gruppo jazz al Cremlino». La sua penultima volta? «Autunno ’93, ai tempi di Eltsin e del parlamento bombardato. Mosca era già radicalmente trasformata, non era più l’austera capitale sovietica, i negozi erano pieni di beni di consumo, nelle strade c’erano tante luci, tanti cartelloni pubblicitari. La transizione dal socialismo al capitalismo in quei mesi era segnata da un drammatico caos». Lei quando cambiò idea, sulla Russia e sul comunismo sovietico? «Nel ’69, dopo Praga, quando con il gruppo che avrebbe dato vita al Manifesto comprendemmo che si trattava di un regime ormai non più riformabile. I nostri vecchi compagni del Pci lo capirono con qualche anno di ritardo». Putin? «Il suo è ancora un regime, dai pesanti aspetti illiberali. Il cambiamento è stato vissuto dai russi come una speranza di liberazione che però è stata decisamente tradita. Il passaggio dal comunismo al capitalismo selvaggio è caratterizzato da aspetti di grande durezza. Molti si sentono imbrogliati». Il viaggio è stato per lei anche una piccola evasione dall’Italia del settembre 2011? «Assolutamente. Non dimentichiamo che a Palazzo Chigi c’era ancora un certo Berlusconi, che la nostra immagine nel mondo era duramente compromessa. Pochi mesi prima, a New York, al controllo dei passaporti, la battuta ammiccante sul bunga bunga era immancabile. Di buono, nel nostro lungo viaggio sulla Transiberiana, c’è stato anche che nessuno faceva riferimenti per noi imbarazzanti quando capivano che eravamo italiani...». La prima presentazione del libro la fa nella “sua” Trieste. «È vero, a Roma lo presentiamo solo due giorni dopo. Ed è vero che con Trieste ho un legame particolare. Di qui era un mio nonno materno, di cognome faceva Liebman. Non ho mai vissuto nella vostra città, eppure quando ritorno mi sento stranamente a casa. Un fatto di odori, di cucina, di cultura. Il mio legame con quel ramo della mia famiglia è sempre stato fortissimo». Nel gruppo del Manifesto, oltre a lei, c’era un altro pezzetto di queste terre. «È vero, Rossana Rossanda è nata a Pola e da ragazza ha vissuto a Trieste. Sì, possiamo dire che quarant’anni fa al Manifesto c’era anche un pezzetto di Nordest...».

lunedì 12 novembre 2012

COLDPLAY 13-11 al cinema

Chi non li ha visti il 24 maggio, nell’unica tappa italiana del “Mylo Xylotour 2012”, allo Stadio Olimpico di Torino, può rifarsi stasera. Anche nel Friuli Venezia Giulia: nelle sale del circuito The Space a Trieste (alle Torri) e a Pradamano, in Friuli. Doppia proiezione solo oggi (20.30 e 22.15), in contemporanea mondiale. “Coldplay live 2012” è il primo film-concerto della band inglese, fotografia del tour mondiale “Mylo Xyloto”, che dal giugno 2011 in poi è stato visto da oltre tre milioni di persone. Firmato da Paul Dugdale, già regista di “Live at Royal Albert Hall” di Adele e “Word’s on fire” dei Prodigy, il film è realizzato con momenti tratti dai concerti di Parigi (allo Stade de France, davanti a 75 mila spettatori), Montreal e Glastonbury (località a ovest di Londra, sede di uno storico festival rock) nel 2011. «Questo tour - ha detto Chris Martin - è stato il più divertente tra quelli che abbiamo fatto. È partito subito con il piede giusto; in parte perchè eravamo orgogliosi della musica, dei braccialetti “led”, dei fuochi d’artificio e di tutto il resto, ma principalmente per l’incredibile audience davanti a cui abbiamo suonato. Nel corso degli anni, il nostro pubblico è diventato sempre più parte del concerto, rendendo il suono delle canzoni migliore di quanto noi siamo già in grado di fare. Abbiamo cercato di raccogliere il feeling che ci arriva da loro per trasportarlo nel film concerto». Novanta minuti da non perdere, con tutti i successi della band inglese. Il film uscirà in cd+dvd il 20 novembre.

CAPOSSELA 4-12 TRIESTE

Vinicio Capossela ritorna a Trieste. Il cantautore e musicista nato ad Hannover sarà infatti in concerto martedì 4 dicembre al Teatro Sloveno, nell’ambito del tour “Rebetiko Gymnastas”, partito il 2 novembre da Marghera e che domani e giovedì farà tappa al Teatro Bellini di Napoli. Dopo la tappa triestina, organizzata assieme alla Cooperativa Bonawentura, l’artista sarà anche giovedì 6 dicembre al Deposito Giordani di Pordenone. L’attuale tour prende il nome dall’album pubblicato a giugno, a un anno di distanza dal precedente “Marinai, profeti e balene”. Non un disco di inediti, ma una raccolta dei suoi maggiori successi reinterpretati in chiave rebetiko (“rebeta” viene dal turco “rebet”, ribelle, colui che meno si tira indietro quando le città vanno a fuoco), genere musicale greco secondo alcuni simile al fado portoghese. Secondo altri si tratta di una sorta di blues greco, la cui storia affonda le radici nella Salonicco nei primi anni del Novecento, con elementi tratti dalla tradizione ellenica, bizantina e ottomana. Una musica che parla di crisi e di emigrazione e che, proprio come il blues dei neri d’America, esprime la malinconia, le ansie, la sofferenza esistenziale della gente comune. Sentimenti che tornano di grande attualità in questi tempi di pesante crisi economica e sociale, in Grecia più ancora che nel resto d’Europa. Per realizzare il disco, Capossela ha trascorso un periodo ad Atene, dove ha registrato con l’accompagnamento di alcuni musicisti greci. Fra tutti, Manolis Pappos, maestro del bouzuki, con alle spalle una prestigiosa carriera anche al fianco di musicisti greci come Theodorakis, Arvanitaki, Xarhakos, Papazoglou e Ntalaras. Ma in sala c’erano anche il nostro Mauro Pagani, Marc Ribot e la cantante Kaiti Ntali. Quest’estate, Capossela si è dedicato ad alcuni “Esercizi allo scoperto” (in pratica: un tour estivo, partito proprio da Tarvisio, al No Borders Music Festival) con i suoi Rebetici Ginnasti. Ora il rientro nei teatri e nei club, la dimensione più adatta alle proposte spettacolari del nostro. Ma il tour non è l’unico fronte su cui è attualmente impegnato l’artista. Proprio ieri sera è infatti tornato su Radiodue come conduttore della prima di dieci puntate, dal titolo di “Rebetika Ginnatika” (ogni lunedì fino a metà gennaio, alle 19.50). «Parlare di rebetiko è parlare della vita, delle difficoltà della vita - ha spiegato Capossela -, la narrazione si snoda attraverso storie di uomini, musicisti e canzoni che dicono le cose esattamente come stanno, non se ne compiacciono e nemmeno le imbellettano e sovente hanno un grande umorismo di fondo». Ancora il musicista: «Questa musica viene dalla Grecia, un paese antico, che ha molto in comune con il nostro, ma che ha anche la tipicità di essere sospeso tra Oriente e Occidente, che è proprio il punto di incontro di questa musica». L’avventura radiofonica? «Qualcosa che va oltre il semplice esercizio di esotismo musicale, ma che rappresenta un’occasione per riflettere sul sentimento dell’identità, sull’apporto che la musica può dare in un momento di difficoltà della vita». Con Capossela, in scena anche a Trieste e Pordenone, Vassilis Massalas alla chitarra e baglamas, Ntino Chatziiordanou alla fisarmonica e all’organo Farfisa, Dimitri Emmanouil alle percussioni e il solista del bouzouki Manolis Pappos. Completano l’organico i fedelissimi Alessandro Asso Stefana alla chitarra e Glauco Zuppiroli al contrabbasso.

mercoledì 7 novembre 2012

DE ANDRE' e GABER, cofanetti il 13-11

Fabrizio De Andrè ci ha lasciato l’11 gennaio ’99, doveva ancora compiere 59 anni. Giorgio Gaber è mancato il primo gennaio 2003, di anni ne avrebbe compiuti di lì a pochi giorni 64. Entrambi sono ancora vivi nel panorama musicale e culturale del nostro Paese, oltre che nel ricordo del pubblico che li ha seguiti e amati, grazie alle tante e immortali canzoni che ci hanno lasciato. Il calendario ora li accomuna con due pubblicazioni, previste entrambe il 13 novembre. In quella data usciranno infatti sia “I concerti” del cantautore e poeta genovese (sedici dischi e un libro di 192 pagine, su etichetta Nuvole Production/Sony Music), che il triplo cd “...io ci sono” dell’artista milanese di origine triestina. Partiamo da De Andrè. L’opera propone la raccolta completa in sedici dischi dei suoi otto tour, da quello del ’75/’76 (“La Bussola e Storia di un impiegato”) fino all’ultimo, “Mi innamoravo di tutto”, del ’97/’98, molti dei quali passati anche da Trieste e dal Friuli Venezia Giulia. Come non ricordare i concerti al Rossetti: il primo febbraio ’79 (recupero della data prevista il 29 dicembre ’78 rinviata per afonia dell’artista), il 3 aprile ’93, il 18 novembre ’97. Ma anche l’accoppiata dell’agosto ’81, prima a Lignano Sabbiadoro e poi a Monfalcone. Moltissimi possono dire con orgoglio: io c’ero... Accanto alla fotografia “live” della poetica del grande Faber, accanto all’anima musicale, la sua storia viene ripercorsa anche attraverso un libro illustrato: riproduzione di schizzi originali dei palchi, foto di scena, immagini del backstage e d’archivio mai pubblicate, memorabilia, manoscritti, semplici appunti. E siamo a Gaber. Il triplo rilegge cinquanta canzoni della sua straordinaria carriera, dai primi passi nel rock’n’roll italiano fino al teatro canzone “inventato” con Sandro Luporini. Si comincia da “Ciao ti dirò”, la prima incisa nel ’59 ma anche l’ultima cantata dal vivo, con Adriano Celentano su Raiuno. Ma poi sfilano anche Luciano Ligabue (“Qualcuno era comunista”) e Laura Pausini, Claudio Baglioni e Franco Battiato (“La parola io”), Ivano Fossati e Lucio Dalla, Gianni Morandi e Gianna Nannini, e ancora Jannacci (“Una fetta di limone”), Ranieri, Vecchioni, Antonacci, Vanoni, Arbore (“Non arrossire”), D’Alessio, Finardi, i “nuovi” Daniele Silvestri (“Il signor G nasce”), Samuele Bersani, Dente, J Ax e Articolo 31 (“Io non mi sento italiano”), Emma e Noemi, Baustelle e Negramaro. Pochi di loro hanno avuto il coraggio di rileggere Gaber alla loro maniera. Le interpretazioni sono quasi tutte filologicamente rispettose dell’originale. La perla del disco è quella regalata da Patti Smith, alle prese con la versione inglese di “Io come persona”. L’artista statunitense ha partecipato quest’anno al Festival Gaber che si tiene ogni estate a Viareggio, dicendo fra l’altro: «Sono molto intrigata da Giorgio Gaber, un artista di cui sto ancora approfondendo la conoscenza e l’immensa produzione. Ritrovo i miei pensieri nelle sue canzoni...». E sostenendo inoltre di aver ritrovato le stesse considerazioni nel suo “People have the power” nei testi del “Signor G”. Del cofanetto esce anche una edizione “de luxe” che presenta tre brani in più: la versione per solo piano di Roberto Cacciapaglia di “Non arrossire”, “Quando sarò capace di amare” proposta da Ron e la storica cover di “Lo shampoo” firmata da Mina. Entrambe le pubblicazioni sono realizzate a cura e sotto l’attenta supervisione delle fondazioni alle quali gli eredi di Fabrizio De Andrè e Giorgio Gaber hanno affidato il grande patrimonio lasciato dai due grandi artisti.

domenica 4 novembre 2012

CESARE CREMONINI mart 6-11 pordenone

Cesare Cremonini dice che in un periodo così grigio, con una situazione economica così scassata, con una crisi che sembra non aver fine, immaginare e mostrare un mondo colorato può rappresentare un valido antidoto. Se non altro alla depressione incipiente e imperante. «Il mio album ”La teoria dei colori” - dice il trentaduenne cantautore bolognese, il cui tour fa tappa domani alle 21 al palasport di Pordenone - è uscito cinque mesi fa e mi ha dato molte soddisfazioni. Il pubblico sta amando questo disco policromatico, che vuole strabordare, raccontare emozioni, ricco di amore e di vita». Nel quale lei mischia pop inglese e cantautorato italiano. «Sono le due facce della mia ispirazione musicale, la mia cifra stilistica. Sono un grandissimo fan dei Beatles, sono cresciuto con le loro canzoni, sicuramente mi hanno influenzato. Come di certo mi ha influenzato la stagione dei grandi cantautori italiani, quelli bolognesi ma non solo loro». Dal vivo il disco sta funzionando? «Credo di sì, spero di sì. Anche perchè questo è l’album che volevo realizzare da tanti anni: l’ho pensato come una raccolta di canzoni pensate e scritte apposta per poter esplodere proprio dal vivo. Dove bisogna mischiare l’intrattenimento e la comunicazione. Due facce della stessa medaglia, entrambe importanti, che vanno unite. Anche perchè il “live”, nella sua irripetibilità, è un momento fondamentale nella discografia del futuro». “Il comico (Sai che risate)” è stato il brano di lancio. «Il comico è una figura centrale nella storia del nostro Paese, da Totò a Benigni. Anche quando ci si trova la sera, a tavola con gli amici, c’è sempre quello che fa battute e sdrammatizza. Insomma, il buffone della compagnia. Quand’ero ragazzo, anch’io puntavo sulla simpatia, su qualche battuta per farmi apprezzare». E quando il comico diventa politico? «Lei mi vuol far parlare di Beppe Grillo, ma io non sono ancora in grado di dare un giudizio preciso. Vedremo che cosa farà, prima di giudicarlo. Di certo la gente non ne poteva più della situazione precedente, e lui ha messo il dito sulla piaga di un Paese dove le cose non funzionano e fanno fatica a cambiare. Comunque ripeto: aspettiamo prima di dare un giudizio». Con lei c’è sempre il bassista Nicola “Ballo” Balestri. «Lui e il mio produttore Walter Mameli sono il team di lavoro di sempre, quello che in questi dieci anni non è cambiato. Siamo cresciuti e cambiati assieme, dopo gli esordi con i Lùnapop..». Con Pupi Avati com’è andata? «Un giorno mi chiama e mi dice che secondo lui sarei stato perfetto per il ruolo di Carlin nel film che stava per girare, “Il cuore grande delle ragazze”. Dissi sì subito, d’istinto. E non mi sono pentito». Cosa ha imparato? «Lavorare con un grande regista come avati ti permette di ricevere degli insegnamenti importanti, ammesso che tu abbia voglia di rimetterti in gioco e imparare. Mi ha chiesto spontaneità, mi ha spronato a dare il meglio di me. Ne ho ricevuto un grande arricchimento umano. Anche perchè per me ogni pagina nuova è un nuovo pezzo di vita». Dunque la rivedremo attore? «Non nascondo che mi piacerebbe. E molto. Ma solo a patto di essere nuovamente coinvolto in un progetto interessante, che mi faccia crescere e imparare qualcosa di nuovo. Non mi interessa sfruttare il “marchio Cremonini”, insomma».