giovedì 30 maggio 2013

DISCHI, PATRIZIO FARISELLI, Antropofagia

PATRIZIO FARISELLI “ANTROPOFAGIA” (Cramps) Era il 1977, quando Patrizio Fariselli - tastierista degli Area - incise un disco solista, “Antropofagia”, influenzato da John Cage. A quasi quarant'anni dalla prima pubblicazione in vinile ora la benemerita etichetta “Cramps Records” propone per la prima volta in cd quell’album, rimasterizzato in digitale. Era e rimane un disco “cult”, che si svolge in sei episodi per pianoforte acustico e preparato: sei composizioni nelle quali l’improvvisazione ricopre un ruolo determinante in cui l’artista (nato a Cesenatico nel ’51) indaga le più estreme potenzialità sonore dello strumento. Fariselli, tra i fondatori degli Area International POPular Group (il gruppo di Demetrio Stratos), fu uno dei pochi artisti italiani insieme a Paolo Tofani a partecipare al nuovo corso di sperimentazione musicale - promosso proprio dall’etichetta Cramps, e volto all’esplorazione delle potenzialità espressive dei vari strumenti - che ancora oggi rimane una pietra miliare della storia della musica contemporanea.

DISCHI, ALMAMEGRETTA, La controra

La “controra”, con l’accento sulla seconda “o”, a Napoli e un po’ in tutto il Sud sta a indicare le primissime ore del pomeriggio estivo, nelle quali fa talmente caldo che è raccomandabile stare a casa a riposare. Per uscire, per tornare alle normali attività lavorative e non, c’è tempo più tardi, quando la calura diminuisce. I napoletani Almamegretta, dopo una carriera lunga ormai un quarto di secolo, contraddistinta da una godibile miscela di reggae, canzoni napoletane e nenie arabe, hanno scelto proprio questo termine per intitolare il loro nuovo disco, il primo dopo dieci anni di storie separate. «La controra - conferma Pablo Polcari, che con Raiz e Gennaro T costituisce la base originaria della band - per noi al Sud è quel momento che sta in mezzo alla giornata, dopo il pranzo. Il significato che si porta dietro è quello della riappropriazione del proprio tempo, della propria umanità. Crediamo infatti che oggi sia necessario ripartire dalle cose semplici». Un po’ lo stesso tema che la band aveva portato all’ultimo Sanremo, dove ha presentato il brano “Mamma non lo sa”, lo stesso che apre questo nuovo lavoro discografico. Prima la partecipazione al Festival e ora questo disco segnano il ritorno a casa di Raiz, dopo alcune prove soliste, non sempre felici. «Abbiamo ripreso il filo del discorso in modo naturale - dicono i tre - anche perchè in realtà non ci siamo mai separati completamente, viste le collaborazioni e i contatti che abbiamo mantenuto negli ultimi anni». Il risultato è buono, sembra di respirare nuovamente quel clima fertile della Napoli musicale degli anni Settanta. Il tema del tempo (“Tempo” era anche il titolo di un brano dell’album “Sanacore”, uscito nel ’95), del lavoro che troppe volte toglie tempo alla vita, sta al centro dell’opera. Che sembra volerci indicare l’urgenza di ritrovare la propria essenza umana soltanto al di fuori del lavoro, degli schemi mentali del consumismo e dell’accumulo di prodotti e ricchezza. Da segnalare al proposito il brano che chiude il disco, “Pane vino e casa”, il cui testo è ispirato a un discorso dell’industriale Adriano Olivetti pronunciato a metà degli anni Cinquanta in occasione dell’apertura della fabbrica di Pozzuoli. Oggi gli Almamegretta si considerano una sorta di gruppo aperto. «Più che una band ci siamo sempre considerati un collettivo - confermano -, dotato di un’immaginaria porta girevole all’ingresso, pensata proprio per far circolare nomi e personaggi della musica all’interno del gruppo». E infatti al progetto “Controra” hanno partecipato, oltre ai tre “padroni di casa”, anche Enzo Gragnagniello per “Na bella vita”, James Senese e Federico Zampaglione per “Onda che vai”, Gaudi e altri amici musicisti. Fra cui Gigi Di Rienzo che firma la produzione artistica.

RUMIZ, Morimondo, il viaggio sul Po

«”Da dove venite?” mi chiese un pescatore pochi minuti prima della partenza per Sansego. Era una mattina benedetta da un sole limpido, io gli risposi “Da Torino”, e siccome lui non si scompose - sapeva benissimo che Torino stava sull’acqua e quell’acqua finiva in Adriatico - compresi che quella mia boutade era il vero filo rosso della storia. Dalle Alpi a Sansego, si stava chiudendo un viaggio perfetto...». In queste righe, verso la fine del libro, c’è forse buona parte del senso di “Morimondo” (Narratori Feltrinelli, pagg. 315, euro 18), la nuova fatica editoriale del giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz. È la storia di un viaggio, già raccontato a puntate l’estate scorsa su “Repubblica e poi diventato un film di Alessandro Scillitani, qui rivisto e sviluppato con episodi e riflessioni che non avevano trovato spazio sulle pagine del quotidiano. Il viaggio attraverso il Po, dalle Alpi a Sansego (isoletta a ovest di Lussino), appunto. Un itinerario inconsueto, perchè “quasi nessuno in Italia navigava sul Po per viaggi più lunghi di una singola giornata”, cominciato con alcuni amici (“cinque uomini e una donna”) in canoa e poi proseguito con altre imbarcazioni, fino alla barca a vela che affronta il mare aperto. Un’avventura che sembra sporgersi fuori dallo spazio, fuori dal tempo. Su un fiume che diventa una via di fuga. Fra mappe (ma anche disegni dello stesso Rumiz riprodotti nel volume) e taverne, canneti e affluenti, birre e imprevisti, zanzare e immondizia. Già, la monnezza. È la prima volta che un manoscritto descrive con tanta accuratezza il fiume d’Italia dal suo interno, segnala l’editor nel suo “avviso ai naviganti”. Ai lati e sull’acqua che scorre - e che è “il più perfetto dei fili narrativi”, sostiene l’autore - si trova di tutto: lavatrici, carcasse di automobili, materassi, pezzi di ferro, per non parlare della violenza dell’inquinamento. Rumiz attraversa il nostro Po, “la Mesopotamia d’Italia”, e pensa a fiumi già visti: “il Reno d’Alsazia fumante nei campi d’autunno” e “il Danubio d’inverno”, i fiumi slavi che sono “più vissuti dei nostri”. Fra suggestioni fluviali che odorano di Louisiana e Mississippi, di Gange e di colori africani, di Russia e Indocina. Nel viaggio, fra cibi e colori, vini e dialetti, non possono mancare gli incontri. Quelli con il “popolo del fiume” e con amici coinvolti nell’avventura. Fra questi c’è ovviamente Francesco Guccini, “lui che era nato in un mulino”, il bardo raggiunto nella sua Pavana sul Limentra, appennino tosco-emiliano. Un incontro speciale, che vale il momentaneo abbandono dell’imbarcazione e della “resa all’automobile”. Un certo Alex a un certo punto chiede: «Ma se il fiume è una risorsa, perchè è stato abbandonato? Che cosa è cambiato nella testa della gente?». Il libro di Rumiz è anche un feroce e documentato atto d’accusa nei confronti della gente e della politica che ha lasciato morire un fiume. Poi, finalmente rotta su Sansego. L’isola del tesoro. L’unica isola sabbiosa del Quarnero, “figliata forse dal Po in chissà quale era”. E il viaggio può finalmente terminare. In attesa del prossimo, ormai imminente: sui luoghi della prima guerra mondiale. Poco meno di un secolo dopo. Lo leggeremo quest’estate su “Repubblica”.

lunedì 27 maggio 2013

GREEN DAY, bilancio positivo

Bagnati ma felici. La grande festa punk rock con i Green Day in piazza Unità è finita l’altra sera ben prima della mezzanotte, con le ultime note dei bis, il saluto di commiato di Billie Joe Armstrong e migliaia di ragazze e ragazzi che non avevano voglia di lasciare la grande piazza. E se qualcuno volesse rendersi conto di quanto sia forte il legame fra un artista, un gruppo rock e il suo popolo, beh, l’altra sera avrebbe avuto una buona occasione per testarne l’intensità. Almeno metà dei dodicimila (ma nell’ultima mezz’ora gli organizzatori hanno opportunemente fatto entrare anche quanti erano rimasti oltre le transenne) arrivava da fuori Trieste, molti da Slovenia, Austria, Croazia. Ore di viaggio, e poi altre ore di attesa sotto la pioggia che andava e veniva. Proprio come durante le due ore abbondanti dello show, in una serata quasi autunnale che comunque non ha fatto desistere nessuno. L’importante, l’altra sera, era esserci. E tanto basta. La band californiana ha ripagato la sua gente con uno show energico, suoni diretti, di effetto sicuro. Andando a pescare in un repertorio ormai sterminato, privilegiando brani della recente trilogia “¡Uno!, ¡Dos!, ¡Tres!” ma anche classici che stavano in album come “Dookie” (quello del botto, nel ’94, una quindicina di milioni di dischi venduti), “American idiot”, “21st Century Breakdown”. Si diceva ieri, a caldo (si fa per dire...), di un certo ritorno alle radici punk rock. Va detto che, assodato che ognuno deve fare soprattutto quel che sa fare meglio, senza avventurarsi in avventure a volte sterili, i Green Day funzionano soprattutto in questa veste: brani tirati, veloci, aggressivi, che concentrano il massimo dell’energia in tre minuti, magari composti su tre accordi, con riff e melodie immediate. Chi va a vedere la band californiana questo si aspetta e questo vuole trovare. Della serie: brutti, sporchi e cattivi. Qualcuno è rimasto turbato - non fra i fan duri e puri - per qualche espressione non esattamente “politically correct” e persino una mezza bestemmia scappata al leader a metà concerto, durante un saluto alla folla. Anche qui discorso simile: un concerto punk non è una serata per educande e nemmeno uno spettacolo di Andrea Bocelli. Chi non gradisce forse è meglio che vada al cinema, dove fra l’altro di solito non piove. Alla fine della fiera, dunque, bilancio assolutamente positivo per quello che era sembrato un azzardo (un concerto punk rock nel salotto buono cittadino) e che ha rischiato di venir compromesso solo dalle condizioni atmosferiche di questo maggio autunnale. Molti dicono che, dopo il trionfo di Bruce Springsteen lo scorso anno allo Stadio Rocco, sarebbe stato più opportuno far svolgere nella struttura sportiva di Valmaura anche il concerto dei Green Day. Comune e Azalea Promotion, con il supporto di Turismo Fvg, hanno puntato al centro. E hanno vinto la partita.

domenica 26 maggio 2013

GREEN DAY, DODICIMILA A TRIESTE IN P UNITA'

One, two, one, two, three, four... Partiti! Alla faccia della pioggia, del maltempo e della malasorte che negli ultimi tempi sembra essersi accanita contro i Green Day, il gruppo californiano protagonista ieri sera in piazza Unità del primo grande concerto estivo (si fa per dire...) a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia. Dodici minuti dopo le ventuno. Le note di “99 Revolutions” partono dal mastodontico palco che nasconde il municipio, attraversano la piazza e i dodicimila che l’affollano. Una massa sonora imponente, che elettrizza subito i tanti fan del trio (affiancati da altri tre strumentisti), molti dei quali arrivati anche dall’estero. Grande spettacolo di luci, primi brani tratti dalla trilogia “¡Uno!, ¡Dos!, ¡Tres!”: tre album pubblicati in pochi mesi, fra il settembre scorso e il gennaio di quest’anno. Da un punto di vista commerciale un azzardo, visti anche i tempi di crisi economica. Ma un segnale preciso del gran momento della band, attraversata da un furore creativo che ora, dal vivo, dopo che il cantante e leader Billie Joe Armstrong si è ristabilito (nell’autunno scorso il tour negli Stati Uniti è stato interrotto per un malore, che poi ha portato a un ricovero con successiva disintossicazione), permette loro di premere il pedale dell’acceleratore in maniera ancor più decisa. Soprattutto in concerto, si assiste a un netto ritorno alle radici punk rock. Messi da parte i toni quasi epici di lavori come “American Idiot” e “21st Century Breakdown”, contraddistinti anche da un certo recupero di suoni e atmosfere da rock più classico, ora si torna a brani che concentrano il massimo dell’energia in tre minuti. Pezzi composti su tre accordi, con riff e melodie immediate. Testi non troppo impegnativi. L’essenza del punk di una volta, insomma. In fondo, se i Green Day hanno un merito, è proprio quello di aver resuscitato il vecchio punk rock di tanti anni fa, e di averlo fatto conoscere alle giovani e giovanissime generazioni. Che partendo da loro hanno poi scoperto anche pietre miliari della storia della musica popolare della seconda metà del Novecento, come Clash, Sex Pistols, gli stessi Ramones. Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tre Cool, partiti nell’87 dalla loro California, attraverso una dozzina di album e quasi ottanta milioni di dischi venduti, hanno insomma riletto e rilanciato un genere che sembra destinato a morte sicura. E invece risorge sempre, quasi come un’araba fenice. Proprio come accade a questi tre (ex) ragazzacci, che con l’attuale tour (partito l’altra sera da Rho, Milano, e che proseguirà il 5 giugno a Roma e il 6 a Bologna) tornano finalmente a suonare in Italia dopo quattro anni. Nel 2010 erano all’Heineken Jammin’ Festival di Mestre, e furono fermati da una tromba d’aria. L’anno scorso, due annullamenti: prima per il maltempo al festival Rock in IdRho di Milano, poi per i guai di Armstrong a Bologna. Sembrava davvero una maledizione. Ma stavolta nemmeno quest’inverno a maggio ferma la macchina. E il grande show prosegue. Bello tosto, senza tanti fronzoli. Al popolo dei Green Day va bene così. Non possono mancare i tre singoli della recente trilogia: “Oh love”, “Stray heart”, “X-kid”. Come non si può nemmeno pensare di far decollare lo show senza classici come “Basket case”, “When I come around” e “Longview”. C’è tempo anche per altri brani e alcune cover, che sono altrettanti omaggi. Innanzitutto agli Ac/Dc, con "Highway to hell", ma anche alla classicissima “Satisfaction” dei Rolling Stones e poi persino alla beatlesiana “Hey Jude”. Torna in mente che qualcuno, fra tante inutili etichette, li ha definiti anche alfieri del punk melodico. È un fatto che l’energica galoppata ogni tanto vira su atmosfere meno arrabbiate. Ma in oltre due ore di show, fra una bandiera tricolore e qualche parolaccia, ci sta. Deve starci. A Trieste, serata fredda e bagnata ma al tempo stesso caldissima. Grazie alla rodatissima macchina rock messa su da quei tre (ex) ragazzacci. Partiti tanti anni fa dalla California. Alla conquista del mondo.

sabato 25 maggio 2013

GREEN DAY, trieste capitale rock

La scommessa di inserire Trieste nel circuito delle capitali europee della musica dal vivo dunque prosegue. Dopo il concerto di Bruce Springsteen, giusto un anno fa, ora arrivano i californiani Green Day. E se per il Boss, fortemente voluto dal sindaco springsteeniano Cosolini (vedi foto qui sopra...), si erano aperte le porte dell’altrimenti sottoutilizzato Stadio Rocco, stavolta gli organizzatori hanno preferito portare l’evento nel cuore della città, nel salotto buono di piazza Unità. Dietro la macchina organizzativa, lo stesso tris dell’anno scorso: il Comune, la Regione (con la sua agenzia Turismo Fvg) e i privati di Azalea Promotion. Sono loro ad aver proposto agli interlocutori pubblici, qualche mese fa, il nome della band californiana. Che arriva a Trieste in un’estate di crisi che ha tagliato - o ridotto - molti festival e altrettante tournèe. Lo show di stasera si inserisce nel nuovo “99 Revolutions Tour”, nato sulla scia della trilogia “¡Uno! - ¡Dos! - ¡Tré!”, tre dischi pubblicati tra il settembre 2012 e il gennaio 2013. Il lungo viaggio è partito il 10 marzo da Ponoma, nella loro California, per poi toccare nelle scorse settimane le principali città degli Stati Uniti e del Canada, tra cui Austin, Pittsburgh, New York, Philadelphia, Toronto, per poi chiudere la sua prima parte a Los Angeles il 18 aprile. La seconda fase del tour parte proprio dall’Italia, con il concerto dell’altra sera a Rho, vicino Milano, e quello di stasera a Trieste. Seguono i concerti a Belgrado il 27, a Vienna il 29 e a Londra il primo giugno, poi il breve ritorno italiano (con le due tappe il 5 giugno a Roma e il 6 a Casalecchio di Reno, Bologna), e poi ancora Germania, Olanda e altre tappe europee. Nel corso di una carriera lunga ormai un quarto di secolo, contrassegnata da alti e bassi, i Green Day si sono aggiudicati ben sei Grammy Awards: Best Alternative Album per “Dookie”, Best Rock Album per “American Idiot”, Record of the Year per “Boulevard of Broken Dreams”, Best Rock Album per la seconda volta con “21st Century Breakdown” e ancora Best Musical Show Album per “American Idiot: The Original Broadway Cast Recording”.

GREEN DAY oggi a trieste

L’unica incognita è rappresentata dalle condizioni atmosferiche. Per il resto, tutto è pronto in piazza dell’Unità per il concerto dei Green Day. Sono attese diecimila persone. Il gigantesco palco è stato montato. Certo, pioggia e vento e freddo di ieri (la colonnina del mercurio sotto i dieci gradi, a fine maggio, a Trieste, non si ricordava da decenni...) non sono il viatico migliore per uno spettacolo musicale all’aperto, che per forza di cose nasce anche come una grande festa di pubblico. Ma per oggi si spera in un miglioramento, almeno nella seconda parte della giornata e in serata. E allora il suggestivo scenario della grande piazza sul mare, completo delle luci sui palazzi che la circondano per tre lati su quattro, potrebbe dare il miglior benvenuto al gruppo californiano. Ma chi sono i Green Day? Amatissimi dai fan, per gran parte giovani e giovanissimi, forse non godono ancora di una popolarità che attraversa le generazioni (ogni riferimento a Bruce Springsteen, che ha aperto l’ennesimo tour italiano l’altra sera in piazza del Plebiscito a Napoli, con il sindaco di Trieste Cosolini nelle primissime file, è puramente casuale...). Reduci da un anno movimentato, con la pubblicazione di tre album in pochi mesi ma anche con l’interruzione del tour a ottobre a causa del malore con successivo periodo di disintossicazione del chitarrista e cantante Billie Joe Armstrong, i Green Day hanno alle spalle una storia musicale lunga ormai un quarto di secolo. Nascono attorno all’87 a Berkeley, California, sulle ceneri dei Sweet Children, un gruppo di Rodeo, altra città californiana, nel quale Armstrong e il bassista Mike Dirnt suonano sin da giovanissimi. Il debutto discografico è dell’89, con l’ep “1000 Hours”. Poco più di un esperimento, completato l’anno successivo da un altro ep, “Slappy”, ma soprattutto dal primo album, intitolato “39 Smoothe”. Nel ’92 arriva “Kerplunk!”, che vede l’ingresso in formazione del batterista Tre Cool. Il nuovo arrivo, una consapevolezza nuova e il cambio di etichetta (la band firma per la Reprise) portano a “Dookie”, terzo album, pubblicato nel ’94. È il botto tanto atteso: il disco vende oltre nove milioni di copie in tutto il mondo. Tutti vogliono i Green Day, tutti ascoltano i Green Day. Seguono affollati tour prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. Gli album “Insomniac” e “Nimrod”, rispettivamente nel ’95 e nel ’97, rapprentano la consacrazione discografica di una band osannata fra i giovani di mezzo mondo. Rapida come l’ascesa arriva anche la crisi. Creativa e qualitativa. I tre “ragazzacci” staccano la spina per un periodo, due o tre anni. Tornano nel 2000, con l’album “Warning”, ma qualcosa sembra essersi rotto nel delicato equilibrio che lega una band al suo popolo. Il disco non ha il successo dei precedenti, e anche le critiche non sono positive. Una raccolta, con il prevedilissimo titolo “International superhits”, per tirare nuovamente il fiato. E poi nel 2004 arriva il rilancio, sotto forma dell’album “American idiot”, che si presenta in forma di rock opera. I Green Day fanno di nuovo centro, tornano ai vertici delle classifiche, gli organizzatori fanno di nuovo la fila per allestire i loro tour e il pubblico non resiste all’antico ma rinnovato richiamo. La tournèe che segue il disco è trionfale, immortalata nel cd/dvd dal vivo “Bullet in a bible”. Ma i nostri eroi sembrano aver imparato la lezione. Non si fanno più spremere, evitano lo stress di un disco dietro l’altro, di un tour dietro l’altro. Coltivano persino progetti paralleli alla ditta principale, pubblicando nuove canzoni in rete sotto lo pseudonimo Foxboro Hot Tubs. “21st century breakdown” esce nel maggio 2009, anticipato dal singolo “Know your enemy”: è un’altra rock opera suddivisa in tre atti e composta da diciotto brani. Quasi un manifesto politico sociale, una sorta di ammonimento contro il pericolo della rassegnazione per una generazione prostrata dopo otto anni di governo Bush. Musicalmente, dopo le sgroppate punk-rock, si assiste a un recupero del rock più classico degli anni Ottanta, con citazioni da mostri sacri come Who, Queen, Springsteen... Il resto è storia di oggi. Nel 2010 debutta il musical tratto da “American idiot”, nel 2011 esce un altro cd/dvd dal vivo, intitolato “Awesome as f**k”, nel 2012 viene annunciata la pubblicazione del nuovo album, diviso in tre capitoli: “¡Uno! - ¡Dos! - ¡Tré!” viene pubblicato tra settembre 2012 e gennaio 2013. Stasera Billie Joe Armstrong (chitarra e voce), Mike Dirnt (basso e voce secondaria) e Tre Cool (batteria) saranno a Trieste, per la seconda tappa italiana del loro “99 Revolutions Tour”. L’altra sera erano vicino Milano, a Rho. A giugno tornano: il 5 a Roma, il 6 a Casalecchio di Reno, Bologna.

venerdì 24 maggio 2013

GREEN DAY sab a TS

C’è spazio anche per una battuta con il sorriso sulle labbra, nella presentazione - ieri pomeriggio in sala giunta del Comune di Trieste - del grande concerto che i Green Day terranno sabato sera in piazza dell’Unità. Rassicura il sindaco Roberto Cosolini: «Tranquilli, non ci sarà una crisi di giunta, dopo quello che ha detto il vicesindaco...». Si riferisce alla frase detta da Fabiana Martini - condizionata forse da una figlia fan del gruppo californiano - l’altro giorno al nostro giornale. Qualcosa del tipo: «Non ditelo al sindaco Cosolini, ma sarà uno spettacolo più bello di quello di Bruce Springsteen...». Battute a parte, in piazza i lavori procedono alacremente. Anche per oggi il barometro segna tempo bello, le paure si concentrano soprattutto - guarda caso - sulla giornata di domani e soprattutto sabato. Ma c’è sempre la speranza di uno squarcio di condizioni meteo favorevoli per la serata del concerto. «L’arrivo dei Green Day – dice il sindaco - conferma la continuità della collaborazione con il Comune di Trieste dell’Azalea Promotion, che sta riportando la città nel circuito delle piazze importanti della musica dal vivo. Ciò grazie anche all’impegno di Turismo Fvg, con cui il gioco di squadra funziona». Ancora Cosolini: «Aspettiamo diecimila persone (quelli di Azalea alzano la previsione a quota dodici/trecimila - ndr), di cui oltre la metà dovrebbe arrivare da fuori città e in parte anche dall’estero. Eventi come questo portano visibilità, hanno valore culturale, provocano ricadute economiche positive sulla città. Sull’altro piatto della battaglia ci sono inevitabilmente dei piccoli disagi, che comunque vanno vissuti con serenità». Anche Giovanni Candussio, per gli organizzatori di Azalea Promotion, ringrazia tutti per il sostegno e poi segnala: «Trieste sta rispondendo molto bene a eventi importanti come quello di Springsteen l’anno scorso e dei Green Day quest’anno. Quella californiana è una band di caratura mondiale, sono stati capaci di riportare il punk-rock fra la gente, fra i ragazzi. Un’impresa non da poco». «Questo che arriva a Trieste - prosegue Candussio - è un tour nuovo, impegnativo. Il “99 revolutions tour”, che dopo le date americane, riparte in Europa domani da Milano e sabato qui. Porte aperte alle 18.30, lo show comincia alle 21, dovrebbe durare un paio d’ore. Due ingressi: uno in via dell’Orologio e uno in Passo di Piazza (verso il Teatro e il Caffè Verdi - ndr), dove sarà collocata anche la biglietteria che aprirà alle 12». Il “99 revolutions tour” segue la pubblicazione della trilogia “¡Uno! ¡Dos! ¡Tré!”, e originariamente si chiamava per l’appunto “¡Uno!, ¡Dos!, ¡Tré! tour”. Dopo le date dell’anno scorso, quest’anno è ripartito il 10 marzo dagli Stati Uniti, dove la prima fase si è conclusa il 28 aprile. Ora riparte con l’accoppiata Milano e Trieste dall’Italia, dove tornerà a giugno per altri concerti. Nati a Berkeley, California, nell’87, i Green Day si sono guadagnati la “caratura mondiale” soprattutto grazie al terzo album, intitolato “Dookie”, uscito nel ’94: venticinque milioni di copie vendute, di cui dieci soltanto negli Stati Uniti. “American Idiot”, la loro prima rock opera, nel 2004 è stata la consacrazione. Ma torniamo al sindaco, secondo il quale per un appuntamento di queste dimensioni è importante il gioco di squadra. Nel quale, oltre a Comune e Azalea, entra anche la Regione Friuli Venezia Giulia, con il suo “braccio spettacolare” rappresentato da Turismo Fvg. A nome del quale parla Linda Marcuzzi: «I Green Day a Trieste sono il primo grande appuntamento della stagione musicale nella nostra regione. Con il cartellone “Music & Live” siamo ormai arrivati alla quinta edizione, l’intuizione dalla quale siamo partiti si è dimostrata azzeccata. Il turimo musicale è un segmento in crescita, che attrae spettatori che sono anche turisti». Ancora Marcuzzi: «Il nostro obiettivo è quello di attirare l’attenzione, nel resto del Paese ma anche all’estero, sul Friuli Venezia Giulia. Lo facciamo favorendo la permanenza in regione non soltanto per la serata del concerto, ma per almeno due o tre giorni, con pacchetti di offerte e tariffe speciali. Finora i risultati sono positivi, grazie anche agli eventi collaterali che anticipano o a volte seguono l’appuntamento principale». Esempio: Marky Ramone, ultimo superstite dei leggendari Ramones, in questi giorni nelle nostre contrade. L’altra mattina al Liceo Percoto di Udine, per una chiacchierata con gli studenti completa di performance musicale, domani sera al Molo IV del porto vecchio di Trieste. Il sindaco: «Dietro a un concerto di questa importanza e di queste dimensioni c’è un grande lavoro. Che avviene prima, durante e dopo lo spettacolo. Come amministrazione comunale dobbiamo far sì che il regolare svolgimento dello show non condizioni troppo la vita cittadina, la giornata e la serata di quanti al concerto non non interessati e dunque non ci andranno. Segnalo ancora che la piazza sarà pulita subito, perchè domenica mattina dovrà essere restituita alla sua normalità, considerato che è prevista anche una manifestazione degli autieri...». Bell’accoppiamento, non c’è che dire. E dopo l’abbuffata punk-rock, per scongiurare definitivamente la paventata crisi di giunta, quanti concerti di Springsteen vedrà quest’anno Cosolini? «Quattro - risponde il sindaco -, tre in Italia e uno in Germania. Comunque ci sarò anche sabato sera. A me i Green Day piacciono...». Ma sembra dirlo quasi per obbligo di ospitalità. Fra il trio californiano e il Boss del New Jersey, a differenza della vicesindaco Fabiana Martini, non ha ovviamente nemmeno l’ombra del dubbio. Anche perchè con questi nuovi quattro concerti consolida il record i sindaco più springsteeniano d’Italia, e probabilmente d’Europa.

lunedì 20 maggio 2013

JAZZFVG, marchio dei festival uniti contro la crisi

La crisi aguzza gli ingegni migliori. Permette sinergie e matrimoni che in tempi di vacche grasse (bei tempi...) forse sarebbero impensabili. Perchè quando i soldi non mancano, ognuno è intento a coltivare il proprio orticello. Ma quando i tempi e le politiche di “spending review” tagliano e poi tagliano ancora, beh, allora i più astuti ricordano quel vecchio detto: l’unione fa la forza. Premessa doverosa per parlare del nuovo marchio “JazzFvg”, presentato ieri all’auditorium della Casa della musica, che da quest’anno unisce sotto la stessa sigla sei importanti rassegne musicali che si svolgono nella nostra regione. Ed è aperto a nuove, eventuali adesioni. «È un momento che aspettavamo da tempo - dice Gabriele Centis, “padrone di casa” e direttore artistico del festival TriesteLovesJazz -, finalmente siamo tutti uniti attorno a un tavolo. In un momento in cui è sempre più difficile programmare, a maggior ragione è necessario segnalare i vari soggetti con competenza, professionalità e progettualità». «Questo è per noi un simbolo - aggiunge Paola Martini, ideatrice del marchio e organizzatrice, con Claudio Corrà, di Jazz & Wine of Peace a Cormons e del Volo del jazz a Sacile - che intende fare luce su quello che è il jazz della nostra regione, un grande albero sotto il quale ci troveremo a organizzare e discutere. Il jazz qui ha solide radici e noi questo marchio lo tratteremo con serietà e costanza, come facciamo da anni con le nostre rassegne, che sono veri e propri pezzi di storia del jazz nella nostra regione». «Da noi il jazz - è il parere di Flavio Massarutto, direttore artistico di San Vito Jazz - rispecchia una regione policentrica e orgogliosa delle proprie differenze, che sono una ricchezza. La storia del jazz in Friuli Venezia Giulia nasce dal basso, dalla tenacia di tanti appassionati che hanno costruito un patrimonio considerato con interesse sia nel territorio nazionale sia all’estero. Questo marchio ambisce a far conoscere questo patrimonio e valorizzarlo. È arrivata anche l’adesione al marchio di Stefano Amerio, ingegnere del suono con Artesuono, che inserirà il marchio nei suoi prossimi cd». Giancarlo Velliscig, patron di Udin&Jazz: «Lo scopo di questo marchio è rendere tutti partecipi di un momento importante. In una società che deve ripartire vogliamo sottolineare il valore culturale di questa iniziativa nel suo complesso, che vuole offrire una chance a chi intende seguire la musica jazz e il suo continuo divenire. Altre realtà aderiranno a questo marchio e vogliamo trasmetterlo agli interlocutori pubblici, per sottolineare l’importanza del settore». Il già citato Claudio Corrà: «Il marchio vuole anche porre l’accento sugli artisti friulani e giuliani, che sono tanti e conosciuti nel mondo». Tullio Angelini, da venticinque anni anima di All Frontiers, definisce la sua piccola ma preziosa rassegna «una costellazione in fuga, anche nell’universo jazz». Per poi sottolineare: «In un momento di scarse risorse si lavora sempre a rischio. Ma noi resisteremo. Ci sono pochi contributi? E allora ricordiamoci che si può fare cultura anche senza festival...». Quando la presentazione sta per concludersi, arriva il neo assessore regionale alla cultura Gianni Torrenti, assieme all’omologo triestino Franco Miracco, che a differenza del collega non interviene. «Non dovete convincermi della bontà delle vostre iniziative - dice Torrenti, già presidente del Teatro Miela e dunque buon conoscitore delle realtà coinvolte nell’iniziativa -, il problema oggi è trovare risorse ma anche recuperare la centralità della cultura. Da questo punto di vista ho trovato una situazione pessima, bisogna recuperare il tempo perduto. Bene dunque questa operazione, che va nella direzione che serve: aggregazione e sinergie per mettere in rete le cose migliori che la nostra regione produce». Ancora l’assessore: «Siamo vittime della parcellizzazione. Non ci serve autoreferenzialità. Abbiamo eccellenti e numerosi protagonisti, ma dobbiamo puntare al salto di qualità». JazzFvg - sottolineano i protagonisti dell’iniziativa - non è solo un marchio grafico, piuttosto una dichiarazione di intenti: le principali associazioni e strutture che si occupano di jazz decidono di fare sistema, di coordinarsi e scambiarsi le reciproche esperienze. In una terra, il Friuli Venezia Giulia, da sempre crocevia di importanti flussi culturali e musicali.

giovedì 16 maggio 2013

MARKY RAMONE a udine il 21 e a trieste il 24

Prende forma l’appuntamento con il batterista Marky Ramone, che venerdì 24 maggio - a Trieste, al Molo Quarto - sarà protagonista della serata “Rivoluzioni punk dai Ramones ai Green Day”. Il giorno prima del grande concerto di questi ultimi, annunciato per sabato 25 in piazza Unità, il superstite dello storico gruppo punk rock statunitense verrà intervistato in pubblico da alcuni “dj” di Virgin Radio, come Ringo e Andrea Rock, e con il giornalista e scrittore Massimo Cotto. Dopo le parole, la musica. La serata proseguirà infatti prima con l’esibizione del chitarrista Gianni Rojatti, che proporrà assieme al gruppo Dolcetti una sorta di “Viaggio electro-punk metal tra Sex Pistols, Ramones, Clash e Green Day”. E poi con l’esibizione dello stesso Marky Ramone, accompagnato dal gruppo punk rock milanese degli Andead. Ma la venuta del musicista americano in regione, sotto la regia di Agenzia Turismo Fvg nell’ambito della sua iniziativa “Music & Live”, non si limita alla serata triestina. Martedì 21 incontrerà infatti gli studenti del Liceo Percoto di Udine. Dopo una chiacchierata con i ragazzi sulla storia della musica rock, è prevista un’esibizione di alcuni studenti della scuola, che interpreteranno proprio le musiche dei Ramones. I Ramones che sono stati uno dei gruppi più importanti del punk americano. Newyorkesi del Queens, sono nati nel ’74, dunque prima dei Sex Pistols e dei Clash. Non erano fratelli, ma scelgono di adottare il cognome d’arte di Ramone, a indicare una sorta di legame più forte di quello di sangue. Nel ’96, dopo dieci album e migliaia di concerti, la band si sciolse. Fra il 2001 e il 2004 sono morti tre dei suoi componenti Joey Ramone (Jeffrey Ross Hyman), Dee Dee Ramone (Douglas Glenn Colvin) e Johnny Ramone (John Cummings). Marky Ramone è dunque rimasto l’unico superstite della formazione originaria del gruppo. Porta avanti la tradizione e il ricordo di una band che nel 2003 la rivista Rolling Stone ha inserito al 26.o posto nella sua classifica dei cento migliori artisti musicali di sempre. In altre classifiche i Ramones, che dal 2002 sono nella Rock and roll hall of fame, sono indicate fra i migliori gruppi della storia del rock.

RAVALICO a trieste, suonò con McCartney

Succede che uno parta, stia dieci anni a Londra, gli capiti di suonare nientemeno che con Paul McCartney, poi ritorni, poi riparta, giri l’Europa. E ritorni ancora una volta - stasera, dopo le 21, al “D-Sotto” di via Bernini, a due passi da piazza Sansovino - per suonare a Trieste, quella che volenti o nolenti rimane pur sempre la sua città. Stiamo parlando di Maurizio Ravalico, classe ’63, valente percussionista e viaggiatore del mondo, attualmente in tour (Germania, Austria, altri paesi centroeuropei...) con il suo trio Fiium Shaarrk. Con lui l’austriaco Rudi Fischerlehner alla batteria e il londinese Isambard Khroustaliov alle apparecchiature elettroniche. Ma ricordiamo il fatto per cui il musicista triestino è passato in qualche modo alla storia, anzi, almeno per i suoi colleghi rimasti qua in cima all’Adriatico è assurto alla sfera del mito. Ovviamente l’incontro e la (breve) collaborazione con il leggendario ex Beatle. Nel ’91, con l’amico batterista Davide Giovannini, con cui aveva formato il duo Afroshock, parte per Londra. Senza conoscere nessuno. Praticamente all’avventura. Primi contatti con l’ambiente musicale latino, all’epoca andava il genere salsa, prime serare nei locali, qualche lavoretto per pagare l’affitto. Poi, dopo un anno di questa vita, arriva la chiamata che non ti aspetti. Paul McCartney aveva quasi concluso la registrazione dell’album “Off the ground”. Decide che al brano “Hope of deliverance”, che di quell’album sarebbe diventato il singolo, manca qualcosa. Vuole aggiungere delle percussioni, ma non aveva percussionisti nel suo gruppo. Il suo agente si ricorda di un cantante venezuelano con il quale noi avevamo suonato e tac: fatta! «Fu tutto molto casuale - ricorda Maurizio Ravalico, che attualmente vive a Londra ma passa lunghi periodi a Berlino -. L’emozione maggiore fu quando arrivò la proposta: non mi sembrava possibile. Poi tutto si svolse con grande tranquillità. Registrammo in uno studio a Sud di Londra, sulla costa, vicino Brighton. McCartney fu molto cortese, calmo. Se l’ho più visto? Purtroppo no...». Ma all’artista triestino non sono mancate in questi anni nuove, anche prestigiose collaborazioni: con Jamiroquai, Paul Young, il James Taylor Quartet, alcuni musicisti cubani. Ora questo nuovo trio, in tour per presentare l’album di debutto, intitolato “No fiction now!”, del quale dice: «Una matura e feroce creatura musicale, il sunto ideale di decenni passati in equilibrio fra la sperimentazione più severa, il rock più epico, e la mai saziata passione per le musiche per percussioni di tutto il mondo». L’altra sera ha suonato a Udine, ieri a Graz, stasera a Trieste. Sempre alla ricerca di un suono nuovo.

DOMENICA SI VOTA X ORDINE GIORNALISTI, FRA RIFORMA E ABOLIZIONE

​di Carlo Muscatello* Domenica 19 maggio, dalle 10 alle 18, nelle sedi di Trieste e Udine, i giornalisti del Friuli Venezia Giulia sono chiamati a rinnovare l'Ordine regionale e i propri rappresentanti nel Consiglio nazionale dell'Ordine. L'Assostampa Fvg invita tutti i colleghi a partecipare al voto, convinta dell'importanza della difesa ma anche della riforma del nostro Ordine professionale. Dopo mezzo secolo, infatti, l'Ordine dei giornalisti è a un bivio: o una riforma seria, credibile ed efficace, oppure le sirene dell'abolizione, che nella situazione attuale attirano anche molti colleghi, pur con tutti i rischi che ne conseguono. Il mondo dell'informazione è completamente cambiato in questi cinquant'anni, nei quali purtroppo l'Ordine è rimasto quasi uguale a se stesso ed è percepito dalla categoria come una struttura burocratica, pleonastica e soprattutto inutile. Non è così. Un Ordine riformato può e deve servire alla categoria e alla società per l'accesso alla professione, per la formazione e per la deontologia, per essere sentinella di quell'etica della professione che purtroppo vediamo sempre più spesso mancare. La riforma dell'Ordine deve partire dalla drastica riduzione del consiglio nazionale, che non è funzionale e i cui costi esorbitanti non sono più sopportabili dalla categoria in questo momento di crisi. La sua azione deve essere di supporto al sindacato, all'Inpgi e alla Casagit; deve contribuire alla difesa della libertà di informazione, alla lotta a qualsiasi bavaglio; deve essere presente nella lotta al precariato, proseguendo nel lavoro che ha portato alla Carta di Firenze e alla legge sull'equo compenso. L'Assostampa Fvg, nel rispetto delle autonomie degli enti, non dà indicazioni di voto per l'appuntamento di domenica. Tranne una: scegliete i colleghi che sono iscritti al sindacato (purtroppo non tutti lo sono...) e impegnati nell'azione e nelle battaglie sindacali. Per la difesa dei diritti e dei doveri dei giornalisti, dentro e fuori dalle redazioni. Ricordiamo infine che possono essere votati tutti i colleghi iscritti da almeno cinque anni e in regola con le quote associative. Votate numerosi, è un nostro diritto-dovere. (*presidente Assostampa Fvg)

martedì 14 maggio 2013

MISSONI, addio colorato

«Ha preso i disegni dei sogni per farne abiti». Con queste parole, ieri, nella basilica di Santa Maria Assunta, a Gallarate, è stato ricordato Ottavio Missoni, scomparso nei giorni scorsi all’età di 92 anni. Giulio Dellavite, il sacerdote amico di famiglia che ha celebrato i funerali, ha cercato fra i ricordi: «A giugno mi disse: se Dio c’è, è un artista, anzi, uno stilista. Ma Dio non è come lo raccontate voi preti, perchè o siamo venuti male noi, o lui non è un granchè a disegnare...». Ancora l’uomo di chiesa: «Sono le cose di ogni giorno che raccontano segreti a chi le sa osservare. Il vestito in realtà è una lingua con cui comunicare qualcosa a qualcuno: ci dice chi si è, e chi si vorrebbe essere. La moda passa, lo stile resta. Siamo qui a raccogliere la lezione di un uomo di stile. Un uomo che ha creduto nell’amore che si fa “casa”, un anziano che non ha mai smesso di sognare come un bambino, un credente che ha sfidato Dio nell’impastare i colori». Parole che ti fanno comprendere il legame che probabilmente si era creato fra l’anziano stilista e il sacerdote. Parole pronunciate davanti alla numerosa e unitissima famiglia-tribù del “Tai”, ai tanti amici e colleghi (fra gli altri Ermanno Olmi, Donatella Versace, Franca Sozzani, Maurizio Nichetti...), ai vicini di casa, ai dipendenti. Non solo i 250 dell’azienda di Sumirago, ma anche quelli delle boutique di Milano, Roma, Parigi, Porto Cervo... Una di loro sale sul palco per un saluto: «Ti auguriamo che questo viaggio sia pieno di colori. È stata un’esperienza unica e irripetibile lavorare con te». Un funerale forse unico, all’insegna degli abiti, dei disegni, soprattutto dei colori. Un foulard, una maglia, un cardigan, una borsa, una collana: l’importante è che abbia il “segno” di Missoni. Le centinaia di persone presenti ai funerali hanno scelto di rendere omaggio così al grande patriarca, al creatore della maison. Colori su colori. E sulle panche della chiesa, per ognuno, un piccolo omaggio della famiglia: un cartoncino con un disegno di fiori stilizzati e colorati firmato dallo stilista. Sul retro il testo del “Va’ pensiero”, dal “Nabucco” di Verdi, cantato da tutti alla fine della messa. Non potevano mancare gli amici dello sport. Cinque “reduci”, con le maglie azzurre degli anni lontani passati insieme a fare sport. L’ultima volta si sono visti a Cosenza nell’ottobre del 2011, quando il novantenne Missoni ha gareggiato per il lancio del giavellotto e ovviamente ha vinto. In chiesa anche il gagliardetto dell’Associazione nazionale atleti olimpici e azzurri d’Italia, corone di fiori dell’Associazione italiana di atletica leggera. E il gonfalone del Milan, la squadra del cuore dello stilista, colpito dal malore poi rivelatosi fatale proprio mentre mercoledì sera stava guardando in tivù i suoi rossoneri strapazzare il Pescara. All’arrivo del feretro l’applauso della gente in piazza. A portare la bara il figlio Luca e i nipoti. La cui presenza rimanda all’altro figlio, il primogenito Vittorio, inghiottito nel nulla del cielo e del mare del Venezuela, dal quale stava rientrando, con la moglie e due amici, da una vacanza a Los Roques. Da quel momento «si è rovesciata la trama di quella famiglia - ha detto il sacerdote, che solo un anno fa aveva celebrato il matrimonio della nipote Margherita - e da quel momento i morbidi fili colorati del quotidiano sono diventati nodi duri». Toccante l’intervento della figlia Angela, che ha detto alla madre Rosita in prima fila: «Mamma, grazie di averci regalato di averlo come padre e nonno dei nostri figli. Da bambina ero molto fiera di averlo come papà, ma da adolescente no perchè lo vedevo come un papà assente. Poi, con i miei fratelli, abbiamo capito che se lo cercavamo lui c’era e aveva per noi parole illuminanti: papà era un uomo libero e ci ha lasciato liberi, non ci ha mai giudicati». La salma di Ottavio Missoni verrà cremata.

sabato 11 maggio 2013

CAZZULLO stasera a Trieste

«Non voglio certo spiegare Trieste ai triestini. Ma sottolineare che per l’Italia la vostra città è ancora lassù, in alto a destra, sul confine con quella che fu la cortina di ferro. Invece Trieste è al centro dell’Europa, è il crocevia di tre mondi, è la città più settentrionale del Mediterraneo e più meridionale della Mitteleuropa, ha sette religioni e altrettanti cimiteri, ci ha dato Saba e Svevo, Strehler e Kezich, Magris e Dorfles. Insomma, l’Italia ha un debito con Trieste...». Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore, porta oggi alle 21 alla Sala Bartoli del Rossetti (ingresso libero) il reading tratto dal suo nuovo libro “L’Italia s’è ridesta – Viaggio nel paese che resiste e rinasce”. Nel quale un capitolo è dedicato proprio a Trieste. «In realtà - prosegue Cazzullo, piemontese di Alba, classe ’66 - siamo tutti in debito con Trieste. Conquistata al prezzo di 650 mila vite, perduta nel disastro della guerra e dell’esodo istriano, ripresa dopo 18 mesi di crimini nazisti, 40 giorni di massacri titini e nove anni di occupazione angloamericana, poi è stata dimenticata. Oggi può essere di nuovo centrale, ma di questo l’Italia non si è accorta. Alla sua unica grande città di confine l’Italia, che finisce a Mestre, volge le spalle». Il giornalista del Corriere della sera torna nei teatri con questo reading - prodotto dallo Stabile di Verona -, dopo il successo in oltre sessanta città italiane dello spettacolo multimediale tratto dal precedente libro “Viva l’Italia!”. Cazzullo è in scena, racconta al pubblico le sue impressioni raccolte durante il viaggio in quindici città italiane da cui è nato il nuovo libro, lasciando agli attori Paolo Valerio e Michele Ghionna che lo affiancano il compito di leggere brani del testo, con l’aggiunta di video e immagini. «Ho conosciuto Aldo Cazzullo - ricorda Roberto Cosolini, sindaco di Trieste - l’anno scorso, quando ha scritto un articolo sul Corriere sulla nostra città. Avevamo parlato di organizzare qui una presentazione del nuovo libro, poi quando è nato questo progetto del reading in giro per l’Italia ci siamo inseriti per ospitarne una tappa». «L’idea della nostra centralità - conclude Cosolini - non può che farci piacere. Ma se guardiamo alle infrastrutture siamo centrali in Europa ma assolutamente marginali in Italia. Trovo comunque positiva questa attenzione su Trieste da parte di chi, come Cazzullo, scrive sull’Italia...».

mercoledì 1 maggio 2013

Dischi, PATTY PRAVO

PATTY PRAVO - “MERAVIGLIOSAMENTE PATTY” (Sony) - L’ultima diva della musica leggera italiana, celebrata con una raccolta (tre cd) che ripropone il meglio di una carriera straordinaria che fra tre anni compirà mezzo secolo. Era infatti il ’66, quando l’allora diciottenne Nicoletta Strambelli incise “Ragazzo triste”, versione italiana di “But you’re mine” di Sonny & Cher. «Questa volta ho scelto io i brani - racconta la cantante - ed è un evento, dopo tutti i cofanetti usciti senza che io avessi deciso nulla. Ho scelto anche pezzi che erano rimasti in ombra, che avrebbero meritato più attenzione. Mi sono messa a riascoltare tutto quello che avevo fatto in questi anni, tanti brani, tantissimi...». Grandi successi e versioni rare, da “Pazza idea” a “Miss Italia”, da “...E dimmi che non vuoi morire” a “L’amore è tutto qui”, da “Tutt’al più” a “Pensiero stupendo”. C’è anche un inedito in dialetto napoletano: “’na canzone”, scritto per lei da Paolo Morelli degli Alunni del sole. E un libretto di circa sessanta pagine con materiali fotografici inediti e tanti aneddoti.

Dischi, C DE ANDRE'

Mai fare confronti. Soprattutto se si è il figlio di Fabrizio De Andrè. Con l’ombra ingombrante di cotanto padre, l’ormai cinquantenne Cristiano De Andrè deve aver cominciato a fare i conti sin da piccolo. Non a caso, per il suo esordio discografico, giusto trent’anni fa, preferì celare il proprio cognome dietro a un gruppo chiamato Tempi Duri. Tanta acqua è ovviamente passata sotto i ponti. Il ragazzo è da tempo un uomo, Faber purtroppo non c’è più, la vita e la carriera di “C.” (così lo chiamava il padre) hanno offerto luci e ombre. Ma oggi, a dodici anni dal precedente album intitolato “Scaramante” e dopo il grande successo di “De Andrè canta De Andrè” (volumi 1 e 2, con tour annessi), Cristiano torna con un disco di inediti che si candida a essere la sua cosa migliore in una carriera ormai lunga. “Come in cielo così in guerra” (Universal) propone nove canzoni nuove (“Non è una favola” è il brano scelto come apripista e per la promozione radiofonica, e ricorda molto le atmosfere di papà Fabrizio...), più la versione italiana di “Le vent nous portera”, dei francesi Noir Désir. Per inciderlo, l’artista genovese è andato fino in California, affidandosi alla professionalità di Corrado Rustici e alle tecnologie dei Fantasy Studios. «Questo disco - spiega - parla di quello che abbiamo lasciato e abbiamo perso. Riappropriamoci di tutte quelle cose che abbiamo iniziato a buttare in una discarica quarant’anni fa. Torniamo a credere in noi stessi. È un periodo, il nostro, con cui non mi sento in sincrono. Un periodo che ha bisogno di schiacciare la fragilità invece di farla sedere come una vecchia signora sull’autobus. Non si dovrebbe aver paura delle cose dolci...». Alternandosi fra violino, bouzouki e chitarra acustica, De Andrè tratteggia dei quadretti ricchi di sfumature, che rimandano spesso al suo privato e alle sue fragilità. “Sangue del mio sangue” e “Disegni nel vento” scandagliano per esempio il suo essere padre, i rapporti (difficili) con i suoi tre figli. E anche “Il mio essere buono” parla del prezzo che si paga ad aver avuto un padre assente per diventare poi, a propria volta, un padre forse non all’altezza. “Il vento soffierà”, versione italiana - come si diceva - di un brano dei Noir Désir, è uno dei momenti più riusciti della raccolta: il tema è quello dell’infinito, dei grandi misteri della vita e dell’essere umano, messi a confronto con i limiti e le piccinerie delle persone. Album carico di pathos, che De Andrè sta portando in tour in giro per l’Italia, assieme ovviamente ai classici di papà Fabrizio (che ormai ripropone perfettamente, con cura e rigore filologici). Oggi sarà al Concertone del Primo maggio, organizzato dai sindacati a Roma e trasmesso da Raitre.