venerdì 30 gennaio 2009

MIKE FRANCIS


Mike Francis, all’anagrafe Francesco Puccioni, è morto ieri mattina all’ospedale San Pietro di Roma. Aveva soltanto quarantasette anni. Da tempo - proprio come Mino Reitano, scomparso martedì - lottava contro un tumore al polmone.

Ma se il cantante calabrese era stato il re indiscusso della melodia tradizionale, Francis - fiorentino di nascita e romano d’adozione, autodidatta, un grande amore per la musica sin da ragazzino - era stato uno dei maggiori protagonisti della pop-dance italiana, cantata in inglese, degli anni Ottanta.

Chi era ragazzo in quegli anni lo ricorda soprattutto per successi come ”Survivor” (nell’83) o ”Friends”, ma probabilmente ignora che quest’ultimo brano - nato dalla collaborazione con Ami Stewart -, dopo aver sbancato le classifiche italiane è stato nell’86 per diverse settimane ai vertici anche delle classifiche inglesi: onore che a un cantante italiano, fino a quel momento, era capitato soltanto a Drupi, una dozzina d’anni prima, con «Vado via».

Un tanto per ricordare che la carriera di Mike Francis è stata internazionale. Negli anni Ottanta il cantante e musicista sforna dischi in inglese (fra gli album: ”Features of love”, ”Flashes of life”, ”Let me in”...), ma lavora anche come autore di colonne sonore per il cinema e la tv. Sul finire del decennio collabora a Londra con Richard Derbyshire, leader dei Living in the Box. Nel ’90 diventa una star persino nelle Filippine, dopo un tour e la pubblicazione di un album dal vivo. Successivamente, di nuovo a Londra, lavora come autore anche per Lisa Stanfield.

Ma non c’è stato solo il Mike Francis dei testi in inglese. Nel ’91 esce "Mike Francis in italiano", con testi di Mogol. Tre anni dopo, per ”Francesco innamorato” (con il brano ”Bellissimi occhi chiusi”), il nostro si avvale invece delle liriche di Pasquale Panella. Togliendosi così lo sfizio e la soddisfazione di unire il suo nome a quello di entrambi i parolieri di Lucio Battisti, uno dei suoi idoli di quand’era ragazzo.

Dopo una lunga parentesi artistica dedicata, dalla fine degli anni Novanta in poi, al progetto Mystic Diversions (nel quale non appariva con il suo nome), molto apprezzato dagli amanti della musica lounge e ambient, Mike Francis era tornato in pista nel 2007 con ”Inspired”, un disco diviso tra cover (tra cui ”Someone like you”, di Van Morrison) e brani inediti.

Il destino ha voluto che la giostra abbia fatto l’ultimo giro ad appena una settimana di distanza dalla pubblicazione di un suo ”best”: una raccolta doppia che è un po’ il riassunto di una carriera che ha attraversato, pur tra fasi alterne, tre decenni di storia musicale italiana ed europea. Un disco che oggi ha il sapore di un triste addio.


 

lunedì 26 gennaio 2009

MINA A SANREMO


Mina aprirà il 59.o Festival di Sanremo. Non si sa ancora se della più grande cantante italiana ascolteremo soltanto l’inarrivabile voce, magari mentre sullo schermo scorreranno sue immagini più o meno datate. O se - opzione al momento più probabile - verrà proposto un suo video registrato per l’occasione.

Sembra comunque da escludere una sua presenza in carne e ossa al Festival, al quale l’ex Tigre di Cremona - nata a Busto Arsizio nel ’40, debutto nel ’58, non appare in pubblico dal ’78, pur continuando a incidere dischi, condurre programmi radiofonici, scrivere rubriche sulla Stampa - ha partecipato nelle edizioni del ’60 e del ’61.

Ma il botto c’è. Ed è quello che permette a Paolo Bonolis di dichiarare, nella conferenza stampa di ieri mattina, che «la sera di martedì 17 avremo l'onore di vedere il Festival aperto da Mina: è un segnale forte che la musica italiana vuole dare nel rispetto di questa manifestazione. Non si tratta di un'uscita discografica, ma un immenso tributo alla storia musicale italiana. Penso che non possa esserci sipario migliore per aprire questo manifestazione».

Ancora Bonolis: «Mina è la più grande voce della musica italiana. Ha deciso di aiutare questo Festival aprendolo con la sua voce e un progetto che sta per definire. Sarà un’interpretazione molto particolare».

Di assolutamente particolare, a venti giorni dall’inizio della kermesse (17-21 febbraio), c’è l’interesse e clamore mediatico che Bonolis è già riuscito a suscitare sul suo secondo Sanremo. Non dimentichiamo che quello precedente, nel 2005, era stato premiato da ascolti record. E che stavolta l’uomo d’oro della televisione italiana arriva a un anno di distanza dal rovinoso crollo degli ascolti dell’ultimo Baudo.

Stavolta, fra le polemiche per il brano anti-gay di Povia, il ritorno delle eliminazioni anche fra i cosiddetti big, i grandi nomi (da Zucchero a Cocciante, da Lucio Dalla a Burt Bacharach, da Pino Daniele a Vecchioni...) chiamati a fare da padrini ai giovani, la presenza di Maria De Filippi nella serata finale, ed ora il colpo grosso rappresentato da Mina, possiamo dire che almeno la curiosità è già ad alti livelli.

I nomi dei cantanti in gara erano già noti. Dal resto del menù è stato tolto il velo ieri. Fra gli ospiti brillano l’ex Eurythmics Annie Lennox, l’etoile dell’Opera di Parigi Eleonora Abbagnato, Hugh Hefner e le conigliette di Playboy (e Alessandra Mussolini ha già fatto sapere al mondo che non è d’accordo...), i giamaicani Easy Star All Stars, Giorgio Panariello e Checco Zalone. Si tratta ancora per Roberto Benigni - che alla fine arriverà, ma i botti vanno annunciati uno per volta - e per Jim Carrey. Non ci saranno invece i Queen superstiti, ma il pubblico italiano se ne farà una ragione.

Sono previsti anche degli omaggi, in apertura di ogni serata: alla musica lirica con «E la nave va», alla danza con «Billy Elliott», alla musica classica con «Amadeus», al pianoforte con «Il pianista sull'oceano» ma soprattutto con Giovanni Allevi (le trattative sono però ancora in corso).

«Ci auguriamo che sia il festival del rilancio», sospira il direttore di Raiuno, Fabrizio ”Prezzemolino” Del Noce. È anche vero che, dopo i numeri dell’anno scorso, è assai difficile far di peggio...

domenica 18 gennaio 2009

CARBONI


«Musica ribelle» è una canzone di Eugenio Finardi del ’76. «Musiche ribelli» (SonyBmg) è il titolo del nuovo album di Luca Carboni, cantautore bolognese, classe 1962. Che sceglie di rendere omaggio, rileggendoli alla sua maniera, a una manciata di classici della canzone d’autore degli anni Settanta.

E spiega: «Il rock e il pop di oggi sono figli dei cantautori che negli anni Settanta hanno insegnato e comunicato la forza e la potenza delle parole nella canzone. Quello degli anni Settanta è stato l'ultimo periodo in cui la musica era vera, con una grande creatività, anche artigianale».

Ancora Luca: «La musica è sempre figlia del proprio tempo, i contenuti ci sono anche adesso. Ma quei cantautori hanno cambiato il modo di intendere la canzone e il dna degli italiani. Hanno fatto scuola, al di là dell'aspetto politico e sociale. Una volta il nemico era facilmente individuabile, oggi è tutto frammentato, per cui è più difficile che nasca un movimento come quello degli anni Settanta».

Si parte allora con «Ho visto anche degli zingari felici», di Claudio Lolli (1976), attualissima, risentita recentemente in una bella versione anche dai calabresi Il Parto delle Nuvole Pesanti. Del brano c’è anche un video, nel quale Carboni e Riccardo Sinigallia - che produce il disco e in questo e un altro brano duetta con lui - arrivano a Bologna dopo una lunga camminata, anche notturna, attraverso luoghi selvaggi, e in piazza Maggiore prima incrociano lo stesso Lolli e poi suonano seduti per terra davanti a una piccola folla di passanti.

Si prosegue con «Raggio di sole» di Francesco De Gregori (1978), «Venderò» di Edoardo Bennato (1976), «Eppure soffia» del compianto Pierangelo Bertoli (1977), la struggente «Vincenzina e la fabbrica» di Enzo Jannacci (da «Quelli che», 1975).

Dopo «Musica ribelle» di Finardi (stava nel suo secondo album, «Sugo», assieme a un altro classico dell’epoca: «La radio»), secondo omaggio a De Gregori con «La casa di Hilde» (da «Alice non lo sa», del 1973) e conclusione con «Up patriots to arm» di Franco Battiato (1980), «Quale allegria» di Lucio Dalla (1977), la classicissima «L'avvelenata» di Francesco Guccini (1976).

Di queste canzoni («che ho amato quando ero ragazzino...») Carboni regala all’ascoltatore versioni garbate, assolutamente nel suo stile intimista. Che riescono comunque sempre a sottolineare l’attenzione nei confronti della gente comune e degli ultimi. E l’attualità - oltre che l’intramontabile bellezza - di questi classici: si pensi al tema dell’ambiente presente nel brano di Bertoli, agli zingari di Lolli ma anche alla fabbrica degli anni Settanta vista attraverso gli occhi di una donna del Sud immortalata da Jannacci.

Luca Carboni sarà in tour dal 2 marzo, partenza da Verona.


"AMICI"


Se «X Factor» l’anno scorso ha lanciato Giusy Ferreri, «Amici» ha risposto con Mario Carta, il vincitore dell’ultima edizione, già chiamato a Sanremo fra i big (e probabilmente la presenza di Maria De Filippi al fianco di Bonolis la sera della finale del Festival fa parte della stessa partita...).

Le due gare musicali dedicate agli esordienti tengono dunque banco, sia in televisione che nella discografia di casa nostra. Ora, con la ripartenza delle nuove edizioni di entrambe, arriva anche un album, intitolato «Scialla» (SonyBmg) e interpretato dagli studenti dell'Accademia dello spettacolo di Cinecittà.

Il disco - in vendita sul web attraverso dada.it - comprende diciassette brani, tutti inediti, scritti tra gli altri da Diane Warren e Irene Grandi, e cantati dai ragazzi che prendono parte al programma della De Filippi.

Si tratta di un «opendisc», in grado cioè di fornire contenuti extra attraverso la connessione ad «Amici» e creando così un filo diretto e individuale con i protagonisti del programma.

Apre il cd la grinta di Martina Stavolo con tre brani: «State your case» di Diane Warren, «Delirio» di Irene Grandi, «Due cose importanti» di Camba-Coro. È poi la volta del cantautore Luca Napolitano con la sua «Vai» di cui è autore, e con l’interpretazione di «I confess». E poi Alessandra Amoroso in «Find a way», «Immobile» e «Stella incantevole»; Valerio Scanu con «I can’t stop» e «Domani»; Silvia Olari con «Wise girl», «Raccontami di te» e «Tutto il tempo che vorrai». È poi la volta del secondo cantautore: Mario Nunziante che propone «Domenica». Concludono la lista Pamela Scarponi con «Vivere a mezz’aria», Daniele Smeraldi con «Negli ambienti vicino al cuore» e l’ultima entrata nella scuola «Jennifer Milan» con «Beside me».

Progetto fresco, leggero, che testimonia l’impegno di un gruppo di giovani appassionati. Di certo molto più meritevoli degli irritanti nullafacenti del Grande Fratello...


GIANMARIA TESTA In Francia è amato quasi come Paolo Conte. Da noi è ancora abbastanza misconociuto. Ma il primo disco live di Gianmaria Testa, registrazione di un concerto all'Auditorium Parco della Musica di Roma nel maggio 2008, potrebbe allargare le schiere dei fan. «Quelli come me - racconta Testa - cominciano da soli a battagliare una chitarra. Finchè il legno si svernicia e le dita si scavano di corde. Qualche dritta di un amico è benvenuta, ma il grosso è testarda vocazione all'addomesticamento di qualcosa che senti anarchico e selvatico. Poi la fatica solitaria diventa una frontiera: se l'attraversi ti rimane addosso una malattia di canzoni...». Si parte con «La nave», si prosegue con «Dentro la tasca di un qualunque mattino», «Il valzer di un giorno», «Un aeroplano a vela», «Piccoli fiumi», «Comete»... Si conclude con l’inedito «Come al cielo gli aeroplani». Artigianato nobile, cui l’atmosfera dal vivo regala ulteriori elementi di fascino.


TONINO CAROTONE Tonino Carotone (vero nome: Antonio de la Cuesta) è quel mattacchione di Pamplona innamorato delle canzoni italiane degli anni Sessanta, che per il nome ha scelto di ispirarsi a Renato Carosone e per il look a Fred Buscaglione. Qualche anno fa aveva anche azzeccato un tormentone, «Me cago en el amor», nel quale c’era il verso «È un mondo difficile, è vita intensa, felicità a momenti, e futuro incerto...». Ora è tornato con un disco al quale hanno partecipato fra gli altri Manu Chao, Gogol Bordello e gli italiani Bandabardò. La filosofia che si respira fra i brani è sempre la stessa: Tonino continua a coltivare la sua nicchia, malata di nostalgia degli anni Sessanta, con quegli idoli canori italiani che lo facevano sognare da ragazzino. Siamo comunque in area world music, riscoperta del folklore e delle radici popolari latine. Il resto lo fa la gran voce blues del nostro. «Il titolo è una sorta di saluto universale - ha detto - così facendo sento di potermi rivolgere a tutti mettendo qualunque persona sullo stesso piano». Fra i brani: «Il santo», «Pornofutbol», «Atapuerca» e «Primaverando».


 


 

mercoledì 7 gennaio 2009

FABRIZIO DE ANDRE', DIECI ANNI FA


Fabrizio De Andrè se n’è andato dieci anni fa. Sembra ieri, e stavolta non è retorica. Anche perchè la sua opera è qui, è viva, rimane a darci conforto, a indicarci una via, non perde di forza e di attualità. Faber era - rimane - il nostro amico fragile, il cantore degli oppressi e degli emarginati, il fustigatore sottile e lucido dei potenti, l’anticipatore della miglior musica etnica.

La sua vita, la sua storia comincia il 18 febbraio del 1940. La famiglia De Andrè vive a Genova, zona Pegli, quartiere della Foce, al numero 13 di un palazzo borghese di via Trieste. C’è già un figlio maschio, Mauro, più grande di Fabrizio di quattro anni (diventerà uno stimato avvocato, anche lui morto prematuramente, nell’89, a cinquantatre anni), e dunque in casa si aspetta una bambina. Ma arriva lui.

Famiglia colta, benestante, classica buona borghesia genovese, che sa unire solido patrimonio (padre alto dirigente dell’Eridania) e ottime letture. Durante la guerra si trasferiscono per un lungo periodo nella villa di famiglia, a Revignano d’Asti. Lì il piccolo Fabrizio impara ad amare la natura, la campagna, gli animali, il lavoro di contadino. Amore che da adulto, con la seconda moglie Dori Ghezzi, non gli farà abbandonare la fattoria in Sardegna (con gli anni trasformata in una vera e propria azienda agricola) neanche dopo la tragica esperienza del rapimento nel ’79: più di cento notti all’«Hotel Supramonte», che poi sarebbe diventato titolo di una canzone ispirata a quelle catene, a quel tetto di cielo stellato.

Torniamo alle origini. Nel dopoguerra ritroviamo De Andrè studente svogliato, che si iscrive al liceo Cristoforo Colombo. Ma la sua vera passione era la musica. Ascolta i francesi, soprattutto Brel e Brassens, si veste tutto di nero come gli esistenzialisti dell’epoca, comincia a suonicchiare come chitarrista jazz, in omaggio al suo idolo Jim Hall, in una band in cui c’è anche Luigi Tenco al sassofono. Ma poi è anche nei Crazy Cowboys, una country band genovese che suona alle feste studentesche.

Il primo disco di colui che inizialmente si fa chiamare semplicemente Fabrizio esce nel ’58, come si usa all’epoca è un 45 giri, s’intitola «Nuvole barocche». Ma di quel diciottenne dall’aria ispirata si accorgono davvero in pochi. Anche perchè l’Italia ha già i suoi problemi ad accettare la rivoluzione di Modugno, che al Sanremo di quell’anno spalanca le braccia e intona «Volare». Figuriamoci questo De Andrè, ostico, troppo in anticipo sui tempi, rispetto a un panorama canoro ancora dominato dalle rime obbligate «cuore amore» e dalla struttura dei brani «strofa strofa, ritornello strofa».

Ma De Andrè è giovane, non ha fretta, sa aspettare. Frequenta senza troppo entusiasmo l’università: prima medicina, poi lettere, infine giurisprudenza, mollata a due esami dalla laurea. Frequenta soprattutto, per la comune passione musicale, i soliti amici: Paolo Villaggio (amico d’infanzia, le rispettive famiglie passavano le vacanze assieme), Gino Paoli, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, il citato Tenco, pochi altri.

Con Villaggio, ancora lontano dai sogni di gloria con la saga dei Fracchia e dei Fantozzi, scrive la goliardica «Carlo Martello». Che viene denunciata all’autorità giudiziaria nientemeno che per linguaggio osceno. Tutto per colpa di quel passaggio in cui l’apparentemente casta contadinella cede alle voglie del bramoso re, che poi si accorge di essersi in realtà intrattenuto con una prostituta. E sbotta: «Ma è mai possibile, corpo di un cane, che le avventura in codesto reame debbano concludersi tutte con grandi puttane...». Lo scandalo è annesso.

Nel ’65 il nostro - che nel frattempo sposa Enrica «Puny» Rignon, nel ’63 nasce Cristiano - firma «La canzone di Marinella», quasi una favola poetica che racconta di come una fanciulla, tornando a casa dopo la prima esperienza d’amore, fosse scivolata nel fiume, annegando. «E lui che non la volle creder morta, bussò cent’anni ancora alla sua porta...».

La canzone era nata da un fatto di cronaca: una prostituta (figura ricorrente della poetica di Faber: si pensi anche a «Bocca di rosa», secondo alcune ricostruzioni ispirata a una ragazza istriana che era partita proprio da Trieste per conoscerlo...) era stata scippata e buttata nel fiume. De Andrè trasforma l’episodio in poesia delicata, struggente. E Mina, al culmine della popolarità, ne regala una versione memorabile e la porta al successo. Consacrando di riflesso anche l’autore.

Poi le cose vanno veloci. Nel ’66 esce il primo album, intitolato «Tutto Fabrizio De Andrè», una raccolta delle canzoni scritte fino a quel momento. Nell’Italia che sta per conoscere una stagione di grandi cambiamenti, De Andrè si fa una fama «proibita»: è quello che infila le parolacce nelle canzoni, viene ascoltato dai liceali a volume basso, rigorosamente fuori dalla portata dei genitori. Ma è anche quello che racconta storie, suscita emozioni e sensazioni che fino ad allora sembravano monopolio della letteratura, della poesia.

Album come «Volume I», «Tutti morimmo a stento» (ispirato alle poesie di Francois Villon), «La buona novella», «Non al denaro non all’amore nè al cielo» (con l’antologia di «Spoon river» rivisitata a quattro mani con Fernanda Pivano) e «Storia di un impiegato» punteggiano, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, un percorso artistico che trasforma di certo la canzone ma tutto sommato anche il costume e la cultura italiana.

Seguì la stagione dei concerti (e dei dischi dal vivo) con la Pfm, che nel ’78 riveste per la prima volta di suoni elettrici canzoni che spesso il pubblico era abituato a sentire chitarra e voce. Ma anche dell’amore per la musica etnica e della riscoperta del dialetto genovese, della collaborazione con Mauro Pagani e con Massimo Bubola, con Francesco De Gregori («Canzoni», uscito nel ’74) e con Ivano Fossati.

Fino a capolavori assoluti come «Creuza de ma» (il miglior disco degli anni Ottanta, amato anche da David Byrne) e «Nuvole», che parte da Aristofane e allude ai «potenti che oscurano il sole». Per finire con «Anime salve», ultimo sguardo sull’umanità marginale, ultimo album di Fabrizio De Andrè prima della raccolta «Mi innamoravo di tutto», con «La canzone di Marinella» in duetto con Mina.

Fin qui l’opera, che all’inizio si diceva ancora così presente e attuale. Ecco, oggi rimane un senso di perdita per quello che Fabrizio avrebbe potuto scrivere e cantare in questi anni che son passati senza di lui e nei prossimi. Ci manca sentire come avrebbe raccontato lui, questi tempi scassati.

Disse una volta: «Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l’ansia per la giustizia sociale e l’illusione di poter partecipare a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane...».

Ecco, ci mancano le parole con cui Fabrizio De Andrè (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999) lo avrebbe raccontato, questo cambiamento del mondo. Oggi, e poi domani, e poi domani ancora.

domenica 4 gennaio 2009

U2 / PRINCE / PACIFICO


Anno nuovo, stessa musica. Almeno per ora. In attesa delle novità che di certo arriveranno, magari da chi meno te lo aspetti, proviamo a puntare su tre album - due stranieri e uno italiano - attesi per le prossime settimane.

Il primo è il nuovo disco degli U2, «No line on the horizon», che uscirà ai primi di marzo, dopo che la pubblicazione inizialmente prevista per fine 2008 è stata rinviata - pare - allo scopo di aggiungere altri brani. C’è molta attesa per il dodicesimo album di Bono e compagni, che vede il ritorno della band irlandese dopo «How to dismantle an atomic bomb», uscito nel 2004 e venduto in nove milioni di copie in tutto il mondo. Produzione affidata a Brian Eno e Daniel Lanois, con i quali gli U2 avevano partorito capolavori come «The Joshua Tree» e «Achtung Baby». E già questa è una garanzia. Le registrazioni sono state fatte a Fez, in Marocco, e poi a Londra e Dublino. Sarà uno degli album più importanti del 2009, anche al fine di comprendere se il gruppo - fra i più famosi e importanti di sempre, con i suoi 140 milioni di dischi vednuti - si confermerà ai vertici nella qualità e nel gradimento del pubblico.

Altro disco atteso quello di Prince, che nel 2009 torna con un nuovo album dopo vicende molto aterne. Il genietto di Minneapolis, che nel 2008 ha compiuto mezzo secolo, è stato uno dei personaggi più innovatori del rock degli anni Ottanta/Novanta, prima di entrare in una fase controversa, caratterizzata da una lunga e complicata diatriba legale con la vecchia casa discografica, per svicolare alla quale ha anche pubblicato dei dischi celandosi dietro strani acronimi (per esempio Tafkap, che stava per The artist formerly known as Prince, l’artista un tempo conosciuto come Prince...) o addirittura simboli grafici. Fra i primi a vendere la propria musica su internet, di Prince si è parlato nel luglio 2007 per la decisione di allegare gratis al britannico Mail on Sunday il suo album «Planet earth».

Nelle settimane scorse il musicista ha svelato cinque nuovi brani del nuovo disco: «There will never be another 1 like me» è stato disponibile per alcuni giorni sul sito mplsound.com, per poi sparire. Altre quattro tracce - «Colonized mind», «Wall of Berlin», «4ever» e una cover di «Crimson & Clover» di Tommy James & the Shondells - sono state invece trasmesse in esclusiva da una radio di Los Angeles, Indie 103. «4ever» è una ballata per piano e coro, nel perfetto stile Prince che i fan ricordano e forse rimpiangono anche un pochettino. Gli altri tre brani sono invece caratterizzati da un uso massiccio della chitarra elettrica e da svisate e virtuosismi alla Jimi Hendrix.

Ultima segnalazione: il 16 gennaio esce «Dentro ogni casa», nuovo album di inediti di Pacifico. Fra un duetto con Gianna Nannini («Tu che sei parte di me») e uno con l’italo-marocchina Malika Ayane («Verrà l'estate»), passando per una manciata di nuove canzoni, potrebbe essere il disco della consacrazione anche come cantautore per uno degli autori più interessanti degli ultimi anni. Che finora ha lavorato per Celentano, Morandi, Bocelli, Vanoni, Mannoia e la stessa Nannini.


DE ANDRE'


Mancano pochi giorni al decennale della scomparsa di Fabrizio De Andrè (Genova 18 febbraio 1940 – Milano 11 gennaio 1999). E la discografia ce lo ricorda. Dopo i dischi della Pfm e di Massimo Bubola, di cui abbiamo già scritto, ecco un cofanetto. Con tre inediti: un canto popolare, una ballata romantica e un pezzo goliardico, trovati cinque anni fa dalla fondazione genovese De Ferrari e pubblicati da BmgSony/Nuvole in «Effedia - Sulla mia cattiva strada». Due cd più il documentario di Teresa Marchesi presentato all'ultimo Festival del cinema di Roma.

Fabrizio De Ferrari, presidente dell'omonima fondazione, racconta del ritrovamento dei tre inediti: «I nastri, che risalgono agli anni Sessanta, appartenevano al fondo del musicologo anglo-genovese Edward Neill, acquistato nel 2003 dalla nostra fondazione. Al loro ritrovamento, abbiamo contattato Dori Ghezzi, che dopo un primo scetticismo ha deciso di incontrarci ed è rimasta colpita dalle registrazioni».

Pare che fu proprio Neill a convincere De Andrè a incidere le tre canzoni. Il musicologo era appassionato di canti popolari, in particolare della tradizione ligure e piemontese, dei quali raccolse preziose testimonianze sul campo. E fu durante alcuni incontri che il musicologo illustrò i risultati delle sue ricerche al cantautore genovese.

De Andrè ascoltò le musiche, lesse i testi e lentamente cominciò ad avvicinarsi a questo particolare genere. Una passione che nel tempo ha coltivato: il risultato fu il riarrangiamento del testo tradizionale piemontese «Maria Giuana», vera e propria anticipazione dell'album dialettale «Creuza de ma», capolavoro pubblicato nel 1983.

Le altre due canzoni sono «Dai monti della Savoia», struggente vicenda di un cantastorie interamente composta da Faber, molto simile ai suoi primissimi successi, e la goliardica «Bella se vuoi volare», eseguita con due cantanti folk, con giochi di parole e doppi sensi, ispirata al repertorio della storica compagnia di universitari genovesi Baistrocchi che De Andrè frequentava negli anni Cinquanta con Paolo Villaggio.


D'ANGELO Imprevedibile Nino D'Angelo. L’ex scugnizzo propone un omaggio a Sergio Bruni, il santo patrono della canzone napoletana. In realtà quella di «D’Angelo Canta Bruni» è una doppia sfida, al maestro della tradizione vocale napoletana e al mercato: nonostante sia un classico e abbia lasciato tantissime canzoni, Bruni non è stato ancora oggetto di riscoperta. Dunque si tratta di un'operazione che va contro le logiche di mercato e infatti esce solo su Internet. Dice il cantante: «Non l'ho neanche proposto alla mia casa discografica: nessuno mi avrebbe dato retta. Lo venderò su Internet e a Napoli». Per incidere il disco D'Angelo è stato sei mesi in studio. «È stato un lavoro durissimo: il primo scoglio è stato scegliere i pezzi. Alla fine ho scelto attraverso l'istinto e la memoria di quando ero un ragazzino e mi imbucavo ai suoi concerti. Poi c'era il problema di attualizzare senza snaturare: abbiamo inserito suoni etnici, strumenti come la ciaramella, la chitarra portoghese, hulusi, laud, la fisarmonica, gli archi...».


METALLICA Metallica, per sempre Metallica. Un cd singolo da collezione per celebrare una delle più grandi rock band della storia. S’intitola «All nightmare long», ed è il secondo singolo estratto dal nuovo album «Death Magnetic». Il singolo è suddiviso in tre cd - venduti separatamente - che vanno a costituire un unico prodotto. Un’ottima occasione, per i tantissimi fan che i Metallica continuano ad avere in tutto il mondo, di aggiudicarsi un raro pezzo da collezione. Un riconoscimento che sottolinea le nomination ricevute dai Metallica che, ai prossimi Grammy, che si terranno a Los Angeles l'8 febbraio 2009, vedranno «Death Magnetic» concorrere nelle categorie «Best Rock Album» e «Best Recording Package»; «Suicide and Redemption» come «Best Rock Instrumental Performance» e «My Apocalypse» come «Best Metal Performance». I Metallica in soli tre mesi dalla pubblicazione di «Death Magnetic» hanno già venduto due milioni e mezzo di album, ottenendo 31 dischi di platino e 12 dischi d'oro. Tra cui quello italiano.