sabato 27 agosto 2011

DISCHI / JEFF BRIDGES + nirvana


Come attore, anni fa, lo avevamo amato soprattutto per l’indimenticabile personaggio interpretato ne “Il grande Lebowsky”. Ma poi l’uomo ha saputo conquistarci anche con “Crazy heart”, per quella dolente interpretazione di Bad Blake, cantante country alcolizzato sulla malinconica via del tramonto, che non a caso gli è valso lo scorso anno l’Oscar come miglior attore protagonista.

Da quel film si capiva che Jeff Bridges, americano di Los Angeles, classe 1949, la musica - soprattutto il country e il blues - l’aveva sempre amata e frequentata. Lo sapevano quelli che avevano ascoltato “Be here soon”, il suo album di debutto, pubblicato nel 2000. Se ne accorgeranno tutti quelli che ora focalizzeranno la propria attenzione sulle canzoni contenute in questo “Jeff Bridges” (Blue Note Records).

Cantante e chitarrista, proprio come il Bad Blake della finzione cinematografica, l’artista per l’occasione si è fatto guidare dall'amico musicista e produttore T-Bone Burnett, che tra l'altro aveva già scritto proprio la colonna sonora di “Crazy heart”. E ha coinvolto nell’avventura altri musicisti amici come Marc Ribot e Rosanne Cash.

La prima cosa che colpisce - già nella “What a little bit of love can do” d’apertura - è la voce, profonda, sporca e scura come certe atmosfere degli States meno conosciuti dai turisti capaci solo di una botta e via. La musica è americana al cento per cento, un country godibile anche da questa parte dell’oceano, con le radici ben piantate in un passato musicalmente glorioso.

Insomma, risultato solido e bello tosto. Non il solito disco dell’attore annoiato e magari in crisi alla ricerca di diversivi (ogni riferimento a Tim Robbins, Bruce Willis, Kevin Costner e Johnny Depp, che ha addirittura aperto una casa discografica, è assolutamente voluto...).

«La musica ha sempre fatto parte della mia vita - dice Bridges -, ho suonato musica da quando ero piccolo, è un “vizio” al quale non ho mai detto di no. Ho sempre scritto canzoni, non tanto per costruire una carriera come musicista ma per una sorta di necessità personale, un modo di esprimere emozioni e sentimenti. E finalmente, questa volta, sono riuscito a mettermi all’opera in maniera più completa, più seria».

Ancora l’attore: «Ho fatto moltissimi film e non ho avuto tempo per concentrarmi sulla musica. Per realizzare questo disco mi sono preso un anno libero, senza film a cui lavorare. Il bello è che l’album ha avuto una preparazione lunga ma è stato registrato in poche settimane, diciassette tracce, quasi di getto».

“Tumbling vine”, “Blue car” e la chitarristica “Slow boat” sono - assieme al citato brano d’apertura - le cose migliori di un disco che riconcilia l’ascoltatore europeo con un genere, il country, che dalle nostre parti non ha mai goduto di particolare attenzione nè tantomeno di grandi fortune.

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NEVERMIND - 20th anniversary edition (Geffen)

Nel ventennale della pubblicazione, ritorna in un cofanetto celebrativo (4 cd e un dvd, solo 40 mila copie stampate) il disco che segnò l’epopea dei Nirvana e di Kurt Cobain. Fu la cosiddetta esplosione grunge, che da Seattle si diffuse fra i giovani di mezzo pianeta. La giovanile rabbia punk di Cobain, che sarebbe morto suicida pochi anni dopo, nell’aprile ’94, ha qui dentro il suo manifesto: un forte scrollone all’universo rock, di quelli che si registrano solo una volta ogni tanto. Con brani come “Smells like teen spirit” e “Lithium”, che somigliavano ad altrettante urla di dolore. Disco generazionale, è stato detto, uno degli ultimi in grado di accomunare nel racconto della stessa angoscia i giovani di mezzo mondo. Il bambino che nella copertina originaria del disco nuota nudo in piscina dietro a una banconota da un dollaro oggi fa il grafico e l’illustratore. E non ha perso l’occasione per farsi nuovamente fotografare, nascondendo le parti intime, nella stessa posizione di allora.



martedì 23 agosto 2011

IAN PAICE, TIROMANCINO etc in FRIULI


Siete disperati perchè il concerto di Vasco Rossi allo Stadio Friuli di Udine è stato annullato? La perenne crisi economica vi ha massacrato le tasche e quest’estate non vi siete potuti permettere trasferte rock degne di questo nome? Ritenete che non sia il caso di chiedere un mutuo (né un prestito) per acquistare i biglietti di certi concerti? Bene, abbiamo la soluzione che fa per voi. Sempre che voi siate gente capace di accontentarsi.

Si chiama “Sagre dai pirùs”, e da quasi mezzo secolo (per l’esattezza l’edizione di quest’anno è la numero 47) è un appuntamento fisso nel panorama degli spettacoli di fine estate nel Friuli Venezia Giulia. Si svolge a Pavia di Udine, ogni anno propone nomi di rilievo ed è rigorosamente a ingresso gratuito. Anche stavolta l’offerta musicale, in mezzo alla programmazione tipica di ogni sagra che si rispetti (intrattenimento, enogastronomia, pesca di beneficenza, tornei sportivi...), è distribuita nei primi due fine settimana di settembre.

Si comincia venerdì 2 settembre con i Cugini di campagna, si prosegue sabato 3 con Pino Scotto. E poi venerdì 9 settembre i Tiromancino di Federico Zampaglione e sabato 5 il leggendario batterista dei Deep Purple Ian Paice, assieme al gruppo dei Rain.

Ma andiamo per ordine. Nella stessa serata in cui il grande Vasco sarebbe dovuto tornare allo Stadio Friuli, se i medici non gli avessero imposto uno stop di due mesi (a proposito: rimborso dei biglietti da lunedì 29), nel grande spazio all’aperto di Pavia di Udine arriva un pezzo importante della storia della musica leggera italiana.

I Cugini di campagna hanno quarant’anni di carriera alle spalle, avendo debuttato nel 1970 - scoperti da Gianni Meccia e Bruno Zambrini - con il 45 “Il ballo di Peppe”, lanciato alla radio da Arbore e Boncompagni in “Alto gradimento”. Ma le loro canzoni più note sono “Anima mia”, “Innamorata”, “Un'altra donna”, “Meravigliosamente”... La critica li ha spesso snobbati, ma il successo che hanno sempre avuto, in Italia e all’estero, parla per loro. E la loro riscoperta è coincisa con il programma di Fabio Fazio e Claudio Baglioni, nel ’97, intitolato per l’appunto “Anima mia”.

Altra storia e altra musica con Pino Scotto. Classe 1949, campano di Monte di Procida, colui che all’anagrafe si chiama Giuseppe Scotto Di Carlo è stato il cantante del gruppo rock Vanadium e dei Fire Trails. Il suo pubblico lo ama per la musica ma anche per la sua parallela carriera di opinionista “senza peli sulla lingua”: uno che non le manda a dire, a nessuno, spaziando dalla politica allo spettacolo. Da un paio d’anni è spesso ospite del “Chiambretti Night”. Recentemente si è esibito anche a Trieste.

Ultime due star dell’edizione di quest’anno. I romani Tiromancino ruotano attorno alla figura di Federico Zampaglione, sempre teso alla ricerca di un originale mix fra forma canzone e rock dalle sonorità non convenzionali. A Sanremo 2008 hanno cantato “Il rubacuori”, il loro album più recente s’intitola “L’essenziale”. Zampaglione è anche regista cinematografico. Il suo secondo film, “Shadow”, è stato girato in gran parte nel Friuli Venezia Giulia.

E siamo all’unico nome internazionale della rassegna, il grande Ian Paice. Inglese di Nottingham, classe 1948, è uno dei batteristi più noti e importanti - assieme a Ginger Baker dei Cream - dell’intera storia della musica rock. Ha legato il suo nome soprattutto alla band dei Deep Purple, che ha contribuito a formare nel ’67, appena diciannovenne. In tutti questi anni è stato l’unico musicista sempre presente nelle varie formazioni della band che si sono succedute.

Noto per i suoi lunghi assoli e per lo stile con influenze jazz e swing, nel corso della sua lunga carriera ha suonato anche negli Whitesnake, con Gary Moore, nel gruppo “Paice, Ashton & Lord” e con Paul McCartney, nell'album del ’99 “Run devil run” (alla chitarra per l’occasione c'era David Gilmour dei Pink Floyd). Ian Paice suona spesso in Italia, anche con “cover band” dei suoi Deep Purple. Stavolta dividerà il palco con i Rain, gruppo heavy metal italiano.

lunedì 22 agosto 2011

VASCO: TOUR ANNULLATO


Dunque i medici fermano Vasco Rossi. Riposo assoluto per almeno sessanta giorni, che vuol dire annullamento del concerto previsto per sabato allo Stadio Olimpico di Torino, ma anche degli altri show che dovevano costituire la ripresa settembrina del suo “Kom.011 tour”: il 2 settembre allo Stadio Friuli di Udine, il 6 settembre a Bologna e l’11 settembre ad Avellino (rimborsi dei biglietti a breve). In forte dubbio anche l’annunciata presenza del 5 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia, dove il Blasco doveva partecipare alla presentazione di “Questa storia quà”, il film sulla sua vita girato da Alessandro Paris e Sibylle Righetti.

Ma leggiamo il comunicato dell’equipe medica della clinica Villalba di Bologna, dove il cinquantanovenne rocker è tornato ieri mattina, dopo “l’esamino” effettuato sabato (e i forti dolori della notte precedente) e dopo le due settimane di ricovero di inizio agosto. «Riposo assoluto per almeno sessanta giorni giorni dalla data odierna - si legge nel bollettino medico - e terapia medica appropriata, salvo complicazioni. Le condizioni attuali del signor Vasco Rossi non consentono che il paziente svolga alcuna attività fisica per ulteriori due mesi da oggi. Si ritiene questo necessario al fine di non compromettere l’esito delle terapie mediche a cui è attualmente sottoposto».

Firmato dal medico curante, ma anche da fior fior di specialisti: il chirurgo generale-toracico, i radiologi, l’anestesista rianimatore, il cardiologo e ovviamente il direttore sanitario. Che dicono: «Dai numerosi accertamenti è esclusa categoricamente la presenza di patologie tumorali in atto». Precisazione importante, perchè a tutt’oggi non si sa quale sia realmente il quadro clinico. Si parla sempre di forti dolori al petto conseguenti a una costola fratturata e di un’infiammazione. Ma i dubbi permangono.

Anche ieri la rockstar ha trovato il tempo per comunicare con il suo popolo attraverso Facebook, dove i suoi “amici” sono nel frattempo ulteriormente saliti: ieri sera erano a quota 2.458.256. «Se c’era una cosa che avevo voglia di fare - scrive - era tornare un po’ sul palco. Questo stop forzato non ci voleva. Purtroppo svela che sono umano, non sono un supereroe indistruttibile e non cammino nemmeno sulle acque. Mi dispiace se qualcuno ne rimarrà deluso. Guardate oltre l’orizzonte e saremo di nuovo insieme. Vi voglio bene, vi abbraccio e non vi deluderò... Mai!».

Ancora: «Considero chiusa la mia strabiliante carriera da rockstar, ho intenzione di diventare soprattutto un social rocker. Sto cercando di ricucire i pezzi del mio personaggio, di riunire i personaggi dentro di me».

Auguri, allora, caro Vasco. Risolva con calma i suoi problemi di salute, faccia pace con se stesso e con il mondo, riprenda - se ne ha voglia e se ne è ancora capace - a scrivere e cantare le splendide canzoni che l’hanno fatta amare dal suo popolo. Magari accettando che l’alternativa alla vita spericolata, esagerata, maleducata, piena di guai di trent’anni fa, non abita necessariamente in quel verso che canta nel recente “Manifesto futurista della nuova umanità”: «La cosa più semplice, ancora più facile, sarebbe quella di non essere mai nato». E tutti noi, “gente normale”, allora che cosa dovremmo dire...?

domenica 21 agosto 2011

CHE SUCCEDE A VASCO?


Che cosa sta succedendo a Vasco Rossi? Ormai non se lo chiedono solo i (tantissimi) fan della massima rockstar italiana. E nemmeno soltanto i medici della clinica bolognese di Villalba, dove il cinquantanovenne rocker si ripresenterà stamattina, dopo avervi trascorso le prime due settimane di agosto e dopo “l’esamino” resosi necessario sabato, dopo l’ennesima notte di forti dolori alla schiena e alla spalla (la versione ufficiale parla di una costola fratturata), che un mese di terapie a base di antibiotici e antidolorifici non sono state in grado di placare. L’interrogativo, certamente minore rispetto a problemi più importanti, assume comunque una valenza che va al di là del caso personale.

Perchè qui la vicenda non è soltanto medica. E il quadro non sarebbe completo senza altri elementi venuti alla luce in questi mesi. A fine giugno il Blasco “si dimette da rockstar”. Tranquilli, farà altri dischi e altri concerti, ma sente che una certa fase della sua vita - e della sua luminosa carriera - è finita. Cercherà nuove strade, nuovi modi per comunicare con il suo pubblico.

Poi, complice il primo ricovero in clinica e la conseguente forzata convalescenza nella villa della natìa Zocca («ormai sto bene soltanto qui», confessa), scopre l’universo di Facebook. E come tutti i neofiti, lui che era sempre stato refrattario nel rilasciare interviste, alle prese con le potenzialità del social network si scatena, imperversa, esagera: “postando” a tutte le ore commenti e brevi filmati realizzati con una webcam amatoriale (che lui ribattezza “clippini”). Il suo profilo su Facebook (a ieri sera 2.448.266 “amici”: numeri che un partito politico se li sogna...) diventa allora una sorta di diario di bordo della sua sofferenza interiore, del suo mal di vivere, della sua depressione.

Già, perchè di questo si tratta. Lo ammette lui stesso in un “post” di due settimane fa: «Assumo (da tempo) un cocktail di antidepressivi, psicofarmaci, ansiolitici, vitamine e altro, studiato da un’equipe di medici che mi mantiene in questo “equilibrio” accettabile. Se sono vivo lo devo a loro e a tutta questa valanga di chimica che assumo. NON avrei superato tutte le consapevolezze, le sofferenze e la profonda depressione nella quale ero sprofondato nel 2001».

Una profonda depressione che sembra far da contraltare, trent’anni dopo, alla “vita spericolata” cantata in versi e praticata nella quotidianità dal Blasco. Eccessi di ieri e fragilità di oggi sembrano parte dello stesso percorso, nella vita sua e di tante altre star del rock di ieri e di oggi. Allora Vasco voleva una vita spericolata, esagerata, maleducata, piena di guai, una vita “che non è mai tardi”. Oggi canta: «La cosa più semplice, ancora più facile, sarebbe quella di non essere mai nato» (“Manifesto futurista della nuova umanità”).

In questa fragilità, in questa debolezza c’è forse la chiave di tutto. Il resto sono polemiche estive, fra esternazioni a favore delle tasse ai più ricchi e contro la criminalizzazione di chi usa stupefacenti, e scambi di cortesie con Gasparri e Giovanardi (rispettivamente “ultimo della classe” e “indomabile moralizzatore” secondo Vasco) e giovani di centrodestra (che lo ripagano definendolo “cattivo maestro”).

Sabato intanto il Komandante è atteso allo stadio di Torino per la ripresa del tour. Data successiva: il 2 settembre allo Stadio Friuli di Udine. Ci sarà? E in che condizioni si presenterà al suo popolo? Domande tutto sommato minori, rispetto al cuore del problema.

giovedì 18 agosto 2011

ROTOTOM SUNSPLASH IN SPAGNA


Il Friuli Venezia Giulia lo ha cacciato, la Spagna lo ha accolto a braccia aperte. E’ il Rototom Sunsplash Festival, la cui diciottesima edizione - la seconda lontano da casa - è cominciata ieri sera a Benicassim, cittadina spagnola pochi chilometri a nord di Valencia. Trecento artisti reggae in dieci giorni, per vedere i quali sono attese oltre duecentomila persone. Che vogliono dire anche tanti, tantissimi soldi.

«In Italia - dice Filippo Giunta, anima del festival - negli ultimi anni mi dovevo occupare a tempo pieno dei rapporti con la questura. Qui finalmente mi posso dedicare al festival. Che porta alla regione di Valencia, secondo El Mundo, qualcosa come 18 milioni di euro. Soldi che, con la nostra partenza, ha perso il Friuli Venezia Giulia...».

Il festival è nato e cresciuto nella nostra regione (prima edizione nel ’94 a Spilimbergo, poi trasloco a Latisana e dal 2000 al 2009 a Osoppo, al Parco del Rivellino), ma poi è emigrato in cerca di lidi meno ostili. Trovati nella generosa terra spagnola. Dice Giunta: «Abbiamo aperto il campeggio mercoledì. E la sera abbiamo offerto al paese una sorta di pre-festival, con una grande festa che ha coinvolto tutti ed è durata fino all’alba...».

Ma torniamo all’estate di due anni fa. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’avviso di garanzia a Giunta per il reato di agevolazione dell'uso di sostanze stupefacenti. E al sindaco di Osoppo per abuso di ufficio, per aver concesso l'uso dell'area di campeggio esterna al festival.

«Una vicenda - spiega il presidente dell’associazione Exodus, dal titolo di un celebre brano di Bob Marley - che è ancora aperta. Con i ritmi lentissimi della nostra giustizia, il mese scorso il giudice dell’udienza preliminare ha deciso un nuovo rinvio. A gennaio si deciderà se aprire o meno il procedimento...».

Teoricamente Giunta rischia una pena fra i tre e i dieci anni di reclusione. In realtà, esistono buone possibilità che la vicenda si chiuda con un nulla di fatto. Ma l’attacco giudiziario, unito alla decisione politica della giunta regionale di bloccare i finanziamenti pubblici alla rassegna, fece capire agli organizzatori del festival che era tempo di migrare.

«Abbiamo scelto Benicassim perchè qui da quindici anni si svolge un altro importante festival pop, dunque già esistevano spazi e strutture, fra cui un campeggio di trenta ettari. E poi, quando siamo venuti per la prima volta per un sopralluogo, le autorità locali, che fra l’altro sono di destra, ci hanno fatto letteralmente ponti d’oro».

Al Sunsplash Festival 2011, che si conferma la più importante rassegna reggae europea, titolo guadagnato già nelle ultime edizioni in terra friulana, lavorano trentacinque persone tutto l’anno («l’anno scorso eravamo tutti friulani in trasferta, quest’anno abbiamo anche molti spagnoli, con rappresentanze francesi, tedesche, persino messicane e argentine...). Gli addetti diventano cento negli ultimi tre mesi e addirittura duemila nel mese del festival. Una comunità multietnica, distribuita fra quattro palchi, cinque locali, una cinquantina di bar e ristoranti e un centinaio di negozi.

L’edizione di quest’anno è dedicata a Bob Marley, nel trentennale della sua scomparsa. Con la partecipazione fra gli altri del figlio Stephen Marley (la cui esibizione era prevista ieri sera, in apertura del festival), della vedova Rita Marley, degli altri figli Ziggy e Ky-Mani, ma anche di Luciano, Jimmy Cliff, Bunny Wailer, Johnny Clarke, Michael Prophet, Horace Andy, Brigadier Jerry, Toot & The Maitals, Lutan Fyah, degli italiani Africa Unite e di altri protagonisti della musica reggae.

Ma il festival non è soltanto musica. «Le autorità locali - aggiunge Filippo Giunta - sono molto contente anche della nostra programmazione culturale, culminata con la partecipazione lo scorso anno della ministro della cultura giamaicana e quest’anno di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace iraniana. Sempre contro la cultura dell’odio e all’insegna dei nostri valori: solidarietà, nonviolenza, tolleranza, cura per l’ambiente».

Tornereste in Italia? «Solo se cambiassero le condizioni nei rapporti con le istituzioni, e comunque con un secondo festival da riproporre a Osoppo: quello principale ormai rimane qui, in Spagna. Venendo via, ci è sembrato di uscire da un incubo. E qui abbiamo trovato una situazione ottimale».

Insomma, come dicono quelli del Rototom Sunsplash, “basta crederci e volerlo con forza: un altro mondo è possibile”. Magari lontano da casa.



venerdì 12 agosto 2011

NONNETTI DEL ROCK


David Crosby compie domenica settant’anni. Raggiungendo Bob Dylan che ha girato l’ingombrante boa a maggio. Leonard Cohen farà addirittura settantasette anni il 21 settembre. E a novembre - anche se delle signore dicono non sia cortese ricordare l’età... - Joni Mitchell tocca quota sessantotto mentre Tina Turner ben settantadue.

La lista sarebbe lunga. Ci limitiamo a ricordare i sessantadue anni di Bruce Springsteen, Mark Knopfler e Tom Waits, i sessantaquattro di Elton John, David Bowie e Iggy Pop, i sessantasei di Eric Clapton e Rod Stewart, i sessantotto di Mick Jagger e Roger Waters, i sessantanove di Lou Reed e Paul McCartney, i settantuno di Ringo Starr...

E proprio i due Beatles superstiti, entrambi ancora attivissimi, forse ricordano con una certa pacata autoironia i tempi in cui cantavano “When I’m sixty-four”. Nella quale prevedevano: «Quando diventerò vecchio e perderò i capelli, da qui a molti anni, mi manderai ancora una lettera per San Valentino, una bottiglia di vino con gli auguri di compleanno? Avrai ancora bisogno di me? Mi preparerai ancora da mangiare, quando avrò sessantaquattro anni?».

Ancora: «Anche tu sarai invecchiata, e se solo dirai una parola potrei restare con te. Potrei rendermi utile, aggiustare un fusibile, quando ti salta la luce. Tu puoi fare un maglione vicino al camino, andare in giro la domenica mattina, curare il giardino, estirpare le erbacce, chi potrebbe chiedere di più?».

Già, chi poteva chiedere di più, allora, alla bella età di sessantaquattro anni? Era il 1967, l’album s’intitolava “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. Il mondo stava cambiando, anche grazie alle canzoni dei Beatles. E quell’età sembrava, per gli occhi e la sensibilità di quattro ventenni di Liverpool, ottima solo per tirare i remi in barca.

Non lo pensavano soltanto Lennon e McCartney. Anche Roger Daltrey (oggi sessantasettenne) e Pete Townshend (sessantasei) sono ancora in piena attività, a dispetto di quando, con i loro Who, in “My generation” cantavano il celebre verso “Voglio morire prima di diventare vecchio” (“Yeah, I hope I die before I get old, talkin' about my generation...”). Era il 1965, i due ragazzacci avevano anche loro attorno ai vent’anni, e la vecchiaia per loro cominciava con ogni probabilità anche prima dei sessantaquattro anni beatlesiani: diciamo attorno ai quaranta o giù di lì.

Certo, la vita media si è allungata. All’età in cui un tempo si era considerati vecchi bacucchi oggi ci sono tante donne e tanti uomini che vivono tranquillamente e qualche volta anche felicemente quella che non si usa più nemmeno chiamare la terza età. Viviamo l’epoca dei cosiddetti “giovani adulti”. E i protagonisti sono proprio gli ex ragazzi degli anni Cinquanta e Sessanta, che non accettano di diventare vecchi, e continuano - per usi, costumi, gusti, abiti, musica ascoltata - a considerarsi e comportarsi come ai tempi d’oro.

Negli anni Cinquanta e Sessanta rock e pop nascevano ad opera ma anche a uso e consumo delle giovani e giovanissime generazioni. In quella musica non c’erano soltanto versi e note, ma anche il rifiuto di valori imposti dai propri genitori, di una società e di costumi troppo stretti, di una vita già impostata in una maniera che sembrava non potesse essere mutata.

Oggi, nel 2011, dopo tutte le rivoluzioni avvenute nel costume (che qualche volta, dopo una rotazione a trecentosessanta gradi, ci hanno riportato al punto di partenza...), nel campo della musica i ragazzi di ieri, ormai da tempo adulti, continuano a sentire la stessa musica d'un tempo. E i ragazzi di oggi, quando si stancano dei passeggeri fenomeni di classifica, vanno a cercare proprio fra quei vecchi dinosauri, tutta gente che era già in scena quando loro non erano ancora nati, la colonna sonora delle proprie giornate. O meglio: la playlist dei loro aggeggini supertecnologici.

Perchè? C'è chi è convinto che il miglior rock di sempre sia quello che è stato sfornato fra la fine degli anni Sessanta e i Settanta. E finchè lo dicono i ragazzi di allora - ormai padri o addirittura nonni - non ci sarebbe di che meravigliarsi: ogni generazione ama infatti la musica dei propri anni verdi, che nel ricordo diventa parte di una gioventù sempre rimpianta.

Ma quando il giudizio viene confermato anche da una parte dei ragazzi di oggi, beh, allora il dubbio comincia ad affiorare. Vuoi vedere che per davvero in quegli anni di creatività, ideali, speranze e “buone vibrazioni”, è stato pensato e suonato anche il miglior rock, la miglior musica popolare che orecchie ricordino?

Buon compleanno allora al grande David Crosby, che una quarantina abbondante d’anni fa, prima con i Byrds e poi con Stills, Nash e Young, scrisse e suonò alcune delle cose migliori della cosiddetta West coast (che ora sembra tornare in auge con il folk-rock dei Fleet Foxes, il gruppo di Seattle che si ispira proprio a quegli anni). E da solista - ben prima di avere grossi guai di salute e con la giustizia, tutti per fortuna risolti - ha lasciato agli annali un album capolavoro come “If I could only remember my name”, uscito giusto quarant’anni fa, nel ’71.

Ma buon compleanno e lunghissima vita anche a Leonard Cohen, Joni Mitchell, Tina Turner, Mick Jagger, Paul McCartney, Bob Dylan... Senza di loro, senza tutti gli altri arzilli nonnetti che ancora zompettano sui palchi di mezzo mondo, influenzando fra l’altro molti giovani artisti, saremmo tutti un po’ più poveri. E tristi.

mercoledì 10 agosto 2011

da "FINE DI UN MONDO"

da "FINE DI UN MONDO"



di Massimo Gramellini



su La Stampa di oggi



"...Quando i teppisti diventano un esercito e mettono a ferro e fuoco una metropoli occidentale, significa che è successo qualcosa che non si può più combattere solo aumentando il numero dei poliziotti e delle celle. E’ il segnale di un mondo, il nostro, che si sgretola. Un mondo senza politica, senza cultura, senza solidarietà. Il teppista griffato non si rivolta per ottenere un impiego, del cibo o dei diritti civili. Reclama soltanto l’accesso agli status-symbol della pubblicità acquistabili attraverso il denaro. Dal giorno infausto in cui il capitalismo dei finanzieri ha soppiantato quello dei produttori, il denaro si è infatti sganciato dal merito, dal lavoro e dall’uomo, trasformandosi in un valore a sé. L’unico. Quel ragazzo è il prodotto di questa bella scuola di vita. Mettiamolo pure in galera. Ma poi affrettiamoci a ricostruire la scuola".




lunedì 8 agosto 2011

MTV 30 ANNI


Mtv compie trent’anni. Ma da tempo non è più la stessa. Trasformandosi da canale televisivo “24 ore al giorno solo musica” in un’emittente tv come tante altre, attenta ad attirare con la propria programmazione - non necessariamente musicale - giovani e giovanissimi consumatori del mercato globale.

Altri tempi, e altra musica, in quell’estate 1981 quando tutto ebbe inizio. Mtv Music Television (era questa, allora, la denominazione completa) cominciò le sue trasmissioni alle 12.01 del primo agosto, con le parole di John Lack: «Ladies and gentlemen, rock and roll...!».

Le prime immagini trasmesse furono il montaggio dell'Apollo 11 che atterra sulla luna. Ma il primo video proposto fu “Video killed the radio star” (il video uccise la star della radio...) dei Buggles. Il secondo “You better run”, di Pat Benatar.

Allora le emittenti televisive, americane e non, trasmettevano musica pop e rock in dosi omeopatiche. I videoclip, la cosiddetta “musica da vedere”, andavano cercati con il lanternino. E l’arrivo di Mtv - che ben presto uscì dai confini americani e varcò l’oceano, fino a diventare fenomeno planetario - somigliò alla vittoria di un terno al lotto per milioni di amanti della musica.

La programmazione iniziale era infatti dedicata esclusivamente al mondo della musica, con la trasmissione di concerti dal vivo e video musicali presentati da vj (l’evoluzione della figura del disc-jockey, o dj, diventato per l’occasione video-jockey, o vj, appunto...). Ventiquattro ore al giorno, e scusate se è - era - poco.

Mtv si proponeva come un canale riservato all'industria della musica ed era destinato a scrivere la storia musicale degli anni Ottanta e Novanta. Ma progressivamente ha visto mutare la propria originaria “mission”. Da emittente musicale a televisione in grado di intrattenere adolescenti, giovanissimi, giovani e anche i cosiddetti “giovani adulti” (la cui fascia d’età è andata via via aumentando, di pari passo con la crescita di quanti erano ragazzi negli anni Sessanta e Settanta).

Ecco allora l’inserimento nella programmazione di Mtv - che nel frattempo ha lanciato tutta una serie di canali satelliti - di telefilm, reality, serie tv, al fine sempre e solo di intrattenere un pubblico di giovani e soprattutto giovanissimi consumatori. Roba non sempre di qualità, anzi.

Basta dare un’occhiata alla programmazione dei prossimi mesi di Mtv Italia: un “docureality” che segue sette giovani ginnaste nei loro allenamenti verso i Mondiali e uno show dedicato ai duelli, a colpi di freestyle, fra i rapper italiani. Proposte del palinsesto autunnale pensate e dedicate a un pubblico di “millenials”, cioè i giovani fra i 14 e i 24 anni, cresciuti al tempo di internet e cittadini di un mondo senza confini.

I vecchi musicofili hanno intanto passato la mano. «Era un bastione di significato culturale. Ora, quando mi sintonizzo su Mtv, mi deprime», ha scritto in un commento su un sito web un’appassionata di musica rock. «Ma dov’è la musica?», aggiunge un altro fedelissimo sconcertato dalla mutazione avvenuta, sottolineando che Mtv aveva un suo ruolo, che ha effettivamente abbandonato.

E il segno di tale mutazione sta anche nel fatto che, in occasione del trentesimo compleanno di Mtv, la ricorrenza sia stata festeggiata giorni fa dai suoi dirigenti suonando la campanella che dà inizio alle contrattazioni alla borsa di Wall Street. Il tempio, seppur acciaccato, del capitalismo mondiale.

La musica, intanto, sembra aver scelto decisamente il web, come nuovo strumento principe di diffusione. I canali televisivi che trasmettono concerti e video sono diventati tantissimi rispetto a trent’anni fa, ma è internet la “nuova frontiera” che ormai detta le regole.

domenica 7 agosto 2011

SABINA GUZZANTI


Sabina Guzzanti torna nel Friuli Venezia Giulia con il suo nuovo spettacolo “Sì! Sì! Sì! Oh, sì”. Sarà mercoledì alle 21.30 a Cervignano, al Parco Europa Unita, a conclusione del festival “Onde mediterranee”. E poi tornerà anche a Trieste, venerdì 26 agosto, al Castello di San Giusto, nell’ambito del cartellone di “SerEstate”.

Per l’occasione, la quarantottenne attrice romana - figlia del giornalista e parlamentare Paolo, “sorella d’arte” del geniale Corrado e della brava Caterina - fa sapere di aver deciso “di non concedere alcuna intervista”. Forse perchè, le ultime volte che lo ha fatto, il giornalista di turno non ha potuto evitare di porle domande anche sull’imbarazzante vicenda del cosiddetto “Madoff dei Parioli” che l’ha vista coinvolta nella primavera scorsa. Con code polemiche sul web, da parte dei tanti fan che accusavano “la compagna Sabina” di predicare bene e razzolare male.

Come si ricorderà, la Guzzanti era stata truffata, assieme a tanti personaggi dello spettacolo e dello sport, dal broker che attirava investitori ingordi prospettando interessi da capogiro. Pare che comunque, su 408 mila euro incautamente consegnati al furbacchione, l’attrice ne abbia recuperati quasi 380 mila. Dunque, rispetto ad altri (fra cui suo padre, sua sorella e l’amico Davide Riondino), non le è andata nemmeno male.

Ma di queste cose, nello spettacolo, Sabina Guzzanti probabilmente non parlerà. Dai comunicati stampa, che non potendo intervistare l’artista diventano l’unica fonte da cui attingere, apprendiamo che «sull’onda dell’entusiasmo referendario che sembra aver ridestato l’Italia dopo anni di torpore, Sabina Guzzanti torna sul palco per riproporre un excursus tra le persone e i personaggi che hanno animato la vita politica e civile di quest’ultimo ventennio».

Lo spettacolo proposto in questo tour viene definito «liberatorio, nel senso che la sua protagonista - e con lei ci auguriamo anche il pubblico - vorrebbe liberarsi, una volta per tutte, dalle ingombranti presenze che la perseguitano ormai da anni, e iniziare finalmente una nuova vita. Non parliamo solamente del nostro pervadente presidente del Consiglio, del quale l’attrice ripercorre il tragitto politico e umano, a cominciare dal loro, a tutt’oggi inedito, primo incontro ad Arcore in tempi non sospetti, ma anche di Bruno Vespa e del suo salotto televisivo, con le immancabili presenze di Valeria Marini, Clarissa Burt e Barbara Palombelli, naturalmente».

Ma gli strali della Guzzanti prenderanno di mira anche l’arena di Maria De Filippi e i suoi «improbabili giovani, fino alle migliori menti del centrosinistra, come Lucia Annunziata, Massimo D’Alema e anche Pierluigi Bersani. I ricordi e gli aneddoti, personali e pubblici, raccolti negli oltre vent’anni di carriera da Sabina Guzzanti, intessendosi con le maschere e le parodie che l’hanno resa popolare al pubblico televisivo (dopo tanti anni ritornerà in un cameo anche Moana Pozzi, l’ispiratrice originaria del “Partito dell’Amore”), ricompongono così la storia recente del nostro Paese e del suo resistibile declino, fino a intravedere una flebile luce alla fine del tunnel».

Il comunicato vergato ovviamente da mani amiche regala anche un finale all’insegna della speranza. «Certamente il domani non sarà facile e le speranze di un nuovo risorgimento si scontreranno necessariamente con le difficoltà di un’Italia in profonda crisi e tutta da ricostruire, per molti versi simile a quella del secondo Dopoguerra. Di buono c’è che anche la nostra prima Repubblica nacque da un referendum. Sarà arrivato di nuovo il momento di voltare pagina?»

Sabina Guzzanti - si apprende sempre dalle note promozionali - spera che sia il pubblico a rispondere “Sì! Sì! Sì! Oh, sì!”.

sabato 6 agosto 2011

VASCO


«Assumo (da tempo) un cocktail di antidepressivi, psicofarmaci, ansiolitici, vitamine e altro, studiato da un’equipe di medici che mi mantiene in questo “equilibrio” accettabile». Vasco Rossi si mette a nudo così nel suo profilo su Facebook. A pochi giorni dall’uscita dalla clinica dove è rimasto per quasi due settimane, ufficialmente a causa della frattura di una costola, la massima rockstar nazionale parla per la prima volta con estrema sincerità delle sue condizioni di salute.

Ringrazia con nomi e cognomi i medici che lo seguono: «Se sono vivo lo devo a loro e a tutta questa valanga di chimica che assumo. NON avrei superato tutte le consapevolezze, le sofferenze e la profonda depressione nella quale ero sprofondato nel 2001». Ancora il Blasco: «Ho passato un lungo periodo di tempo in cui ogni cosa mi sembrava lì per ricordarmi come la vedevo diversa, prima. Come mi risultava fastidiosa adesso mentre la trovavo normale e soddisfacente. E quella continua sensazione di groppo in gola, di sconsolata tristezza. Un velo opaco, grigio su ogni cosa. Essere di cattivo umore sempre dalla mattina alla sera - continuamente - dalla sera alla mattina. Ogni giorno, ogni momento. Per settimane, mesi. Sempre».

Una forte depressione, dunque. Che sembra far da contraltare, trent’anni dopo, alla “vita spericolata” cantata in versi e praticata nella quotidianità dal rocker di Zocca. Eccessi di ieri e fragilità di oggi sembrano uniti da un filo rosso, nella vita del Blasco - che l’anno prossimo compirà sessant’anni - come in quella di tante altre star della musica rock di ieri e di oggi.

Sempre su Facebook, Vasco lascia comunque la porta aperta alla speranza: «Dichiaro felicemente conclusa la mia straordinaria attività di rockstar. Non smetterò di scrivere canzoni e di cantarle e neppure smetterò di fare concerti. Voglio trovare nuove maniere, nuovi modi, cambiare le vecchie regole». E anticipa il titolo del prossimo lavoro: “I soliti”.

mercoledì 3 agosto 2011

BILANCIO TRIESTE SUMMER ROCK FESTIVAL


Tutto esaurito l’altra sera a San Giusto, per la serata conclusiva dell’ottava edizione del Trieste Summer Rock Festival. Sul palco c’erano i triestini Pinkover, con il loro tributo ai Pink Floyd, nel corso del quale hanno proposto classici della band inglese, da “The dark side of the moon” a “Animals”, passando ovviamente per “The wall”.

«E’ bello - dice Davide Casali, patron della rassegna con la sua Associazione Musica Libera - che il successo di pubblico maggiore dell’edizione di quest’anno sia toccato proprio a una band triestina. Nel corso degli anni abbiamo sempre privilegiato, accanto alle star del passato, anche i giovani artisti emergenti locali. E l’altra sera, per la band specializzata nelle cover pinkfloydiane, erano occupati tutti i 1800 posti, di cui 1100 a sedere, del nuovo Cortile delle Milizie. Tanto che alcuni spettatori non sono nemmeno riusciti a entrare».

Il festival triestino si era aperto giovedì con i Caravan, gruppo storico del progressive inglese, e il triestino Luigi De Santi. Era proseguito sabato con i giapponesi Fantasmagoria e gli Arti & Mestieri, sul palco assieme all’ex King Crimson Mel Collins ai fiati. Mentre domenica aveva visto in scena Alberto Fortis e Andrea Mirò protagonisti di un personalissimo “Omaggio a Battisti”. Fortunatamente, la vedova di Lucio stavolta non ha mosso gli avvocati - come fa abitualmente, e spesso con successo, quando qualcuno organizza iniziative analoghe - per bloccare la serata.

Ma sentiamo ancora Casali. «Il bilancio di questa ottava edizione è molto positivo. Il pubblico, abituato a seguirci in piazza Unità, ha risposto al richiamo anche a San Giusto. Per tutto il supporto ricevuto ringraziamo il Comune di Trieste, la Fondazione Crt e la Regione: senza di loro non potremmo offrire al pubblico, a ingresso gratuito, i grandi nomi, italiani e stranieri, che portiamo ogni estate nella nostra città».

Ora è già tempo di pensare al futuro. «Per l’autunno - afferma Casali - abbiamo in programma una tre giorni al palasport di Chiarbola: il 25 novembre con gli Yes, il 26 di nuovo con i nostri Pinkover che metteranno in scena “The wall” e il 27 con la decima edizione della Fiera del disco. E dal giorno dopo cominceremo a pensare all’edizione 2012 del festival. Siamo già in parola con i Marillion...».