giovedì 27 gennaio 2011

YES


Tredici anni dopo, gli Yes tornano a Trieste. Il 25 novembre la storica band del pop-rock inglese suonerà infatti in quello stesso palasport di Chiarbola che li ospitò il primo aprile 1998, in un concerto che attirò spettatori anche dal Veneto, dalla Slovenia e dalla Croazia. Gli anni passano, ma il fascino della band rimane.

Era il ’69, quando uscì il loro primo, omonimo album. Subito dopo arrivarono ”Time and a world”, ”The Yes Album”, soprattutto ”Fragile”, che nel ’71 impose la band nel ristretto novero dei protagonisti - assieme a King Crimson, Genesis, Van der Graaf Generator, Gentle Giant... - di quello che allora veniva chiamato ”pop progressive”.

Lavori come ”Close to the edge”, il triplo dal vivo ”Yessongs”, la suite di ”Tales from topographic oceans”, usciti fra il ’72 e il ’73, non fecero che accrescere il seguito che il gruppo aveva fra i giovani di mezzo mondo. Mettendo assieme pop-rock melodico e atmosfere barocche, musica classica ed elettronica.

Poi accadde che il tastierista Rick Wakeman (che a sua volta aveva rimpiazzato Tony Kaye, membro originario della band) salutò la compagnia per una traballante carriera solista. Accadde soprattutto che il pop-rock conobbe nuove stagioni, nuove suggestioni, nuovi protagonisti. E gli Yes, fra tanti cambi di formazione, alternarono lunghi periodi di silenzio a rentrèe non sempre fortunate.

Compresa, sul finire degli anni Ottanta, dopo il successo dell’album ”90125”, che conteneva ”Owner of a lonely heart”, una diatriba che oppose alcuni componenti del gruppo ad altri: oggetto del contendere, ovviamente, il diritto a usare il prestigioso marchio di fabbrica. Poi la vicenda si ricompose. Ma la molla della ripartenza non scattò fino al ’96, quando i membri originari del gruppo si rimisero assieme per un tour in California. Seguirono due album dal vivo a documentazione di quei concerti (”Keys to Ascension I” e ”II”) e un nuovo lavoro in studio, uscito nel ’98 e intitolato ”Open your eyes”.

«Chi è onesto con se stesso e con il suo pubblico - diceva il cantante e fondatore del gruppo, Jon Anderson - sopravvive senza crisi. Il nostro genere è in continua evoluzione, è musica senza tempo, compendia tanti stili per rinnovarsi di continuo. Gli Yes trovano la loro vera armonia musicale ed emozionale sul palco. E in Italia c’è il pubblico migliore: gli americani sono matti, gli inglesi troppo calmi...».

Tredici anni fa, a Trieste, gli Yes si presentarono con questa formazione: Jon Anderson (voce, chitarra acustica, percussioni), Steve Howe (chitarra), Chris Squire (basso), Alan White (batteria), Billy Sherwhood (tastiere) e il giovane pianista russo Igor Khoroshew. </IP>E quando Anderson, verso la fine, prima di infilare classici come ”Long distance runaround” e ”I’ve seen all good people”, invitò il pubblico ad alzarsi in piedi e chiese che cosa si ballasse a ”Trièst”, Squire gli fece da sponda suggerendogli un improbabile ”Trièst Twist”.

Ora, dopo altre defezioni, fra cui anche quella dello stesso Jon Anderson, la band si schiera con <USNUOVA>gli ”storici” Chris Squire, Stewe Howe e Alan White, e i ”nuovi acquisti” Oliver Wakeman (figlio proprio di Rick, che stava nel gruppo negli anni Settanta) alle tastiere e Benoit David, cantante canadese proveniente da una ”tribute band” degli Yes.

Il concerto del 25 novembre è organizzato dall’associazione Musica Libera (che l’8 aprile riporta le Orme al Teatro Miela), con il supporto di Comune e Regione. Prevendite <IP0>dei biglietti al Ticket Point di Trieste e da Radioattività, con sconto per chi compra il tagliando entro il 30 settembre. Info http://www.musicalibera.it/ e http://www.radioattivita.com/ 

lunedì 24 gennaio 2011

LIBRI SU GIORNO DELLA MEMORIA

"Chi pensa che i bambini non ricordino sbaglia di grosso". Saggio ammonimento di Hannelore H. Headley, sopravvissuta all’Olocausto, scelto come citazione introduttiva di ”Eravamo bambini, Fuga dal ghetto verso la libertà” (Elliot, pagg. 207, euro 16), di Kathy Kacer e Sharon McKay. Che hanno raccolto storie di donne e uomini ebrei che durante la guerra avevano fra i tre e i dieci anni. Descrivono i momenti iniziali della follia chiamata nazismo, la deportazione nel ghetto, la fuga dall’orrore, la vita in clandestinità nelle foreste, la fame e il freddo, la morte dei genitori. Ma anche l’aiuto ricevuto da quanti li protessero e li accolsero come figli, permettendo loro di sopravvivere. E di poter dire oggi: «In Europa, nel 1939, l’uomo nero è esistito per davvero. Ha spalancato le porte delle nostre stanze gridando con una voce orribile e ci ha strappati via dai nostri letti...».

Quello di Kacer e McKay non è l’unico libro - fra quelli legati al tema della Memoria, e pubblicati in occasione del 27 gennaio - dedicato al punto di vista e alla sensibilità dei più piccoli. Einaudi manda in libreria ”Qui non ci sono bambini, Un’infanzia ad Auschwitz” (pagg. 185, euro 24), di Thomas Geve. Che dice: «Sono nato nel 1929 e nel 1933 i nazisti prendono il potere: l’unico mio ricordo è la persecuzione». L’autore aveva tredici anni quando venne deportato ad Auschwitz e assegnato ai lavori forzati, per colpa di un aspetto apparentemente più adulto. Un particolare che gli salvò la vita, perchè «i bambini al di sotto dei quindici anni vengono mandati direttamente alle camere a gas». E il giovane Thomas, grazie alla tortura di quei lavori forzati, era ancora vivo nell’aprile 1945, quando gli alleati entrarono nel lager e liberarono i prigionieri. Allora fissò su carta ciò che aveva vissuto, trasformando il retro dei formulari delle Ss nei 79 disegni che compongono questa testimonianza.

Quante storie come queste, nei libri che escono in occasione del Giorno della Memoria. ”Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia”, di Mario Avagliano e Marco Palmieri, è un'ampia scelta di testimonianze: la cronaca della persecuzione, gli arresti, le deportazioni spesso concluse con la morte. Per ripercorrere tutta la storia della persecuzione antiebraica in Italia tra il 1938 e il 1945, dalla campagna di propaganda antisemita all'emanazione delle leggi razziali, dall'internamento sotto il fascismo alle razzie e agli arresti nella Repubblica sociale italiana, dalla fuga in clandestinità al concentramento nei campi italiani, dalla deportazione nei campi di sterminio al ritorno dei (pochi) sopravvissuti.

”Intervista a Primo Levi”, a cura di Anna Bravo e Federico Cereja, riporta in primo piano un intervento del 1983, già tradotto in molti paesi, nel quale lo scrittore racconta la vita quotidiana ad Auschwitz, i volti e le storie dei personaggi dei suoi libri. E quello che Levi definisce ”il galateo del lager”, ovvero i rapporti tra i prigionieri, l'ottusità che li aiuta a vivere in quel mondo senza umanità e senza morale. Con ”Hotel Baalbek”>, Fred Wander racconta la Marsiglia del 1942: una città corrotta ma meravigliosa, dominata dalla violenza, pervasa da oscuri traffici, in cui confluiscono migliaia di ebrei provenienti da ogni parte d'Europa, nella speranza di trovare un modo per fuggire oltreoceano, per scappare dalla Gestapo nazista. ”Uno su mille”, di Alexander Stille, parte dalla proporzione di italiani ebrei nel 1938 per raccontare la storia di cinque famiglie ebraiche durante il fascismo: i torinesi Ovazza e Foa, i romani De Veroli, i genovesi Teglio e Pacifici...

Altri titoli: ”I nomi dei deportati” (per Mursia), ”La bontà insensata” di Gabriele Nissim, ”Visitare Auschwitz” di Carlo Saletti e Frediano Sessi, ”Un ebreo come esempio” di Jacques Chessex, ”Addio Vienna” di Ludmilla Helga Siersch, ”Anne Frank, La voce dell'Olocausto” di Francine Prose, ”Giusto tra le nazioni” di Joseph Kertes... Pagine scritte nel dolore. Per non dimenticare. 

domenica 23 gennaio 2011

ONDINA PETEANI

"E' bello vivere liberi". Sono state queste le ultime parole pronunciate da Ondina Peteani (1926-2003), la triestina diventata uno dei simboli della Resistenza. Otto anni dopo la sua scomparsa, quest’anno nel Giorno della Memoria - dunque fra pochi giorni, il 27 gennaio - viene pubblicato un libro che racconta la sua storia, la storia della prima staffetta partigiana d’Italia: ”Ondina Peteani - La lotta partigiana, la deportazione ad Auschwitz, l’impegno sociale: una vita per la libertà” (Mursia, pagg. 274, euro 17).

Firmano il volume la storica Anna Di Gianantonio e il figlio della donna, Gianni Peteani. Che dice: «Da bambino "stavo in braccio ad Auschwitz". Quante volte sono stato cullato da quel suo braccio con quel numero: 81672. Il lager era sempre in casa, da noi, come per tutti i familiari degli ex deportati. Una sorta di addomesticamento del male, quel numero maledetto a casa mescolava la minestra, stendeva i panni, sbrigava le faccende domestiche...».

Il libro - prefazioni di don Andrea Gallo e Liliana Segre, dedica al Presidente Napolitano che «con commozione e ammirazione ha letto la storia di mia madre», ma anche «agli oppressi, che non si sentono mai vittime» - si basa su testimonianze dirette e registrazioni sonore raccolte dagli autori.

Ondina era nata a Trieste il 26 aprile 1926. Giovanissima operaia ai cantieri navali di Monfalcone e attivista del Pci sin dal 1942, la sua vicenda attraversa gli anni del fascismo, conosce l’orrore dei campi di concentramento (Auschwitz, ma anche Ravensbrük, Eberswalde e poi di nuovo Ravensbrük), prosegue nel dopoguerra con il lavoro di ostetrica («per lei l’antitesi - ricorda il figlio - di una giovinezza di violenza e sofferenze. Con quel lavoro poteva ”dare la vita”, il massimo con quel suo lacerante passato»), l’impegno politico nel referendum fra monarchia e repubblica e nella battaglia per il voto alle donne, l’attività culturale.

Il lager rimase una presenza costante nella vita della donna. Che ricorda così il primo ingresso nel campo di sterminio: «Apprendemmo, in quei rapidi colloqui, l’abc della sopravvivenza: imparare subito il proprio numero in lingua tedesca e polacca; obbedire rapidamente agli ordini per non essere violentemente pestate; non bere assolutamente l’acqua del campo perché non era potabile. Infine ci dissero dell’esistenza dei forni crematori, del loro funzionamento, di cui era proibito parlare, dovevamo fingere di non sapere niente».

Parole pesanti come pietre. In una vita trascorsa a lottare contro tutte le ingiustizie, in un racconto senza retorica né sconti della ferocia umana. Un racconto che diventa l’estrema testimonianza di una donna al tempo stesso semplice e speciale, assurta con gli anni a simbolo di una generazione di donne che gli orrori della guerra avevano fatto crescere in fretta. Facendo loro pagare un prezzo altissimo per la loro libertà.

«Il suo insegnamento - ricorda il figlio, da anni mirabilmente impegnato nel tener vivo il ricordo della madre - è consistito principalmente nel sapersi opporre a un ordine moralmente inaccettabile. Della sua scelta mi parlava come di una sorta di impulso non fronteggiabile, di un’esigenza non contenibile, di una smisurata urgenza: un desiderio assoluto di libertà e giustizia. La traduzione di questa matrice si battezzò Resistenza».

La battaglia per la libertà della giovane Ondina cominciò un anno e mezzo prima dell’8 settembre 1943, grazie alla vicinanza del confine con la Jugoslavia. «Ho scoperto recentemente - spiega ancora Gianni - dove si trovava l’abitazione della sua famiglia: a Vermegliano, sotto l’attuale discesa dell’autostrada verso Redipuglia. A poche centinaia di metri si saliva verso quelle alture dove suo padre in divisa asburgica era stato colpito da una scheggia di granata perdendo la vista da un occhio».

Poi l’arresto, il viaggio verso il lager, la prigionia. Ancora il racconto del figlio: «Di Auschwitz mi disse, quand’ero più grande, qualcosa che ripensandoci è aberrante: una volta mia madre, uscita dal ”block”, nei labirinti delimitati dal filo spinato, si trovò a osservare ridendo con una sua compagna di sventura l’espressione quasi buffa di volti sfigurati tra le cataste di cadaveri. Voleva spiegarmi che soltanto con il superamento della soglia della decenza, della ripugnanza e della pietà si potesse sopravvivere in quel luogo dannato. Ricordi che riemersero nel suo ultimo anno di vita, fotogrammi di morte che la portavano a urlare di terrore notte e giorno».

Ma gli incubi non furono l’unica eredità del lager, per Ondina Peteani. Le altre si chiamavano anoressia, depressione, gravi malattie ai polmoni. E sterilità. «Lei che faceva venire al mondo bambini - ricorda con commozione Gianni - si accorse un giorno che non riusciva ad avere un bimbo suo. L’orrore di Auschwitz, il sudicio pantano infetto al quale era riuscita per miracolo a sopravvivere, l’avevano privata per sempre della possibilità di avere un figlio. Per questo, paradossalmente, in una somma arbitraria di sconcertanti orrori, devo ad Auschwitz l’incontro con lei che con mio padre mi salvò dall’orfanotrofio. Avevo otto mesi. Quel giorno la mia vita e la loro cambiarono per sempre».

Con la biografia di Ondina Peteani l’editore Mursia prosegue la pubblicazione, cominciata negli anni Sessanta, di memorie di sopravvissuti nei lager. Finora sono usciti oltre centoventi libri, tra cui ”Tu passerai per il camino” di Vincenzo Papalettera, ”Uomini ad Auschwitz” di Herman Langbein e ”Le cavie dei lager” di Luciano Sterpellone. Un’opera importante, che ora si arricchisce di un altro fondamentale capitolo. 

giovedì 20 gennaio 2011

VASCO BRONDI

Vasco Brondi è il cantore visionario e indignato della precarietà. La precarietà del lavoro, negli anni di Marchionne e Mirafiori, ma anche la precarietà dei sentimenti, nell’epoca delle coppie che si sfasciano prim’ancora di formarsi. Stasera il tour del ventiseienne cantautore ferrarese - che ha il vezzo di celarsi dietro il nome Le luci della centrale elettrica, e che a novembre ha pubblicato il secondo album, intitolato ”Per ora noi la chiameremo felicità” - fa tappa al New Age di Roncade, in provincia di Treviso. In attesa di rivederlo anche nel Friuli Venezia Giulia.

«C’era questa frase di Leo Ferrè - spiega Brondi, con riferimento al titolo del disco, arrivato due anni dopo ”Canzoni da spiaggia deturpata” - che mi aveva colpito molto. La disperazione è una forma superiore di critica, per ora noi la chiameremo felicità. Ecco, mi è sembrata perfetta come contenitore che dà un’atmosfera ulteriore al titolo».

La disperazione sullo stesso piano della felicità?

«Sì, la felicità è un concetto fuori dal mio stereotipo. Mi dicono che parlo solo di degrado, ma si tratta del mondo reale, quello che vedo, dove la gente vive e lavora».

Lei è una persona triste?

«Non direi. Non ho un approccio pessimistico nei confronti della vita. Per me sono tristi le persone, e le musiche, che sono allegre perchè fanno finta di niente. Attorno a me io vedo molta sofferenza».

E la mette nelle canzoni.

«Mi sembra il minimo. Parlo di lavoro nero, di licenziamenti, di respingimenti in mare, delle solite cose di questo nostro Paese. Non controllo mai quello che scrivo: quel che mi arriva da fuori, lo metto nelle canzoni».

Con che musica è cresciuto?

«Con il punk italiano degli anni Ottanta ma anche con le canzoni di De Gregori e De Andrè, cantautori che tenevo nascosti ai miei amici, molto più ”musicalmente estremisti”. Le mie canzoni nascono da un cortocircuito fra queste anime».

Ma lei cita spesso anche Pasolini, Claudio Lolli, Pier Vittorio Tondelli...

«Sono state le letture che ho incontrato nel corso della mia crescita. Le loro tracce sono arrivate fino ai giorni nostri. E rimango convinto del fatto che quel che incontri a quindici o sedici anni ti stravolge e te lo porti dietro per tutta la vita».

Perchè Le luci della centrale elettrica?

«Perchè quand’eravamo ragazzi, io e i miei amici a Ferrara, la sera andavamo spesso a vedere i fumi e le luci del polo chimico della nostra città che salivano verso il cielo. Diciamo che era l’unica attrazione disponibile, ci accontentavamo davvero di poco...».

Voglia di non apparire?

«Beh, sì: c’è anche quella. Credo che il mio nome non sia importante, soffro la celebrazione del personaggio che è parte integrante del mondo musicale. Odio l’attenzione da Grande fratello alla persona. Non voglio essere un’autobiografia ambulante. Meglio le canzoni, le storie. E poi...».

Dica.

E poi mi piace pensare di non essere indispensabile al progetto delle ”Luci”. Siamo un collettivo, un gruppo aperto. Io prendo i discorsi e le situazioni che mi stanno attorno e le trasformo in canzoni».

E invece l’hanno eletta cantore di una generazione.

«Ma io non mi sento tale. Quando dico ”noi” mi riferisco a noi del gruppo, nulla di più. Io racconto la vita normale delle persone che ho attorno. L’anagrafe non basta, non accomuna». 

lunedì 17 gennaio 2011

DISCHI / C.DE ANDRE'

Un padre, un figlio. Cristiano De Andrè ci ha messo molto tempo per confrontarsi, dal vivo e su disco, con il grande patrimonio lasciato - non tanto a lui quanto alla cultura del nostro Paese - da suo padre, l’inarrivabile Fabrizio De Andrè. Ma ora che la remore e le paure e le timidezze sono state superate, in quel repertorio paterno si muove con grande sicurezza e bella padronanza dei propri mezzi interpretativi.

Dopo il tour “De André canta De André”, durato quasi due anni con oltre mezzo milione di spettatori, e dopo il ”Volume 1” del disco omonimo, l’artista torna con una nuova raccolta, che non poteva che intitolarsi “De André canta De André – Vol. 2” (Universal).

Dieci brani registrati dal vivo nel corso delle quasi cento tappe del tour: ”Anime salve” e ”Nella mia ora di libertà”, ”Don Raffaé” e ”Cose che dimentico”, ” duménega” e ”La collina” (che comprende anche una ”reprise” strumentale del brano), ”Bocca di rosa” e ”Crêuza de mä” (dove conferma di muoversi perfettamente a suo agio nel dialetto genovese), ”La canzone dell'amore perduto” e anche un medley con ”Andrea”, ”La cattiva strada” e ”Un giudice”. Un medley che è forse il momento più alto dell’intero album.

Va detto subito che, per quanto il primo capitolo fosse filologicamente corretto al punto da essere ben accettato dai tanti cultori di Faber e considerato da molti come uno dei migliori dischi italiani del 2009, questa seconda parte è persino meglio. Suona bene, il risultato è molto più rock dell'originale. E Cristiano riesce a proporre delle riletture che, pur non tradendo la lezione paterna, risultano alla fine piacevolmente personali.

Il disco è accompagnato dal dvd ”Notturno dell'Amistade”, che contiene le riprese video di tre brani: ”Disamistade”, ”Franziska” e ”Valzer per un amore”, registrati nel concerto del luglio 2010 al Castello Pallavicino di Varano De' Melegari, a Parma, con la partecipazione dell’Orchestra Vianiner Philharmoniker di Giancarlo Guarino, e con l’accompagnamento, per ”Disamistade”, del Coro della Cappella Farnesiana diretto da Antonello Aleotti.

La sensazione è che il giovane De Andrè (ma a fine dicembre ha pur sempre compiuto 48 anni...) sia oggi un uomo e un artista maturo, che ha finalmente raggiunto un proprio equilibrio dopo anni fragili e spericolati.

Anche il fatto di essersi scrollato di dosso l’ombra pesante di cotanto padre, rileggendone mirabilmente il repertorio, fa parte di questa crescita umana e artistica. E ci regala un Cristiano De Andrè nuovo, quasi in pace con se stesso e con il mondo. Dal quale, dopo il pagamento di questo debito familiare, è lecito e legittimo attendersi grandi sorprese.





NANNINI

Secondo Wikipedia (e tante vecchie biografie), Gianna Nannini è nata a Siena il 14 giugno 1954. Dunque è recentemente diventata mamma di Penelope a 56 anni e mezzo, e non a 54 come quasi tutti hanno detto e scritto. Ciò chiarito, il suo nuovo album ”Io e te” (Rca) è fortemente influenzato dall’esperienza della sua discussa maternità, considerata da molti fuori tempo massimo. Sulla gravidanza prima e sulla nascita poi, sono stati versati fiumi di inchiostro e scomodati opinionisti, sociologi e ginecologi.

Ora lei rilancia già in copertina, col bel pancione e la maglietta con la scritta ”God is a woman”, Dio è donna. Una provocazione che richiama quella di trent’anni fa, quando la rocker toscana mise sulla copertina dell’album ”California” una Statua della libertà che impugnava un vibratore a stelle e strisce, richiamo del brano ”America”, inno all'amore fisico e alla masturbazione.

Ora spiega così la copertina col pancione: «Faccio le copertine sempre quando sto cantando. Ero così in quel momento, che ci dovevo fare? Ma i testi (ai quali hanno collaborato Pacifico e la scrittrice Isabella Santacroce - ndr) non sono riferiti alla mia figliola perchè li avevo scritti prima».

Ciononostante, dopo tutto questo can can mediatico, è difficile ascoltare i dodici brani - tra i quali una bella cover del sempreverde ”Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno - senza pensare alla sua recente maternità.

Si parte con ”Ogni tanto”, ultima canzone incisa in ordine di tempo, ma brano di lancio dell’album, dedicata all’amore inteso come entità e «mai sprecato». Si prosegue con ”Ti voglio bene” e l’affetto che «desidera il meglio per l'altro», con ”I wanna die 4 u” (l’amore come rischio), con ”Dimentica” (la necessità a volte di perdonare), con il lamento malinconico di ”Perchè”, il refrain rock di ”Perfetto”...

Disco registrato a Londra, coprodotto dalla Nannini con l’esperto Wil Malone. Già primo in classifica. 

NANNININA 

DAFT PUNK Un 2011 con il botto per i Daft Punk che hanno cominciato l’anno festeggiando dalla vetta della classifica di iTunes con la colonna sonora del film di animazione Disney. La pellicola è il sequel del film culto di fantascienza dell’82. Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter sono tornati dopo tre anni di silenzio con un album che è più di una semplice colonna sonora, trattandosi di inediti registrati al Lyndhurst Studios di Londra con un’orchestra di cento elementi che nel singolo ”Derezzed” trova il suo apice: un episodio conciso, solo un minuto e mezzo di musica, ma di grande atmosfera. L'album è uscito in Italia in diversi formati: cd standard che contiene la colonna sonora e un libretto di 20 pagine, una ”deluxe edition” che contiene un doppio cd (cd colonna sonora e cd con 17 minuti di immagini del film e 20 minuti di tracce extra) e in digitale sia in edizione standard che deluxe.

 



QUINTORIGO Completamente in inglese il nuovo album dei Quintorigo, la band nata nel ’96 e conosciuta dal grande pubblico soprattutto per due comparsate, nel ’99 e nel 2001, a Sanremo. Il gruppo ha chiamato l’attrice Juliette Lewis a suggellare con la sua voce due brani del disco: ”How does it feel?” e ”Lies!”. Dopo la tournee ”Play Mingus” e l’album del 2008 ”Quinto - Play Mingus” (il gruppo ha appena partecipato a Umbria Jazz Winter proprio con una serata dedicata al grande contrabbassista americano), la band ha vinto il Top Jazz nel 2009 come miglior formazione jazz dell'anno. Per il suo nuovo progetto ha però deciso di rimodellare la propria idea di rock italiano aperto alle contaminazioni più varie, memore del fatto di aver proposto da sempre originali mix di suoni e generi musicali (classico e rock, jazz e punk, reggae e funky e blues). Anche stavolta dimostrano versatilità e grande capacità creativa, con un occhio - anzi, un orecchio - alla genialità sperimentale del grande Frank Zappa. I Quintorigo sono appena partiti in tour dal Teatro Verdi di Cesena. 



domenica 9 gennaio 2011

iTUNES, 10 ANNI

Dieci anni, un secolo sul fronte del progresso tecnologico. Giusto dieci anni fa la crisi dell’industria discografica toccava il suo punto più alto, non sembrava esserci freno alla pirateria resa facilissima dall’avvento del digitale, i dischi non se li comprava (quasi) più nessuno.

Ma c’è una data che ha fatto da spartiacque, il 9 gennaio 2001, quando la Apple ha lanciato il software iTunes: una piattaforma in grado di gestire e ordinare i file musicali, da acquistare legalmente, brano per brano oppure l’intero album. Insomma, da un lato una sorta di bottega, di negozio musicale virtuale nel quale trovare tutto o quasi tutto lo scibile musicale; dall’altro, la possibilità per ogni utente di crearsi una propria ”libreria musicale” da arricchire acquisto dopo acquisto. Ordinandola per genere, artista, titolo, etc...

Pochi mesi dopo, nell’ottobre 2001, arrivava anche l’oggetto necessario a lanciare definitivamente quella grande intuizione di Steve Jobs: l’iPod, ovvero il lettore digitale portatile (di varie grandezze e di varie capacità) che ha mandato di colpo in soffitta il vecchio walkman. Il passaggio da oggetto di culto a gadget popolarissimo fra persone di tutte le età è stato velocissimo.

Risultato: oggi i brani disponibili su iTunes - le cui potenzialità non furono subito colte dagli addetti ai lavori - sono la bellezza di quattordici milioni, e in questi dieci anni sono state vendute quasi dodici miliardi di quelle che un tempo avremmo chiamato copie. Numeri, com’è di tutta evidenza, in grado di risollevare anche un moribondo. E infatti, da qualche tempo, grazie al digitale, l’industria discografica ha ricominciato a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel.

Di certo la rivoluzione digitale nella musica ha cambiato l’intero settore, modificando le abitudini dei consumatori e restituendo una prospettiva di sopravvivenza e persino di crescita a un settore che, proprio dal progresso tecnologico, era stato inizialmente messo in crisi. Ma visto che l’appetito notoriamente vien mangiando, la piattaforma iTunes non si è fermata prima alle canzoni e poi ai video musicali: oggi permette di scaricare anche applicazioni, film, serie televisive, giochi... E nella sua ultima versione, quella ”touch”, l'iPod è anche un lettore di libri elettronici e una console per videogiochi. In dieci anni ne sono stati venduti oltre 280 milioni di esemplari.

Il progresso, nella casa di Cupertino l’hanno capito da un pezzo, non si ferma: meglio seguirne l’onda, sfruttarne le potenzialità, e ovviamente anticipare la concorrenza. Che comunque non sta mai con le mani in mano. È stata infatti annunciata come imminente l’apertura di un Google Music Store, un negozio di musica digitale gestito dal colosso di Larry Page e Sergey Brin.

L’industria discografica - che rimprovera alla piattaforma Apple una certa rigidità del modello e i prezzi bloccati per anni - vedrebbe di buon occhio la nascita di un’alternativa forte a iTunes, che oggi domina senza rivali il mercato della musica digitale. Poche, finora, le alternative. Per esempio Amazon, presente però solo nei paesi anglosassoni. Basteranno molto meno di dieci anni per vedere cosa ci riserva il futuro in questo settore.

 

sabato 1 gennaio 2011

NOVITA' 2011, DISCO DEI GORILLAZ SU IPAD...

Rupert Murdoch sta per lanciare negli Stati Uniti il Daily, primo quotidiano progettato solo e su misura per l’Ipad. Dopo aver capito che non ha senso continuare a (tentare di) adattare giornali pensati per essere stampati su carta ai nuovi strumenti di comunicazione mobile, ma anche dopo aver saputo che alla fine del 2011 saranno stati venduti quaranta milioni di esemplari della magica tavoletta Apple, l’uomo ha capito che la nuova sfida da lanciare è questa.

Su un binario parallelo, e visto che l’industria discografica (in crisi nera) non vuol essere da meno rispetto a quella dell’editoria (in crisi altrettanto nera), ecco che arriva anche il primo album composto, suonato e registrato solo per l’Ipad: si tratta di ”The fall”, il nuovo disco dei Gorillaz di Damon Albarn.

Pare infatti che l’eclettico musicista - già leader dei Blur - non si muova senza la fidata ”tablet”: la usa per registrare suoni, prendere appunti, fissare nella memoria nuovi riff e nuove scansioni ritmiche. E il prossimo disco - il quarto dei Gorillaz - è una sorta di diario di viaggio nato nel corso dell’ultimo tour. Sarà in vendita fra qualche settimana, ma gli iscritti al fan club possono già ascoltarlo in streaming sul sito della band.

Che il futuro sia anche questo è fuor di discussione. Con le multinazionali discografiche in lotta per adattarsi all’era digitale. Combattere la pirateria, i download gratuiti è dura. Credi di aver piantato un paletto ed ecco che ti sbuca fuori un nuovo sistema inventato da un ventenne in un garage di Palo Alto o in una cantina di Bangalore che ti ricaccia in crisi.

Sì, perchè qui non ci si può distrarre un attimo ed ecco che il mondo - della musica, ma non solo: a differenza del sistema Italia, per gran parte ancorato a un passato che se non svoltiamo rapidamente ci porta tutti a fondo... - il mondo, si diceva, è già schizzato a velocità folle verso qualche altra direzione, magari a bordo di nuove piccole astronavi che quasi sempre stanno nella tasca della giacca o nello zainetto.

La musica, allora. Consumi sempre più frantumati. Internet ha portato alle estreme conseguenze la parcellizzazione già avviata delle produzioni e degli ascolti. Ogni gruppo, ogni tribù ha la sua musica, il suo disco, il suo tour. Resistono alcuni grandi vecchi, i dinosauri sulla scena da decenni, che ormai guadagnano più con le tournèe e i diritti d’autore che non con le royalty discografiche. Fra i cosiddetti giovani, fra i nuovi artisti e gruppi, molti si arrabattano. Pochi i lampi di genio. E a volte, nel mare magnum delle nuove uscite, è difficile anche scoprirli.

In Italia l’anno ch’è finito ha confermato presenze di qualità come i toscani Baustelle e il modenese Vasco Brondi, alias Le luci della centrale elettrica. I primi coniugano suggestioni mistiche, citazioni colte e cinico disincanto; il secondo è il miglior interprete della precarietà sociale e sentimentale imperante. Il resto è noia.

Il 2011 preannuncia il nuovo Vasco Rossi (a primavera, con tour a giugno), ma anche i nuovi album di Jovanotti (”Ora”, 25 gennaio), Subsonica, Tiziano Ferro, delle neomamme Gianna Nannini (”Io e te”, 11 gennaio; tour dal 29 aprile, prima tappa Milano) e Giorgia. E ancora Quintorigo (”English garden”, 25 gennaio), Vinicio Capossela, Caparezza...

Dall’universo mondo - dopo un anno dominato dall’insostenibile leggerezza di Lady Gaga e dal business postumo su Michael Jackson - arrivano le nuove produzioni discografiche di Radiohead e Amy Winehouse, Rem (”Collapse into now”, 8 marzo) e Coldplay, Nelly Furtado e Muse (registrano a primavera, disco dopo l’estate), Britney Spears e Duran Duran (”All you need is now”, a febbraio), Marilyn Manson e Mary J. Blige, Foo Fighters (ad aprile, con tour a seguire) e Kiss, Avril Lavrigne (”Goodbye lullaby”, 8 marzo) e ancora lei, l’italoamericana Stefani Joanne Angelina Germanotta, in arte Lady Gaga, la nuova star planetaria per menti semplici.

Tornano con un album anche gli U2, dopo i problemi causati dall'incidente alla schiena di Bono. Il nuovo disco potrebbe intitolarsi ”Songs of Ascent”, è atteso in questi primi mesi dell’anno, comunque prima della prossima tappa del tour americano prevista per maggio. Almeno tre brani del nuovo disco sono già stati suonati dal vivo anche nelle recenti tappe italiane del loro tour. Quando Bono rivelò che la band ha una trentina di brani inediti già pronti.

Spifferi di tournèe. L’evento annunciato profuma ancora una volta di passato: Roger Waters, mente dei Pink Floyd, porta anche in Italia lo spettacolo ”The wall”, nel trentennale dell’album. Doveva fare due date a Milano, sarà ”costretto” a farne sei, dall’1 al 7 aprile, al Forum (e tornerà in Italia anche d’estate). Il 4 marzo i Gogol Bordello presentano a Roma il nuovo disco ”Trans-Continental Hustle”. E sempre il 4 marzo, e sempre a Roma, parte il nuovo tour di Elisa Toffoli da Monfalcone: concerti previsti a Milano, Bologna, Torino, Napoli, Catania ma anche Trieste.

A proposito di casa nostra. Il 17 luglio allo Stadio Friuli di Udine unica data italiana del tour mondiale dei Bon Jovi. Mentre il 2 luglio i triestini potranno celebrare i dodici anni dell’annullamento del concerto di Elton John in piazza Unità (estate ’99, all’epoca fu previsto persino un annullo filatelico...), andando tutti in gita fuoriporta allo stadio di Isola d’Istria. Sì, perchè il neo-papà (per la gioia del gossip ha appena avuto un figlio assieme al marito David Furnish...) ha scelto la Slovenia come tappa nel Nordest del nuovo tour. Dicono che da quelle parti, cioè dietro l’angolo, le cose funzionino meglio.