domenica 24 febbraio 2019

GIULIETTI: UNA NUOVA FRONTIERA DOPO I FATTI DI FOLIGNO

di Giuseppe Giulietti Voglio ringraziare pubblicamente Padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento, e Padre Enzo Fortunato, direttore della rivista San Francesco per la limpida e rigorosa risposta che hanno voluto dare al triste e tragico episodio di razzismo che si è consumato in una scuola di Foligno. Quel bambino umiliato davanti alla classe solo perché di colore “Nero” è una ferita nei cuori di ancora coltiva i valori dell’accoglienza, dell’inclusione, della fraternità. Non si é trattato di un “esperimento”, ma della deliberata volontà di offendere ed emarginare un bambino arrivato da un altro continente Ad aggravare la situazione le parole di dileggio e di oltraggio dedicate alla sua sorellina chiamata “Scimmia negra” Non si tratta di episodi isolati, ma di una lunga catena di oscenità alimentate da chi diffonde i germi del razzismo e della paura per conquistare facili consensi elettorali. Quel maestro e i suoi imitatori non andrebbero solo sospesi o licenziati dai loro incarichi, ma inviati a svolgere anni di servizio civile in Africa, nelle missioni dove ogni giorno si combatte per salvare una vita, per contrastare le emergenze umanitarie, per porre rimedio ai guasti provocati dai trafficanti di armi e di umanità, quasi sempre uomini bianchi che hanno deciso di “Derubarli a casa loro” Questo clima di odio e di razzismo è alimentato anche da chi, nella politica e nel giornalismo, ha deciso di usare le parole come pietre e di ferire a morte differenze e diversità, “Non scriviamo degli altri quel che non vorremmo fosse scritto di noi”, recita così l’introduzione della Carta di Assisi(fortemente voluta dai francescani e dalla associazione Articolo 21,) un decalogo che si propone di contrastare il linguaggio dell’odio, di disinquinare le paludi dove prosperano i veleni che alimentano i tanti maestri di Foligno che vorrebbero costruire muri e gabbie. Spetta a ciascuno di noi contrastarli usando le pietre e le parole non per ferirli, ma per moltiplicare i ponti del dialogo, dell’incontro, dell’accoglienza. Questa oggi è davvero la nuova frontiera che deve vedere insieme credenti e non credenti, senza distinzione di parte, di partito, di colore della pelle.

mercoledì 20 febbraio 2019

CANZONI ITALIANE “PER LEGGE” / su ART21

di Carlo Muscatello L’ultima sparata nazional-sovranista? Arriva dalla proposta di legge firmata e depositata a Montecitorio dal presidente della Commissione Trasporti della Camera Alessandro Morelli (Lega), già direttore di quella Radio Padania dove mosse i primi passi Salvini. Ecco la genialata. Le radio devono trasmettere più musica italiana, almeno una canzone su tre, pena sanzioni e penalizzazioni. Insomma, non avevamo ancora fatto in tempo a risollevarci dalle sciocche ma preoccupanti polemiche seguite alla vittoria a Sanremo di Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood, milanese con madre sarda e padre egiziano, che ecco la nuova trovata, che denota prima di tutto scarsa conoscenza del panorama musicale italiano e della storia della radiofonia e della discografia di casa nostra. Per derubricare la proposta di legge a sparata senza senso né logica, basterebbe guardare le classifiche di vendita. Attualmente dieci brani su venti sono italiani, senza bisogno di regole e leggi nazionaliste. Ma siamo nelle settimane post-Sanremo, si dirà. Peccato che, anche allargando l’indagine ad altri periodi dell’anno, il dato non cambia. E nella classifica Fimi del 2018 il primo disco straniero (quello di Ed Sheeran) lo troviamo al decimo posto. Prima di lui, solo italiani. Salvini dovrebbe essere contento... Tutto ciò segnala che la nostra musica gode di ottima salute, non ha bisogno insomma di “aiutini”. Tanti giovani e giovanissimi si sono affacciati prepotentemente alla scena, e sono andati ad aggiungersi ai “grandi vecchi” che non mollano. Merito della proficua commistione fra musica di casa nostra e “suoni stranieri”, ascoltati, fatti propri e in qualche modo riletti da ragazze e ragazzi nati e cresciuti senza frontiere. Il provvedimento proposto da Morelli - che porta le firme anche dei deputati Maccanti, Capitanio, Cecchetti, Donina, Fogliani, Giacometti, Tombolato e Zordan - fissa una "quota" per tutte le emittenti radiofoniche: il 33%, di cui il 10% “dovrà essere dedicato - spiega il leghista - ai giovani autori e alle piccole case discografiche". Esistono dei precedenti. In Francia dal ‘94 la Legge Toubon impone alle radio di programmare almeno il 40% dei contenuti musicali di autori francesi. Da noi due anni fa Dario Franceschini del Pd voleva garantire il 20% della programmazione radiofonica agli artisti italiani. Cinque anni fa ci aveva provato il Mei a fare una raccolta firme del genere. Ignorando evidentemente che la musica italiana ricopre già ora circa il 50% dei palinsesti radiofonici, senza bisogno di lacci e lacciuoli. Dice Morelli: “La vittoria di Mahmood all'Ariston dimostra che grandi lobby e interessi politici hanno la meglio rispetto alla musica. Io preferisco aiutare gli artisti e i produttori del nostro Paese attraverso gli strumenti che ho come parlamentare. Mi auguro infatti che questa proposta dia inizio a un confronto ampio sulla creatività italiana e soprattutto sui nostri giovani". Peccato che Mahmood, come detto, sia italiano di nascita e cultura. Come del resto i coautori del suo brano “Soldi”, che dopo aver vinto a sorpresa il Festival, ora è in testa a tutte le classifiche. Brutto segnale, insomma. Che ci costringe a ricordare il precedente del fascismo, che vietava il jazz - “musica negroide” o “musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide» - e italianizzava i nomi dei suoi maggiori protagonisti. Louis Armstrong diventava allora Luigi Fortebraccio, Benny Goodman Beniamino Buonomo, Hoagy Carmichael Ugo Carmelito... Che tristezza.

FNSI, GLI IMPEGNI PER I PROSSIMI 4 ANNI

Ecco le tesi congressuali di Controcorrente approvate dal Congresso Fnsi di Levico Terme Noi, delegate e delegati al XXVIII Congresso della Stampa Italiana, ci riconosciamo nei principi della Carta Costituzionale e nei contenuti del Testo Unico dei doveri del Giornalista; impegniamo il futuro gruppo dirigente della FNSI a riaffermare, dentro e fuori le redazioni, quei principi e valori da tutti noi liberamente sottoscritti. Il sindacato dei giornalisti si riconosce nei valori essenziali dell’articolo 21 della Costituzione: la libertà di informare di ogni cronista e il diritto di essere informata che appartiene ad ogni persona. Per noi è inscindibile il nesso tra la difesa delle libertà e la tutela dell’autonomia e delle garanzie della professione, e del diritto di cronaca anche contro le ingerenze della magistratura. Di qui il nostro impegno affinché la Federazione sia sempre comunque dalla parte dei cronisti minacciati da mafia, malaffare e corruzione e contrasti, nel mondo e in Italia, i bavagli di qualsiasi natura e colore, compresi quelli derivanti dagli interessi politici e economici. Vogliamo valorizzare il lavoro delle giornaliste, in particolare contro le discriminazioni professionali. Vogliamo il riconoscimento di diritti e di un reddito adeguato, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione, per i lavoratori autonomi. È necessario che si pretenda e si ottenga il rispetto dei principi fondamentali, anche a cominciare dal contrasto del linguaggio dell’odio, della discriminazione e della violenza. Per questo riteniamo che si debba garantire la scorta mediatica a tutti i colleghi minacciati e alle comunità oscurate. Riteniamo che il XXVIII Congresso, per difendere il futuro di una professione sotto attacco, debba porre al centro dell'azione politica della FNSI alcuni elementi per i quali la categoria è pronta a qualsiasi forma di mobilitazione: 1) Riaprire il confronto con il legislatore per una nuova normativa sulle risorse del sistema informativo nel suo insieme, non per settori (editoria, emittenza locale, emittenza nazionale, web e telecomunicazioni), ponendo il discrimine dell'informazione professionale quale distinzione dal settore delle comunicazioni in senso lato e dedicando più risorse allo sviluppo, all’inclusione dei lavoratori precari, all’occupazione e alla tutela dei diritti e del reddito dei lavoratori autonomi. 2) Chiedere che il legislatore stabilisca tetti alle concentrazioni proprietarie e di fatturato, anche qui superando le vecchie categorie mediatiche, e ridefinisca l'intervento pubblico di sostegno al pluralismo, in nome dell'articolo 21, risolvendo anche una volta per tutte il problema delle false cooperative editoriali. Non si può più pensare di stanziare milioni per i prepensionamenti e gli ammortizzatori sociali, facendo conto sulla solidarietà economica di categoria attraverso l’Inpgi, e di ignorare la distruzione del lavoro subordinato sostituito da lavoro atipico, parasubordinato e irregolare e la destrutturazione del Cnlg. 3) Ottenere provvedimenti non più dilazionabili, a partire dalla definizione della governance del servizio pubblico. Urgente e non più rinviabile è liberare la Rai Servizio Pubblico dal controllo dei partiti e dei governi, riformando i criteri di nomina e assicurando fonti certe e di lunga durata adeguate ad attuare il Contratto di Servizio. E’ necessario inoltre ottenere la cancellazione delle infinite tipologie contrattuali che dal pacchetto Treu al Jobs Act hanno reso il mondo del lavoro sempre più precario, anche per i giornalisti. 4) Arrivare attraverso l'azione coordinata degli Enti di categoria, a una nuova definizione di Giornalismo e di giornalista, che abbia valore di legge e che contempli la via universitaria quale canale prioritario di accesso alla professione. 5) Riprendere il confronto con la Fieg per un rinnovo contrattuale davvero al passo coi tempi e non più ostaggio di una crisi ancora molto lontana dall’essere superata. Un contratto che ponga al centro la lotta alle diseguaglianze e l'inclusione sociale: temi che la Fnsi ha sempre portato al tavolo e sui quali la FIEG si è sottratta e non ha mai voluto aprire una seria trattativa. Le trasformazioni del panorama editoriale devono essere comprese nelle politiche contrattuali e ampliate. Spetta a noi definire una proposta capace di includere le nuove figure professionali all’interno delle garanzie contrattuali e della difesa del reddito. Dopo il contratto con Aeranti Corallo e quello con Uspi, il percorso va approfondito a partire da tutte le declinazioni del digitale in tutti i settori, per le quali vanno pensate apposite figure e regole contrattuali. Va anche definito un nuovo contratto tipo che sia alla base del vero lavoro autonomo. 6) Superare lo stallo sull'equo compenso, riunificando il percorso della legge di settore con quella generale per le professioni e la norma sui compensi delle pubbliche amministrazioni. I pronunciamenti del Tar del Lazio e del Consiglio di Stato vanno a sostegno della proposta originaria della Commissione Nazionale Lavoro Autonomo della FNSI sul compenso a giornata. 7) Negli ultimi anni la legge 150 ha dimostrato tutti i suoi limiti, in un’applicazione ragionieristica da parte dello Stato e a danno dei giornalisti. La norma non è più adatta a rappresentare il mondo del giornalismo nella Pa. Dobbiamo pensare ad una nuova normativa che riconosca le particolarità del lavoro giornalistico nella Pubblica amministrazione e che, contemporaneamente, costituisca una solida base economica e giuridica per i colleghi tenendo fermo il valore del CNLG FNSI FIEG come approdo di trattative che non potranno essere smontate unilateralmente dalle amministrazioni firmatarie. Ma nel frattempo, per assicurare dignità ed equità del lavoro giornalistico ai colleghi già assunti, è necessario dare corso alle attuali previsioni della 150 e proseguire il confronto con Aran per la costruzione di un profilo professionale che risponda davvero alle esigenze del giornalismo della Pa. 8) Promuovere un ampio progetto di formazione sindacale per tutta la categoria, ribadendo con forza il ruolo di un sindacato di servizio, che torni a valorizzare i diritti e la condivisione di strumenti e competenze per fare fronte ad Aziende miopi. 9) Avviare una profonda riflessione politica sui valori costituzionali che ispirano l'attività dei giornalisti e dei loro Enti sul terreno ideale e valoriale del nuovo secolo. Un grande momento di confronto pubblico sul futuro rapporto tra democrazia e informazione. Il governo e il mondo politico devono essere chiamati ad esprimere una responsabilità precisa sulla deriva in atto, la categoria a riaffermare il suo ruolo. 10) Difendere l’autonomia, la governance e il livello dei servizi del nostro welfare di categoria (Inpgi, Casagit e Fondo Complementare). Con questi principi e con questi obiettivi noi proponiamo al Congresso di rieleggere Raffaele Lorusso alla Segreteria Generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, e proponiamo al Consiglio Nazionale che verrà eletto da questo Congresso di rieleggere Giuseppe Giulietti alla Presidenza. (Mozione approvata con 230 sì, 45 no, 10 astenuti) Raffaele Lorusso è stato rieletto dal Congresso Segretario generale Fnsi con 243 preferenze su 308 votanti Giuseppe Giulietti è stato rieletto dal consiglio nazionale Presidente della Fnsi con 91 preferenze su 110 votanti — L’Assostampa Fvg ha confermato nel consiglio nazionale i giornalisti professionali Poljanka Dolhar e Alessandro Martegani, e portato nel consiglio il giornalista collaboratore Lorenzo Mansutti, che vanno ad aggiungersi a Carlo Muscatello, presidente Assostampa Fvg, e Luciano Ceschia, già segretario generale Fnsi, entrambi consiglieri nazionali di diritto. Nel collegio dei probiviri nazionali, l’Assostampa Fvg ha eletto il giornalista professionale Fulvio Sabo.

CONGRESSO FNSI, CONFERMATI LORUSSO E GIULIETTI

Raffaele Lorusso e Beppe Giulietti sono stati riconfermati rispettivamente segretario generale e presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, il sindacato unitario dei giornalisti italiani. La rielezione al termine dei lavori del XXVIII Congresso nazionale della Stampa italiana, che si è celebrato a Levico Terme (Tn) dal 12 al 14 febbraio 2019. Lorusso ha raccolto, al primo scrutinio, 243 voti su 308 delegati. 50 preferenze per l'altro candidato, Paolo Di Giannantonio. Fra i punti cardine dell'impegno sindacale per il prossimo quadriennio indicati dal segretario generale: l'inclusione nel perimetro dei diritti, garanzie e tutele contrattuali dei giornalisti che lavorano senza poter contare sugli istituti economici e normativi assicurati dai contratti collettivi nazionali di lavoro; la difesa della dignità delle condizioni di lavoro, dentro e fuori dalle redazioni; il contrasto alle fake news, alle querele bavaglio, alle minacce ai cronisti. Pugliese, 51 anni, giornalista di Repubblica, era stato eletto per la prima volta segretario generale al termine del Congresso di Chianciano del 2015. «Subito al lavoro», ha detto a caldo annunciando che lunedì sarà a Catania per la delicata vicenda della Gazzetta del Mezzogiorno. «Il nostro - ha osservato il segretario - è un settore attraversato da una crisi profonda, sicuramente legata alla trasformazione dei modelli produttivi e all'avvento del digitale. Un settore che si può rimettere in moto con l'intervento pubblico, esattamente com'è stato per molti altri settori produttivi di questo Paese. Non è un tabù sostenere la stampa. Anzi. Se ci si rifà alle direttive europee il settore dell'informazione è l'unico in cui i contributi statali non vengono classificati come aiuti di Stato proprio perché viene riconosciuta la sua funzione essenziale per la tenuta democratica del Paese: è attraverso l'informazione e la conoscenza che i cittadini possono partecipare alla vita del Paese». E sul delicato rapporto con il governo? «È chiaro - prosegue Lorusso - che c'è una parte consistente di questo governo che vede la stampa come un nemico da abbattere. Come categoria abbiamo ricevuto insulti e minacce da esponenti del governo: un atteggiamento che, più in generale, è rivolto non soltanto verso la stampa ma a tutti i corpi intermedi, a cominciare proprio dai sindacati. Voglio ricordare che il governo ha disertato questo congresso proprio come venti giorni fa ha disertato il congresso della Cgil, la prima organizzazione sindacale di questo Paese. Riteniamo che senza la concertazione non si andrà molto lontano. Ci auguriamo che il confronto con il governo possa essere aspro, acceso, ma avvenga sempre nel rispetto reciproco dei ruoli e nella legittimazione. Solo così, anche quando le posizioni sono distanti, si può trovare una soluzione, una via da percorrere assieme». La rielezione di Giulietti è arrivata nella notte, al termine della prima riunione del rinnovato Consiglio nazionale della Fnsi. Ha ottenuto, al primo scrutinio, 91 preferenze su 110 votanti. «Continuiamo a lavorare insieme contro tagli e bavagli - ha detto il neoeletto presidente -. Sempre più dalla parte dei cronisti e delle comunità minacciate da mafie e malaffare». Classe 1953, iscritto all'Ordine del Veneto dal 1982, Giulietti è stato vicesegretario nazionale della Fnsi, segretario dell'Usigrai, parlamentare, portavoce dell'associazione Articolo21. Era stato eletto presidente nel dicembre 2015, dopo la prematura scomparsa di Santo Della Volpe. L’Assostampa Fvg ha confermato nel consiglio nazionale i giornalisti professionali Poljanka Dolhar e Alessandro Martegani, e portato nel consiglio il giornalista collaboratore Lorenzo Mansutti, che vanno ad aggiungersi a Carlo Muscatello, presidente Assostampa Fvg, e Luciano Ceschia, già segretario generale Fnsi, entrambi consiglieri nazionali di diritto. Nel collegio dei probiviri nazionali, l’Assostampa Fvg ha eletto il giornalista professionale Fulvio Sabo.

domenica 10 febbraio 2019

SANREMO 2019 AL “NUOVO ITALIANO” MAHMOOD / su ART21

di Carlo Muscatello C’è un’altra Italia che emerge dalla vittoria di Mahmood al 69.o Festival della canzone italiana di Sanremo. Un piccolo grande segnale in controtendenza rispetto al clima politico imperante, nella vittoria assolutamente a sorpresa di questo ragazzo di 26 anni nato e cresciuto a Milano da madre sarda e padre egiziano. Un “nuovo italiano”, come l’albanese Ermal Meta, vincitore lo scorso anno assieme a Fabrizio Moro. Al netto delle polemiche in sala stampa e sui social di Ultimo, che forse si sentiva già la vittoria in tasca e in effetti avrebbe stravinto se il televoto non fosse stato “corretto” dal responso delle giurie (quella degli esperti che contava per il 20 per cento, quella della sala stampa che esprimeva il 30 per cento). Al netto della clamorosa contestazione della platea del Teatro Ariston all’annuncio del quarto posto di Loredana Bertè, la cui canzone probabilmente avrebbe meritato maggiormente la vittoria o almeno il podio: sarebbe stato quasi un premio alla carriera, alla vigilia della fiction che Raiuno dedicherà nei prossimi giorni alla sorella Mia Martini, scomparsa nel ‘95. Al netto del “caso Achille Lauro”, la cui “Rolls Royce” è stata accusata sin dal titolo (il nome della celebre marca di automobili è lo stesso impresso su alcune pasticche di Ecstasy...) di essere infarcita di riferimenti all’uso delle droghe. La verità è che la canzone spacca, funziona, un rock che rimane in testa. Qualcuno si è spinto a paragonarla alla “Vita spericolata” con cui Vasco Rossi lasciò un segno indelebile nel Sanremo dell’83. Al netto di queste e altre cose (le polemiche della vigilia sulle frasi di Baglioni sui migranti, il clima da “libertà vigilata” che sembrava incombere sulle serate, l’esplosione liberatoria dei venti minuti contro tutto e tutti di Pio e Amedeo, senza censura né autocensura...), rimane questa vittoria che ha fatto storcere la bocca a molti, ma è un bel segnale per tutti coloro che lo vogliono cogliere. Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood, nato nel 1992, si fece veder per la prima volta nell’edizione 2012 di “X Factor”. Concorreva nella categoria Under Uomini, eliminato alla terza puntata. Tre anni dopo vince il concorso Area Sanremo, che gli vale l’accesso al Sanremo Giovani del 2016. Quarto con il brano “Dimentica”. Da notare che quella finale di Sanremo Giovani (al comando del Festival c’era Carlo Conti) ha espresso i vincitori delle edizioni successive: Gabbani nel 2017, il citato Ermal Meta nel 2018, appunto Mahmood quest’anno. Occhio agli altri finalisti di quell’anno, insomma... Ma torniamo a noi. Due mesi fa il ragazzo milanese vince con “Gioventù bruciata” il Sanremo Giovani collegato all’edizione 2019 del Festival (l’altro vincitore: Einar) e per la prima volta anticipato e staccato temporalmente dalla kermesse. Vittoria che gli apre le porte della rassegna, fino alla clamorosa vittoria finale. La sua “Soldi” comincia così: “In periferia fa molto caldo, Mamma stai tranquilla sto arrivando, Te la prenderai per un bugiardo, Ti sembrava amore era altro, Beve champagne sotto Ramadan, Alla tv danno Jackie Chan, Fuma narghilè mi chiede come va, Mi chiede come va come va come va, Sai già come va come va come va, Penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai, Non ho tempo per chiarire perché solo ora so cosa sei, È difficile stare al mondo quando perdi l’orgoglio lasci casa in un giorno, Tu dimmi se pensavi solo ai soldi soldi soldi...”. Mahmood spiega che il testo parla di quanto i soldi possono cambiare i rapporti all’interno di una famiglia, a scapito dei valori veri. A casa parla in sardo, non l’arabo, dice che la frase in arabo nel testo (“Figlio mio, amore, vieni qui...”) è un ricordo della sua infanzia. Definisce il suo un “Morocco pop”, afferma di essere cresciuto musicalmente con Battisti, Dalla, De Gregori e le canzoni arabe di suo padre. Il suo motto? “Non fare agli altri ciò che non vorresti gli altri facessero a te...”. Il “nuovo italiano” Mahmood rappresenterà il nostro Paese al prossimo EuroFestival.

martedì 5 febbraio 2019

DOMANI 6-2-19 PRESENTO SWINGING LONDON EVENING

MERC 6-2-19, TEATRO MIELA, TRIESTE - SWINGING LONDON EVENING Happy Hour & dj-set feat DJ JAZZ MASTER MY GENERATION di David Batty – GB, 2017, 85’ ABSOLUTE BEGINNERS di Julien Temple – GB, 1986, 108’ La serata sarà presentata da CARLO MUSCATELLO —- ore 18.30: Happy Hour & dj-set feat DJ JAZZ MASTER ore 20.30: MY GENERATION di David Batty con Michael Caine, Joan Collins, Paul McCartney, Twiggy, Roger Daltrey, Lulu GB, 2017, 85’ Michael Caine, icona del cinema britannico, interpreta ed è il narratore di “My Generation”, la storia vivida e stimolante del suo percorso nella Londra degli anni Sessanta e della nascita della cultura pop. Basato su racconti personali e su splendide riprese d’archivio, questo documentario vede Caine viaggiare nel tempo e dialogare con i Beatles, Twiggy, David Bailey, Mary Quant, i Rolling Stones, David Hockney e altre celebrità. ABSOLUTE BEGINNERS di Julien Temple con Eddie O’Connell, Patsy Kensit, David Bowie, James Fox, Ray Davies, Mandy Rice-Davies GB, 1986, 108’ Londra 1958, la “swingin’ London” degli anni Cinquanta con fumosi jazz club, bar di quart’ordine e bizzarri personaggi della working class che lottano per rimanere a galla nei bassifondi della metropoli, fa da cornice alla contrastata storia d’amore tra il giovane fotografo Colin e l’aspirante fashion designer Suzette, mentre la musica pop fa perdere la testa ai ragazzi dell’epoca nuova, in una nuova dimensione fatta di status symbol.

lunedì 4 febbraio 2019

SANREMO 2019 / su Art21

di Carlo Muscatello Un tempo si diceva che il Festival di Sanremo è lo specchio del Paese. Con l’aria che tira forse c’è allora da allarmarsi, alla vigilia dell’edizione di quest’anno. La sessantanovesima, dal 5 al 9 febbraio al Teatro Ariston della città dei fiori, diretta televisiva su Raiuno, debordante su tutte le altre reti, e le radio, e i giornali, e il web... È cominciata con le minacce sovraniste a Claudio Baglioni, confermato patron dopo il successo dell’anno scorso, reo di aver speso parole di umanità e buon senso sulla tragedia dei migranti. Lui, che per anni ha organizzato il festival O’Scià in quella Lampedusa che all’inizio era solo l’isola delle sue vacanze, si è visto attaccare dalla direttrice di Raiuno Teresa De Santis, nominata in quota Lega, dopo una presentazione del Festival nella quale aveva risposto alle domande dei giornalisti. Paradosso dei paradossi, la signora che l’ha redarguito e minacciato di epurazione tanti anni fa seguiva il Festival di Sanremo per il Manifesto, quotidiano comunista. Evidentemente ha cambiato idea. Capita. Altra polemica della vigilia, sempre sul divo Claudio. Considerato che oltre a presentare la rassegna, quest’anno assieme a Virginia Raffaele e Claudio Bisio, è anche il direttore artistico, cioè quello che alla fine, magari assieme al suo staff, sceglie cantanti e canzoni in gara, gli è piovuta addosso l’infamante accusa di essere portatore (sano) di conflitto d’interessi. Perché? Perché la società che cura i suoi tour, la Friends&Partners, è la stessa a cui fanno capo diversi artisti in gara: Il Volo, Nek, Achille Lauro, Renga, Nino D’Angelo. E qualora non bastasse, alla stessa società sono legati vari ospiti annunciati al Festival. “Striscia la notizia” nei giorni scorsi ha aggiunto un altro carico da novanta, intervistando Gianni Morandi, amico e collega di Baglioni, con cui ha condiviso anni fa anche un tour: l’eterno ragazzo, quand’era stato a sua volta chiamato a presentare Sanremo, aveva declinato l’offerta di essere pure direttore artistico, proprio per “evitare imbarazzi” nella scelta o nell’esclusione di questo o quel collega. Al netto delle inevitabili polemiche, senza le quali Sanremo non è mia stato Sanremo, va riconosciuto a Baglioni il merito di aver messo assieme anche quest’anno un cast rappresentativo della musica italiana contemporanea. Pescando dalla tradizione e dal rap, dalla canzone d’autore e dal rock, senza dimenticare i nuovi idoli emersi dai “talent”. E magari azzardando coraggiosi e inediti duetti fra vecchio e nuovo. I nomi ormai si sanno da qualche settimana. Alcuni non sono noti al grande pubblico. Federica Carta e Shade, Patty Pravo e Briga, Negrita, Daniele Silvestri, Ex Otago, Achille Lauro, Arisa, Francesco Renga, Boomdabash, Enrico Nigiotti, Nino D’Angelo e Livio Cori, Paola Turci, Simone Cristicchi, Zen Circus, Anna Tatangelo, Loredana Bertè, Irama, Ultimo, Nek, Motta, Il Volo, Ghemon. Completano la lista Mahmood e Einar, entrambi “nuovi italiani”, vincitori di Sanremo Giovani che per la prima volta è stato anticipato e staccato rispetto al Festival. C’è già un favorito: Ultimo, vincitore proprio del Sanremo Giovani dello scorso anno. Ma c’è sempre tempo per ribaltare i pronostici. Tutta roba che, fra l’altro, lascia sempre il tempo che trova. Meglio aspettare la prossima polemica, che di certo deflagrerà nei giorni sanremesi. Basta aspettare.