domenica 30 gennaio 2005

 Slitta il concerto di Elisa. La ventisettenne popstar monfalconese avrebbe dovuto aprire il suo nuovo tour martedì primo febbraio al PalaTrieste, con replica il giorno dopo al palasport di Pordenone, per poi proseguire in giro per l’Italia fino a tutto marzo. Ma un attacco influenzale ha costretto l’artista a dare forfait e gli organizzatori a ridisegnare l’inizio di questa tournèe, che ha già avuto una sorta di anteprima nel mese di dicembre a Milano, al Forum di Assago.
Il concerto già previsto per il 5 febbraio a Padova, al palasport San Lazzaro, diventa dunque il debutto del tour. La tappa di Trieste slitta a fine tournèe, il 24 marzo. Quella di Pordenone si recupera un po’ prima, il 15 febbraio. I biglietti già venduti valgono per le nuove date o se ne può chiedere il rimborso.
Sicuramente una delusione per i tanti fan triestini e regionali di Elisa. L’avevamo sentita al telefono mercoledì pomeriggio, per un’intervista che a questo punto proporremo ai lettori del «Piccolo» più in là, e una forte tosse punteggiava le sue risposte. Si sperava comunque che si trattasse di un disturbo superabile e passeggero. Il rinvio dimostra invece che la cantante è stata colpita da un attacco influenzale in piena regola, peraltro preventivabile vista la stagione e il gran freddo di questi giorni...
Il nuovo album di Elisa, «Pearl Days», da cui prende il nome questo «Pearl Days Tour», è stato interamente registrato a Los Angeles. La produzione è di Glen Ballard, che ha legato il suo nome ad artisti del calibro di Alanis Morisette, Anastacia, Aretha Franklin, Van Halen, No Doubt...
Le canzoni del disco sono state scritte più o meno in contemporanea con quelle del precedente album «Lotus». Ma l’artista monfalconese ha scelto di inserire i brani più d’atmosfera, più soft, più legati all’osservazione della natura nel primo disco (uscito nel 2003 e venduto in 250 mila copie), quelle più rock, più energiche, più immediate nel disco che tre mesi dopo la pubblicazione è ancora presente nelle classifiche di vendita.
Fuori fa un freddo cane, ma Beppe Grillo ci mette un attimo a scaldare i seimila e rotti che affollano il PalaTrieste. Polo e jeans blu, criniera e barba argentate, il cinquantesettenne comico-fustigatore genovese apre interrogandosi lui stesso sulle ragioni del suo successo: «Non capisco più nulla, cosa sta succedendo, come faccio a riempire i palasport da solo con le mie parole? Cosa sono io: un predicatore...? E poi lo vedo: c’è gente nuova. Ci siete anche voi di Forza Italia. Forse volete che vi spieghi perchè l’avete fatto. Tiè...». E parte il primo gesto dell’ombrello.
Lo spettacolo è nuovo, s’intitola «Beppegrillo.it». Ma l’abitudine di cominciare dalle cose locali è vecchia. «Avete la bora, ma ora è diversa, forse l’hanno modificata geneticamente. Siete strani, vi lamentate sempre, avete una delle città più belle del mondo e vi lamentate. Bisogna avere fiducia nella cultura mitteleuropea, in Maria Giovanna Elmi, nelle Generali...».
Ripropone la gag sugli accenti, su «volentieri che significa non ce l’ho», su Friuli Venezia Giulia col trattino o senza. «E poi vogliamo fare l’Europa. Poi chiaro che arriva Saragozza e vi fa un culo così...».
Grillo spiega di avere aperto un blog, quello che dà il titolo allo spettacolo, e che gli hanno scritto i trecento dipendenti precari della Regione: dopo tre anni che lavoriamo ci vogliono cacciare, aiutaci tu... «Ma ho ricevuto anche una lettera da quelli che hanno vinto il concorso: noi abbiamo vinto, dobbiamo lavorare, aiutaci tu... Oh, io non ho fatto ancora niente e sul ”Pìcolo”, questo vostro giornale dal nome impronunciabile, è già uscita la risposta del vostro governatore, sì, l’intimo di Carinzia, che dice Grillo si faccia gli affari suoi, io applico la legge...».
L’uomo vede uno striscione dei precari regionali sulla flessibilità del lavoro e dei diritti, e spara: «La Costituzione parla di repubblica fondata sul lavoro, non sul lavoro interinale. E qui la flessibilità che viene richiesta è una sola...». Per chiarire il concetto si piega a novanta gradi, offrendo le terga a un ipotetico approfittatore.
Grillo ansima, si asciuga con la manica il sudore dalla fronte. Sospira: «Io vorrei farvi divertire, ma come faccio: mi buttano addosso tutti ’sti problemi...».
Parte la cavalcata sui temi a lui cari: economia, energia, informazione, sanità, politica... «Dopo il crac della Parmalat sono diventato un esperto, il più grande consulente finanziario, la gente mi chiama per chiedermi delle Pirelli privilegiate, la Finanza mi ha chiesto: come faceva lei a sapere già nel 2001...?».
Ne ha per tutti: «Cragnotti? Bastava vedere la sua fedina penale, roba che neanche Totò Riina voleva averci a che fare. Tronchetti Provera? L’uomo più indebitato del mondo, il tronchetto dell’infelicità. Romiti? Liquidazione multimiliardaria mentre la Fiat è più indebitata della Parmalat, ce la menano con la pugnetta dell’accordo con General Motors e le prospettive in Iran, e vogliono lanciare un’auto chiamata Zigulì: sembrano cose inventate da un comico...».
Questo non è un sistema industriale, dice, ma psichiatrico: siamo amministrati da minorati mentali. Eppure, sul sito di Bankitalia c’è la lista dei più indebitati d’Europa, che siamo noi. «Falsificano i bilanci, ma lo fanno a norma di legge. Del resto, quando le leggi sono fatte dai fuorilegge, che puoi pretendere... Con Mani pulite hanno arrestato un po’ di politici che rubavano qualche centino. Ma questi serial killer dell’economia, questi con i debiti da centomila miliardi, questi che fanno le ”opa” e chiamano le cambiali ”bond”, questi qui alla gente rubano tutto: il futuro, i sogni, la speranza, la casa...».
Il megaschermo rilancia qualche schermata di computer a scopo esplicativo. Serve per prendere fiato. E ripartire. «Siamo nella terza guerra mondiale, quella dell’informazione. Sono stufo di questo capitalismo fasullo, senza capitali. Siamo nella barbarie: vogliono fare il ponte sullo stretto e c’è gente da quattro giorni sulla Salerno-Reggio Calabria bloccata per la neve».
Arriva l’affondo per la politica: «Non mi sento più rappresentato. Destra, sinistra... È come scegliere fra il peggio e il leggermente meno peggio. Con Fini, che va in Israele con la papalina (e Rauti gli grida: bastardo...!), e si è circonciso da solo. Con Prodi che vuole fare il leader, ma noi non abbiamo bisogno di leader, abbiamo bisogno di idee e di programmi. Con Fassino che ha tre globuli rossi: ad Auschwitz l’hanno preso per un cliente. Con Bertinotti che dice cose anche giuste, del 1926, ma giuste...».
Quindi: «Sono delle salme, non rappresentano più nessuno. E poi Berlusconi, il liftato, il portatore nano di democrazia. Volevo non parlarne, ma come si fa... Ne inventa ogni giorno una nuova. Non riesco a stargli dietro».
Sentenza: «La storia è un alibi per chi non ha un’idea per il futuro. Bush ha vinto offrendo concetti semplici a gente semplice e disinformata quali sono gli americani: Dio, il male, il no agli omosessuali. Ma mi verrebbe voglia di chiedere a Dio: con chi stai? Stavolta per salvarci vieni giù tu, non mandare tuo figlio, non è più roba per ragazzi...».
E poi il traffico, le targhe pari e dispari, «la globalizzazione che non è scambio di merci, ma di idee», le madonne che piangono e la scienza che dice non è vero. E ancora questa guerra camuffata da missione di pace.
Lo strumento per salvarci, per bypassare questi politici che non ci rappresentano, dice Grillo, è la Rete. E lancia la proposta di una mail a Ciampi, fa digitare l’indirizzo, presidenza.repubblica@quirinale.it, e fa scrivere: fai tornare i nostri costruttori di pace a casa, e manda in Iraq questo governo di contaballe... Tre, due, uno: inviato... E seimila e passa triestini sognano per un attimo di vivere in un mondo diverso.
Al PalaTrieste, ieri sera, solito trionfo di pubblico per due ore di appassionate riflessioni e denunce. Stasera (e anche giovedì) si replica al palasport di Udine.
 

giovedì 27 gennaio 2005

Non capita tutti i giorni di ricevere una telefonata da Claudio Baglioni che ti dice: «Tu sei il mio regista...». È successo, un anno fa, di questi giorni, al triestino Andrea Sivini. Che ricorda perfettamente l’emozione e la soddisfazione provate in quell’occasione. Li ricorda soprattutto oggi, giorno in cui esce il nuovo cd/dvd del cantautore romano, intitolato «Crescendo e Cercando».
C’è tanta Trieste nel triplo dvd che fa parte dell’opera. Non solo perchè vi sono contenute le immagini del particolare concerto «Spazi nuovi per uomini nuovi», tenuto a settembre nel Porto Vecchio. Ma anche perchè le immagini del dvd sono firmate da uno staff triestino, diretto appunto da Sivini.
Una collaborazione, quella del quarantaseienne operatore e regista triestino con il cantautore romano, nata nel tour del 2000 e proseguita in questi anni. Rafforzandosi professionalmente ma anche da un punto di vista umano, tanto da diventare un’amicizia.
I dvd comprendono la registrazione di un concerto della tournèe «Cercando», tenutosi a dicembre a Roma, alla Sala Santa Cecilia dell'Auditorium Parco della Musica, e spezzoni del tour «Spazi nuovi per uomini nuovi», effettuato dall'artista parallelamente al tour estivo (e passato, come detto, anche da Trieste).
«La registrazione - racconta Sivini - è stata realizzata con la struttura di ripresa mobile comprendente otto telecamere delle quali un Jimmy Jib (gru mobile) da nove metri di sbraccio e due steadicam. Quasi tutto il personale di ripresa proveniva da Trieste. Io ho curato la regia in diretta e la post-produzione, coadiuvando il montatore Edi Pinesich nella realizzazione del prodotto finale. Che, secondo chi l’ha già visto, è molto coinvolgente e ricco di incroci artistici tra le riprese e la musica di Baglioni».
«La postproduzione - prosegue Sivini - è stata effettuata con la supervisione dello stesso Baglioni e del suo art director Guido Tognetti, è durata circa un mese e ha portato alla realizzazione di un’opera di oltre tre ore, con inserti video anche di concerti effettuati in altre città, fra cui Udine, Palermo e Siracusa...».
Per quanto riguarda il dvd «Spazi nuovi per uomini nuovi», è stato realizzato durante la tournèe parallela al tour «Cercando»: al Gazometro di Roma, al Museo Ferroviario di Lecce, all’Anfiteatro di Siracusa e nel Porto Vecchio di Trieste.
«Ho proposto io a Baglioni - confessa Sivini - di girare anche nella splendida location del nostro Porto Vecchio. Gli portai delle foto e la proposta che fu subito accettata. Il concerto di settembre nacque così. E spero che le riprese e il montaggio valorizzino l'immagine di Trieste...».
Il doppio cd comprende trentuno fra le sue canzoni più amate dal pubblico, più «Crescendo e Cercando», il nuovo brano scritto in occasione della campagna «L’arte è vita: vivi l’arte».
Intanto, per Andrea Sivini, c’è già all’orizzonte un nuovo progetto con Baglioni: la realizzazione di un mini documentario sulla tre gi</CP>orni di musica (intitolata «O' Scià») svoltasi l’estate scorsa a Lampedusa.
 

domenica 23 gennaio 2005

 «E la Elmi? Com’è che hanno messo Maria Giovanna Elmi alla presidenza del Teatro Stabile...?».
Pensi di intervistare Beppe Grillo, in occasione del debutto del suo nuovo spettacolo (prima nazionale mercoledì a Pordenone, sabato a Trieste, poi a Udine). Pensi di intervistarlo ma ti ritrovi a tua volta... intervistato. Con il popolare comico (ma a volte sarebbe più giusto dire: fustigatore di costumi) genovese a chiederti le ultime novità su Trieste, Dipiazza, Illy, l’Expo, la ferriera che inquina, il pasticciaccio di Stream, la «fatina» Elmi che presiede lo Stabile...
Grillo domanda, tu rispondi e forse capisci anche come nascono i suoi spettacoli: una base, un canovaccio comune, sul quale il nostro inserisce ogni sera argomenti e tematiche di attualità che mutano giorno dopo giorno, tappa dopo tappa, città dopo città... Grande lavoro di documentazione, indubbie doti di improvvisazione, istrioniche capacità affabulatorie. E il pubblico cerca a teatro - o sempre più spesso nei palasport, più idonei ad accogliere le moltitudini - quella voce di verità e buon senso che da tempo non trova nella politica.
Ma non divaghiamo. E dopo aver soddisfatto le «curiosità triestine» del nostro interlocutore, proviamo a ripartire da quello che era l’intento della nostra telefonata...
Grillo, l’avevamo lasciata alla fine dell’ultimo spettacolo che sfasciava con una mazza un computer, e la ritroviamo al debutto di uno spettacolo intitolato «Beppegrillo.it»...
«Le sembra strano, vero? È che di quel computer che massacravo sul palco io ho ricomposto i vari pezzi. E ho fatto una scoperta: il singolo computer lo puoi anche sfasciare, ma l’idea della rete, della connessione, del poter arrivare a chiunque in qualsiasi momento in qualsiasi parte del mondo, beh, quella è una ricchezza incredibile. E non la puoi né devi sfasciare...».
Insomma, si è fatto anche lei affascinare da Internet...
«È il nuovo linguaggio. Non possiamo far finta di nulla. Se non fossimo tutti così ignoranti saremmo già molto più avanti. Io stesso, con l’inglese ho ancora qualche difficoltà, ma mi sto attrezzando. Non puoi mica essere così deficiente: o lo sai o sei fuori, sei morto, e diventi come Calderoli...».
Nel nuovo spettacolo si parla dunque di queste cose...
«Sì, ho aperto un blog, uno di questi diari in rete che nascono a migliaia. Sarà la mia finestra sul mondo, dove la gente mi scriverà, mi segnalerà delle cose che io riporterò ogni sera nello spettacolo. A fine tournèe conto di avere una panoramica sulle cose che vanno e quelle che non vanno, sulle cose che di solito rimangono nascoste e noi faremo sapere a tutti».
Avrà materiale per tre o quattro tournèe...
«Oh sì, conto di andarci avanti fino a 95 anni. Sul palco metto uno schermo collegato a Internet, con una bella linea veloce, e faremo vedere un po’ di mondo. Spiegheremo l’economia, le banche, le imprese, la borsa, la globalizzazione, le multinazionali. In che mani siamo, insomma...».
Già, in che mani siamo?
«Nelle mani dei soliti noti, dei padroni del vapore, del grande potere economico. L’energia, l’energia è il centro di tutto. Io parlavo dell’idrogeno nel ’95, giravo con una macchinetta a idrogeno. Ora ho un’Ibrida della Toyota, ha un motore elettrico e uno a benzina. Fino a cinquanta all’ora va col motore elettrico, oltre i cinquanta attacca quello a benzina, che ricarica le batterie per l’elettrico: è una cosa straordinaria...».
Dei politici stavolta non parla?
«Vuole che non parli dei politici? Ma sì, ne parlerò. Parlerò di tutto e di tutti, anche delle salme, ops, volevo dire dei nostri politici. Ma solo quando avrò delle crisi di necrofilia. Allora sì, qualche battuta sui politici italiani potrà scapparci...».
Il centrosinistra sembra molto impegnato con le primarie...
«Sì, le primarie. Meglio la rete, che è il by-pass della politica. Con la rete tutta l’intermediazione scompare. Puoi sapere cosa interessa, cosa serve, di che politico si fida le gente... Puoi far decidere una cosa da un milione di persone in un istante».
La vera democrazia diretta. Scusi, ma non è che si sta entusiasmando un po’ troppo...?
«No, è che io sto cercando di capire. Abbiamo degli strumenti straordinari e non li sappiamo, forse non li vogliamo usare. Dentro c’è di tutto: dalla fecondazione alla politica, la destra e la sinistra, l’energia, l’informazione... Stiamo ancora parlando di digitale quando il digitale è già morto, va bene per le salme, gente ormai sepolta, come Gasparri. Con Internet puoi telefonare, puoi vedere un milione di canali, puoi avere informazioni da tutto il mondo...».
Con la tragedia nel Sud Est asiatico se ne è avuta una prova...
«Certo. Vedevi Fini con il suo tavolino all’unità di crisi, gli passavano dei foglietti, lui diceva ”abbiamo 245 scomparsi, no, forse sono 238...”. Ma bastava cliccare su Google, andavi a vedere ”ospedali Asia” e trovavi in un secondo tutti i numeri, tutti i nomi, tutte le foto... La gente era già andata avanti, aveva i numeri di telefono, era già in contatto, e questo qui faceva l’unità di crisi con il suo tavolinetto...».
Insomma, la sua risposta è la rete...
«In un certo senso. Io ho sempre bastonato tutto e tutti, ma stavolta, in questo spettacolo, che sarà pregno di ottimismo per il futuro, offrirò alla gente una via di fuga».
Grillo, non la riconosco più...
«Sì, è vero: a tratti esagero. Sarà l’entusiasmo del neofita. Ma mi rendo conto che bisogna sempre andare oltre, non bisogna fermarsi. Lo tsunami ci insegna che la prima grande tragedia sono i morti da disinformazione. Anche la tecnologia ha i suoi limiti. Nel Sud Est asiatico bastava avere un gatto, un gattaccio di quelli selvatici, per capire che cosa stava per succedere. Per prevedere con l’anticipo necessario per salvarsi quale immane tragedia stava per arrivare...».
Meglio gli animali dei sofisticati sistemi di allarme...
«Ma certo. Tutti gli animali sono scappati. Elefanti in testa, che certo non passano inosservati. Basta avere un gatto e tenerlo lì, guardando come reagisce. Un gatto ha dei sensori che i nostri bit sembrano roba del paleolitico...».
Poi Beppe Grillo si stufa di essere intervistato. Vuole lasciare un po’ di suspense sullo spettacolo. E riprende a... intervistare. «Ma scusi, com’è questa storia dell’Ansaldo che ha fatto causa al Comune di Trieste per Stream...? E le targhe alterne: le hanno adottate da voi, le targhe alterne...?»
Trieste ormai la conosce bene. Se non altro per avervi fatto tappa con tutti i suoi ultimi spettacoli: nel maggio del 2003 con «Facciamo luce», al Politeama Rossetti; nel giugno del 2002 con «Va tutto bene», al PalaTrieste... E ogni volta con quella sua capacità di innervare i propri spettacoli di riferimenti locali: dal vecchio sindaco caffeinomane al nuovo sindaco berluschino, dal Friuli Venezia Giuli «con o senza trattino» al vecchio tormentone «a voi vi ha fregato il fatto che l’Italia ha perso la guerra: ma se qui restava l’Austria, per voi era meglio...».
Lo spettacolo «Beppegrillo.it» debutta mercoledì alle 21 al palasport di Pordenone. Sabato sera fa tappa al PalaTrieste. Domenica è al palasport di Udine, dove l’accoglienza del pubblico nelle prevendite dei biglietti è stata tale da rendere necessaria una replica giovedì 3 febbraio.

giovedì 20 gennaio 2005

«Bula Bula» è il nome di un atollo immaginario. Un atollo di pace, tranquillità, buona musica. Immaginato probabilmente prima dell’immane tragedia del Sud Est asiatico, per dare il titolo al nuovo album di Mina, che esce oggi. Un nome esotico, che la cantante usa spesso nei suoi articoli sulla «Stampa», per dodici canzoni che l’inarrivabile interprete nata a Cremona ha scelto - con il figlio e produttore Massimiliano Pani - fra le tantissime che le vengono proposte ogni anno.
Il disco colpisce già a partire dalla copertina, firmata anche stavolta da Mauro Balletti. Vi si vede la cantante trasformata in una sorta di capobranco: alta, magra come da tempo non è più, avvolta in un abito di foggia orientale, con una lunga treccia che «tiene per mano» la proboscide di un tenero elefantino. Sullo sfondo di un tramonto infuocato.
Ma qui non si tratta solo di un’immagine e una copertina azzeccata. Compilation e raccolte a parte, che nel suo caso sono sempre ben accolte dal pubblico, l’interprete che da tanti anni vive a Lugano mancava da tre anni dal mercato discografico con un disco di inediti (l’ultimo era «Veleno» e non aveva convinto granchè). Dunque il nuovo lavoro - cui è facile pronosticare i vertici delle classifiche - si dimostra particolarmente curato e godibile.
Si parte con «Vai e vai e vai», il cui singolo ha anticipato l’uscita dell’album. Firmata da Nicolò Fragile (che in questo album firma anche «Dove sarai»), la canzone è leggera ed elegante, con venature che richiamano la musica nera degli anni Sessanta. Con «Portati via» (scritta da Stefano Borgia, che ricordiamo a un Sanremo Giovani di anni fa), siamo nei territori della grande melodia, che la voce di Mina sa rendere unica. Curiosità: nel brano si sente la voce al telefono di Axel Pani, nipote della cantante.
Andiamo avanti. «Fragile», del napoletano Gennaro Cosmo Parlato, brilla di un’atmosfera amara e per certi versi drammatica. «Se», firmata da Alex Britti (di cui Mina aveva già cantato anni fa «Oggi sono io»), è orecchiabile e al tempo stesso elegante. «Fra mille anni» ha il testo di Cheope (figlio di Mogol) e la musica di Danijel Vuletic: coppia già sperimentata da Celentano nel suo ultimo cd.
Con «La fin de vacances» entriamo nel territorio dei classici. Si tratta infatti di una cover di una canzone scritta da Boris Vian e Henry Salvador. L’unico brano non inedito dell’album. «Sei o non sei» ripropone invece la coppia di autori Massimiliano Pani e Piero Cassano, garanzia di classe e orecchiabilità.
«20 parole» è in realtà una poesia di Roberto Roversi, il grande poeta bolognese che tanti anni fa aveva collaborato con Lucio Dalla (ai tempi di «Automobili»). «Bell’animalone» è un divertissement, giocato sui toni dello scherzo leggero e dell’allegria. «Quella briciola in più» (quasi una bossa nova) e «La fretta del vestito» completano il lavoro.
C’è anche una specie di «ghost track», una traccia fantasma con la bella risata di bimbo dell’altro nipote di Mina, il piccolo Edoardo. Ma quello è solo il tributo d’amore di una nonna speciale...
 

lunedì 17 gennaio 2005

 «Conosco e ammiro tutta l'opera di Piero Ciampi, ma un errore l'ha commesso, è stato quando ha detto che 'morto un poeta se ne fa un altro'. Non è vero, perché morto lui non ce ne sarà mai un altro alla sua altezza». Parola di Fabrizio De Andrè, pochi anni prima di lasciarci, in quella fredda mattina di gennaio di sei anni fa.
Sono passati invece venticinque anni dal 19 gennaio 1980, quando appena quarantacinquenne morì il poeta e cantautore livornese. Ma il tempo trascorso ha rafforzato la convinzione dell’assoluta importanza della figura e dell’opera di Ciampi nel panorama della canzone d’autore italiana.
Vita da «maledetto», la sua. Nato nel settembre del ’34, durante il servizio militare, a Pesaro, conosce Gianfranco Reverberi - futuro autore e produttore di successo -, con lui forma un complessino. Va a Parigi, dove canta nei locali come «Piero Litaliano». Che nel ’63 diventa il titolo del suo primo album. Ma è inquieto, parte e torna mille volte, mentre i suoi amici (Paoli, Tenco, lo stesso Reverberi...) cominciano a far carriera. Nel ’70 esce con un 45 giri, Aznavour gli offre la grande platea televisiva di «Senza rete». Nel ’71 va persino al «Disco per l’estate», ma arriva ultimo; esce il secondo album, intitolato «Piero Ciampi» e premiato dalla critica come disco dell’anno. Scrive le canzoni per un album di Nada, Raidue gli dedica uno special, il Club Tenco lo invita...
Ma la sua carriera deve lottare innanzitutto contro se stesso. Contro le sue scelte autodistruttive, l’alcolismo, l’indisponibilità ai compromessi, una genialità disordinata e ingestibile. Muore in un ospedale romano, pochi giorni dopo l’arrivo del sospirato sì al progetto di un album dedicato alle sue migliori canzoni.
Le sue canzoni vivono ancora. Grazie a Paoli, a Nada, a Morgan, ai La Crus... Prima e meglio di tanti altri ci ha parlato della sua e della nostra vita, quotidianità, fantasia. Di problemi, sogni, fragilità che lo portavano a dire spesso: «La morte mi fa rabbia perché non la posso fregare...».
Scriveva le sue canzoni sulle tovaglie di carta, raccontò una volta Francesco De Gregori. «Alcune, ne sono sicuro, si perdono insieme alle molliche e ai cerchi rossi lasciati dal bicchiere. Altre, invece, quelle che si salvano, te le racconta a tavola, o quando ti capita di dargli un passaggio. Altre ancora, infine, le registra su disco. E queste non sono necessariamente le migliori...».
Nella Roma musical-discografica degli anni Settanta, quella che vedeva crescere il fenomeno dei cantautori, Ciampi era amato dai tanti colleghi più giovani. Un altro episodio raccontato da De Gregori dice più di tante analisi: era perennemente in bolletta, e una volta chiese centomila lire al giovane collega romano che con «Alice» e «Rimmel» viveva i primi successi anche economici. Sentendosi anche un po’ in colpa per tale suo successo, De Gregori gli diede i soldi. Salvo scoprirlo un paio d’ore più tardi, in una fiaschetteria di Campo de’ Fiori, mezzo ubriaco che offriva da bere a tutti. Ovviamente con le sue centomila...

domenica 9 gennaio 2005

 Forse è vero: le belle canzoni sono come le belle donne, rimangono tali indipendentemente dagli abiti che vestono. Antonello Venditti - protagonista ieri sera al PalaTrieste di «Buon anno Trieste» (i seimila inviti distribuiti dall’Associazione commercianti sono andati esauriti in pochi giorni) - di belle canzoni nella sua carriera ne ha scritte davvero tante. Dalle primissime, «Sora Rosa» e «Roma capoccia», negli anni Sessanta, quand’era un adolescente grasso, a quelle del debutto ufficiale (con e senza De Gregori) all’inizio degli anni Settanta, fino a quelle dei tanti dischi che si sono succeduti sino a oggi.
Canzoni sempre nate al pianoforte, pensate per piano e voce, anche se tante volte vestite di abiti musicali più accattivanti. La novità di questo tour - e del cd/dvd che l’ha preceduto, «Campus Live» - è che per la prima volta il cinquantaseienne cantautore romano «non tocca tastiera». Fa il cantante e basta, accompagnato da una band di sette elementi nella quale il ruolo predominante è affidato alle chitarre. E va detto che, proprio in virtù dell’assioma di cui all’inizio, il risultato finale è comunque buono. Le belle canzoni rimangono tali. Con o senza pianoforte.
Partenza con «Che fantastica storia è la vita», che dava il titolo all’ultimo album in studio, uscito nel 2003. Ma anche con «Qui», «Il compleanno di Cristina», «Ventuno modi per dirti ti amo», «Giulio Cesare»... Per affondare il colpo c’è solo l’imbarazzo della scelta: fra «Sotto il segno dei pesci» e «Piero e Cinzia», «Dimmelo tu cos’è» e la classicissima «Roma capoccia», «Sara» e «Notte prima degli esami» (per tre chitarre acustiche). C’è tempo anche per «Stella», «Peppino», «Lacrime di pioggia», «Alta marea», «Amici mai», «Ci vorrebbe un amico»...
Fra i bis, l’omaggio quasi a sorpresa a Luigi Tenco («Lontano lontano») e l’unico inedito del nuovo disco: «Addio mia bella addio», rivisitazione in chiave pacifista di un vecchio brano della guerra ’15-’18, ispirato a un’ancor più antica poesia risorgimentale.
Ma la giornata triestina di Venditti ha avuto anche un prologo al mattino, nell’incontro con la stampa. Dove gli chiedono un augurio per il 2005, e lui: «Per alcuni l’augurio è quello di un fatturato migliore. Per altri l’augurio è quello di nascere e di non morire...». Un commento sul derby romano? «Del calcio non bisogna parlare più. Non bisogna scrivere né dire più niente. Bisogna aspettare che torni a essere soltanto un gioco...».
L’incontro comincia con una sviolinata nei confronti di Trieste. «Questa è una città che mi dà sempre emozioni e nella quale vivrei, per il suo fermento culturale, per la sua vicinanza ad altri mondi che con l’Europa unita sono ancor più vicini. Ma Trieste, che è un punto fermo della storia italiana, rischia di essere solo una città di passaggio, sfiorata da chi va in vacanza in Croazia o a giocare in un casinò sloveno. La città paga il suo modo elegante di esistere, di non voler disturbare. Ma purtroppo in questo mondo l’eleganza e l’educazione non pagano...».
Qualcuno, a questo punto, prende la palla al balzo e gli chiede una canzone su Trieste. Venditti svicola, giustamente non vuole prendere impegni. Né forse vuole ancora rivelare che sta studiando da qualche tempo la storia della triestina Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia, sopravvissuta ad Auschwitz, scomparsa nel 2003, figura simbolo della Resistenza. Chissà, forse ne potrebbe venir fuori una canzone...
Del concerto dice: «Dopo il tour precedente, nel quale ero tornato alla mia vecchia formula ”pianoforte e voce” i miei musicisti si sono un po’ sentiti messi da parte e mi hanno detto: ora quel pianoforte te lo buttiamo, d’ora in poi devi pensare solo a cantare. All’inizio ero un po’ scettico, poi mi sono lasciato coinvolgere dal progetto di rivisitare le mie canzoni ”dalla parte della band”, con le chitarre al posto del pianoforte...».
Poi racconta dei quattro mesi passati quest’estate al Campus, «questa specie di università della musica, della danza, del teatro che è stata aperta a Roma, a Cinecittà, e che somiglia un po’ a quella parte bella che noi sogniamo dell’America. È stata un’esperienza incredibile, fra i giovani, ed è nato anche questo cd/dvd che fotografa quel momento...».
Per chiudere, due parole su due amici ritrovati, o forse mai persi: Francesco De Gregori e Gato Barbieri. «Con loro prevale l’aspetto umano, personale, privato, che vince su quello spettacolare. Con De Gregori potremmo fare mille tournèe, preferiamo vederci, sentirci, andare al cinema assieme. Gato ha settant’anni e sei by-pass: sua moglie è morta, ha avuto la forza di risposarsi e fare un figlio. Lui è il simbolo di ”Che fantastica storia è la vita”, per la quale non a caso ho voluto il suo sax...».
Il 2004 di Antonello Venditti si è concluso con tre concerti e altrettanti «tutto esaurito» a dicembre: a Torino, Genova e Milano. Il suo 2005 comincia stasera, con il concerto al PalaTrieste (alle 20.30, per l’ormai tradizionale «Buon anno Trieste» dell’Associazione Commercianti). Una sorta di anteprima del tour vero e proprio, il «Campus Live Tour», che parte il 5 febbraio ad Ancona, con tappe trivenete il 16 marzo a Trento, il 18 marzo a Verona e il 2 aprile a Padova.
Nel concerto, come nel cd/dvd «Campus Live», uscito nelle settimane scorse, alcuni dei grandi successi del cinquantaseienne cantautore romano. Riletti in una versione più rock, nella quale le chitarre hanno preso il posto dello storico pianoforte.
«È stata una specie di rivoluzione nata dal basso - ha spiegato Venditti -. La band mi ha detto: basta con questo pianoforte, ora si cambia registro. E io ho deciso di assecondare quegli umori. Da questo rapporto dialettico è nata una sfida: rifare le mie canzoni, anche quelle che sembravano e sembrano improponibili senza pianoforte (come ”Notte prima degli esami”, ”Sotto il segno dei pesci”...), con una struttura musicale diversa, nella quale io mi limito a cantare. È stato fatto un grande lavoro chitarristico, e ora le canzoni senza la mia ”pesantezza” volano, grazie a un gruppo rock-folk-country molto divertente...».
Per quanto riguarda il disco: «Si tratta di un ”live” un po’ anomalo: nel senso che di solito l’album si fa dopo una tournèe, mentre stavolta noi lo abbiamo fatto prima. Il disco è stato infatti registrato in un campus che sa di America e invece sta a Cinecittà, nella nuova scuola laboratorio di musica aperta a Roma a settembre. Si chiama Campus, è una realtà inventata da Costanzo e Veltroni, inseguendo l’idea di una scuola senza professori, dove si fa anche letteratura, teatro, informatica, danza, ma dove soprattutto siamo tutti studenti».
Ancora il cantautore romano: «Lì, quest’estate, ci hanno dato una sala per tre mesi, dove provavamo e suonavamo davanti a pubblico di studenti e addetti ai lavori. La filosofia da cui è nato anche il disco è quella dello stare insieme, con i giovani, dando importanza non solo alla musica ma anche alla parola, cantata e parlata. È venuto fuori questo disco, decisamente diverso dai miei precedenti dischi dal vivo. ”Circo Massimo” era la fotografia di un grande concerto-evento, l’atto d’amore per una città e per una squadra di calcio. ”Da San Siro a Samarcanda” era invece il frutto in un tour particolare, con tanti concerti. Questo è invece un piccolo prodotto di laboratorio, con l’idea di ritrovare, di rivisitare alcune canzoni, rifacendole senza orpelli, più crude, con un romanticismo diverso da quello a cui avevo abituato il mio pubblico».
In questo concerto Venditti è accompagnato sul palco da una band composta da Alessandro Centofanti (tastiere), Derek Wilson (batteria), Fabio Pignatelli (basso), Marco Rinalduzzi, Maurizio Perfetto e Giovanni Di Caprio (chitarre), Amedeo Bianchi (sax).
In scaletta, una trentina di brani, con nuove versioni di classici come «Sotto il segno dei pesci», «Ci vorrebbe un amico» («l’ho cambiata, il testo è più essenziale, la musica sembra nuova, ma soprattutto cambia il significato: è meno romantica, più dura, non parla più di un uomo deluso per amore, ma disposto ad aspettare...»), «Roma Capoccia», «Notte prima degli esami» (dedicata «a tutti quelli che non ci sono più, e penso a gente come Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti, ma anche agli amici e ai parenti che non sono più qui...»), «In questo mondo di ladri», «Alta marea», «Ventuno modi per dirti ti amo», «Sara»... Fino alle più recenti «Che fantastica storia è la vita» (che dovrebbe aprire la serata), «Lacrime di pioggia» e «Addio mia bella addio», l'inedito contenuto in «Campus Live»: un brano che si rifà a un vecchio motivo che cantavano i soldati che partivano per il fronte nella guerra del ’15-’18, e che era a sua volta ispirata da una poesia risorgimentale del 1848.
Un nuovo viaggio musicale - questo di Venditti - che in qualche data potrebbe coinvolgere anche Francesco De Gregori e Gato Barbieri, i vecchi «compagni di strada» che con il loro contributo hanno arricchito l'ultimo album in studio di Venditti, «Che fantastica storia è la vita», premiato tempo fa con il prestigioso «Lunezia» per la qualità poetica dei testi.
Il concerto di Venditti di stasera (già esauriti gli inviti che sono stati distribuiti nei giorni scorsi) apre un 2005 ricco di musica per Trieste: sempre al PalaTrieste debutterà infatti il primo di febbraio il tour di Elisa e farà tappa il giorno 8 quello di Laura Pausini.