mercoledì 24 settembre 2008

GRANBASSI


Margherita Granbassi debutta stasera su Raidue ad «Annozero», al fianco di Michele Santoro. L’atleta triestina - due medaglie alle Olimpiadi di Pechino - curerà uno spazio dedicato ai giovani. Ieri per lei è stata una giornata campale, fra l’incontro degli olimpionici militari con il ministro della difesa La Russa, la conferenza stampa di presentazione del programma tivù, ma soprattutto l’ok dei Carabinieri - del cui gruppo sportivo la Granbassi fa parte - alla partecipazione, che è arrivato solo ieri sera, quasi in extremis. Domani sera (stasera per chi legge - ndr) sarò ad ”Annozero” e spero si risolva tutto, perchè ci tengo a fare questa esperienza ma tengo anche all'Arma dei Carabinieri».

Parole di Margherita Granbassi ieri a Roma, dopo che i vertici dell'Arma avevano espresso qualche perplessità sul fatto che l'atleta triestina, vincitrice di due medaglie di bronzo alle Olimpiadi di Pechino, affianchi Michele Santoro nella trasmissione giornalistica che riparte stasera alle 21 su Raidue.

È certo dunque che la Granbassi prende nel programma il posto che l’anno scorso fu di Beatrice Borromeo e si curerà della cosiddetta «Generazione Zero», ovvero il dialogo con tutti quei giovani che hanno voglia di dire la loro opinione sull’Italia di oggi. Ma le polemiche di queste ultime ore l’hanno trasformata nel personaggio del giorno.

Le prime perplessità erano state sollevate già la settimana scorsa, dopo l’annuncio della sua partecipazione al programma, dal presidente dell’Aiart, l’associazione di telespettatori di matrice cattolica: «Ci chiediamo che cosa c'entra la campionessa di fioretto con il giornalismo?», aveva sibilato Luca Borgomeo, interrogandosi anche sui costi dell’operazione e buttando lì con una punta di perfidia: «Santoro sembra voler mescolare intrattenimento e giornalismo, visto che che la Granbassi avrà più che altro il ruolo di velina».

Poi, per qualche giorno, calma piatta. Tutto tranquillo. Margherita è a Roma, firma il contratto con la Rai, fa le prove, tutto sembra filare per il verso giusto. Verso il debutto di stasera.

Ma ieri tutti i nodi vengono al pettine. Una vera e propria giornata campale. Al mattino il comandante generale dei Carabinieri, Gianfrancesco Siazzu, a margine dell’incontro romano a Palazzo Barberini tra gli olimpionici dei gruppi sportivi militari con il ministro della Difesa Ignazio La Russa, a chi gli chiedeva notizie sulla partecipazione del carabiniere Margherita Granbassi ad «Annozero», rispondeva: «Stiamo valutando, ci sono ancora ventiquattro ore di tempo per decidere. Ci sono delle regole che valgono per tutti». Come quella secondo la quale per un carabiniere (la Granbassi lo è a tutti gli effetti, facendo parte del gruppo sportivo dell’Arma) «non ci può essere un rapporto di lavoro continuativo e retribuito».

Quasi in contemporanea, sempre a Roma, alla conferenza stampa di presentazione della nuova edizione di «Annozero», Santoro rilancia: «Mi sembra che questa sia la notizia del giorno, questa di Margherita Granbassi. Aspettiamo che l'Arma ci dica cosa vuol fare». Confermando la notizia secondo la quale il comando generale dell'Arma avrebbe detto no alla partecipazione della fiorettista azzurra, ma al tempo stesso in forza all'Arma, alla trasmissione. Un vero e proprio aut aut: se va da Santoro, la Granbassi è fuori dai Carabinieri.

A fine mattinata ci pensa il ministro La Russa - che a Palazzo Barberini aveva accolto la Granbassi così: «Ecco, abbiamo la diva televisiva...» - ad anticipare il via libera del vertice dell’Arma: «Andrà, anche se la decisione spetta a lei». Salvo poi chiarire in una nota che con quelle parole «non intendeva anticipare il via libera da parte del comando generale dei Carabinieri, ma soltanto sottolineare che la decisione di partecipare o meno spetta esclusivamente all'atleta che deve comunque tener conto delle regole dell'Arma».

Nel pomeriggio, un incontro dell’atleta triestina prima con il comandante dei Carabinieri e poi con il conduttore di «Annozero» chiudono la vicenda. Con tanto di nota ufficiale dell’Arma, diffusa ieri sera, nella quale si scandisce che la decisione «è stata assunta dopo avere verificato la compatibilità della collaborazione, richiesta dal carabiniere atleta con formale istanza, con la disciplina vigente in materia di esercizio di attività extraprofessionali da parte di militari». <WC>Risultato: stasera la Granbassi sarà in video, a fianco di Santoro.

Per l’atleta triestina si tratta comunque del coronamento di un sogno. Nelle tante interviste concesse in questi anni alla stampa locale e nazionale non aveva infatti mai nascosto le sue ambizioni. Della serie: da grande voglio fare la giornalista televisiva, cominciando dallo sport, ma non fermandomi necessariamente al settore di provenienza.

Quello che non si sarebbe mai aspettato è una chiamata seduta stante dal Michele nazionale, uno che comunque è sempre stato attento alla scoperta di nuovi volti e nuovi talenti. La Granbassi, fra l’altro, non è la prima triestina ammessa al suo fianco. Giovanna Botteri, oggi corrispondente Rai da New York, agli inizi della carriera aveva fatto parte della squadra di «Samarcanda», primo programa di Santoro nella Raitre di Sandro Curzi e Angelo Guglielmi. E qualche anno dopo un’altra triestina, Martina Pastorelli, già giornalista di Telequattro, era stata fra i volti di un suo programma.

«Per me - ha detto la Granbassi, ventinove anni compiuti il primo settembre - debuttare al fianco di Santoro è una grande emozione e soprattutto una sfida impegnativa. Mi devo confrontare con un’esperienza assolutamente inedita». Confessando però di non essere mai stata un'assidua telespettatrice di «Annozero»: «Sono spesso assente dall'Italia e questo mi impedisce di seguire con costanza qualsiasi programma televisivo. Ma, per quello che ho potuto vedere, mi piace...».

Santoro ha preparato per lei una sorta di Hyde Park. Nel quale, assieme a Monica Giandotti, dovrà far parlare i più giovani. «Come siamo sicuri della sua stoffa di campionessa del fioretto - ha detto ieri il conduttore - così siamo sicuri della sua capacità di far parlare i giovani. Margherita ha manifestato la curiosità di conoscere più da vicino il mondo del giornalismo. Ci sono personaggi che sembrano venire da altri pianeti e lei è testimone di questa grande distanza, perchè ha anche detto che spesso gli sportivi vivono come in una bolla di sapone».

«Questo suo spazio vuol essere un momento di riflessione tra i giovani, è un invito alla lettura, un invito ai giovani a non disertare l'attenzione verso questi programmi. E poi lei lo fa perchè ha voglia di affacciarsi in questo particolare mondo. Margherita deve soltanto aiutarci a fare in modo che che tanti più giovani manifestino le loro idee. Ecco perchè parlo di una sorta di grande Hyde Park». Nel quale da stasera si parla - metaforicamente - anche un po’ triestino...

domenica 21 settembre 2008

VASCO BRONDI  La Targa Tenco per la miglior opera prima, che gli è appena stata assegnata e gli verrà consegnata all’Ariston di Sanremo dal 6 all’8 novembre, fortunatamente sta risvegliando e amplificando l’attenzione attorno a quello che da tempo indichiamo come il miglior esordio del 2008. È Vasco Brondi, il ventiquattrenne cantautore ferrarese che si nasconde dietro lo pseudonimo Le luci della centrale elettrica, già visto più volte nei mesi scorsi nel vitalissimo circuito off triestino e in regione.

L’album - che lo scorso anno era stato preceduto da un demo - s’intitola «Canzoni da spiaggia deturpata» (La Tempesta Dischi/Venus). L’artista è genuino, visionario e ancora arrabbiato al punto giusto. Nella sua pagina su MySpace - dove una manciata di brani sono ascoltabili e scaricabili gratuitamente - scrive che le sue «canzoni d’amore e di merda dalla provincia sono state accese da me in un pomeriggio troppo lungo e troppo azzurro come progetto di cantautorato denuclearizzato. Un cantautorato attualizzato, che non trascuri le distorsioni sature, le frasi urlate, i ritmi ossessivi. Una chitarra acustica/distorta comprata a rate e una voce che sussurra urla e tossisce...».

C’è chi ha scritto che Vasco Brondi ricorda a tratti Rino Gaetano e altre volte Luca Carboni, ma nelle sue canzoni e nel suo modo di cantare si avverte - oltre a un’urgenza creativa, a un bisogno primario di comunicare che non lascia indifferente l’ascoltatore - retaggi di epoche che il ragazzo può aver conosciuto solo indirettamente: la Bologna del Settantasette, Claudio Lolli, i Cccp/Csi/Pgr di Giovanni Lindo Ferretti (peraltro rappresentati nel disco dalla chitarra di Giorgio Canali, che ha accolto il giovane virgulto sotto la sua ala protettiva), gli «altri libertini» di Pier Vittorio Tondelli...

Alcuni versi delle sue canzoni sono già assurti al rango di «frasi storiche», almeno per il piccolo esercito di suoi estimatori. Da «farò rifare l'asfalto per quando tornerai» a «siamo l'esercito del Sert» (che richiama quello anni Sessanta «del surf»...), da «con le nostre discussioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche» a «si fermavano i tram per deridermi», da «invidiare le ciminiere perchè hanno sempre da fumare» fino al trionfo nichilista generazionale di «cosa diremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero...?».

Le dieci canzoni del disco andrebbero, anzi, vanno citate tutte: «La lotta armata al bar» e «Per combattere l’acne», «Nei garage di Milano Nord» (con un omaggio nel finale proprio al Rino Gaetano de «Il cielo è sempre più blu») e «Lacrimogeni», «Sere feriali» e «Stagnola», «Piromani» e «La gigantesca scritta Coop», «Fare i camerieri» e «Produzioni seriali di cieli stellati». Ballate per chitarra e voce. Istantanee urlate, schegge del presente, malinconia, smarrimento, desolazione dalla provincia italiana.

Nota autocritica: a volte riserviamo tanta attenzione alle stanche novità di vecchi cantautori che non hanno più molto da dire. E rischiamo di perderci esordi folgoranti e profumati di verità come quello di un ragazzo di nome Vasco Brondi. Da tenere a mente.


COLDPLAY A giugno, prima della sospensione estiva di questa rubrica, erano già pronte queste righe sul nuovo album dei Coldplay, «Viva la vida» (Emi), allora appena pubblicato. Pronosticavamo - senza troppa fantasia - che sarebbe stato uno dei dischi, forse il disco dell’estate. Cosa poi puntualmente avvenuta.

Con dieci anni di attività e quaranta milioni di dischi venduti alle spalle, e a tre anni dal precedente «X&Y», Chris Martin e compagni non hanno deluso le aspettative. Riproponendo - riveduto e corretto - lo stile che, fin dall'album di debutto («Parachutes», del 2000), ha incoronato la band inglese come una delle più amate in tutto il mondo. Forse con un pizzico di coraggio in più, con maggiore apertura a nuove idee e sperimentazione.

Dieci brani, poco più di quaranta minuti di musica, nella quale si sente la mano dei due produttori dell'album, Brian Eno e Markus Dravs. Soprattutto il contributo del primo è stato notevole: «Ha infuso eccitazione, vita, pazzia, sessualità. È stato incredibile», ha detto Chris Martin. Alla squadra, durante la registrazione, si è unito il vecchio amico e manager Phil Harvey, affettuosamente citato nelle note di copertina come quinto membro della band.

Il risultato è un album caratterizzato dalla mancanza e dall'incertezza, dal viaggio e dal tempo, dalla felicità e dai rimpianti. Un potente mix di sentimenti che si ritrova in pezzi come «Lovers in Japan», «Strawberry Swing» e soprattutto in «Death and all his friends».

I Coldplay avrebbero potuto vivere di rendita, sfornare il classico album fotocopia, puntare sulla mozione degli affetti. Hanno preferito guardare avanti, rimettersi in gioco. E hanno lasciato il segno.

Il loro tour tocca Vienna mercoledì 24 settembre, Monaco il 26, e poi Bologna e Milano, rispettivamente il 29 e 30 settembre (biglietti già esauriti in prevendita).


MANGO Ritorna Mango, con quattordici classici della musica italiana e straniera riletti alla sua maniera. E con ospiti come Franco Battiato (di cui viene riproposta «La stagione dell’amore», che è anche il primo singolo dell’album) e Claudio Baglioni. Un lavoro che, spiega il cantautore di Lagonegro, proovincia di Potenza, gli ha dato la possibilità di «rubare dei sentimenti ad altri colleghi». Come De Andrè, Fossati, Battisti, Pino Daniele, Elisa, De Gregori, Patty Pravo, Renato Zero, Luigi Tenco, Anna Oxa. Ma anche John Lennon e i Creedence Clearwater Revival. «Rubare un sentimento è una cosa bellissima, perchè significa appropriarsi di tante emozioni, facendole proprie - racconta Mango -. Volevo realizzare questo disco da quindici anni. Io nasco come cantante, ora sono tornato al primo grande amore, al canto, all'interpretazione, che mi consente di descrivere un mondo che non è il mio». «Acchiappanuvole» - dice - sta per acchiappasogni, nel senso di «riuscire a pensare alle nuvole non come un disagio, ma come portatrici di pioggia buona, positiva...».


CYNDI LAUPER E ritorna anche Cyndi Lauper, indiscussa regina della pop dance, con 25 milioni di dischi venduti alle spalle. Il suo è un ritorno alle origini. «Il disco può essere ascoltato in due modi totalmente differenti - spiega -. È un album dance a cui ci si può accostare a un primo livello più superficiale, ma se ciò non bastasse, c'è molto da approfondire nei testi. Queste canzoni scavano davvero a fondo». Il disco la vede completamente immersa nel processo creativo. È infatti co-autrice di ogni brano e divide la produzione con alcuni dei più autorevoli produttori del panorama dance: Dragonette, Kleerup, Basement Jaxx e Axwell, solo per citarne alcuni. L'album propone sonorità inedite, come quelle del primo singolo «Same old story», co-prodotto da Rich Morel. I dodici brani dell'album sono la testimonianza della maturità conseguita da questa artista che ha trovato il successo anche come attrice e regista di video e spot pubblicitari. E la cui «Time after time» fu interpretata nientemeno che da Miles Davis. Che l’ha resa immortale.


 

sabato 20 settembre 2008

BARCOLANA FESTIVAL


L’estate è praticamente finita, ma quella musicale a Trieste ha bisogno ancora di un ultimo atto, prima di considerarsi davvero conclusa. Sì, perchè ormai da diversi anni la regata della Barcolana è una grande festa di mare e di popolo ma anche di musica, con le serate in piazza Unità che precedono la domenica della kermesse velica. Quest’anno le star del «3 Barcolana Festival» (il nome varia quasi ogni anno, a seconda degli sponsor della manifestazione...) sono Elio e le Storie Tese, Frankie Hi-Nrg Mc e Fabri Fibra. Con altri interessanti nomi di contorno, tutti racchiusi nelle serate di venerdì 10 e sabato 11 ottobre.

Si conferma dunque la scelta, portata avanti dagli organizzatori, che si affidano all’agenzia milanese «Piano B», di puntare su nomi molto amati soprattutto dai giovanissimi. È dunque un ricordo lontano l’esperimento di qualche anno fa, di proporre artisti vicini al gusto di un pubblico più adulto (esempio: l’edizione del 2004, con l’arzillo ottuagenario Nicola Arigliano, Enzo Jannacci, Lucio Dalla in versione jazz, la vocalist Rossana Casale...). E per problemi di budget si passa a due sole serate, dopo che per anni il festival ne aveva occupate tre. Anche se quella di giovedì, nelle ultime edizioni, era dedicata ai gruppi locali e non attirava grandi folle.

Ma veniamo allora al programma delle due serate del festival, che verrà presentato ufficialmente nei prossimi giorni. Venerdì 10 si parte con tre gruppi: gli Harddiskaunt, band ska proveniente dalla provincia di Varese, che ha debuttato nel ’97 con un album intitolato «Greatest Hits n.7»; i Carnicats, gruppo hip hop regionale formato da quattro ragazzi di Tolmezzo, poco più che ventenni, da poco usciti con il primo album; i Terza Sfera, gruppo di pop elettronico, con testi in inglese interpretati da una cantante originaria dello Sri Lanka.

Poi venerdì sera arrivano le star, entrambe nomi di spicco del nostro hip hop. Frankie hi-nrg mc, torinese di origini siciliane, classe ’69, vero nome Francesco Di Gesù, ha esordito nel ’91 col singolo «Fight da faida» e nel ’93 con l’album «Verba manent». È una delle voci più politicamente e socialmente impegnate del rap italiano, quest’anno è stato anche a Sanremo con «Rivoluzione». E soprattutto Fabri Fibra, all’anagrafe Fabrizio Tarducci, nato nel ’76 a Senigallia. Dopo anni di collaborazioni underground ha debuttato da solista nel 2002 con l’album «Turbe giovanili». Il singolo «Applausi per Fibra», due anni fa, è diventato un tormentone che ha travalicato anche i confini dell’universo hip hop italiano, diventando fenomeno anche mediatico.

Siamo a sabato. Apertura con Dj Lele Sacchi (fra i dj e discografici italiani più apprezzati anche all’estero), poi si va avanti con El Tres (quintetto piemontese che spazia fra blues, folk e rock’n’roll) e Micol Barsanti (cantautrice lanciata da Jovanotti, in luce con l’album «La chiave del sole»). Gran finale con la genialità dissacrante di Elio e le Storie Tese, protagonisti quest’anno a Sanremo con il Dopofestival, che non hanno davvero bisogno di presentazioni.

Fin qui il programma del festival. A chiusura del quale, sabato sera, attorno a mezzanotte, tornano a grande richiesta anche i fuochi d’artificio. «Da tre anni non li facevamo - spiega il patron Fulvio Molinari - ma molti ne hanno lamentato l’assenza. Abbiamo anche chiesto il permesso di fare musica almeno fino a mezzanotte. E speriamo vada tutto bene...». Non come l’anno scorso, quando i vigili hanno interrotto anzitempo l’esibizione dell’ultimo gruppo in programma, i Negrita. Con conseguente coda polemica.

mercoledì 17 settembre 2008

STEFANO ROSSO (1948-2008)


LETTO 26 (1977)


Via della Scala è sempre là

e io dal letto 26

malato di pazienza sto

e aspetto chi non torna più

è un ragazzino magro che

cantava sempre insieme a me

e morì un giorno che non so

e i suoi bei sogni mi lasciò


E Biancaneve è ancora là

è un po' invecchiata ma che fa

le mele non le mangia più

forse i ragazzi giù del bar

ricordo tanto tempo fa

veniva a scuola insieme a me

la guerra già non c'era più

e poi non c'eri neanche tu


La brillantina e via così

si incominciava il Lunedì

ad invidiare quello che

aveva un libro da studiar

diceva non ti serve a niente

la scuola non ti servirà

e invece io tra quella gente

capivo un po' di verità


La marijuana ti fa male

il Chianti ammazza l'anemia

i miei compagni li ho lasciati

ho preferito andare via

così ho comprato un giradischi

uno di quelli che non va

per non dar noia a quel vicino

che non riesce a riposar


Ho conosciuto tante donne

cattive, oneste e senza età

a tutte ho dato un po' qualcosa

con tanta generosità

a lei, mia madre, i dispiaceri

mentre a mia moglie dei bambini

al primo amore i sentimenti

i baci e l'acne giovanile


Via della Scala è sempre là

e io dal letto 26

io chiudo gli occhi e penso a te

ti sento e invece non ci sei...


domenica 14 settembre 2008

FEST / ROTOTOM


«Fest», la fiera internazionale dell’editoria scientifica triestina, è stata cancellata. Oppure, nella migliore delle ipotesi, verrà trasformata in qualcosa di molto diverso: una sorta di biennale. Ma gli organizzatori delle due edizioni di successo svoltesi l’anno scorso e quest’anno (ad aprile 45 mila visitatori, 160 avvenimenti, trecento ospiti internazionali, oltre centomila euro di libri venduti) ancora non lo sanno. Peggio, lo hanno appreso da una dichiarazione alla stampa del presidente della giunta regionale Renzo Tondo: «Ho chiesto ai sessanta consiglieri regionali, solo uno sapeva cos’era Fest». Ignoranza loro, magari? «Sarà. Comunque è cancellata». Testuale. E senz’appello. Alcune voci si erano diffuse già nella primavera scorsa, a conclusione della seconda edizione della manifestazione. Ma la conferma, completa di spiegazione, arriva ora anche dall’assessore regionale Alessia Rosolen: «Sì, Fest come Fest non ci sarà più. Ma la Regione ha in mente un progetto importante sulla divulgazione scientifica, che sappia coinvolgere il territorio e gli enti locali. L’idea è quella di organizzare una sorta di biennale: un anno Innovaction a Udine e un anno Fest a Trieste, ma con una formula completamente rivista».

L’assessore al lavoro, università e ricerca spiega che vanno individuati percorsi e situazioni diverse, di maggiore presenza sul territorio, in grado di collaborare maggiormente con le istituzioni e gli enti locali. «Non ci si deve limitare all’editoria e alle conferenze, bisogna elaborare un progetto più ampio», dice.

Un problema anche di soldi? «Certo, la Regione quest’anno ha contribuito all’organizzazione di Fest con 650 mila euro. Un altro milione e 200 mila se n’è andato per Innovaction. È chiaro che in tempi di ristrettezze economiche e di tagli ai bilanci, si tratta di contributi pesanti, che vanno ripensati e razionalizzati».

Il futuro sembra dunque segnato. E già in queste ore si dovrebbe decidere se partire nel 2009 da Udine o da Trieste. Dove intanto qualcuno aspetta una comunicazione ufficiale, che non è ancora arrivata.

«Il mese scorso - dichiara Sergio Fantoni, direttore della Sissa e presidente del consorzio di Fest - abbiamo presentato alla Regione una nostra proposta triennale per il futuro della manifestazione, proprio per poter lavorare con tranquillità e poter pianificare per tempo le prossime edizioni. Per ora abbiamo ricevuto solo una risposta interlocutoria, nella quale l’assessore competente si riservava di esaminare la questione».

«Ovviamente - prosegue Fantoni - la dichiarazione di Tondo non mi ha sorpreso. Conoscevo l’opinione che il presidente della giunta ha di Fest, e temo non ci siano molte speranze. Un po’ perchè la nostra manifestazione è vissuta dall’attuale maggioranza come una creatura di Illy, e come tale va cancellata. Un po’ anche per problemi di budget: in tempi di vacche magre, anche il contributo a Fest, che comunque è molto inferiore a quello percepito da Innovaction, è a rischio...».

Ma il direttore della Sissa pone l’accento anche su un problema di tempi. «Noi aspettiamo ancora una risposta ufficiale dalla Regione, ma è chiaro che più passa il tempo più calano le probabilità di riuscire a fare qualcosa di dignitoso. Già ora, se avessimo una risposta positiva domani mattina, probabilmente saremmo in ritardo per poter mettere in cantiera una buona terza edizione per la primavera prossima...».

Terza edizione che, a questo punto, probabilmente non vedrà mai la luce. La prima si era svolta nel maggio 2007, fra l’ex Pescheria, la Stazione Marittima, il Teatro Miela e altri siti cittadini, riscuotendo un buon successo di pubblico e molto interesse fra gli addetti ai lavori.

La seconda edizione, quella svoltasi dal 16 al 20 aprile di quest’anno, quasi interamente al Molo Quarto, come si diceva ha segnato un vero boom di numeri: 45 mila visite, oltre 100 mila euro di libri venduti, centosessanta presentazioni e avvenimenti, trecento ospiti provenienti da tutto il mondo. Insomma, quello che si dice un successo di pubblica e di critica.

Secondo i suoi organizzatori Fest voleva essere «un laboratorio di idee per sperimentare nuove forme di dialogo tra la scienza e i cittadini, un festival dei media scientifici dove i protagonisti sono libri, riviste, radio, tv, web e blog, esposti in una grande libreria multimediale e interattiva suddivisa per aree tematiche».

Una sorta di grande libreria attorno alla quale quest’anno ha ruotato «un fitto programma di eventi, incontri, convegni, mostre, rappresentazioni teatrali e cinematografiche dedicate a temi di dibattito e attualità scientifica, per comprendere il mondo in cui viviamo».

Va annotato che per anni Trieste si è interrogata sull’opportunità e la possibilità di diventare sede di un grande evento (festival, rassegna o quant’altro), in grado di trasformarsi anche in un volano turistico. Diciamo allora che in questi due anni «Fest» aveva dato l’impressione di poter diventare qualcosa di simile. Ora, dinanzi alle decisioni della nuova giunta regionale, tutta la questione va riconsiderata. E bisogna inventarsi qualcos’altro.

Intanto, c’è un’altra manifestazione regionale che rischia grosso. Si tratta del Rototom Sunsplash di Osoppo, in Friuli, che dopo quindici edizioni può ormai essere considerato il più grande festival europeo di musica e cultura reggae. Quest’estate, oltre ai maggiori artisti del settore (compreso uno dei numerosi figli di Bob Marley, musicista pure lui), c’era anche la ministra della cultura giamaicana, a suggellare un gemellaggio ormai consolidato.

Ma nei giorni del festival, nel parco di Osoppo, ogni anno girano droghe e droghette, come documentato nelle pagine di cronaca nera dei quotidiani regionali. E su questo fronte la giunta regionale vuole dare un segnale chiaro. Dunque stop ai finanziamenti pubblici al Rototom Sunsplash. Che l’estate prossima, con ogni probabilità, verrà organizzato da qualche altra parte.

sabato 13 settembre 2008

BATTISTI


Non c’è stato giorno, in questi dieci anni passati dalla prematura e dolorosa scomparsa di Lucio Battisti, che una sua canzone non venisse trasmessa da una radio, cantata in coro da un gruppo di ragazzi armati di chitarra, canticchiata quasi sovrappensiero da uno qualsiasi di noi. Il segno quotidiano, forse banale, di come l’opera del cantante e autore di Poggio Bustone, provincia di Rieti - nato il 5 marzo ’43, morto il 9 settembre ’98 - sia entrata nel patrimonio collettivo della cultura popolare italiana. Quella che appartiene a tutti: grandi e piccoli, ricchi e poveri, belli e brutti, chi c’era e chi ancora non c’era.

Naturalmente anche alla destra e alla sinistra, ammesso e non concesso che questa distinzione abbia mai avuto un senso, parlando di un artista grandissimo - e disinteressato alle povere cose della politica: chissà, forse era avanti anche in questo... - come Battisti. Accusato di essere fascista solo perchè, in anni di sbandierato impegno a tutti i costi, lui si limitava a cantare i sentimenti e le piccole cose del quotidiano. O per quel famoso verso che parlava di «boschi di braccia tese», o ancora per quello scatto in cui l’innocuo saluto a qualcuno era stato demonizzato come un saluto romano.

Che storia, la sua. Gli rimproveravano quella voce un po’ così, il timbro roco, la ridotta estensione vocale. Sufficienti però negli anni Sessanta e Settanta a farlo entrare subito in sintonia con gli umori delle giovani generazioni, che sino a quel momento si erano musicalmente abbeverate soprattutto oltremanica e oltreoceano. Le ansie, le inquietudini, le speranze dei ragazzi italiani vengono da quel momento affidate anche alle sue canzoni. Che diventano fondamentali - come scrisse una volta il semiologo Omar Calabrese - nella formazione sentimentale di quella e un altro paio di generazioni.

L’Italia lo scopre al Sanremo ’69, quando si presenta con una testa piena di ricci e un variopinto foulard al collo, a cantare in coppia con Wilson Pickett «Un’avventura». In un mondo musicale nel quale i cosiddetti giovani erano sino a quel momento rappresentati in Italia da Gianni Morandi e da Rita Pavone, al massimo da Rokes e Giganti, il suo arrivo sconvolge gli equilibri consolidati e fa tabula rasa di un mondo vecchio, antico, superato dagli eventi. La tradizione della canzone italiana svecchiata con intuizioni e soluzioni mutuate dal rock e dalla musica nera. Praticamente una rivoluzione, pari a quella rappresentata una decina d’anni prima da Modugno con «Volare». O negli Stati Uniti da Elvis Presley, o in Inghilterra da Beatles e Rolling Stones.

Mogol e Battisti, assieme, uniscono tradizione e modernità, colto e popolare, pensieri e parole. Rinnovano la forma della canzone tradizionale e melodica, intesa come susseguirsi di strofa, ritornello, strofa, inciso, ritornello. Il loro è un canzoniere che comincia negli anni Sessanta e attraversa tutti gli anni Settanta, per concludersi per l’appunto nel 1980, con il sofferto divorzio artistico originato - pare - anche da plebei motivi economici e da confini fra brianzole proprietà confinanti.

In quel momento, crac, si rompe l’incantesimo. E di Battisti ne esistono due, o forse tre. Quello delle canzoni di una volta: bellissime, immortali, che continuano a essere ascoltate e cantate da ragazzi ed ex ragazzi di ieri e di oggi. Quello che prosegue il suo personalissimo percorso musicale, incurante delle critiche e dei gusti del pubblico, affidandosi alle liriche surreali di Pasquale Panella e destrutturando la forma canzone. E poi persino quello clonato, «falso», quasi alla maniera di un Picasso o di un Andy Warhol: gli Audio 2, due ragazzi napoletani che per una breve stagione costruiscono il loro effimero successo sulla capacità di scrivere e cantare nuove canzoni «alla maniera» del Battisti di una volta.

Aggiungiamo che l’ultima apparizione pubblica di Lucio Battisti risale al ’76, con la storica tournèe assieme alla Formula 3 (al termine della quale il cantante annuncia in un'intervista: «Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare con il pubblico solo per mezzo del suo lavoro») e con il viaggio a cavallo da Milano a Roma, assieme a Mogol, a testimoniare già allora una spiccata sensibilità nei confronti delle tematiche ecologiche (proprio come Adriano Celentano). E che l’ultima foto «autorizzata» la troviamo sulla copertina di «Una donna per amico» (’78). Da quel momento, solo immagini «rubate»: nel parcheggio di un supermercato, in una stazione di rifornimento sull’autostrada, ovunque.

Alberto Radius, chitarrista della «sua» Formula 3, ci spiegò anni fa: «Battisti non volle più suonare dal vivo perchè lui era poco tagliato per le esibizioni. Il contatto con il pubblico non gli è mai piaciuto, odiava il contatto stretto, quel senso di soffocamento, quel ”fammi l’autografo”, ”fammi far la foto”. Ad alcuni piace il bagno di folla. Lui era uno alla sua maniera, immerso in se stesso».

La scelta di non apparire, di rifiutare le regole dello show business, di negarsi all’invadenza dei media ma anche alla curiosità della gente, sono il tassello che manca all’entrata nel mito. Il mito di Lucio Battisti, un ragazzo che ha cambiato la nostra canzone forse senza neanche accorgersene. Un ragazzo degli anni Sessanta, che se n’è andato troppo presto. Ma che ci ha lasciato un patrimonio ricco e vitalissimo. Per questo, se da un lato ci manca, dall’altro lo sentiamo ancora vivo, presente con le sue canzoni nelle nostre giornate. Come tutti i grandi artisti