venerdì 31 marzo 2017

ADDIO FAUSTO MESOLELLA (AVION TRAVEL)

Fausto Mesolella aveva sessantaquattro anni ed era, con Peppe Servillo, il leader della Piccola Orchestra Avion Travel. Che fra le altre cose aveva vinto il Sanremo 2000 con il brano “Sentimento”. Se n’è andato ieri, nella sua casa a Caserta, la città dov’era nato nel febbraio 1953. Aveva cominciato a suonare la chitarra da ragazzino, aveva appena dodici anni. E non l’aveva abbandonata mai. Del suo rapporto con lo strumento a sei corde ebbe a dire: «Il termine compagna di vita per la mia chitarra è davvero molto indicato e, in quanto tale, dovrà esserlo fino alla fine, spero...». Nella sua Campania, già da adolescente, forma vari gruppi: i Condor, i Coronilla Varia, La Prima Pagina... Poi collabora con Augusto Martelli, forma il trio Mediterranea con cui incide l’album “Ecce Rock” e partecipa al Sanremo dell’81. Ma la svolta arriva nell’86, con la Piccola Orchestra Avion Travel. Il rapporto con la città dei fiori prosegue a fasi alterne. Nell’87 la band campana vince la prima edizione di Sanremo rock, nel ’98 sul palco dell’Ariston propone “Dormi e sogna”, che vince il premio della critica, il premio come miglior arrangiamento e quello come miglior canzone. La vittoria vera arriva due anni dopo, nel 2000, quasi a sorpresa - e grazie al voto determinante della giuria di qualità - con il citato “Sentimento”. Ma Mesolella è stato anche produttore, lavorando fra gli altri per Nada e Patrizia Laquidara, e autore per Andrea Bocelli. E ha collaborato tra i tanti con Gianna Nannini, Gian Maria Testa, Fiorella Mannoia, Tricarico, Raiz degli Almamegretta, Maria Nazionale, Samuele Bersani e Alessandro Mannarino.

mercoledì 22 marzo 2017

DOMANI LOREENA McKENNITT A TRIESTE

Comincia domani sera dal Politeama Rossetti di Trieste il nuovo tour italiano di Loreena McKennitt, cantautrice e polistrumentista canadese, icona della musica celtica. Il tour (che poi farà tappa a Padova, Roma, Firenze e Milano) arriva a cinque anni dai suoi precedenti concerti italiani ed europei, dopo la tournèe nel Nord America dell’autunno scorso. Il progetto “A Trio Performance” la vede sul palco con il chitarrista Brian Hughes e la violoncellista Caroline Lavelle, suoi storici collaboratori, in una dimensione più intima rispetto a passate proposte dal vivo. «È difficile credere - ha detto la musicista, classe 1957, presentando il tour - che siano passati cinque anni dall’ultima volta che siamo venuti in Europa. Abbiamo sempre amato le performance all’estero, soprattutto in primavera. Sono impaziente di condividere con il pubblico questa performance in trio e in particolare la sua intrinseca intimità. E, naturalmente, è sempre un piacere incontrare nuove persone e riconnettersi con quelle che abbiamo incontrato durante i precedenti tour». Nel concerto, Loreena Isabel Irene McKennitt (questo il suo nomer completo) presenta il suo ultimo album “Troubadours on the Rhine”, nove brani registrati in acustico assieme agli stessi due musicisti che la accompagnano nel tour. Oltre a cantare, l’artista si alternerà fra arpa e pianoforte. Suonando la musica e raccontando le storie che l’hanno ispirato nei suoi viaggi esotici alla ricerca delle tradizioni celtiche, dalla Cina alla Mongolia, fino alla Turchia e alla stessa Irlanda. Le biografie raccontano che Loreena, figlia di un grossista di mandrie e di un’infermiera, studi musicali di pianoforte e canto, abbandona il folk nordamericano del suo Canada quando una sera, poco più che ventenne, in un locale di Winnipeg, ascolta per la prima volta musica irlandese. È amore al primo ascolto, anzi, come disse lei una volta, ne rimase “attratta senza rimedio”. Di lì a poco, nell’81, si trasferisce a Strattford, nell’Ontario, dove pone le basi per la realizzazione di quello che nell’85 sarebbe stato il suo album d’esordio, “Elemental”. Le cui prime copie le vendette lei stessa, suonando per le strade di Toronto. Ma un ruolo nella sua scelta artistica lo ha avuto anche l’Italia. «A Venezia - ha detto infatti l’artista - tanti anni fa ho visto una mostra sulla cultura dei celti, scoprendo che le origini si spingevano fino all’Asia. Da lì la decisione di seguire la storia dei celti, piuttosto che restare ancorata alla musica tradizionale»

INTERVISTA A NEK, 2-5 A TRIESTE

L’album “Unici”, uscito pochi mesi fa, a giugno diventa “Unicos” e viene pubblicato anche in Spagna, Stati Uniti e America Latina. Il ventennale di “Laura non c’è”, suo primo grande successo che lo ha fatto diventare popolare in mezzo mondo, riletto per l’occasione in una nuova e aggiornata versione. L’atteso debutto all’Arena di Verona il 21 maggio, nell’ambito di un tour che comincia il 29 aprile da Bologna e andrà avanti fino ad agosto. E che farà tappa anche a Trieste, martedì 2 maggio, al Politeama Rossetti. Nek, nel nuovo album si avverte quasi una voglia di rimettersi in gioco. «È vero - conferma colui che all’anagrafe di Sassuolo, dov’è nato nel ’72, si chiama Filippo Neviani -, capita che passati i quaranta si abbia anche un po’ voglia di cambiare. Dunque questa volontà c’è, ma senza uscire troppo dagli schemi. Anche se non esiste una regola, tutto è frutto dell’istinto, di una ricerca che va e deve andare sempre avanti. Senza fare una rivoluzione, ma seguendo piuttosto un’evoluzione». Lo ha definito un album “elettronico ma umano”. «Appunto. Non avevo mai fatto un album con suoni così elettronici, ma mi sembra di non aver abbandonato la mia anima musicale. L’evoluzione di cui parlavo si traduce bene soprattutto dal vivo, su un palco, dove gli strumenti elettrici sono sempre e comunque comandati dall’uomo». La sua ricerca si è spinta fino alla musica nera. «Sì, per me è stata una novità assoluta: non avevo mai giocato con quelle sonorità. Volevo vedere e sentire l’effetto che fa la mia voce sposata a quei suoni, a quei vestiti sonori. Devo dire che sono rimasto soddisfatto, ma dal riscontro ottenuto mi sembra che anche il pubblico abbia gradito». Il duetto con J-Ax ha sorpreso molti. «Quel duetto è nato dal nostro lavoro, la collaborazione e l’amicizia sono nate e cresciute assieme. Lui mi ha aiutato molto con la sua ironia, la sua irriverenza. Forse ha tirato fuori una parte di me stesso che nemmeno io conoscevo. Alla base, per lui e per me e per molti altri, c’è sempre la volontà di esplorare strade nuove, territori non frequentati precedentemente, con la voglia di non fermarsi mai, di fare scelte diverse, di essere stimolati a cercare nuove soluzioni». Se le dico 21 maggio...? «Facile: terrò il mio primo concerto all’Arena di Verona, il tempio italiano della musica dal vivo, non sarà una cosa come un’altra. Anche se all’Arena ci sono già stato con varie manifestazioni: ci ho anche vinto un Festivalbar... (nel 2005, con “Lascia che io sia” - ndr). L’emozione comunque c’è. Ho scelto di fare una data unica, proprio per sottolinearlo. Da un lato, l’approccio sarà simile a quello di un concerto come tanti altri. Dall’altro, c’è sicuramente il valore aggiunto dovuto al luogo». Due anni fa ha regalato nuova giovinezza a un grande classico come “Se telefonando”. Com’è andata? «A Sanremo bisognava scegliere un brano per la serata delle cover. Mia moglie mi ha suggerito quella splendida canzone di Mina. Le ho dato la mia chiave di lettura nell’arrangiamento e l’ho cantata come se fosse una canzone mia, ma stando sempre attento a non snaturare l’originale. Visti i risultati, mi sembra sia andata bene...». Che ricordo ha di Trieste, dove nel 2009 ha realizzato un video? «Sì, era “Semplici emozioni”, dall’album “Un’altra direzione”. Ricordo che facemmo varie riprese, soprattutto vicino al mare, sulle vostre rive, sul molo Audace, vicino alla splendida piazza Unità. Ho dei ricordi rarefatti, perchè purtroppo non ho frequentato molto la città, che però ha certamente un suo fascino tutto particolare». Il concerto? «Le canzoni del disco nuovo, e poi tutte quelle che il pubblico vuole sentire. Con un posto particolare per la nuova versione di “Laura non c’è”...». . .

lunedì 20 marzo 2017

ADDIO CHUCK BERRY

Nel paradiso del rock’n’roll c’era un posto da tempo riservato a lui. Ora Chuck Berry, morto a novant’anni nella sua casa nel Missouri, non lontano dalla Saint Louis dov’era nato il 18 ottobre 1926, è andato a occupare quel posto. Primissima fila, solo per i padri fondatori. Sì, perchè «mentre Elvis Presley era la prima popstar del rock, beniamino delle adolescenti, Chuck Berry - come ha scritto il New York Times - ne era il teorico e genio concettuale, l’autore che capiva cosa i ragazzi volevano ancor prima che loro stessi lo sapessero». Ci lascia classici come “Johnny B. Goode” (del ’58), “Roll over Beethoven” (del ’56), “Rock and roll music”, “Back in the Usa”, “Sweet little sixteen” “Thirty days”, “You can’t catch me”, “School day” e tanto altro ancora. È stato uno dei primi miti del rock’n’roll, l’autore e l’interprete dei primi inni generazionali degli adolescenti che negli anni Cinquanta infiammavano i jukebox. Quello che ispirò John Lennon (che disse: «Se si volesse dare un altro nome al rock’n’roll lo si potrebbe chiamare Chuck Berry») e dunque i Beatles, ma anche e forse soprattutto i Rolling Stones. Quinto posto fra i “100 migliori artisti di sempre” secondo la rivista Rolling Stone. Che storia la sua. Famiglia del ceto medio, quarto di sei figli, da ragazzo Charles Edward Anderson “Chuck” Berry ama la musica (prima esibizione pubblica nel ’41 quando ancora frequenta la Sumner High School) ma è anche un birbantello. Nel ’44 finisce in riformatorio per una rapina. Quando esce mette su famiglia e suona la chitarra in vari gruppi, fra cui quello di Johnnie Johnson. «La curiosità - disse una volta - mi portò a suonare molta di quella roba country al nostro pubblico in prevalenza fatto di neri, e la gente iniziò a chiedere in giro “chi fosse quell'hillbilly nero che suonava al Cosmo”. Dopo che mi risero in faccia un paio di volte, iniziarono a chiedermi di suonare brani country perché erano ballabili». Poi conosce Muddy Waters, che lo presenta alla Chess Records. Nel ’55 debutta con “Maybellene”, riadattamento di un suo precedente brano. La formula: storie di adolescenti in cerca di libertà e divertimento, versi diretti e brevi, in un mix musicale di rhythm’n’blues, country e folk, che sfocia in un sano e solido rock’n’roll. Roba nuova per quei tempi, che ha un successo straordinario. I suoi capolavori sono concentrati fra il ’55 dell’esordio e il ’58, perchè nel ’59 viene condannato a tre anni di galera per aver introdotto illegalmente una minorenne negli Stati Uniti. Esce nel ’63 e torna subito nel giro proprio grazie alle cover di suoi brani che nel frattempo erano state incise da Beatles, Rolling Stones e Beach Boys (questi ultimi condannati molti anni dopo per plagio, essendosi “ispirati” per la loro “Surfin' Usa” alla sua “Sweet little sixteen”...). Fra il ’64 e il ’65 Chuck Berry pubblica otto singoli, fra cui “No particular place to go”, “You never can tell”, “Nadine”. Fra il ’66 e il ’69 escono cinque suoi album per la Mercury Records, fra cui il suo primo disco dal vivo “Live at Fillmore Auditorium”. Ma il successo è inferiore a quello dei tempi belli. Nei decenni successivi, Chuck Berry continua a incidere e suonare in giro per il mondo. Rispettato da pubblico e colleghi come un pioniere del rock, ma senza mai ripetere i successi del passato. Purtroppo ha anche continuato ad avere guai con la giustizia: grane con il fisco, possesso di stupefacenti, nel ’90 persino l’accusa di aver installato una videocamera nei bagni delle signore di un suo locale per spiarle ovviamente a loro insaputa. Genio e sregolatezza, insomma, come tante volte accade. Ha suonato quasi fino all’ultimo. Solo recentemente, provato dai tanti malanni dell’età, aveva appeso la sua leggendaria chitarra al chiodo. «Ci mancherai, Chuck. Be Good», ha scritto Obama su Twitter.

sabato 18 marzo 2017

LIGABUE SLITTA A OTTOBRE

Nuovo rinvio per i due concerti triestini di Ligabue. I fan del rocker di Correggio dovranno infatti aspettare l’autunno per vedere dal vivo il loro idolo. Le due date, inizialmente previste per ieri e oggi al PalaTrieste, che erano state appena rinviate a fine aprile, ora subiscono una riprogrammazione, assieme a tutto il tour “Made in Italy - Palasport 2017”. A Trieste il Liga suonerà il 23 e 24 ottobre. I biglietti rimangono validi, ma chi vorrà potrà ovviamente chiedere il rimborso con le consuete modalità (info su www.azalea.it). La causa: ancora problemi alle corde vocali, che sembravano superati ma evidentemente ancora non lo sono. Anzi, da quel che si evince dai comunicati, si sono aggravati e richiederanno un intervento chirurgico. «Mi hanno diagnosticato la malattia professionale di chi canta», ha infatti scritto Luciano Ligabue sui suoi account social. Si tratta di un polipo intracordale che ha interessato la corda vocale sinistra e che non gli permette di cantare. «Devo fare un intervento che mi dicono essere abbastanza semplice che però richiede qualche mese di recupero per la piena funzionalità delle corde vocali». Il tour riparte dunque il 4 settembre da Rimini, farà tappa a Lugano il 6 settembre, prima delle due date milanesi dell’8 e 9 settembre e del “pokerissimo” romano (12, 13, 15, 16 e 18 settembre). Prima di arrivare a Trieste a fine ottobre, da segnalare due date vicine: il 3 ottobre a Jesolo e il 5 a Conegliano. Conclusione del tour il 27 e 28 ottobre a Bologna.

sabato 11 marzo 2017

INTERVISTA MARIO BIONDI (19-3 Udine, 20-3 Trieste)

È appena tornato da un tour in Gran Bretagna, il tempo di ricaricare le batterie per alcuni giorni nella grande casa fra Parma e Reggio Emilia (l’ottavo figlio, Milo, ha sette mesi...), che è partita la tournèe italiana. Domenica 19 marzo farà tappa al Nuovo di Udine, lunedì 20 al Rossetti di Trieste. Lui è Mario Biondi, all’anagrafe Mario Ranno, catanese, classe 1971, forse il più internazionale degli artisti italiani. È appena uscito l’album “Best of soul”, con cui festeggia i dieci anni dal celebre disco d’esordio “Handful of soul”. Biondi, sono passati dieci anni. Ci pensa? «Certo che ci penso. E non mi sembra vero. È successo tutto così in fretta. Ancora non me ne rendo conto. Anche se la mia storia musicale è cominciata molto tempo prima di quell’esordio discografico». All’estero l’hanno amata quasi prima che in patria. «I miei amici inglesi mi chiamano “scheggia impazzita”: quello che fa di testa sua, quello non governato da una casa discografica o da un manager. Forse ho sfruttato il fascino esotico dell'italiano che canta in inglese. Diciamo che all’estero creo curiosità. Io mi sento sempre un outsider, quasi un apolide». Il tour in Gran Bretagna? «Molto bene. In Scozia ho avuto un’ottima accoglienza, a Londra abbiamo suonato in una chiesa gotica, c’era un pubblico attento, formato solo in piccola parte da italiani. Ormai non mi accorgo nemmeno più della differenza fra i concerti in Italia e all’estero». Ha sentito aria di Brexit? «No, anche perchè il pubblico della musica è molto “europeo”. Io chiacchiero fra un brano e l’altro. Ma anche fuori dal palco ho notato che il discorso della Brexit viene glissato da tutti, la verità è che molti non hanno apprezzato la scelta. E poi la musica unisce per definizione: canzone e cantante sono come un virus». Il nuovo album? «È una raccolta doppia con i successi di questi dieci anni, ma ci sono anche sette brani nuovi, tra cui il primo singolo estratto, “Do you feel like I feel”. Mi sembrava giusto ricordare i capitoli più importanti, ma anche offrire al pubblico qualcosa di più». Dopo questo tour farà punto e a capo? «In un certo senso. Ho tanti progetti. Sto cominciando a pensare al mio nuovo album di inediti, che conto di pubblicare l’anno prossimo. Ma sto anche lavorando a delle produzioni molto interessanti». Per esempio? «Ho collaborato al nuovo album di Marcella Bella, un’artista di razza, purtroppo molto sottovalutata in passato. Il pubblico si è fermato alla sua immagine “sanremese”, invece è un’interprete molto particolare. Non l’ha aiutata il fatto che lei, a un certo punto, si è dedicata completamente alla famiglia, ai figli. Mi ha chiesto di produrle il disco, poi le ho anche scritto cinque canzoni. L’album dovrebbe uscire prima dell’estate». Se n’è andato Al Jarreau. «Di lui ho un ricordo eccezionale. Quando ho avuto la fortuna e l’onore di collaborare con lui, ho scoperto proprio la persona e l’artista che mi aspettavo di trovare, quando ascoltavo e amavo i suoi dischi. Persona modesta, giocosa, che si sapeva prendere in giro, fra noi si era creato un affetto personale». E Pino Daniele quanto le manca? «Tanto. Ho avuto la fortuna di frequentarlo nella sua ultima casa, in Toscana. Si alzava alle nove, alle nove e mezzo aveva già la chitarra in mano: devo studiare, diceva. Dovevamo fare un disco e un tour assieme. Non c’è stato il tempo».

venerdì 10 marzo 2017

INTERVISTA LIGABUE, DALLA PARTE DI CHI NON HA VOCE (17 e e18 a TS)

Quelli che non hanno voce, quelli che ancora partono per cercare lavoro, quelli che il divario fra ricchi e poveri è sempre più ampio, quelli che però la speranza non la perdono mai. È il nostro mondo, cantato da Ligabue nel nuovo album “Made in Italy”, il cui tour fa tappa al palasport di Trieste venerdì 17 e sabato 18 marzo (biglietti ancora disponibili solo per la seconda data). «L’album - spiega Ligabue, classe 1960, emiliano di Correggio - è nato in un momento nel quale mi è venuta voglia di dar voce a persona normale, uno come tanti, un antieroe. Uno di quelli che solito non hanno voce, perchè qui sembra che puoi parlare solo se sei famoso, se sei importante». Riko è il suo alter ego? «Diciamo che potrei essere io se non avessi fatto il cantante. Ho provato a seguire la storia di questa persona, uno arrabbiato con il mondo per le condizioni in cui si trova, per la vita che non è come l’aveva immaginata e sperata. Allora parte un percorso, alla fine del quale lui acquista una consapevolezza maggiore, un approccio migliore con la vita». L’idea è nata nelle tappe straniera del “Mondovisione Tour”. «Sì, durante quel tour mi è venuta la voglia di raccontare il mio sentimento per il nostro paese. Giravo il mondo, suonavo a Melbourne, a Tokyo, a Shangai, a Los Angeles, e mi accorgevo di come le cose lì funzionassero, rispetto a casa nostra. E leggevo la nostalgia negli occhi dei ragazzi italiani che vivono lì: per alcuni una libera scelta, ma per molti dettata dalla necessità». Ragazzi costretti a partire? «Purtroppo sì. Amo l’Italia, ma odio le condizioni in cui versa, con i mille problemi di sempre. L’album in fondo è una lettera d’amore frustato per il nostro paese. Abbiamo il paese più bello mondo, ricco di tante cose ma in condizioni terribili. Senza vedere mai all’orizzonte chi possa risolvere questi problemi». Claudio Magris ha scritto che quello del Pd è un “suicidio assistito”. «In tema di autogol la sinistra non teme confronti, è la numero uno, almeno da quando ho memoria. La gente assiste all’ennesima scissione, che porterà l’ennesimo calo di voti e di votanti». Intanto la forbice fra ricchi e poveri si allarga. «È la considerazione amara che fa Riko. Comunque io non perdo la speranza, magari mi affliggo ma poi riparto». Dicono che la rete unisce solitudini ma non crea una vera comunità. «Non sono un sociologo. Ma credo che la rete offre una grande serie di opportunità, di conoscenze, di informazioni. Poi dipende tutto dalle persone, in rete si dà sfogo anche a tanta cattiveria. Comunque sì: la mia sensazione è che la gente sia sempre più connessa, ma la solitudine è molto diffusa». Nel disco non c’è soltanto rock. «Parlare attraverso un altro personaggio, la voce narrante di Riko, mi ha dato una maggiore libertà anche per quanto riguarda la musica. C’è sempre tanto rock, ma anche soul, reggae, rhytm’n’blues, ska... Generi che ho sempre amato ma che in passato ho frequentato poco». Lo scandalo del “secondary ticketing”? «Una brutta cosa. Il biglietto per un concerto deve avere una cifra sensata, penso che per una produzione importante, in grado di offrire il meglio al pubblico, non si debbano superare i 50/70 euro. Purtroppo c’è chi lucra, chi fa sparire i biglietti e poi li rivende a dieci, venti volte tanto. Dobbiamo evitarlo». Dopo questo tour? «Non lo so. Sono impegnato fino a maggio con cinquantacinque concerti nei palasport. E non ci sarà una ripresa estiva». Trieste? «Vi ho suonato tante volte, ma il ricordo della città sempre presente è quel video di “Eri bellissima” (dall’album “Fuori come va?”, del 2002 - ndr), girato su un tetto della città da cui si vedeva il mare. Cielo terso, azzurro meraviglioso, e intorno l’atmosfera particolare di una città assolutamente unica. L’architettura, le piazze, la bora, il mare...». Con che pezzo comincia? «”La vita facile”, il brano con cui comincia anche l’album. Poi mischiamo le canzoni nuove con i classici che la gente vuole comunque ascoltare. Nei primi concerti dividevamo le due parti, ora abbiamo cambiato, mi sembra che così funziona meglio...».

venerdì 3 marzo 2017

LIGABUE VERSO DOPPIO SOLD OUT A TRIESTE

Viaggia verso un clamoroso doppio tutto esaurito l’imminente ritorno di Ligabue a Trieste. Non ci sono infatti più biglietti per il concerto di venerdì 17 marzo (alla faccia dei superstiziosi...) al PalaTrieste, mentre sono ancora disponibili un po’ di tagliandi per la replica di sabato 18 marzo. Ma ci sono tutte le premesse - a sentire gli organizzatori e secondo logica - che anche questi volino via presto, mettendo a segno il citato doppio “sold out”: Il tour “Made in Italy - Palasport 2017” era nato sotto una cattiva stella. Rinviate l’anteprima prevista a Jesolo (il concerto verrà recuperato il 26 aprile) e le prime cinque date a Roma (recupero fra aprile e maggio), tutto a causa di un’influenzona e soprattutto un edema alle corde vocali ormai riassorbito. «Non mi era mai successo prima - ha spiegato il Liga -, ho dovuto fare i conti con questa mia nuova “vulnerabilità” e questo mi ha segato le gambe. Ma o mi fermavo dieci giorni o rischiavo uno stop di sei mesi...». Ma ora, finalmente, si fa sul serio: 55 date in programma nei palazzetti di ventisei città fino a maggio, per riassaporare l’ebrezza del Liga Rock Park di Monza dello scorso settembre davanti a oltre 130 mila persone. Il concerto che vedremo a Trieste prevede una prima parte con tutti e quattordici i brani del concept album “Made in Italy”, uscito a novembre e già triplo disco di platino. Nella seconda parte, giusto «per mandare a casa la gente contenta...», una manciata dei suoi classici, scelti nel ventennio che va dal 1990 dell’album d’esordio e il 2010 di “Arrivederci, Mostro!”. Quattro o cinque canzoni in scaletta verranno cambiate ogni sera. Durata prevista: due ore e un quarto.

FNSI CONTRO LINGUAGGIO DELL'ODIO E PER LIBERTÀ INFORMAZIONE

di Carlo Muscatello* Il contrasto al linguaggio dell'odio, l'impegno contro la censura e per la libertà di informazione, la tutela dei cronisti minacciati, la richiesta di una efficace normativa contro le querele temerarie. Tutti temi che sono ai primi punti dell'agenda di lavoro del sindacato dei giornalisti, che dunque in questi mesi non è impegnato solo sul fronte dei rinnovi contrattuali e della gestione delle vertenze. Cominciamo dalla manifestazione “Parole O_Stili”, svoltasi a Trieste, alla quale hanno aderito Fnsi e Assostampa Fvg, firmando il manifesto contro il linguaggio dell’odio e della violenza, in rete ma non solo, che vi è stato presentato. Il sindacato unitario dei giornalisti – che ha patrocinato la manifestazione triestina assieme all’Ordine dei giornalisti Fvg – condivide i principi che ispirano il manifesto, perché rifiuta la facile strada delle censure, dei bavagli e dei “tribunali della verità”, per puntare invece sul rispetto, sulla formazione, sulla responsabilità, sulla volontà di contrastare sempre e comunque il linguaggio dell’odio e della violenza, dentro e fuori la rete. Una scelta che rientra nel percorso scelto da tempo dalla Fnsi, che infatti partecipa sin dall’inizio anche al progetto dell’associazione Carta di Roma, che da anni analizza e combatte i linguaggi di odio, discriminazione e razzismo. Per tutte queste ragioni la Fnsi proporrà ai ministeri competenti di promuovere nelle scuole e nelle università corsi di formazione e laboratori didattici, a partire proprio dalle proposte di Carta di Roma, di Parole O-Stili e di quanti hanno nel cuore i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione. Il sindacato dei giornalisti raddoppierà inoltre le proprie iniziative volte a contrastare e respingere le parole e le azioni ostili scagliate da più parti contro i cronisti e il diritto di cronaca, con l’unico obiettivo di intimidire chi tenta di illuminare le terre occupate da mafia, malaffare e corruzione. E passiamo al tema del diritto/dovere di cronaca. «Dal momento che abbiamo sempre contrastato e continueremo a contrastare qualsiasi pulsione censoria e qualsiasi forma di bavaglio non possiamo non sottoporre alla Sua attenzione l’inaudita ed irresponsabile campagna di denigrazione e delegittimazione in atto nei confronti del libero esercizio del diritto di cronaca». È uno dei passaggi della lettera aperta che la Fnsi ha inviato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, i cui contenuti sono stati illustrati in una conferenza stampa a cui hanno preso parte anche alcuni giornalisti costretti a vivere sotto scorta per via delle loro inchieste, come Michele Albanese, Federica Angeli, Paolo Borrometi, Marilena Natale, Sandro Ruotolo. E Nello Trocchia, a cui invece la scorta non hanno ritenuto di doverla assegnare, nonostante le intimidazioni subite.«In Italia come all’estero – dice il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso – si sta imponendo l’idea che si debba fare a meno dei mediatori dell’informazione. Idea che si traduce in ripetuti tentativi di eliminare il diritto di cronaca e la libertà di informazione. In America c’è il presidente Trump, in Italia siamo al 77.o posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa. E questo perché dobbiamo fare i conti con fenomeni come le minacce ai giornalisti, le querele e le richieste di risarcimento danni temerarie, nodi strutturali irrisolti come la mancanza di leggi sul conflitto di interessi e sulle concentrazioni editoriali o di norme che rendano davvero la Rai indipendente dalla politica». Tutto ciò limita la libertà d’informazione e questo a danno del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. «Per questo ci rivolgiamo al presidente Mattarella affinché eserciti la sua autorevolezza sul parlamento ed esorti con un suo messaggio la politica a trovare soluzioni tempestive ed efficaci contro questa serie di problemi», ha concluso Lorusso. Una prima risposta dalle istituzioni è già arrivata con la convocazione da parte del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a un tavolo di approfondimento sulle querele temerarie. Un primo passo, cui devono però seguire impegni concreti. «Siamo sempre stati contrari alle liste di proscrizione e sempre lo saremo, senza distinzioni di colore o di bandiera politica. L’attacco al diritto di cronaca è oggi insostenibile, inaudito e irresponsabile. I politici – dice il presidente della Fnsi, Beppe Giulietti – devono capire che non possono scaricare sui cronisti le loro contraddizioni interne. I colleghi che sbagliano devono risponderne e ogni cittadino ha già a disposizione tutti gli strumenti necessari. Ma non si possono fare processi sommari a tutta la categoria. Non si possono invocare carcere e punizioni che limitino in alcun modo il diritto-dovere di fare informazione. Non si possono sopportare gli attacchi e gli insulti ai cronisti e ancora di più alle croniste, che ogni giorno vengono massacrate per il loro essere donne e madri, oltre che giornaliste». *presidente Assostampa Fvg, componente giunta Fnsi