lunedì 30 settembre 2013

MALIKA AYANE al BARCOLANA FESTIVAL

È Malika Ayane la star del Barcolana Festival 2013. La cantante milanese di origini marocchine per parte di padre chiuderà infatti, sabato 12 ottobre, in piazza Unità, la tre giorni della rassegna che accompagna l’attesa alla 45.a edizione della grande regata velica, in programma come sempre la seconda domenica di ottobre, che quest’anno cade il giorno 13. Il festival apre giovedì 10 con il blues-rock balcanico di Mike Sponza con la Central European Orchestra, prosegue venerdì 11 con le musiche del pianista e compositore cubano Omar Sosa, si conclude appunto sabato 12 con la cantante milanese. Sono ormai lontani i tempi in cui venivano proposti vari artisti per ognuna delle serate del festival. Ma, si sa, la crisi ammazza le migliori intenzioni. «Organizzare i concerti a corredo della Barcolana – tiene però a precisare Vincenzo Spina, presidente della Società Velica di Barcola e Grignano, che organizza la regata – è per il nostro sodalizio un impegno imponente, e ai limiti della sostenibilità economica: anche quest’anno abbiamo scelto di portare avanti la tradizione, perché sappiamo quanto sia importante dare una colonna sonora alla Barcolana. Il Comune di Trieste e AcegasAps sono al nostro fianco in questo evento, ma molte richieste di aiuto che abbiamo lanciato nei mesi scorsi sono rimaste inascoltate. Compiamo un sacrificio economico per poter organizzare anche questa parte dell’evento, del quale beneficia tutta la città». Torniamo al cast, scelto - secondo Riccardo Radivo, direttore artistico della rassegna - con particolare attenzione a «un tipo di musica più raffinata, valorizzando i veri musicisti presenti sul territorio e artisti internazionali di alto valore tecnico-artistico che interpretano un genere di musica più colto che commerciale». Il bluesman triestino Mike Sponza, molto attivo anche nell’Est Europa, celebra i suoi trent’anni di carriera con la big band slovena Central European Orchestra: quaranta elementi provenienti da Italia, Slovenia, Croazia e Inghilterra. Il cubano Omar Sosa, classe 1965, pianista e compositore molto apprezzato negli Stati Uniti e anche in Europa, sarà a Trieste con il suo quartetto. Ovvero Marque Gilmore alla batteria, Childo Tomas al basso elettrico e Peter Apfelbaum al sassofono. Considerato uno dei massimi esponenti del latin jazz, ha alle spalle ben diciassette album. E siamo alla fascinosa Malika Ayane, protagonista dell’ultima serata e star indiscussa della manifestazione. Nata nell’84, primi passi fra le voci bianche nella Scala e gli studi di violoncello al Conservatorio, dopo alcune esperienze nella pubblicità nel 2007 firma per la Sugar di Caterina Caselli: debutta l’anno successivo con l’album omonimo. Nel 2009, a Sanremo Giovani, lascia tutti a bocca aperta con il brano “Come foglie”. Al Festival ritorna altre due volte, fra i big: nel 2010 e quest’anno, con “E se poi”, che sfiora il podio piazzandosi al quarto posto. Il suo album più recente, uscito quest’anno, s’intitola “Ricreazione”. Una curiosità. Proprio all’ultimo Sanremo Malika ha svelato il significato del tatuaggio che non passa inosservato sulla sua schiena: «Rappresenta - ha detto - un intreccio di fiori: tulipani, margherite, potentille e belle di notte, per me molto importanti pecche nel giardino di casa di mia nonna, in Marocco, ce n’erano dappertutto. Un bocciolo di fiore ancora non è colorato, e lo stesso intreccio lascia intuire la possibilità di nuovi aggiornamenti. Ciò perchè il tattoo è in costante evoluzione, secondo una logica ben precisa: aggiungo un fiore ogni volta che succede qualcosa di importante nella mia vita...». L’artista ha anche tatuato il profilo di Corto Maltese sull’avambraccio sinistro. Sul destro si trova invece inciso un albero che cresce di volta in volta, con l’aggiunta di rami di inchiostro.

domenica 29 settembre 2013

DAL FORUM INFORMAZIONE su sito ARTICOLO21

Per salvare la nostra professione abbiamo bisogno di un sindacato più forte, di una Fnsi ancor più autorevole, capace di rappresentare una categoria che è radicalmente cambiata. Ho sempre pensato che avere un sindacato unico e unitario sia l'ultima ricchezza, l'ultimo grande privilegio della nostra bistrattata ma sempre fascinosa e amata professione. Una professione che crisi e nuove tecnologie hanno reso quasi irriconoscibile da quando molti di noi l'hanno cominciata. Una professione ieri fatta di presunti privilegiati che facevano "il lavoro più bello del mondo" ed erano pure ben pagati, oggi piena di ex ragazzi di trenta o quarant'anni che non verranno mai assunti da nessuna parte e mettono assieme a fatica il pranzo con la cena. Piena di redattori che lavorano più ore dell'orologio e hanno trattamenti economici "depotenziati". Piena di colleghi di 58/60 anni che vengono prepensionati (cioè cacciati fuori) quando forse potrebbero ancora dare il loro contributo di esperienza e di idee. In questo quadro avere un sindacato unico e unitario è un tesoro che molti colleghi non si accorgono nemmeno di avere a disposizione, una risorsa preziosa e importante della quale si ricordano magari solo quando hanno bisogno di qualcosa, un capitale umano e ideale che per rimanere tale deve essere coltivato e preservato innanzitutto da se stesso. Oggi, mentre la battaglia al tavolo del rinnovo contrattuale sembra essere volta più a non farci togliere ancora qualcosa, che a conquistare nuovi diritti e migliori trattamenti anche economici, oggi anche la nostra Fnsi è un bivio. Se come giornalisti da sempre critichiamo la politica che non sa rinnovarsi, diciamo - per restare all'eufemismo - che a casa nostra e nelle nostre cose non sempre diamo il buon esempio. La politica e i partiti muoiono (anche) di correnti, il sindacato è affetto da quella malattia antica chiamata componenti. E' bello leggere in questo utilissimo forum (grazie Stefano, grazie Beppe...) autorevoli esponenti di queste ultime schierarsi contro la "gabbia delle componenti", dire che vanno renzianamente rottamate. Speriamo che alle parole seguano i fatti. Magari già al prossimo congresso. Da parte mia, sogno una Fnsi nella quale ci si divida sulle idee e non sul fatto che tu sei della componente x e io di quella y. Una Fnsi nella quale, se serve, se è utile, si faccia anche baruffa sulle strategie da adottare, sul modo per contrastare le politiche spesso ottuse degli editori, su come difendere i nostri diritti e lottare per la salvaguardia delle libertà che non sono nostre ma di tutti. Non è più il tempo di una Fnsi dell'uomo solo al comando, nella quale le componenti sono solo un sistema di spartizione di piccoli posti di piccolo, presunto potere, nella quale il grande patrimonio e l'indubbio potenziale del sindacato unitario rischiano di venire dispersi. In altre sedi si discute spesso dell'etica della professione da recuperare. Diciamo allora che l'etica va ritrovata anche nei nostri enti di rappresentanza. Nei quali, al consiglio nazionale dell'Ordine (organismo pletorico, ma non è questa la sede...) come nella giunta della Fnsi, non sia considerato normale e dunque normalmente accettato che chi può mettersi ai sensi del contratto in permesso sindacale (e dunque non perdere nemmeno un euro del proprio stipendio) incassi pure fior di gettoni di presenza. Neanche fossimo nel cda di una grande azienda... C'è bisogno di una svolta. Anche nelle piccole cose. Per sopravvivere.

venerdì 27 settembre 2013

COSLOVICH, musicista triestino a festival londra

Sarà l’unico musicista italiano a partecipare, con proprie composizioni, al prestigioso London New Wind Festival. E anche all’importante rassegna “DissonArt” di Salonicco. Stiamo parlando del triestino Giorgio Coslovich, un vita sempre in bilico fra musica (la sua vera, grande passione), giornalismo e ricerche storiche. Tanti anni fa, all’alba dei Settanta, aveva cominciato con il pop/rock. Dopo varie esperienze (musiche per documentari, sonorizzazioni, sigle nel campo radiotv...), ora, negli anni della piena maturità, le sue antenne si sono spostate verso i territori della musica classica contemporanea. Ed è proprio un suo brano in bilico fra classica e contemporanea, “La Cour de Avignon”, fra l’altro tratto da una suite, parteciperà al festival che si svolge a Londra a novembre. «Per me è una grande soddisfazione - dice Coslovich, classe 1948 - essere ammesso a questa rassegna che propone partiture provenienti da tutto il mondo. Il tradizionale evento musicale, diretto da Catherine Pluygers, oboista di fama internazionale, è dedicato a nuove composizioni per strumenti a fiato. Il fatto di essere l’unico italiano rappresenta una soddisfazione doppia». “La Cour de Avignon”, riadattato per quintetto di fiati (oboe, flauto, clarinetto, corno e fagotto), rappresenterà il nostro Paese - fra tanti brani di compositori prevalentemente inglesi e statunitensi - al concerto del 22 novembre nella Regent Hall di Oxford Street. «Negli ultimi anni - prosegue l’artista, che è quasi autodidatta - scrivo soprattutto per orchestra d’archi, come la mia recente “Joyce Choice”, sugli anni triestini dello scrittore irlandese. Sto lavorando anche a un progetto più ampio finalizzato a un concerto, la cui registrazione dovrebbe poi sfociare in un cd. Il punto, in questo caso, è riuscire a individuare e coordinare un organico di strumentisti motivati e aperti a schemi innovativi, sempre nell’ambito di un filone classico-contemporaneo». Ma quello londinese, si diceva, non è l’unico impegno internazionale di Coslovich. A metà ottobre una sua “miniatura”, ovvero un brano di brevissima durata, farà parte delle circa cento performance del “DissonArt” di Salonicco.

martedì 24 settembre 2013

PORDENONELEGGE a Trieste? Modello non esportabile...

Pordenonelegge mette in archivio un’altra edizione - la quattordicesima - di grande successo. Le oltre 120mila presenze dichiarate dagli organizzatori, assieme al livello degli ospiti e delle varie iniziative, pongono ormai il festival in una posizione di assoluto prestigio a livello nazionale. Ma cosa farebbero il direttore artistico Gian Mario Villalta e il suo staff se dovessero organizzare qualcosa di analogo a Trieste, città letteraria per eccellenza ma ormai “parente povero” del capoluogo della Destra Tagliamento a livello di manifestazioni? «Diciamo subito - risponde Villalta - che Trieste sarebbe perfetta. Ha tutto. Sarebbe una sede ottima, seppur decentrata e con i noti problemi di collegamenti. Ma la città è molto forte, molto presente nell’immaginario letterario europeo e non solo europeo». Ancora il direttore: «Detto questo, va segnalato che non esiste un “modello Pordenone” facilmente esportabile, non c’è un prodotto finito già pronto e impacchettato da trapiantare altrove. Ogni pianta cresce su un certo tipo di terreno. Da noi è stato un lavoro lungo, un processo lento, siamo cresciuti con la volontà e la passione per cose che sono poi divenute l’anima del nostro festival. Dietro al quale ci sono anche molta fatica e altrettanto spirito di sacrificio». «Dunque - prosegue Villalta -, per organizzare qualcosa di analogo a Trieste serve gente in grado di far lavorare assieme realtà che già esistono, tante vengono anche al nostro festival, in un’ottica di lavoro collettivo e unitario. E gente che a quest’impresa dedichi la vita, disposta a metterci la faccia anche se poi le cose vanno male, capace di scegliere e dunque di dire anche dei no. Per organizzare un festival come questo non bastano le chiacchiere che si fanno al caffè...». Messaggio ricevuto, verrebbe da dire. Poi, a Trieste, superato questo primo ordine di problemi, bisognerebbe identificare una sede, un luogo. Anzi, come si dice adesso “una location”. «La tentazione del porto vecchio - immagina Villalta - è sicuramente suggestiva, ma forse di difficile realizzazione e gestione. L’alternativa potrebbe essere un’area del centro, anche perchè credo che la forza di Pordenonelegge è che tutto si svolge in poche centinaia di metri. Dove succede tutto...». Anche se ormai, dopo i numeri di quest’anno, qualche problema di spazio cominciate ad averlo anche voi. «Sì, ma è difficile inventarsi delle soluzioni altrove. I pordenonesi, che all’inizio non ci volevano perchè portavamo confusione, non si sposterebbero nemmeno se organizzassimo qualcosa nel comprensorio fieristico, poco più di un chilometro dal centro. Ho detto tutto...». Per crescere ancora dunque non restano che internet, i social network. «Quello sicuramente - conclude Villalta -. Già quest’anno abbiamo registrato una crescita esponenziale di contatti sul web. Contiamo di fare di più. È l’obbiettivo del futuro, peraltro ancora tutto da costruire. Da Pordenone al mondo...».

lunedì 23 settembre 2013

TRIESTE IS ROCK RIPARTE DAI CIRCUS MAXIMUS, PORDENONE DAL BANCO...

Lo chiamano “l’autunno caldo di Trieste is rock”. La benemerita associazione di rockettari triestini riparte infatti dopo la pausa estiva con un poker di appuntamenti di rilievo. Si comincia martedì ai Macaki di viale XX Settembre con il “prog metal” dei norvegesi Circus Maximus, gruppo di Oslo, nell’ambito di una serata che si annuncia come un piccolo festival, completato dagli svizzeri Appearance of nothing, i romani Dgm e i triestini Blue Rose. Si prosegue, ancora ai Macaki, il 4 ottobre con i triestini Sinheresy (che presentano il disco “Paint the world”, esperimento di “metal sinfonico”) e il 31 ottobre con il rock melodico dei canadesi Harem Scarem (nel ventennale del loro “Mood swings”, aprono le danze gli emiliani Perfect view), mentre il 5 novembre si trasloca al Teatro Miela con il rock duro in stile “gipsy” degli inglesi Quireboys (serata aperta dagli svedesi di Malmoe Bonafide e dai locali Gonzales). Ma l’appuntamento più atteso è quello del 21 novembre, ancora al Miela, con l’unica data italiana del tour europeo dei Kamelot (aprono la serata ReVamp e Tellus Requiem). Il concerto triestino della band di Tampa, Florida, verrà probabilmente incluso nelle registrazioni del loro prossimo dvd. Info www.triesteisrock.it Ma la fine dell’estate porta il risveglio di altre piccole ma importanti stagioni musicali nel Friuli Venezia Giulia. È il caso del Deposito Giordani di Pordenone, mecca regionale del rock e dei suoni contemporanei, che riparte venerdì 4 ottobre con il concerto del Banco (già “del Mutuo Soccorso”). La band romana, fra i protagonisti all’inizio degli anni Settanta dell’allora nascente pop italiano, da sempre attiva dal vivo anche all’estero (dal Giappone al Messico, dal Brasile al Canada, fino agli Stati Uniti...), torna in regione ancora nell’ambito del lungo tour del quarantennale già visto da queste parti. Una settimana dopo, l’11 ottobre, arriva il cantante e pianista Matthew Lee (nato a Pesaro, nonostante il nome...). Si prosegue sabato 12 con il reggae di Frank Raya, venerdì 18 con i Tree Gees (tribute band dei Bee Gees), sabato 19 con gli inglesi Ozric Tentacles (nel loro trentennale), sabato 26 ottobre con gli italiani Sharyband (campioni della dance). Ed è solo l’inizio... Info www.depositogiordani.it

venerdì 20 settembre 2013

PETER GABRIEL da zagabria a belgrado, un'odissea farsi rimborsare il biglietto

È diventata una piccola odissea la vicenda del rimborso dei biglietti per il concerto di Peter Gabriel del 5 ottobre, inizialmente annunciato a Zagabria e poi, pare per problemi di insolvenza del promoter croato, trasferito a Belgrado. Come si potrà comprendere, con tutto l’amore dei fan vecchi e nuovi per l’ex leader dei Genesis, non tutti quelli che avevano acquistato il biglietto per la tappa nella capitale croata (diverse centinaia a Trieste e nel resto della regione) sono disposti a sobbarcarsi un viaggio di oltre seicento chilometri al posto dei duecento e rotti preventivati. Dunque hanno dato per scontata la possibilità di rinunciare e chiedere il rimborso. Errore. In un primo momento gli organizzatori hanno infatti comunicato che il rimborso è previsto - si ignora secondo quale logica e procedura - solo per chi ha acquistato il biglietto dopo il primo agosto. Per chi invece ha sganciato la grana prima, niente da fare. “Obbligati” ad andare a Belgrado, con la magra consolazione di essere accolti da “un piccolo regalo e un welcome drink”. Oppure, in caso di rinuncia, per bontà dell’organizzatore del tour Live Nation, il dvd del concerto di Belgrado (peraltro da richiedere comunicando il codice a barre del biglietto non utilizzato...). Ulteriore fregatura: se il tagliando per Zagabria è stato acquistato in Italia o in Slovenia, può venir scambiato con quello per Belgrado direttamente alle casse dell’Arena Kombank dove si terrà il concerto. Se invece qualche fan, per sua sventura, ha comprato il biglietto in una località croata, dove magari si trovava in vacanza, la beffa consiste nel fatto che il cambio deve essere effettuato nel luogo dell’acquisto. Insomma, un bel pasticcio. Che avvalora un’antica convinzione: acquistare i biglietti in prevendita solo in caso di teatri e posti numerati, evitare (o almeno non comprarli con troppo anticipo) per spazi grandi come palasport o stadi, dove raramente i tagliandi non vengono venduti anche la sera stessa del concerto. Per quanto riguarda Peter Gabriel, che il 7 ottobre terrà l’unica data italiana del tour al Forum di Milano, pare che dopo le proteste gli organizzatori abbiano deciso di rimborsare - attesa per oggi una nota ufficiale - tutti i biglietti per il concerto di Zagabria a quanti non possano o vogliano andare a Belgrado. Per gli altri, confermato da Trieste il pullman in partenza alle 10 di sabato 5 ottobre (info Multimedia Radioattività 040-304444).

martedì 17 settembre 2013

PAUL McCARTNEY domani Rockshow al cinema, a ottobre nuovo album

In attesa del suo nuovo album (“New”, esce il 14 ottobre) e del secondo volume antologico dei suoi eterni Beatles (“On Air - Live at the Bbc Volume 2”, disponibile dall’11 novembre), domani i fan di Paul McCartney potranno vedere il proprio idolo al cinema. Esce infatti nel circuito The Space (a Trieste alle Torri, in Friuli a Pradamano) il film “McCartney and Wings - Rockshow”. Facciamo un salto indietro di una quarantina d’anni. Il 10 aprile 1970 Paul annuncia lo scioglimento dei Beatles. Anche se è da quasi un anno, subito dopo la fine delle registrazioni di “Abbey Road”, che i “Fab Four” hanno preso strade diverse. Il Macca è indeciso fra la carriera solista e una nuova band. Decide per un ibrido. Nell’estate del ’71 unisce sua moglie Linda, il batterista Danny Seiwell e il chitarrista Danny Laine. E nascono Paul McCartney & Wings. Il primo album non convince. Si vivacchia fino al ’73, quando “Red Rose Speedway” scala le classifiche. Subito dopo arriva “Live and let die”, la celebre canzone inserita nella colonna sonora di “Agente 007 - Vivi e lascia morire”. E poi ancora “Band on the run”, forse il miglior disco solista del nostro. Questo “Rockshow” documenta il tour mondiale durato due anni, nel ’75 e nel ’76. Montato e realizzato nell’80, si concentra sulle date americane del secondo anno del tour, a New York, Seattle, Washington, Los Angeles. Scaletta strepitosa, che alterna i classici beatlesiani e i brani più importanti della sua produzione solista. Dallo stesso tour è stato tratto anche il triplo album dal vivo “Wings over America”. Il film ha debuttato nel novembre ’80 a New York e nell’aprile ’81 a Londra. Ora ritorna nella versione restaurata e rimasterizzata, in contemporanea mondiale in settecento sale. A celebrare un tour entrato nella storia della musica pop, con oltre un milione di spettatori in tutto il mondo. Protagonisti: ovviamente Paul e Linda McCartney (scomparsa nel ’98 per un tumore, alla quale l’artista deve la sua salvezza dall’alcol e dalla droga, come ha confessato a Tom Doyle nella nuova biografia appena uscita), ma anche Danny Laine, Jimmy McCulloch e Joe English. Ma dicevamo del nuovo album, il primo di inediti da sei anni a questa parte. Anticipato dal singolo omonimo, “New” comprende dodici nuove canzoni.

lunedì 16 settembre 2013

ORCHESTRA GIOVANILE EUROPEA apre a Trieste i Dialoghi con i cittadini ma rischia di morire

Oggi alle 14.30, alla Stazione Marittima di Trieste, (una parte de) l’Orchestra dei giovani musicisti europei aprirà con l’esecuzione dell’inno europeo i “Dialoghi con i cittadini europei”. Saranno dunque trentanove ragazzi provenienti dalle scuole di musica di Italia, Slovenia, Serbia, Romania e Slovacchia a inaugurare l’evento promosso dalla Commissione Europea per celebrare l’Anno europeo dei cittadini. Detta così, una bellissima cosa. Dietro la quale purtroppo si cela una storia tipicamente triestina (se preferite, italiana) di progetti, promesse, belle parole ma pochi fatti concreti. Andiamo per ordine, con l’aiuto di Igor Coretti Kuret, direttore artistico, ideatore e anima dell’orchestra in questione, nata nel ’98 a Trieste come orchestra sinfonica, denominata anche Wonderful Youth Orchestra. Che nel corso di questi anni si è esibita a Praga, Vienna, Berlino, Budapest, Bucarest, Belgrado, Lubiana, Zagabria, Bratislava, Minsk, Varsavia e Roma. Apprezzata da mostri sacri come Yehudi Menuhin e Uto Ughi. «Siamo reduci - spiega il musicista - da alcuni concerti nei Balcani, finanziati dalla Commissione Europea, per festeggiare l’ingresso della Croazia in Europa. Da tempo volevamo fare qualcosa anche a Trieste, fra l’altro per festeggiare i nostri quindici anni di attività. Ma sembra che sia quasi impossibile». Ancora Coretti Kuret: «Lo scorso anno ci eravamo proposti per un concerto nell’ambito della stagione musicale estiva. Siamo riusciti a fare due bellissimi concerti nel parco dell’Itis, nell’agosto 2012, ma forse la nostra orchestra poteva ambire a un palcoscenico, diciamo così, più centrale». Incontri con il sindaco e il vicesindaco di Trieste, con l’assessore alla cultura comunale e regionale. Parole di incoraggiamento, vedremo quello che si potrà fare, ma le difficoltà logistiche e soprattutto economiche - nonostante la buona volontà dei soggetti citati - sembrano insormontabili. «Devo dire al proposito - sottolinea il direttore dell’ensemble - che l’orchestra è formata da 85 giovani musicisti di Austria, Bielorussia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Macedonia, Moldavia, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Ungheria e ovviamente Italia. Un gruppo importante, che prima di un concerto va riunito per almeno tre o quattro giorni per le prove. Spostare e alloggiare tante persone richiede dunque un impegno economico non da poco». Nei mesi scorsi nasce l’idea di alcuni concerti in occasione del vertice fra Italia, Slovenia e Croazia svoltosi pochi giorni fa a Venezia. Il copione si ripete: progetti, promesse, belle parole, poi la ritirata strategica, e sempre per motivi economici. «Sono deluso, siamo molto delusi - conclude Igor Coretti Kuret -. Vorrei tanto che questa orchestra potesse vivere ancora, ma è sempre più difficile. Solo perchè la vicesindaco di Trieste Fabiana Martini, che ringrazio come ringrazio tutte le persone che ci hanno incoraggiato e si sono impegnate, ha insistito e ci ha chiesto di fare comunque qualcosa, abbiamo allestito questa “formazione ridotta” per l’esecuzione dell’inno in apertura dei “Dialoghi con i cittadini europei”. Ma così non ce la facciamo più...». E creare un fondo europeo, con il contributo dei paesi da cui provengono i giovani e della stessa Comunità?

sabato 14 settembre 2013

domani Concerto per il VAJONT, REMO ANZOVINO, 50 anni dopo la tragedia

Remo Anzovino, pordenonese, classe 1976, aveva solo dieci anni quando i suoi genitori - di origine napoletana - lo portarono sui luoghi della tragedia del Vajont. «Questa non è una gita, mi disse mio padre, ma il posto dove è successa una cosa terribile che capirai quando sarai più grande...». È dunque con un’emozione particolare che il pianista e compositore, ormai apprezzato in mezzo mondo, si appresta a tenere domani alle 16 il suo “Concerto della memoria”, a Erto e Casso, Pordenone, proprio accanto alla diga del Vajont. «È il concerto - spiega l’artista - che ho sognato di fare quando ho scritto la “Suite per il Vajont”, compresa nel mio recente album “Viaggiatore immobile”. Sembrava una cosa impossibile, suonare in quel luogo, vicino a quella diga, invece...». Invece il concerto si fa, è un evento gratuito, inserito nelle celebrazioni per il cinquantenario del disastro, che chiude la tre giorni intitolata “La Protezione civile e il Vajont: prevenzione, soccorso, memoria”. Era la notte del 9 ottobre del 1963 quando circa 260 milioni di metri cubi del monte Toc franarono nel lago artificiale, sollevando un’ondata che distrusse quasi completamente Longarone e parte di Castellavazzo e le frazioni di Pineda, Prada, San Martino, Le Spesse in Comune di Erto e Casso. Duemila morti. «L’Onu - prosegue Anzovino - cinque anni fa ha parlato del più grande “disastro evitabile”. Sì, perchè non è stata una tragedia naturale, si poteva evitare, si sapeva della grande frana su quel monte, c’erano le prove e sono state alterate. È stato dimostrato nei processi». «Il Vajont per me è una grande storia, un simbolo di speranza, il simbolo di un popolo sradicato che ha avuto il coraggio di lottare per riprendersi la sua identità. Sono grato a Marco Paolini, il primo a scoperchiare quella storia, a farla conoscere a tutti. La mia musica è nata dalla suggestione di quello spettacolo. Io ho la fortuna di essere ascoltato anche fuori dall’Italia. E voglio far conoscere questa tragedia italiana a tutti». «La musica - conclude Anzovino, atteso entro fine anno da un tour in Cina - è fantasia, ma qui parliamo di cose, di tragedia vere. Penso anche che la musica possa aiutare la memoria. Cinquanta anni dalla notte del Vajont sono tanti per chi vuole si dimentichi. Sono niente per chi vuole ancora sapere perché».