domenica 30 settembre 2007

"Scusi ma non è che con gli anni lei è semplicemente diventato un po’ di destra...?" Giampaolo Pansa, di cui martedì esce per Sperling & Kupfer «I gendarmi della memoria» (pagg. 503, euro19), sottotitolo «Chi imprigiona la verità sulla guerra civile», incassa la domanda ridacchiando e poi risponde così: «Magari. Magari fossi diventato di destra. Vorrebbe dire che in Italia c’è una destra ragionevole, e io almeno avrei una parte in cui riconoscermi...».

Un attimo di pausa e poi lui - classe 1935, grande firma del giornalismo italiano, che con gli ultimi libri ha messo a nudo verità scomode vecchie di sessant’anni, scontentando i suoi vecchi compagni - prosegue serio: «No, non sono diventato di destra. Purtroppo sono ancora di sinistra. Sono un cane sciolto senza collare, che non trova più la sinistra che vorrebbe. Ha presente quei vecchi cani da caccia che vanno in giro annusando, col muso basso, cercando un odore che gli somigli? Ecco, io mi sono così. Vado annusando dappertutto, ma non trovo un odore che mi piaccia. Anzi, sento in giro un fetore sempre più insopportabile...».

E questo nuovo libro?

«All’inizio volevo solo raccontare nuove storie della guerra civile. Volevo scrivere delle esecuzioni interne alla Resistenza, delle fucilazioni di comandanti partigiani che non erano in linea con la strategia del Partito Comunista...».

C’è anche una storia del Friuli Venezia Giulia...

«Sì, è l’episodio di un comandante garibaldino che comandava la polizia partigiana e che venne ucciso il 30 aprile, alla vigilia della liberazione di Udine. Me l’hanno raccontato i suoi figli, Ivo e Maria Grazia Scagliarini. Ne scrivo nel capitolo ”Colpo alla nuca”...».

Stava raccontando di com’è nato il libro.

«Sì, l’altro argomento tabù che volevo trattare è la cosiddetta strategia del delitto messa in atto dal Partito Comunista dopo la fine della guerra, e preparata in vista dell’insurrezione. Ho raccolto molte storie che riguardano una delle zone chiave del Pci dell’Italia del Nord, quella Reggio Emilia che col suo triangolo rosso era la capitale politica del partito al Nord».

Queste le intenzioni. Poi cos’è successo?

«È successo che mi sono trovato a scrivere un libro anche di attualità politica sulla sconfitta di quelle che io chiamo le dieci sinistre italiane, molte delle quali, quelle più radicali e regressiste, avevano messo i bastoni tra le ruote all’uscita del mio libro ”La grande bugia”, non riuscendo però a impedirmi di venderne qualcosa come 350 mila copie».

In certi posti le hanno però impedito di parlare.

«E questo è stato grave. Ricordo un anno fa a Reggio Emilia, e poi quella volta a Bassano del Grappa, quando hanno dovuto chiamare i fabbri per aprire la libreria dove dovevo presentare il mio volume. L’intento era chiarissimo: qui Pansa non deve parlare. Poi mi sono visto costretto a sospendere metà degli incontri che avevo previsto, soprattutto quelli nelle librerie, perchè ogni volta mi dovevo presentare protetto dalla polizia e i librai erano giustamente spaventati».

Per questo libro ha previsto incontri pubblici?

«No, ma non per paura. Penso che in un Paese dove ci sono la mafia, la camorra, la ndrangheta, la sacra corona unita, la criminalità diffusa, le vecchiette rapinate per le strade, le ragazze strupate, i furti nelle abitazioni e tutta l’altra robaccia che leggiamo ogni mattina sui giornali, beh, in questa situazione non penso che le forze dell’ordine debbano proteggere me perchè ho scritto un nuovo libro. No, non andrò in giro per protesta».

Diceva delle sconfitte della sinistra. Prosegua.

«Le sconfitte sono quelle che sono davanti agli occhi di tutti. Queste sinistre hanno cominciato a pestarsi fra loro, a combattersi ogni giorno, al punto da mettere a rischio lo stesso governo che sostengono. Io dico che non c’è riformismo senza revisionismo, ovvero non c’è futuro senza passato. Se il tuo passato non convince, non è limpido, se continua a restare - per dirla con Napolitano - pieno di zone d’ombra, se insomma continua a puzzare di reticenza e di bugie, perchè gli elettori dovrebbero credere a quello che prometti loro per il futuro?»

Lei denuncia anche il silenzio sulla Repubblica di Salò.

«La storia la scrivono i vincitori, chi ha perso deve stare zitto e subire, lo sappiamo. Ma a distanza di sessantadue anni trovo che chi ha vinto, peraltro sotto le bandiere della libertà e della democrazia, avrebbe dovuto e potuto essere più generoso nei confronti degli sconfitti. Qui parliamo di metà del Paese costretta a non parlare della propria storia, a nasconderla. È gente che ha creduto giusto combattere, io penso che politicamente sbagliavano, ma vanno comunque rispettati».

Chi sono allora i gendarmi della memoria?

«Sono questi partiti che dovrebbero rappresentare la sinistra, e sostenerla, e invece finiscono per strangolarla. Ma anche l’Anpi, i tanti Istituti della Resistenza, i tanti storici dimezzati legati a questo o quel partito... La loro boria li ha fregati: non si sono resi conto che a forza di nascondere, di cercare di impedire che qualcuno facesse il suo piccolo lavoro, scrivendo una storia più completa della guerra civile italiana e della Resistenza, alla fine si sarebbero fottuti con le loro stesse mani. Com’è appunto successo».

Ai gendarmi della memoria il 14 ottobre si aggiungerà anche il Partito Democratico?

«Bella domanda... Io di fronte alle cose nuove mi attengo a quelle famose politologhe che sono le massaie inglesi. È la vecchia battuta del budino: sai se è buono solo dopo quarantotto ore che l’hai mangiato. La prova se Veltroni e gli altri stanno preparando qualcosa di buono o di indigesto l’avremo soltanto dopo averlo visto e provato».

Lei nutre speranze?

«Io non ho più molte speranze, davanti a queste sinistre allo sbando. Che con me si sono comportate male. Sapevano e sanno che le cose che racconto sono vere, non ho mai ricevuto smentite né denunce. Ma hanno proseguito a raccontare balle perchè hanno seri problemi elettorali, il loro fatturato è calante, hanno bisogno anche dell’ultimo voto dell’ultimo partigiano dell’Anpi... E poi perchè hanno il terrore di affrontare il passato per non veder condizionato il futuro. Senza capire quel che ho detto prima: se non hai un passato limpido non puoi avere nemmeno un futuro certo».

Dunque ha ragione Grillo?

«No, lui non mi piace. Semina intolleranza, violenza verbale, e poi quando lo vedo sul palco gridare ”Italianiii...” mi viene un brivido sulla schiena. Mi ricorda quel signore dal balcone di piazza Venezia, che io vedevo da bambino nei filmati dell’Istituto Luce, quando andavo al cinema con mio padre e mia madre... No, Grillo non mi convince. Questa storia che bisogna distruggere i partiti sarebbe tragica se non fosse grottesca. I partiti vanno riformati, non possono andare avanti come sono oggi».

Ma Stella e Rizzo segnalano che la «casta» non dà segni di voler cambiare, nemmeno dopo tutto quel che è successo in questi mesi...

«La casta non si muove fino a che non è spinta dentro il baratro. E forse non si rende conto che il baratro è vicino. Finchè l’acqua non le arriva alla cintura non si rende conto che sta per annegare. Hanno troppi interessi».

Il suo giornale, L’Espresso, ha parlato anche della casta dei sindacalisti; altri di quella dei giornalisti...

«Robetta al confronto della casta vera. Noi giornalisti, poi, al massimo siamo una castina. Una casta molto debole: non riusciamo nemmeno a firmare il contratto nazionale di lavoro. Certo, dovremmo impegnarci di più, lavorare di più. Ma quando sento dire che i giornalisti sono una casta, beh, mi viene proprio da ridere...».

Concludendo, Pansa...?

«Concludendo, in questi anni ho sempre pensato che, prima o poi, la sinistra si sarebbe resa conto che una lettura serena della guerra civile non era soltanto un obbligo etico e politico, ma rientrava pure nei suoi interessi di bottega. Parlare di quella tragedia con equità, senza soffocare le voci dei vinti, le avrebbe dato un’immagine più liberale, meno arrogante, meno proterva e ringhiosa. Mi sono sbagliato. La sinistra italiana non esiste più».

martedì 25 settembre 2007

UDINE Quarantamila biglietti già venduti, cancelli aperti alle 15, tanta musica per ingannare la lunga attesa. E poi alle 21.30 fuoco alle polveri: sull’enorme palco montato sul prato dello Stadio Friuli entra in scena lui, Vasco Rossi.

Si conclude stasera nella nostra regione la seconda parte del tour 2007 del Blasco nazionale. La prima era cominciata male, nel giugno scorso, per la tromba d’aria che aveva praticamente annullato l’Heineken Jammin’ Festival di Venezia. La seconda ha toccato in questo mese di settembre - con una lunga serie di «tutto esaurito» - Firenze, Bologna, Verona (44 mila spettatori la settimana scorsa), Torino e ora Udine. Dove un mese fa ci si è messa di mezzo anche l’opposizione dell’Udinese Calcio, timorosa per gli eventuali danni al manto erboso dello stadio che ne ospita le partite. Pericolo comunque scampato, dopo le garanzie fornite dagli organizzatori.

La festa può dunque andare in scena, e stavolta - visti il calendario e le temperature - è una festa musicale di fine estate. La lunga stagione del rock 2007, che era cominciata tre mesi fa proprio a Udine con l’unica data italiana del tour mondiale dei Red Hot Chili Peppers, si conclude stasera con l’ennesima esibizione in regione dell’inarrivabile campione del rock italiano, l’unico in grado di riempire sempre e comunque, a Trieste come a Palermo, le strutture prese a prestito dal calcio.

Ma ecco la scaletta dello spettacolo di questa sera, suscettibile come sempre di modifiche. Vasco entra in scena sulle note elettroniche di una «Cavalleria Rusticana» virata in rock e rammenta subito al suo popolo che «Basta poco» (il brano diffuso mesi fa soltanto su Internet). Poi tocca a «Cosa c'è» e «Blasco Rossi», legate dai ghirigori della sezione fiati. «Voglio andare al mare» vive di pulsioni reggae e lascia il posto a «La compagnia», il classico di Lucio Battisti cui Vasco ha regalato quest’anno nuova popolarità e seconda giovinezza.

Dopo «Buoni o cattivi» e il clima rock’n’roll di «Lunedì», è tempo del primo inedito: «Non sopporto», che sarà compreso nel suo nuovo album, atteso per il 2008. È un rock che parla dell’arroganza e della falsità delle persone. Il disco che lo comprenderà pare sia praticamente già pronto, ma la sua pubblicazione è stata fatta slittare per problemi della casa discografica.

Si riparte da «Anima fragile» (brano assente da tanti anni dai concerti), si prosegue con «Siamo soli», «Un senso» e un medley che comprende «Domani sì adesso no», «La strega» (altra canzone che Vasco non eseguiva dal vivo da molto tempo), «Cosa vuoi da me», «Delusa», «Sono ancora in coma»... Poi comincia la discesa verso il gran finale: «Vivere una favola», «Stupendo», «Come stai», «Sally», «C'è chi dice no», «Gli spari sopra», «Siamo solo noi»... E ancora «Rewind», «Ciao», «Stupido hotel» (di solito con la presentazione della band), «Bollicine», «Vivere», «Vita spericolata», «Canzone», «Quanti anni hai»... E a questo punto manca all’appello solo «Albachiara», che come sempre chiude le danze.

Per il concerto di stasera, gli organizzatori di Azalea Promotion informano che sarà ancora disponibile alle casse dello Stadio Friuli un limitato numero di biglietti. Gli altri (in vendita a un prezzo fra i 39 e i 48 euro, compresi i diritti di prevendita) sono andati tutti esauriti da un pezzo. Tanto che su Internet qualcuno giorni fa li offriva a 150/200 euro...

domenica 23 settembre 2007

SPRINGSTEEN Torna il Boss. Dopo il singolo apripista «Radio nowhere» (regalato qualche settimana fa su Internet, in Italia dal sito di Repubblica), ora l’attesa dei fan è per il 28 settembre, quando uscirà «Magic», il nuovo album di Bruce Springsteen, il primo dopo cinque anni della leggenda del rock di nuovo assieme alla E Street Band. Con annesso tour mondiale in partenza il 2 ottobre dagli Stati Uniti (a Milano il 28 novembre).

Ma di questi tempi non basta regalare un singolo (fra l’altro giudicato facilotto da molti springsteeniani della prima ora: alcuni hanno parlato di «canzone per le masse»...) al popolo di Internet. Sulla Rete è infatti già possibile trovare senza difficoltà i file di tutte le canzoni del nuovo album. Il cui effetto sorpresa è dunque stato in buona parte annullato.


"Magic", prodotto da Brendan O’Brien, arriva dopo «Devils and Dust» (2005) e dopo il tributo a Pete Seeger, che nel 2006 ha dato vita a un album e un tour con la Seeger Sessions Band. Stavolta si torna al rock, e la presenza della E Street Band in questo senso è qualcosa di più che una dichiarazione di intenti. È un album «costruito per essere suonato dal vivo», ha detto il cinquantottenne Boss in un’intervista.

Fra i brani «rubati» dalla Rete, colpiscono «Long walk home» (definita dal manager dell’artista, John Landau, «il riassunto del disco e uno dei grandi capolavori di Bruce...») ma anche «Last to die» e «Devil’s arcade»: due canzoni politiche, che parlano della guerra, dove c’è «chi muore per errore» e «chi forse sognava una vita diversa, una casa in una strada tranquilla».

E ancora la ballad che dà il titolo all’album, «Magic», e poi «You’ll be coming down» (col sax di Clarence Clemons in primissimo piano), «Livin’ in the future» (dai toni cupi, quasi pessimisti), «Your own worst enemy» (col clima di paura che sembra essersi impossessato di ogni casa, di ogni strada d’America), «Gipsy biker», «Girls in the summer clothes» (quasi una pausa di leggerezza), «I’ll work for your love»... Alcuni di questi episodi richiamano da vicino tutta l’epopea springsteeniana della provincia e delle storie americane, quella che da oltre trent’anni fa amare il Boss in mezzo mondo. Ma la prima impressione è che manchi il capolavoro, uno di quelli da aggiungere alla lunga lista...

L'uscita di «Magic» precederà l'avvio del tour mondiale, che - come si diceva - partirà il 2 ottobre da Hartford negli Stati Uniti e farà tappa in Europa partendo da Madrid il 25 novembre per finire il 2 dicembre a Londra. Trentuno date in tutto, con un'unica tappa italiana, il 28 novembre al Datchforum milanese.

Intanto, i seguaci del rocker del New Jersey possono ingannare l’attesa ascoltando «Play it as it lays» (SonyBmg), terzo album di Patti Scialfa, moglie nonchè corista di Springsteen. Con l'aiuto del produttore e batterista Steve Jordan, la signora propone un intrigante viaggio tra le radici nere del rock, dimostrando di non essere particolarmente influenzata dal partner. Che comunque compare nel disco, suonando chitarra e armonica in alcuni brani.

Patti parla la lingua del blues, del gospel, del soul, materiali culturali e sonori trattati con l’approccio e la sensibilità di un’artista bianca. Niente cantautorato americano al femminile, insomma, ma il disco e le canzoni di una donna grintosa che dimostra di sapere il fatto suo. E di essere in crescita rispetto alle prove prevedenti. Fra i brani, «Looking for Elvis» e «Town called Heartbreak».


MINA Torna anche Mina, e stavolta non è il tradizionale doppio autunnale. «Todavia»(Pdu - SonyBmg) è un album di canzoni relativamente recenti del suo repertorio, quasi tutte riarrangiate e risuonate e (ovviamente) ricantate. Ma la novità è che in questo disco Mina, popolarissima anche nel mondo latino, torna a cantare in spagnolo. E il disco - che schiera due inediti, tre classici e alcuni duetti - esce anche in Spagna, Messico, Brasile e Argentina.

Il malinconico «Valsinha» è un pezzo scritto nel ’71 da Chico Buarque De Hollanda con Vinicius De Moraes. Mina e Chico si conoscono dal ’67, dai tempi della «Banda». Anche Joan Manuel Serrat è un vecchio amico di Mina nonchè l'autore di «Bugiardo e incosciente», che è del ’69. Il titolo del duetto è «Sin piedad».

Miguel Bosè sta vivendo una nuova giovinezza artistica grazie all’album «Papito». «Penso di amare Mina da quando ho l'uso della ragione», dice, lui che nel film di Almodovar «Tacchi a spillo» mimava in playback «Un ano de amor». Il brano scelto per il loro duetto è «Agua y sal», versione spagnola del successo inciso con Adriano Celentano, e già inserito dal figlio di Dominguin in «Papito».

Il duetto con Tiziano Ferro pare sia stato suggerito dai collaboratori messicani di Massimiliano Pani che, come d'abitudine, è il produttore-arrangiatore dei dischi della madre (Ferro in America Latina va fortissimo): ne è venuta fuori una «Cuestiòn de feeling», cover del classico di Riccardo Cocciante «Questione di feeling», assolutamente da manuale.

Ma la presenza più curiosa è certamente quella di Xavier Zanetti, il capitano argentino dell'Inter chiamato a svolgere la parte che fu tanti anni fa di Alberto Lupo nell'indimenticabile «Parole parole», il primo classico del disco, dal varietà televisivo «Teatro 10».

Il disco apre anche una finestra sul flamenco grazie a Diego El Cigala, allievo di Camaron de la Isla, uno tra i migliori cantanti della nuova generazione. Con Mina canta «Un ano de amor», secondo classico del cd, ripescato da uno Studio Uno del ’65.


MANU CHAO L’estate è passata anche con il ritmo contagioso di «Toda joia toda beleza», successo estivo di Roy Paci in duetto con Manu Chao. Che ora arriva con un nuovo cd tutto suo, sempre all’insegna della contaminazione fra suoni, lingue e culture. L’ex leader dei Mano Negra alterna inglese, castigliano e francese, in una vera babele linguistica, e passa dal rock alla rumba catalana e alle ballate in stile sudamericano. Ventuno brani (compresi i cinque bonus), col siciliano Paci che ricambia l’ospitalità e suona la tromba in «Mala fama». «La Vida Tómbola» è invece dedicato a Maradona, per la colonna sonora del film-documentario sul calciatore diretto da Emir Kusturica.


MIA MARTINI Mia Martini ha lasciato molto materiale, dagli esordi beat alle prove da grande interprete. «Liberamente Mia» è un progetto curato da Menico Caroli, comprendente un dvd, un cd e un libretto. Soprattutto il primo, che dura quasi due ore, con la sequenza cronologica delle apparizioni televisive e le dichiarazioni di Mimì, forma un ritratto potente e vero dell’artista calabrese. Storia, curiosità e ricordi si mescolano alle note. Fra gli immortali brani: «Padre davvero», «Minuetto», «Piccolo uomo», fino a «E non finisce mica il cielo», «Almeno tu nell’universo», «Spaccami il cuore», «Gli uomini non cambiano»... Grandissima.