PIPPO POLLINA A TS
In Svizzera, dove vive ormai da vent’anni, è una star della canzone. In Italia lo conoscono in pochi. Ma quelli che hanno sentito i suoi dischi lo amano e non lo abbandonano più. Lui si chiama Pippo Pollina, domani sera canta per la prima volta a Trieste, alle 21 al Teatro Miela. Nato 46 anni fa a Palermo, da ragazzo studiava legge, suonava con gli Agricantus e faceva il giornalista per ”I Siciliani”, mensile fondato e diretto da Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia nell’84.
«Quella tragedia - spiega Pollina - mi segnò profondamente. Fava era uno che faceva nomi e cognomi. E venne ucciso. Io ero un ragazzo, ma sentii forte il bisogno di scappare dalla Sicilia ma anche da un’Italia che non mi piaceva più. Per tre anni girai per l’Europa: Austria, Ungheria, Scandinavia, Inghilterra, Francia, Olanda... E poi Nord Africa, Stati Uniti, Canada. Suonavo per le strade: chitarra classica, i brani dei cantautori italiani, ma anche canzoni mie».
La Svizzera?
«In questo mio girovagare un giorno conobbi Linard Bardill, che è con me anche in questo tour italiano. Lui era già abbastanza noto in Svizzera, mi sentì cantare per le strade e mi fece incidere il primo disco. Poi tutto il resto è arrivato di conseguenza. E da quella volta mi sono fermato a Zurigo».
Lei è popolare anche in Germania.
«I miei dischi sono sempre usciti anche in Germania e in Austria, dove hanno avuto riscontri spesso maggiori che in Italia. Proprio pochi giorni fa il mio ultimo disco ”Caffè Caflisch” ha vinto in Germania il Premio della critica discografica: un riconoscimento importante, che equivale un po’ al nostro Premio Tenco, ma comprende anche la musica classica e jazz».
Dove nasce questa storia dei Caffè Caflisch, che racconta nel disco e nello spettacolo?
«Ho scoperto che un tempo anche gli svizzeri erano un popolo povero, costretto a emigrare. Alla fine dell’Ottocento migliaia di loro scesero nel nostro Sud. Fra loro i Caflisch, emigranti del Canton Grigione, che aprirono dei caffè fra Napoli e la Sicilia».
Un percorso inverso al suo.
«Sì, e la cosa incredibile è che il Caffè Caflisch più importante esiste ancora nella mia Palermo. Da ragazzo lo frequentavo, senza sapere tutta la storia che ci stava dietro. Si narra che lo stesso Tomasi di Lampedusa scrisse parte del suo ”Gattopardo” seduto a un tavolino di quel caffè, che ora è gestito da palermitani: gli ultimi discendenti dei Caflisch sono infatti tornati in Svizzera ormai da tempo».
E ne ha fatto un disco.
«Più conoscevo le loro vicende, più quella della famiglia Caflisch mi è sembrata la storia simbolo dei migranti di ieri e di oggi. Parliamo di fatti avvenuti fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ma è di tutta evidenza che si tratta di una tematica ancora attualissima...».
Continui.
«Sì, volevo dire che c’è in particolare una canzone del disco, ”Grida no”, nella quale ricordo i parallelismi fra le emigrazioni di ieri e quelle di oggi. Insomma, oggi l’Italia guarda con preoccupazione a questi flussi di migranti, ma c’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui i ”vu cumprà” eravamo noi italiani».
Dunque?
«Dunque i nostri governanti devono capire che è impossibile imporre uno stop violento a questi flussi migratori, a questi popoli che sentono la necessità di spostarsi spesso perchè spinti dalla miseria e dalla fame. La risposta può essere solo in uno spirito di integrazione e di solidarietà: sono fenomeni complessi, che vanno affrontati con intelligenza...».