mercoledì 19 giugno 2013

ADDIO A CLAUDIO ROCCHI

«8 gennaio 1951, Capricorno sono nato e qualcosa già finiva, devo aver pianto come un matto forse mancavi tu...». La data di nascita di Claudio Rocchi - morto ieri dopo una lunga malattia - era scritta in una delle sue prime, bellissime canzoni. Di quelle che all’alba degli anni Settanta hanno fatto sognare una generazione di ragazzi appassionati di musica e politica, fra sogni e impegno sociale. Nel ’69, a soli diciotto anni, Rocchi debutta come bassista degli Stormy Six. Nel ’70 esce il primo album solista, “Viaggio”. L’anno dopo “Volo magico n. 1”, nel ’72 “La norma del cielo (Volo magico n. 2)”. È la sua trilogia psichedelica e visionaria, che rimarrà insuperata. Canzoni come “La tua prima luna” (“sei finito in un prato mangiando una mela comprata passando dal centro, dove i tuoi amici parlavano ancora di donne e di moto e tu ti fumavi la gioia di essere riuscito a fuggire di casa, portandoti dietro soltanto la voglia di non ritornare...») diventano manifesti generazionali per adolescenti inquieti. Negli stessi anni, nel contenitore radiofonico di “Per voi giovani” (con Paolo Giaccio, Mario Luzzatto Fegiz e Carlo Massarini), Rocchi ha un suo spazio nel quale propone le sue musiche preferite: Carole King, James Taylor, gli artisti della West Coast americana, alcuni italiani... Dopo l’underground arrivano il periodo mistico, gli anni in India, gli arancioni, Hare Krishna, l’abbandono della forma canzone per approdare all’elettronica e alla sperimentazione. Che sono la cifra stilistica della sua produzione musicale “adulta”. Nel ’94 pubblica l’album “Claudio Rocchi (Lo scopo della luna)”, con i vecchi amici milanesi, duettando con Alice nella canzone “L’umana nostalgia”. Altre cose, produzioni, film, idee varie. Due anni fa “In alto”, suo diciannovesimo album solista. Nonostante la malattia, stava lavorando a un nuovo progetto.

TUTTI I TOUR / FVG e RESTO D'ITALIA

A scorrere i tanti nomi che arriveranno in regione, sembra che la crisi tocchi solo marginalmente la musica dal vivo. Dopo il “debutto autunnale” dei Green Day a Trieste e quello dell’altra sera con i Kiss a Villa Manin, spulciando fra le date troviamo per esempio Mario Biondi il 29 giugno, Al Di Meola il 3 luglio, Nicola Conte Combo il 9 luglio, Giovanni Allevi il 12 luglio (tutti a Grado, alla Diga Sauro). Goran Bregovic il 5 luglio a Trieste, a Borgo Grotta Gigante; Rammstein l’11 luglio a Villa Manin; Benny Benassi il 13 luglio alla spiaggia di Grado; Brian May e Kerry Ellis il 16 luglio sempre a Grado, ma alla Diga. Doppietta di Zucchero in versione cubana: 19 luglio a Tarvisio, 20 a Villa Manin. Ancora a Tarvisio, il 23 luglio Sigur Ros e il 28 Franco Battiato. Elio e le Storie tese il 26 luglio alla spiaggia di Grado. Festival di Majano: 24 luglio Deep Purple, 27 Fabri Fibra, 28 Fedez, 13 agosto Giuliano Palma. Grupo Compay Segundo il 29 luglio a Pordenone, in piazza XX Settembre. David Guetta il 3 agosto allo stadio di Lignano Sabbiadoro, dove il 17 agosto arrivano gli Africa Unite (ma all’Arena Alpe Adria). Altri nomi e date si aggiungeranno nelle prossime settimane. E siamo al panorama nazionale. Annullati l’Heineken Jammin’ Festival e altri festivaloni di stagione (qui la crisi si è sentita più che nei singoli concerti e tour), attesa per Paul McCartney il 25 giugno all’Arena di Verona. Bruce Springsteen - dopo i trionfi di Napoli, Padova e Milano - torna nel paese dei suoi avi l’11 luglio a Roma, alle Capanelle. Due date per Leonard Cohen: 7 luglio a Roma, 9 a Lucca. Sempre a Lucca, l’11 luglio, unica tappa italiana per Nick Cave. Altra doppietta sull’asse Lucca-Roma: Neil Young il 25 luglio in Toscana e il 26 nella capitale. Roger Waters con “The Wall” il 26 luglio a Pdova e il 28 a Roma. Cat Power il 7 luglio a Milano e l’8 a Roma. Depeche Mode 18 luglio a Milano, il 20 a Roma. Alicia Keys il 19 luglio a Torino, dove il 28 e 29 suonano i Muse. Italiani. Dopo il poker a Torino della settimana scorsa, Vasco Rossi si appresta a calare il tris bolognese: 22, 23 e 26 giugno. In attesa di una - impossibile? possibile? probabile...? - ripresa settembrina, che potrebbe riservare delle “sorprese triestine”. L’altro grande protagonista tricolore dei nostri stadi è Jovanotti: dopo Ancona, bari e Bologna, sarà oggi e domani a Milano, il 23 a Firenze, il 28 a Roma, il 6 luglio a Palermo. Finale in punta di malinconia. Dal 17 al 24 agosto, a Benicàssim, in Spagna, un festival figlio di queste terre: il Rototom Sunspash. Fra gli ospiti di quest’anno, Damian Marley e John Holt. Della serie: avevamo in regione il più importante festival reggae europeo, e ce lo siamo lasciati sfuggire...

TRIESTELOVESJAZZ / TRIESTE SUMMER ROCK FESTIVAL

Le estati musicali ai tempi della crisi. I festival negli anni in cui austerità e “spending review” riducono al lumicino, o azzerano del tutto, i contributi che le amministrazioni pubbliche hanno garantito in passato agli organizzatori di rassegne che allietano i mesi caldi per chi resta in città e per i turisti di passaggio. Anche a Trieste, su questo fronte, c’è chi stenta, chi si arrangia e persino chi rischia di gettare la spugna, rinunciando a un progetto. In attesa di conoscere nel dettaglio la proposta spettacolare e culturale che verrà firmata dall’amministrazione comunale, siamo andati a verificare lo stato di salute delle due rassegne musicali che hanno animato le estati musicali cittadini dell’ultimo decennio, o giù di lì: TriesteLovesJazz e Trieste Summer Rock Festival. «Stamattina alle 11.30 - annuncia Gabriele Centis, direttore artistico della rassegna jazz - presentiamo alla Casa della musica la nostra collaborazione, sotto l’egida del Comune, con il Festival Jazz di Lubiana. Abbiamo previsto un doppio concerto, il 6 luglio a Lubiana e il 7 a Trieste, sul Ponte Curto, dell’European Saxophone Ensemble. Un sassofonista per ogni paese europeo, in acustico: spettacolo da non perdere, che aprirà l’edizione di quest’anno di TriesteLovesJazz...». Centis conferma le difficoltà organizzative, le risorse ridotte, ma sottolinea il “segreto” per la buona riuscita di questa rassegna, che negli ultimi anni ha portato a Trieste tanti nomi importanti o emergenti della scena jazz americana ed europea: «I soldi sono pochi, è vero. Ma ci salva quella rete di rapporti, anche amicali, che abbiamo sviluppato nel corso degli anni con la Casa della musica. Dove un artista o un gruppo viene magari a incidere, o a fare un seminario, e poi magari l’estate dopo è disponibile a venire a suonare senza chiedere un cachet elevato...». Risultato: anche quest’anno i triestini avranno a luglio le loro serate jazz in piazza Verdi, con un’appendice agostana dedicata alla miglior scena locale. Fra le anticipazioni: il nuovo progetto del sassofonista Bill Evans, il Soul Grass Quintet; il crooner londinese Anthony Strong, in un recital pianoforte e voce; il pianista romano Enrico Zannisi, appena premiato come miglior talento italiano da “Musica Jazz”, nell’ambito di quel Premio Franco Russo da lui vinto anni fa. «Chiusura - conclude Centis - con il concerto all’alba di domenica 11 agosto, sul Molo Audace, con il pianoforte di Glauco Venier». E passiamo al versante rock dei nostri festival. «Negli anni passati - spiega Davide Casali, anima con la sua associazione Musica libera di Trieste Summer Rock Festival - a quest’ora avevamo già presentato il programma. Purtroppo siamo un po’ in ritardo, proprio per l’incertezza sul budget a disposizione. Abbiamo le date e un paio di idee, ma incertezza anche sul luogo dove vorremmo ambientare l’edizione del nostro decennale, che per la verità avevo sognato diversa...». Ancora Casali: «Abbiamo in mente un paio di serate, da tenere nella prima metà di agosto. Un’idea è quella di Tony Levin, il bassista statunitense che ha suonato con Yes, King Crimson e tantissimi altri protagonisti del pop-rock internazionale. Con lui abbiamo dei contatti che aspettano solo di essere perfezionati. L’altra idea è quella di re-ambientare un “Live at Pompei” nel nostro Teatro romano, con i Pinkover, reduci da una serata di successo al Rossetti». Due nomi che ci sono invece sfuggiti sono quello dei Van der Graaf Generator e di Alan Parsons (entrambi già ospitati anni fa al Trieste Summer Rock Festival): «Potevamo riportarli - dice Casali non nascondendo una certa amarezza - visto anche il grande successo ottenuto. Ma non avevo garanzie economiche e c’era da firmare un’opzione. Niente da fare. Col risultato che i Van der Graaf vanno il 2 luglio a Udine, per un concerto a pagamento. Un nostro punto di orgoglio è invece aver organizzato sempre eventi a ingresso libero...».

domenica 16 giugno 2013

KISS lun 17-6 villa manin, codroipo

Conto alla rovescia per uno degli eventi rock dell’estate musicale del Friuli Venezia Giulia. Lunedì alle 21, a Villa Manin, concerto dei Kiss: prima delle due tappe italiane (martedì al Forum di Assago, Milano) del tour mondiale della celebratissima band statunitense. A due anni di distanza dalla precedente apparizione tricolore. E a tre settimane dal debutto rock della stagione, con i Green Day sotto la pioggia in piazza Unità, a Trieste. Differenza non da poco: quel concerto si svolse in un clima decisamente autunnale, per quello di lunedì il meto prevede temperature da estate piena... Sono passati giusto quarant’anni. Era infatti il gennaio del ’73 quando il bassista Gene Simmons e il chitarrista Paul Stanley (all’anagrafe rispettivamente Eugene Klein e Stanley Eisen, reduci dall’avventura non particolarmente fortunata con una band chiamata Wicked Lester) tengono alcune audizioni a New York per cercare un chitarrista solista, che trovano nel vulcanico e originalissimo Ace Frehley. Il batterista invece lo avevano già trovato leggendo un’inserzione su Rolling Stone, la bibbia del rock, pubblicata da Peter Criscuola, un passato in alcune jazz band, che per l’occasione cambia il proprio nome in Peter Criss. La formula su cui i quattro decidono di puntare è il rock duro, con aggiunta di trucchi pesanti e costumi e stivaloni che non passerebbero inosservati nemmeno a un Gay Pride. Ispirandosi al teatro Kabuki, ognuno si dipinge la faccia di bianco, con disegni legati una maschera. Ecco allora che Simmons assume le sembianze di un demone (The Demon), Stanley quelle del figlio delle stelle (The Starchild), Frehley l’uomo dello spazio (The Spaceman), Criss quello del gatto (The CatMan). Un vezzo che diventa subito il marchio di fabbrica della band, quello che la rende unica, inconfondibile, giocando su un’ambiguità all’epoca osata soltanto da un certo David Bowie. Una curiosità. La scritta “Kiss”, con le due “s” a forma di fulmini, furono opera del chitarrista Ace Frehley. Richiamando involontariamente il simbolo delle Ss naziste, furono all’epoca oggetto di forte polemica, soprattutto in Germania, dove gli album furono poi pubblicati con una variante grafica del nome-logo, al fine di evitare strumentalizzazioni e accuse di apologia del nazismo. Un’altra polemica fu legata al presunto significato del nome, secondo alcuni acronimo di Knights In Satan’s Service: ricostruzione smentita dagli stessi Simmons e Stanley. Ma veniamo alla musica, ai concerti, ai dischi. Fra l’album d’esordio (semplicemente “Kiss”), pubblicato nel febbraio ’74, e il recente “Monster” (da cui il nome di questa tournèe: “Monster Tour”), uscito nell’ottobre scorso, si dipana una carriera da grandi numeri: venti album in studio e vari “live” e “greatest hits”, centotrenta milioni di dischi venduti, ventiquattro dischi d’oro, dieci di platino. Anche se è soprattutto dal vivo che i Kiss (attualmente formati, dopo vari cambiamenti, accanto ai padri fondatori Stanley e Simmons, dal chitarrista Tommy Thayer e dal batterista Eric Singer) sviluppa le sue enormi potenzialità. Lasciando lo spettatore a bocca aperta. L’ultimo album ha riportato il gruppo ai suoni e alle atmosfere delle origini, quelle che hanno caratterizzato capolavori come “Destroyer” e “Love gun”, ancora amatissimi dai fan di ieri e di oggi. E brani come “Detroit rock city”, “Love gun”, “Shout it out loud”, “I was made for loving you”, “Black diamond”, “Lick it up” e “I wanna rock’n’roll all nite” fanno ormai parte della storia del rock. Lunedì a Villa Manin, nello spettacolo che ha debuttato il primo giugno a Stoccolma, i Kiss proporranno l’ennesima macchina da spettacolo ricca di novità ed effetti a sorpresa. Basti segnalare che il megapalco sarà dominato da un gigantesco ragno meccanico mobile che traporterà i quattro musicisti sulle teste degli spettatori. «Un giorno finirà - ha detto Simmons a Stoccolma -, ma spero che lo faremo in un momento di ascesa, invece di cadere verso il basso. Deve essere grande fino all’ultimo istante. Abbiamo ancora cinque o dieci anni al top...». La serata di lunedì sarà aperta alle 20 dai californiani Rival Sons (debutto nel 2008 con “From the fire”, poi “Pressure and time” e l’anno scorso “Head down”). Cancelli aperti alle 18. Attesi fra i sei e gli ottomila spettatori, almeno la metà in arrivo anche da Austria, Slovenia e Croazia.

STEVE VAI ven 14-6 rossetti, trieste

Anche gli enfant prodige crescono. E a cinquantatre anni compiuti proprio pochi giorni fa, il chitarrista newyorkese di origini italiane Steven Siro Vai, universalmente noto come Steve Vai, fa parte a pieno titolo della miglior storia del rock. Aveva appena vent’anni, nell’80, quando debuttò nel gruppo di Frank Zappa, prima dell’esordio discografico da solista nell’84 con l’album “Flex-Able”. Trent’anni, quindici milioni di dischi venduti e mille avventure dopo, il chitarrista arriva stasera a Trieste, al Rossetti, per aprire il suo tour “Steve Vai & Evolution Tempo Orchestra”. In bilico fra rock e sinfonica. Mister Vai, com’è nata l’avventura con l’Evolution Tempo Orchestra con cui suona in questo tour? «Due anni fa mi era stato proposto di fare un paio di date con un’orchestra romena, l’orchestra sinfonica di stato di Bucarest. Tutti giovani e talentuosi musicisti. All’inizio ero un po’ prevenuto ma mi sono dovuto ricredere non appena abbiamo fatto la prima prova assieme». Mostri di bravura? «Più o meno. I concerti sono stati intensi e devo dire anche divertenti. Allora abbiamo deciso di replicare l’esperienza con un tour vero e proprio. È sempre dura con sessanta persone da portare a spasso, “on the road”, ma sta andando tutto benissimo». Un passo ulteriore verso la classica? «Forse. Il fatto è che il mio mondo ormai è sempre più la composizione. Che sia per un film o per un’orchestra, mi rendo conto che divento sempre più un compositore e sempre meno un chitarrista. E poi, diciamolo: non si può fare il rocker per sempre, per tutta la vita...» Però ora è in tour. «Certo, suono perchè questo è il mio mestiere. La gente vuole questo da me. Ma vedo il mio futuro sempre più nella direzione della scrittura, della composizione. E la prospettiva mi piace anche un sacco, è molto più attraente che suonare e basta». Ricorda il primo chitarrista che l’ha influenzata? «Sicuramente Jimi Hendrix, poi Al Di Meola, poi ancora Van Halen. Ma sono stato molto influenzato anche dal mio primo maestro di chitarra, quand’ero ragazzo a New York. Un certo Joe Satriani...». Con cui poi suonò nel G3. «Certo, fu una grande soddisfazione. Ormai il G3 è un circo che va avanti dal ’96, mi pare... Come dicevo Joe è stato il mio primo maestro di chitarra, oramai non ci diciamo neanche cosa dobbiamo fare, ci conosciamo così bene, e ci divertiamo un mondo. Di solito abbiamo anche le nostre famiglie dietro, quando suoniamo. Ormai è proprio come essere a casa». Lei ha esordito con Frank Zappa, cos’ha imparato da lui? «Tutto quello che so del business l’ho imparato dal grande Frank. Senza contare le piccole grandi lezioni di vita quotidiana che impartiva naturalmente. Del tipo: non fermarti mai, continua ad andare sempre avanti. O ancora: nella vita il segreto è quello di capire il potenziale e l’uso della parola “no”. Ma potrei andare avanti per pagine». Com’è nata nel 2007 la sua partecipazione a un disco di Eros Ramazzotti? «Nel mondo della musica, specialmente a Los Angeles, sono molte le connessioni con vari personaggi che ti prospettano di fare qualcosa di interessante. Anche nel caso di Eros andò così. Mi proposero di suonare in un suo brano, credo che fosse per un suo “Greatest hits album”». Come mai accettò? «Ho accettato alla condizione di poter rifare tutte le chitarre e riarrangiarle a modo mio. E così è successo. I soldi sono secondari alla mia libertà di espressione. In quella, come in altre occasioni, non avrei accettato l’offerta se non avessi avuto libertà assoluta». Conosce altri musicisti italiani? «Di origine italiana moltissimi, gli Stati Uniti sono pieni di musicisti figli o nipoti di italiani. Protagonisti attuali della scena pop rock italiana purtroppo non molti. Conosco bene Pino Palladino (bassista inglese di origine italiana - ndr), ho tanti amici nel mio management che sono italiani e mi parlano di nomi come Vasco Rossi o Zucchero, ma è tutto quel che so. Non posso dire di conoscerli». Lei stesso vanta radici italiane. «Certo, e devo dire che le ho sempre tenute molto care. Mio nonno era di Dorno, un paese vicino Milano. Mia madre della provincia di Parma. Recentemente gli abitanti di Dorno mi han fatto il grande onore di regalarmi la cittadinanza, durante il G3 con Satriani dell’anno scorso. E un grande artista futurista, Marco Lodola, mi ha dedicato una delle sue sculture: cose incredibile, al di là del tempo e dei confini...». Molte sue musiche sono state utilizzate in vari film. Che rapporto ha con il cinema? «Oddio, sono sicuramente un appassionato. Amo andare al cinema. Tanti anni fa mi è capitato anche di partecipare a un film, s’intitolava “Mississippi adventure”. Interpretavo il ruolo di un chitarrista ispirato dal demonio...». Quante chitarre ha? Ce n’è una preferita? «L’ultima volta che le contate erano duecento o poco più. La preferita rimane la mia Evo Ibanez, quella che ho sempre con me». Produce ancora miele? «Certo, è una mia passione che coltivo da anni. È affascinante capire l’intelligenza collettiva delle api, e come la natura si prende sempre cura di noi, in una continua evoluzione. Il miele è diventato davvero una mia passione, e più frequento gente italiana più mi accorgo che la raffinatezza del gusto è tipica del paese dei miei avi. Non a caso la mia ape regina più importante, è italiana...». Quando il nuovo disco, dopo il recente “The story of light”? «Ci sto pensando proprio in questi giorni, parlandone “on the road” con chi mi è più vicino. Ho messo da parte molto materiale. Credo che nel prossimo album vorrei esprimermi con qualcosa di semplice da una parte, complicato dall’altra, feroce quando serve. Arriverà presto...». Nel frattempo, rockettari di ieri e di oggi - anche da Slovenia e Croazia; biglietti ancora disponibili alle casse - convergeranno stasera su Trieste per questo concerto. Fra i brani in programma “For the love of God” e “Velorum”, “Whispering a prayer” e “The attitude song”, “Racing the world” e The murder” e la suite “Fire garden”...

mercoledì 12 giugno 2013

ROBBIE WILLIAMS film stasera il 200 sale italiane, poi tour

Se esiste un re del pop, oggi, anno di grazia 2013, ebbene questo è sicuramente Robbie Williams. Stasera, in duecento sale italiane (a Trieste “Space” delle Torri e Nazionale, a Gorizia e Monfalcone “Kinemax”, a Udine “Space” di Pradamano), i suoi fan potranno assistere al concerto evento svoltosi nello scorso novembre alla “O2 Arena” di Londra. In programma, tutti i suoi più grandi successi (“Angels”, “Rock dj”, “Gospel”, “Millennium”...) e i brani dell’ultimo album “Take the crown”, il suo nono in studio: da “Candy” a “Be a boy”, fino a “Different”. «L’album - spiega l’artista, inglese di Stoke-on-Trent, classe ’74 - si chiama “Take the crown” (prendi la corona - ndr) perché voglio combattere, voglio prendermi tutto. Sono pronto a riconquistare la mia corona e mostrare alla gente che amo questo lavoro e mi batterò per questo». Gli anni dei Take That sono ormai lontani, nonostante una recente “reunion” da una botta e via. Oltre sessanta milioni di album venduti, diciassette Brit Awards, un record da Guinness dei primati come quel milione e seicentomila biglietti venduti in un solo giorno per un tour del 2006: sono questi alcuni dei numeri su cui è stato eretto un mito, il mito appunto del nuovo re del pop. Questa grande celebrazione cinematografica di Robbie Williams arriva fra l’altro soltanto due giorni prima del debutto del suo nuovo tour negli stadi europei, che parte venerdì da Dublino e attraverserà il continente per tutta l’estate. La tournèe, dopo le tappe in Inghilterra (19 e 21 giugno Manchester, 25 Glasgow, 29 e 30 Londra allo stadio di Wembley), Germania, Olanda, Austria (17 luglio a Vienna), Svezia, Belgio, Svizzera ed Estonia, arriva anche in Italia, per un solo concerto, il 31 luglio allo Stadio San Siro di Milano. Da segnalare ancora la tappa del 7 agosto all’Olympiastadion di Monaco di Baviera.

martedì 11 giugno 2013

TEHO TEARDO, la voce delle emozioni nelle colonne sonore

«Mi piace incontrare le persone. E questi incontri nei quali parlo del mio lavoro, spiego come si scrive la colonna sonora di un film, sono un osservatorio interessante per vedere cosa fanno, cosa pensano i ventenni di oggi. Capire che preparazione, che aspettative hanno». Mauro “Teho” Teardo, classe ’66, pordenonese trapiantato da alcuni anni a Roma, è un musicista e compositore noto soprattutto per le sue colonne sonore. Da “Denti” di Salvatores a “Il divo” di Sorrentino (David di Donatello 2009), da “La ragazza del lago” di Andrea Molaioli a “Diaz” di Daniele Vicari. Ieri ha tenuto un “workshop” a Trieste, alla Casa della musica, nell’ambito della rassegna “Camera di specchi”. «Sono curioso dei giovani - prosegue Teardo - perchè il futuro appartiene a loro. Rispetto al passato viviamo tempi più complessi. La contemporaneità è stratificata. Ci sono meno punti di riferimento rispetto alle generazioni precedenti». Che nella musica abbondano. «Basta pensare a quanti cambiamenti sono avvenuti in campo musicale negli ultimi vent’anni. Quanti generi, quanti artisti si sono avvicendati». Lei spazia fra musica, immagini, cinema. Inquieto? «Penso nasca dalla mia inquietitudine. Ammetto di non trovarmi a mio agio in una situazione di stabilità. Sono sempre alla ricerca di qualcosa d’altro». Scrivere per il cinema, la televisione, il teatro è diverso? «Contesti diversi. Nei quali l’importante è non concepire mai la musica come tappezzeria. Bisogna ricercare invece un’identità sonora, che renda il rapporto fertile e interessante». Come nasce una sua colonna sonora? «Prima leggo la sceneggiatura. Comincio a lavorare subito, prim’ancora dell’inizio delle riprese. Alla fine vedo il film, e faccio le opportune modifiche. È fondamentale entrare in sintonia con la sceneggiatura, poiché sarà una sorta di amplificatore in note delle emozioni raccontate per immagini nel film». I suoni come filo conduttore della storia? «Assolutamente sì. Per me la colonna sonora non è mai un mero commento. Vuole essere qualcosa di più, di altro. La voce delle emozioni, una specie di seconda pelle che avvolge la trama. Anche i ragazzi del “workshop” hanno preparato una sceneggiatura: senza la presunzione di stare in cattedra, o di fornire formule tecniche di scrittura, ho mostrato loro come nasce una colonna sonora». La colonna sonora cui è rimasto più legato? «Quella de “La ragazza del lago”, forse perchè il film era ambientato nel Friuli Venezia Giulia, la mia regione. Vivo a Roma da alcuni anni, ma rimango molto legato alla mia terra». È vero che le hanno offerto anche un cinepanettone? «Sì, e la cosa mi ha sorpreso. Ho ringraziato ma ho declinato l’offerta. Rimango convinto che alcuni film, alcuni contesti possono svalutare anche la musica che scrivi». Colonne sonore a parte? «È appena uscito “Still smiling”, il mio album assieme a Blixa Bargeld, leader degli Einstürzende Neubauten. Finora ha avuto buoni riscontri in Italia, dov’è uscito prima che nel resto d’Europa. Con Blixa - che ha una personalità molto complessa - c’è stata una grande sintonia, collaborare con lui è stato per me un grande privilegio perchè mi ha dato la possibilità di sperimentare». Com’è nato il disco? «Dalla voglia, dal piacere di lavorare assieme. In tempi nei quali puoi fare un disco insieme senza nemmeno vederti con l’altro, ma scambiandoti “file” da una parte all’altra dell’oceano, amo sottolineare che questo disco lo abbiamo scritto insieme, nella stessa stanza. In parte a Berlino, nel suo studio, in parte a Roma, dove lavoro io». Una prosecuzione di “Music for wilder mann”, il suo lavoro precedente? «Una continuità c’è sempre, almeno a livello di affinità, di riferimenti comuni. Ma quello era un lavoro strumentale, un’opera musicale ispirata al lavoro del fotografo francese Charles Fréger “Wilder mann”. Mentre stavolta siamo pur sempre in presenza di canzoni, fra l’altro con dei testi molto belli scritti da Blixa, che si riferiscono a sue esperienze personali». Adesso a che cosa sta lavorando? «Alle musiche per un documentario di Cecilia mangini sull’Ilva di Taranto. E a quelle per un film americano di un debuttante: racconta la storia di un soldato che torna dalla guerra in Afghanistan shockato dall’esperienza». Quando la rivedremo dal vivo? «Il 18 luglio sarò da solo a Cividale, per il Mittelfest. Mentre con Blixa Bargeld, dopo i concerti fra l’altro anche a Roma e Milano di un mese fa, saremo al Sexto ’Nplugged di Sesto al Reghena».

sabato 8 giugno 2013

VASCO DOMANI A TORINO, A SETTEMBRE FORSE A TRIESTE

Vasco Rossi allo Stadio Rocco di Trieste a settembre? Per ora si tratta di una suggestione. O forse qualcosa di più. Gli organizzatori dicono di non saperne nulla, ma ormai fa parte delle regole del gioco: un megaconcerto - e quello del rocker di Zocca lo è, a tutti gli effetti - va annunciato al momento opportuno, in pompa magna, con amministratori e politici in bella mostra al fianco. Dunque per ora negano tutti. Ma alla vigilia del ritorno del Blasco in concerto (domani e lunedì e poi il 14 e 15 giugno allo Stadio Olimpico di Torino, biglietti esauriti da tempo, carovane di auto e bus in partenza...), ci sono almeno tre ordini di motivi che ci fanno pensare che le possibilità di rivederlo a Trieste - a nove anni dall’ultimo show al Rocco, nel settembre 2004 - sono consistenti. Primo: la ripresa settembrina del tour, da che Vasco è Vasco, è ormai una certezza. E dovrebbe esserlo anche stavolta, che i primi sette concerti sono concentrati in due sole città (dopo il poker sabaudo, tris al Dall’Ara di Bologna: 22, 23 e 26 giugno). Secondo: il Nordest - ma anche Centro e Sud - non è toccato da questa prima tranche di date. Terzo: Vasco ama molto il Friuli Venezia Giulia, dove in occasione dei tanti concerti degli ultimi anni si è fatto coinvolgere di buon grado anche in iniziative sociali e comunque non legate allo show. Quarta e ultima carta, forse quella decisiva: lo Stadio Friuli di Udine non è disponibile a causa di importanti lavori di ristrutturazione. E dunque Trieste, dove lo Stadio Rocco - dopo il trionfo di Springsteen l’anno scorso - è ben più di una “seconda scelta”. Dunque non resta che attendere. Intanto, il popolo del Vasco si prepara a questi primi sette concerti, a Torino e Bologna, del “Live Kom 013”. Il massimo rocker italiano torna in scena dopo due anni di assenza e dopo i malanni dell’estate 2011. Chi ci ha parlato giura che, superato lo spavento, il sessantunenne artista è quasi “un uomo nuovo”. «Dalla musica - dice Vasco - ho avuto tanto, ho realizzato la mia favola rock e, a un certo punto, mi ero annoiato di tutto. Solo la musica ti permette di vivere un’esperienza straordinaria, condivisa da 50-70 mila persone allo stesso momento. Mi ero dimesso da rockstar, ma le dimissioni sono state respinte...». Nel concerto, un mix di brani storici e canzoni di forte critica sociale. Come “Gli spari sopra” e “Delusa”, “C’è chi dice no” e “Mi si escludeva”. Signori, il Blasco è tornato.

mercoledì 5 giugno 2013

TRE TRIESTINE SUL PALCO CON SPRINGSTEEN, A MILANO

Tre triestine l’altra sera a Milano, stadio di San Siro, a ballare e duettare con Bruce Springsteen. La storia ha dell’incredibile e conferma il magico legame fra il Boss e il capoluogo giuliano. E non è solo questione del sindaco springsteeniano Cosolini, presente anche a Milano. L’anno scorso, allo Stadio Rocco, la curiosità era rappresentata dal fatto che il ragazzino che aveva cantato “Waitin’ on a sunny day” sul palco con il rocker americano che gli reggeva il microfono e la ragazza che poi aveva ballato col Boss nell’”Apollo Medley” erano fratello e sorella, per la precisione Federico e Sofia De Stauber. Ma sul palco erano saliti anche Sandy Ritossa, riuscita persino nell’impresa di stampare un bacio sulla guancia di Bruce; Jacky Belleli, che ballò con Soozie Tyrell; Guendalina Meli, protagonista di un ballo col Boss su intercessione della figlia, che aveva issato il cartello “Dance with my mom, please!”. Stavolta è toccato proprio alla figlia della Meli, Jacqueline Sanzin, e alla loro amica Maurizia Serli (con maglietta del concerto triestino), salire sul palco durante “Dancing in the dark”, il brano che storicamente prevede il momento di gloria per qualche fortunata delle primissime file. Ma il gioco piace alle folle. E da qualche tempo il Boss lo replica anche in un brano successivo della scaletta, che come noto cambia ogni sera. E l’altra sera a Milano, nel catino bollente di San Siro, pochi minuti dopo l’accoppiata Sanzin-Serli, Bruce ha fatto salire in pedana un’altra ragazza, anche lei triestina: la studentessa universitaria Martina Paccione, a cui ha affidato la sua chitarra acustica Takamine. In una “front line” composta nientemeno che da Springsteen, Jake Clemons, Miami Steve Van Zandt in arte “Little Steven” e la stessa, incredula Paccione. La felicità toccata con un dito. «La cosa incredibile - rimarca Daniele Benvenuti, autore del libro “All the way home, Bruce Springsteen in the Italian land” - è anche che tutte e tre le ragazze fanno parte dell’associazione Trieste is Rock». In occasione del concerto di Padova, Benvenuti ha anche consegnato personalmente al Boss il suo libro sui suoi concerti italiani, dopo averglielo fatto avere per interposta persona in occasione della tappa a Copenaghen del tour. E l’altra sera, durante lo show di San Siro, ha segnalato per primo su Facebook lo svarione del rocker del New Jersey: dopo aver raccolto dal pubblico un cartellone con la richiesta “Good golly Miss Molly”, ha invece eseguito “Long tall Sally”. Entrambi classici di Little Richard, ma brani diversi. Per Springsteen, appuntamento a Roma, Ippodromo delle Capannelle, l’11 luglio.

martedì 4 giugno 2013

PER FERMARE LA "TEMPESTA PERFETTA"

Si è svolta ieri a Trieste, al Circolo della Stampa, l'assemblea generale dell'Assostampa Fvg. Alla presenza del presidente della Fnsi Giovanni Rossi, sono stati approvati all'unanimità i bilanci (anche quest'anno in attivo) ed è stata estesa ai giornalisti collaboratori in difficoltà economica la possibilità - già prevista dallo statuto per i professionali - di chiedere l'iscrizione gratuita al sindacato. Dopo un ampio e vivace dibattito, al quale ha partecipato anche il segretario dell'Assostampa Romana Paolo Butturini, l'assemblea ha approvato, con tre astensioni e nessun voto contrario, il seguente documento, che i consiglieri nazionali Fvg porteranno al prossimo consiglio nazionale della Fnsi. Sul sistema dell’informazione italiana si sta scatenando la "tempesta perfetta". Le cause non vanno ricercate soltanto nella crisi economica e sociale in atto, che tutt’al più ha aggravato la situazione, ma nelle antiche carenze strutturali e normative del settore, mai affrontate in tutta la loro complessità, il cui superamento è stato per troppo tempo eluso nonostante gli allarmi costantemente lanciati dal sindacato unitario dei giornalisti. I quotidiani hanno continuato a perdere lettori e copie vendute e sono diminuiti gli ascolti dei grandi network televisivi, con conseguente flessione degli introiti pubblicitari; ancora molto incerta appare l’integrazione dei vecchi media nel web con il rischio che sia progressivamente marginalizzato il ruolo della stampa e della professione giornalistica. Anche le difficili vertenze che il sindacato sta affrontando in questo periodo sono una delle conseguenze, con effetti sociali devastanti, dell’incapacità di cogliere con tempestività i segnali del progressivo degrado del sistema e di affrontare in modo radicale e senza improvvisazioni la riforma complessiva di un comparto industriale di grande rilevanza sociale e civile prima che economica. La trattativa appena avviata dalla Fnsi con la Fieg sul rinnovo contrattuale va condotta su un binario di assoluta chiarezza e trasparenza. No a chi, fra gli editori, con la scusa della crisi, vuole destrutturare il contratto, insostituibile rete di garanzia necessaria soprattutto per chi lavora nei giornali e nei media più piccoli. Sì a chi ragiona in termini di sviluppo, crescita, salvaguardia dei posti di lavoro. E' vero che senza interventi pubblici mancano le risorse per il nuovo contratto, ma deve essere anche chiaro che le risorse non devono servire soltanto per finanziare gli ammortizzatori sociali, pur necessari, ma vanno indirizzate anche alla crescita e allo sviluppo. In questo contesto va affrontato e risolto il grave problema della crescente precarizzazione del lavoro giornalistico e della tutela del lavoro autonomo, anche attraverso una rigorosa applicazione della legge sull’equo compenso. Va quindi superata la divisione concettuale fra giornalisti contrattualizzati ed autonomi o freeelance, per affrontare in ogni sede in modo organico le problematiche di tutta la categoria. Il ricorso al lavoro irregolare, sottopagato e senza diritti, di collaboratori e autonomi non consente infatti un'informazione libera né di qualità, indebolisce le prospettive del lavoro contrattualizzato, aumenta il potere incontrollato dei datori di lavoro e mette in discussione la stabilità del sistema previdenziale della categoria. Pur rifiutando l’equivoca definizione di quarto potere, siamo tutti consapevoli che la libertà e l’autonomia dell’informazione sono le precondizioni della convivenza democratica. Da tale consapevolezza, in questo difficile momento di svolta per la società italiana, deve nascere un impegno forte per fermare la crisi, rilanciare il ruolo del sistema ed eliminare tutti gli ostacoli che ne hanno frenato la vita. Non favoriscono l’avvio di una nuova stagione riformatrice l’incertezza del quadro politico, associata alla permanente attitudine di porre l’informazione sotto controllo, e persino il rifiuto posto da nuovi movimenti politici di riconoscere il ruolo professionale degli operatori del settore. Ciononostante, a fronte della gravità della situazione, il sindacato dei giornalisti deve saper recuperare per intero l’iniziativa politica chiamando alla mobilitazione e all’impegno concreto tutti gli interlocutori che si riconoscono nei valori e nelle garanzie costituzionali attorno a un progetto complessivo di riforma del settore depurato da qualsiasi tentazione corporativa. Punti essenziali di questa piattaforma sono: - l’approvazione in tempi brevi di una nuova legge a sostegno dell’editoria che,abbandonando la stagione dei contributi a pioggia e con regole severe, favorisca i processi di trasformazione industriale verso la multimedialità, la crossmedialità e la transizione al digitale, l’ammodernamento tecnologico e i nuovi prodotti editoriali, la nascita e lo sviluppo di iniziative a tutela dei diritti costituzionalmente protetti, con una particolare attenzione ai media voce delle minoranze etnico - linguistiche; - una nuova legge sulle televisioni che superi l’attuale assetto sostanzialmente duopolistico del settore e favorisca il ritorno della Rai alla sua missione editoriale di servizio pubblico, liberato dalla dipendenza dai partiti; - una nuova normativa sulla ripartizione delle risorse pubblicitarie al fine di superare gli attuali squilibri; - una legge sul conflitto di interessi nel settore editoriale che impedisca gli intrecci perversi tra politica, industria e informazione; - la revisione della legge sulla stampa e sulla tutela del diritto di autore, estendendo la normativa anche alla rete; - una radicale riforma della legge sull’ordine dei giornalisti; - un intervento legislativo che, superando la normativa in vigore, estenda e amplifichi le forme di tutela e di welfare al lavoro giornalistico autonomo; - una revisione, alla luce dell’esperienza, della legge 150/2000 e del relativo regolamento riguardante gli uffici stampa e le agenzie di informazione della pubblica amministrazione affinché, in tali contesti, sia applicato il contratto giornalistico al fine di garantire una corretta informazione istituzionale. Su questi temi, su questa vera e propria emergenza democratica e sociale, per fermare questa "tempesta perfetta", la categoria deve essere chiamata a una nuova stagione di impegno e mobilitazione.

lunedì 3 giugno 2013

AL CAVERN DI LIVERPOOL, DOVE 50 ANNI FA I BEATLES...

Se a Londra il 10 per antonomasia è quello di Downing Street, a Liverpool il numero magico ti porta dritto a Mathew Street. Dove entri in un altro portoncino nero, scendi quattro rampe di scale strette e abbastanza buie, e come d’incanto ti trovi trasportato nel mondo (che fu) dei Beatles. Signori, benvenuti al Cavern Club, il locale dove quattro ragazzi cambiarono, oltre alla propria, la vita di milioni di persone. Certo, nella città che sorge sull’estuario del fiume Mersey (e infatti all’inizio lo chiamavano il Mersey beat...) c’è il museo dei Beatles all’Albert Dock, dove per sedici sterline e una manciata di penny ti ripropongono vita morte e miracoli dei Fab Four. E poi Strawberry Field Community Home, l’ex orfanotrofio che ispirò a John Lennon “Strawberry fields forever”. E ancora Penny Lane, nel quartiere Church, la cui scritta stradale contende a quella londinese di Abbey Road la palma della fotografia più ambita da generazioni di beatlesiani. E la casa della famiglia McCartney al numero 20 di Forthlin Road; la villetta al 251 di Menlove Avenue dove John visse con la zia Mimi e il marito; l’abitazione popolare al 25 di Upton Green, estrema periferia sud, e quella in Madryn Street, zona operaia del Dingle, dove nacquero rispettivamente George Harrison e Ringo Starr. Ma se a Liverpool c’è un luogo dove l’atmosfera sembra ancora quella di cinquant’anni fa, ebbene, questo è il Cavern. È in pieno centro, a due passi dall’affollatissima zona pedonale di Lord Street. I Beatles vi esordirono il 9 febbraio 1961, suonandovi poi altre trecento volte o giù di lì, fino all’ultima, il 3 agosto 1963, quando la loro fama ormai planetaria richiedeva spazi ben più ampi (mezzo secolo fa, di questi tempi, erano per la prima volta ai vertici delle classifiche con il singolo e l’album “Please please me”). Entri e ti trovi circondato da vecchi strumenti in bacheca (tra cui lo storico basso Höfner di Paul), locandine e manifesti ingialliti, fotografie in bianco e nero, l’inevitabile merchandising che ruota attorno a un business, quello dei Beatles, attorno al quale negli ultimi decenni è rinata l’intera città, un tempo povera e oggi florida anche grazie a loro. Al Cavern non si paga biglietto d’ingresso. C’è musica ogni giorno, dal lunedì al giovedì si comincia alle due del pomeriggio, dal venerdì alla domenica si parte già a mezzogiorno. Solisti e gruppi - quasi sempre dilettanti nel senso più nobile del termine - si alternano sul minuscolo palco, le canzoni manco a dirlo sono quelle dei quattro, la gente beve birra e a volte canta in coro. Clima festaiolo, insomma. Il club all’inizio era un locale dove si suonava jazz. Inaugurato nel gennaio ’57 laddove precedentemente c’era un magazzino ortofrutticolo, usato durante la guerra come rifugio antiaereo, dopo un paio d’anni fu riconvertito dai nuovi gestori in locale dove si esibivano i gruppi di rock’n roll. Nel maggio ’60, alla prima “Beat night” parteciparono fra gli altri Rory Storm and the Hurricanes, con un giovane Ringo Starr alla batteria. Meno di un anno dopo, nel febbraio ’61, al ritorno dai mesi trascorsi ad Amburgo, vi planarono per la prima volta i Beatles. Che proprio lì furono avvicinati da Brian Epstein, l’uomo che li trasformò in star planetarie. Fra gli anni Sessanta e i primissimi Settanta nel locale suonarono fra gli altri Rolling Stones, Yardbirds, Kinks, Elton John, Who. Prima della chiusura, nel maggio del ’73, per far posto a un parcheggio e a un condotto di ventilazione per la metropolitana. Ma dopo l’assassinio di John, l’8 dicembre dell’80, il Comune promosse la ricostruzione del locale, sempre in Mathew Street, praticamente a fianco dell’originale. Per l’opera furono reimpiegati i mattoni originali, che oggi sono interamente occupati dalle firme dei fan e dei visitatori. All’esterno, davanti all’ingresso, sulla “Cavern wall of fame”, altri mattoni recano i 1801 nomi dei musicisti che in tutti questi anni si sono esibiti nel locale. Ogni mattone, un nome. Attorno a quelli dei quattro Beatles. All’interno, sulla riproduzione del fondale originale, fatta realizzare da Ringo a metà degli anni Ottanta, gli autografi degli artisti che si esibirono nel locale negli anni Sessanta. Qui più che altrove, come si diceva, l’appassionato e il semplice curioso hanno l’adrenalinica sensazione di essere nei luoghi dove mezzo secolo fa quattro ragazzi hanno cambiato la storia della musica e del costume del Novecento.

OGGI A TRIESTE ASSEMBLEA ASSOSTAMPA FVG

​ Oggi, lunedì 3 giugno, alle 15, al Circolo della Stampa di Trieste, si terrà l'assemblea annuale dell'Assostampa del Friuli Venezia Giulia, l'articolazione territoriale della Fnsi, sindacato unitario dei giornalisti. Parteciperanno Franco Siddi e Giovanni Rossi, rispettivamente segretario generale e presidente della Fnsi. Oltre agli abituali adempimenti statutari, nel corso dell'assemblea si discuterà fra l'altro del rinnovo del contratto di lavoro giornalistico, scaduto a marzo; della tenuta degli enti di categoria, alle prese con una pesante crisi economica; della tutela dei collaboratori, dei precari e dei freelance, vero anello debole della categoria; della trasformazione del lavoro di giornalista e del mondo dell'informazione. L'assemblea è aperta a tutti gli interessati. L'assemblea generale dell'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia è convocata lunedì 3 giugno alle 14.30 in prima e alle 15 in seconda convocazione al Circolo della Stampa di Trieste, in Corso Italia 13, con il seguente ordine del giorno: 1) Relazioni politico-sindacali 2) Esame e approvazione dei bilanci consuntivo 2012 e preventivo 2013 3) Varie ed eventuali Sono stati invitati all'assemblea Franco Siddi e Giovanni Rossi, segretario generale e presidente della Fnsi, che hanno assicurato la loro presenza

sabato 1 giugno 2013

MARCO MENGONI stasera a trieste, al rossetti

Sostiene Marco Mengoni: «La prima parte del concerto serve per scaldare i muscoli, mentre la seconda per ballare». E poi aggiunge: «Quello dei nuovi concerti è uno spettacolo più europeo che dipende molto anche dalla nuova squadra che mi circonda e che ha contribuito alle mie scelte. Addirittura questa volta provo anche a imbracciare una chitarra, pur non avendola mai suonata in passato e avendo interrotto le lezioni che ho provato a seguire...». Il tour di Mengoni fa tappa stasera alle 21 al Rossetti di Trieste. Concerto “tutto esaurito” già in prevendita, e dunque il venticinquenne interprete laziale non è disponibile per interviste (i cantanti imparano presto: quando serve per vendere qualche biglietto in più, porte aperte a giornali e media grandi e piccoli; se l’incasso è già assicurato, grazie e ciao...). Per presentare lo show, ci accontentiamo dunque di qualche frase da lui pronunciata nelle settimane scorse, magari in occasione del debutto del tour, l’8 maggio a Milano. Anno davvero speciale, per il ragazzo che trionfò a “X Factor” tre anni fa. Prima la vittoria a Sanremo con il brano “L’essenziale”, poi il settimo posto all’Eurofestival (manifestazione caduta un po’ in disgrazia, ma ancora dotata di un suo fascino, e comunque ora si chiama Eurovision Song Contest...), ora questo “Essenziale Tour” che arriva a Trieste, e che sta andando talmente bene che gli organizzatori sono stati costretti - si fa per dire, non c’è stato bisogno delle maniere forti - di aggiungere alcune date a quelle già previste per tutta l’estate. Le nuove tappe sono: Teatro Arcimboldi di Milano il 25 e 26 settembre, primo ottobre a Bologna, 9 ottobre a Napoli, 11 a Firenze, 12 a Torino. Ma non parliamo di ottobre, che c’è già il meteo a metterci tristezza. E torniamo al presente. Che è fatto innanzitutto del concerto di stasera a Trieste. I tanti fan del cantante si troveranno sul palco un artista che, rispetto alle passate e comunque recentissime esperienze, sembra già voler dare una rimescolata alle carte se non addirittura cambiare strada. Insomma, via i panni del “Re matto” e prove tecniche da crooner versione 2013. Ecco allora la scelta di dividere lo show in due parti: la prima più soft, quasi intimista, che secondo la scaletta dovrebbe aprirsi con brani come “Prontoacorrere”, “Evitiamoci”, “Bellissimo” e “Non passerai”. Seconda parte nella quale, oltre a lasciare l’elegante completo nero e virare sul color viola (che nei teatri porta molti a lasciarsi andare a gesti scaramantici più o meno urbani...), il nostro si scalda, si scatena e invita il pubblico, che in realtà non aspetta altro, a fare altrettanto. Previsti 24 brani in tutto. Secondo le cronache delle tappe precedenti del tour, durante il concerto Mengoni parla con il pubblico, ringrazia il suo “esercito” personale, in alcuni momenti addirittura si commuove. A volte c’è spazio anche per qualche aneddoto, come quello raccontato prima del brano “La valle dei re”: «Ma quale re, se lo scorso anno quando dovevo suonare al Forum di Assago sono arrivato in ritardo e gli addetti alla sicurezza non mi volevano fare entrare perchè non avevo il pass...». Sul palco, con Mengoni, sei musicisti: Luca Colombo, direttore musicale, che ha arrangiato tutte le parti musicali del tour; Gianluca Ballarin al piano tastiere e alle programmazioni, Giovanni Pallotti al basso, Andrea Pollione all’organo e alle tastiere, Peter Cornacchia alla chitarra, Davide Sollazzi alla batteria.