venerdì 29 ottobre 2004

ANTONACCI AL PALATRIESTE

Alle ragazze piace Biagio Antonacci. Lo aspettano, lo guardano con
occhi sognanti, cantano in coro le sue canzoni. E poi, quando l’oggetto del

desiderio arriva nelle vicinanze, le più fortunate si allungano per

toccargli la mano, per regalargli un fiore, un pacchetto, un bigliettino...

Il rituale di ogni concerto del quarantunenne cantautore milanese si è

ripetuto ieri sera al PalaTrieste, affollato per l’occasione da quasi

tremila giovani e giovanissimi a maggioranza femminile.

È un anno d’oro, per Biagio. Il grande successo di «Convivendo parte 1»,

premiato al Festivalbar come disco dell’anno. E ora anche il suggello dal

vivo, con questo «Convivendo Tour», partito a fine settembre dall’Arena di

Verona, che dopo la tappa triestina tornerà nel Triveneto il 12 novembre, al

Palaverde di Treviso, per un concerto che è già tutto esaurito in

prevendita.

La prima sorpresa dello show è il palco: una sorta di pedana trasparente,

che rappresenta una figura umana stilizzata, le cui braccia e le cui gambe

formano un asimmetrico camminamento che occupa buona parte della platea.

Su questo palco, quindici minuti dopo le ventuno, si materializzano uno alla

volta i musicisti che accompagnano l’artista (gruppo rock e piccola sezione

archi). Quando arriva il turno di Antonacci, c’è anche la seconda piccola

sorpresa: per aprire lo show con «Mio padre è un re», dall’ultimo album, il

nostro si presenta bardato da una mantella rosso vermiglio e con tanto di

corona in testa.

Giusto un paio di minuti, poi mantella e corona volano via, lasciando il

posto alla tenuta da combattimento: scarpe da ginnastica, jeans, camicia

scura (che poi, approfittando di un assolo del chitarrista, cambierà per una

bianca). Dopo «Quanto tempo e ancora», è il turno della terza sorpresa, tale

solo per chi pensava, andando a vedere un concerto di Antonacci, di venir

avvolto per due ore da zuccherose atmosfere cantautorali.

Eh no, perchè con «Angela» (stava nel disco di tre anni fa, quello

intitolato «9/nov/2001»), il lungagnone cresciuto nelle periferie povere

della metropoli lombarda, quello che studiava da geometra ma sognava la

musica, quello che ha fatto il militare fra i carabinieri e non avrebbe

disdegnato di fare il giudice «per stare dalla parte della giustizia», sì,

insomma, lui, il bell’Antonacci, dimostra di avere anche un’anima rock di

quelle che non lasciano nulla all’immaginazione.

La sua forza, la ragione del suo successo sta nella semplicità, nella

pulizia, nella coerenza. «Io vado avanti per la mia strada - dice Biagio -

con semplicità e coerenza, cantando i miei sentimenti e accorgendomi che

vengono condivisi da tanta gente. Non ho mai seguito le mode, le tendenze

più o meno effimere. Penso che il pubblico se ne accorga».

Sì, se ne accorge. E apprezza. Melodia e sgroppate rock, romanticherie e

vita vissuta, sentimento ma anche parole chiare e forti contro la guerra.

Come quando più avanti, nel corso della serata, l’artista ricorda Jessica e

Sabrina, «fiori fragili» spezzati da una guerra che porta solo morte e nuovo

terrorismo: le due sorelle piemontesi uccise a Taba, in Egitto, facevano

parte del popolo di Biagio, avevano già i biglietti per il concerto di Cuneo

del 6 novembre, e al loro funerale le amiche le hanno ricordate con un verso

di una sua canzone...

Ma la serata è innanzitutto una serata di festa. Che vive delle canzoni del

nuovo disco («Passo da te», «Dopo il viaggio», «Quell’uomo lì»...) ma

soprattutto di antichi - si fa per dire: è comunque roba degli anni Novanta

- cavalli di battaglia: «Se io se lei», «Se è vero che ci sei», «Le cose che

ho amato di più»...

Biagio non è uno di quelli che in un concerto dicono tre parole in croce.

Fra una canzone e l’altra parla, racconta, ammicca. Introduce «Non tentarmi»

invitando le coppie (dopo aver verificato con tanto di sbrigativo referendum

che sono in minoranza rispetto ai single) a ballare guancia a guancia come

si faceva nei locali di una volta. E una statuaria bellezza bruna sale sul

palco per ballare con lui e lasciargli un bigliettino (subito fatto sparire

nella tasca dei jeans...) prima di venir educatamente congedata.

Poi il nostro, forse emozionato perchè la serata promette di mettersi bene

assai, si lascia prendere la mano ed esagera - prima di cantare «Mai» -

invitando la gente a tirar fuori i telefonini e a usarli (...) come nei

concerti di una volta si faceva con gli accendini.

Ma ormai il concerto è in discesa. Gli ultimi successi «Non ci facciamo

compagnia» e «Convivendo», dal passato prossimo brillano «Iris» e

«Liberatemi»... E poi c’è spazio anche per i bis, aperti da «Ti ricordi

perchè». Le ragazze, quelle a cui piace Biagio, ricordano perfettamente.

INTERVISTA ANTONACCI

Quando ha saputo che ai funerali di Jessica e Sabrina, le due
sorelle piemontesi morte nel massacro di Taba, una loro amica ha letto i

versi di una sua canzone («I fiori sono fragili, muoiono in un soffio, quasi

come i giorni di una vita...»), Biagio Antonacci ha avvertito un brivido. E

ha capito ancor di più quanto siano assurde tutte le guerre e questa guerra

in particolare.

«Quelle due ragazze - ricorda il cantautore, il cui tour fa tappa domani

alle 21 al PalaTrieste - prima di partire per la vacanza in Egitto avevano

già comprato il biglietto per il mio concerto del 6 novembre a Cuneo. Vuol

dire che ci tenevano per davvero. Spero di trovare le parole, quella sera,

per spiegare quanto la loro morte mi ha sconvolto. Mi ha lasciato un senso

di impotenza e di ingiustizia».

E aggiunge: «Sono convinto che le guerre siano sempre sbagliate, ma questa

in particolare è assurda, non serve a risolvere i problemi, anzi, li aggrava

sempre più. È una tragedia di cui sconteremo le ripercussioni per tantissimo

tempo».

Lei come si difende dalle brutture del mondo?

«Andando avanti per la mia strada, con semplicità e coerenza, cantando i

miei sentimenti e accorgendomi che vengono condivisi da tanta gente. Non ho

mai seguito le mode, le tendenze più o meno effimere. Penso che il pubblico

se ne accorga».

Il suo «Convivendo parte I» è rientrato in classifica...

«Sì, e infatti abbiamo deciso di posticipare a febbraio la pubblicazione

della seconda parte, prevista originariamente in queste settimane. Dividere

un disco in due parti, e venderlo a prezzo ridotto, è stata una scommessa

vincente: i discografici erano dubbiosi...».

Come li ha convinti?

«Ero sicuro che bisognava inventarsi qualcosa, in questo momento di crisi

economica generale e della discografia in particolare. Avevo diciannove

canzoni, non volevo scartarne nessuna, dunque le ho divise in due parti,

imponendo un prezzo ridotto anche per venir incontro ai tanti ragazzi che

hanno pochi soldi in tasca».

Insomma, non ha dimenticato le sue origini...

«Certo che no. Vengo dalla periferia povera di Milano, avevo tanti sogni e

mi considero molto fortunato per quello che ho ottenuto con la musica. Ho

sempre avuto il senso della giustizia, il militare l’ho fatto fra i

carabinieri, e mi sarebbe piaciuto fare il magistrato: stare dalla parte del

giusto, per me, ha sempre significato aver rispetto per il prossimo...».

Sul palco con Antonacci, domani a Trieste, Saverio Lanza (chitarra e

pianoforte), Eugenio Mori (batteria), Alex Class (basso), Silvia Baraldi

(percussioni e tastiere) e un quartetto d'archi. In programma, vecchi

successi e le canzoni del nuovo disco.

PROSSIMI CONCERTI

Dopo la ricca estate musicale e l’appendice ottobrina del Barcolana
Festival, comincia a prendere forma la «sezione autunno inverno» del

cartellone musicale triestino e del Nordest. Si parte domani con il concerto

di Francesco Guccini al palasport di Pordenone. Si prosegue martedì 26 e

mercoledì 27 con Renato Zero al palasport di Padova. E giovedì 28 c’è Biagio

Antonacci al PalaTrieste.

Mese di novembre. Martedì 2 Al Jarreau canta al palasport di Padova. Da

venerdì 5 a domenica 7 si svolge al Teatro Miela, a Trieste, la quarta

edizione del Festival di musica contemporanea Luigi Nono. Sabato 13, di

nuovo al palasport di Padova, c’è Max Pezzali. Il 18 e il 19 i Pooh

presentano al Politeama Rossetti il loro nuovo spettacolo «Ascolta», che

prende il titolo dall’ultimo cd dell’immortale quartetto.

Il 20 novembre parte dal Palaverde di Treviso il tour dei Nomadi, che due

giorni dopo, lunedì 22 novembre, suonano al PalaTrieste.

Due appuntamenti a dicembre al palasport di Pordenone: giovedì 2 è in

programma un concerto di Raf, mentre martedì 7 arriva Mango.

Siamo al 2005. Il 17 gennaio fa tappa al Tivoli di Lubiana il tour mondiale

dei Rem, che poi tocca il 19 anche il palasport di Zagabria; le tappe

italiane del tour della band americana sono il 15 gennaio a Milano e il 16 a

Bolzano.

Il 30 gennaio suonano a Trieste, al Politeama Rossetti, The Mothers of

Re-Invention, gruppo di cui fanno parte alcuni dei musicisti che hanno fatto

parte della leggendaria formazione che ha accompagnato il viaggio artistico

e creativo del grande Frank Zappa. In occasione del concerto, si terrà a

Trieste - sempre a cura dell’Associazione Musica Libera che lo organizza -

un seminario su Frank Zappa con la band al completo, Franz Di Cioccio

(batterista e cantante della Premiata Forneria Marconi) e il critico

Riccardo Bertoncelli.

Il primo febbraio parte dal PalaTrieste il tour di Elisa, che prosegue il 2

a Pordenone, ma che avrà anche un’anteprima il 10 dicembre al Filaforum di

Assago, a Milano.

Un appuntamento già fissato anche per marzo: il 18, al PalaTrieste, serata

«Italian Graffiti Group», con Dik Dik, Formula 3, Equipe 84 e persino i

Nuovi Angeli (evidentemente esistono ancora...).

Aggiornamenti alle prossime puntate.

domenica 10 ottobre 2004

DALLA E JANNACCI AL BARCOLANA FESTIVAL

È finita pochi minuti prima della mezzanotte, ieri sera in una gremitissima piazza Unità, la grande festa musicale del «Barcolana Festival». È finita con un inedito Lucio Dalla in versione jazz, dopo che la serata era stata aperta da Enzo Jannacci. Che è partito con «Giovanni telegrafista», «El purtava i scarp de tenis», «Vincenzina e la fabbrica», «Mario»... Ovvero tutta l’umanità dolente e la poetica del sessantanovenne cantautore milanese, vestita con nuovi abiti musicali, cuciti da una band di jazzisti con Paolo Jannacci alle tastiere e alla fisarmonica. Chiusura in crescendo, con «E la vita, la vita», «Oh che sarà», un’irresistibile «Bartali»...

Dalla si è presentato al clarinetto, affiancato dal quartetto del sassofonista Stefano Di Battista, con ospite la cantante Niki Nicolai. Partenza con un inedito: il brano «My song» di Keith Jarrett, su cui Lucio canta un suo testo in italiano. Poi standard di Charlie Parker (la classicissima «A night in Tunisia»), di Dizzy Gillespie, di Thelonius Monk... Ma anche «Over the rainbow» e alcune sue canzoni, opportunemente «jazzificate», come dice lui: «Com’è profondo il mare», «4 marzo 1943» (con Dalla solo al pianoforte), la conclusiva e come al solito struggente «Caruso».

Ma né Dalla né Jannacci parteciperanno stamattina alla Barcolana. Contrariamente a quel che avevano annunciato, o forse solo sperato, gli organizzatori della regata triestina.

Sull’argomento Jannacci taglia corto così: «Macchè regata e regata, io sto in piedi per miracolo. Fate partecipare Dalla, che è più giovane e più sano di me...».

Ma l’imbeccata non funziona: «Purtroppo non posso accettare l’invito che ho ricevuto - dice l’artista bolognese -, vedrò la partenza della regata ma poi devo proprio partire: in serata devo essere a Genova, per il Salone della Nautica. Vorrà dire che l’anno prossimo farò il possibile per tornare e partecipare alla regata...».

«A Genova - prosegue Dalla - devo andare anche perchè sto pensando a delle migliorìe alla mia barca, ”Brilla e Billy”, venticinque metri che tengo alle Tremiti. Dentro c’è anche il mio piccolo studio di registrazione, quello in cui ho registrato buona parte della ”Tosca”...».

«Il jazz? È stata la mia prima musica da ragazzo, quando ho imparato a suonare prima la fisarmonica e poi il clarinetto. Suonavo in un gruppo che si chiamava Reno Jazz Gang, poi con la Second Roman New Orleans Jazz Band. Nel 1960, a diciassette anni, ho anche suonato con il grande Charlie Mingus, con Chet Baker. Al clarinetto suonavo una nota sola, il si bemolle, ma non c’era nessuno più bravo di me...».

«Poi con il jazz ho smesso - prosegue -, dedicandomi alla canzone ma non perderdo mai l’interesse per il genere afroamericano. Recentemente mi è tornata la voglia anche di suonarlo, per divertimento, e quest’estate abbiamo fatto dei concerti, con Stefano Di Battista e gli altri del gruppo ”Dalla Jazz”: al Teatro dell’Opera di Vienna, al Teatro Greco di Taormina, allo Sferisterio di Macerata, a Palermo...».

Ancora Dalla: «In questi concerti suoniamo standard jazz, ma per accontentare il pubblico propongo anche alcune mie canzoni ”jazzificate”. Lo faccio perchè la gente se lo aspetta, perchè ci divertiamo, ma soprattutto per far capire ancora una volta che nella musica non esistono steccati».

«In fondo, anche per la mia ”Tosca” è stato così. È passato un anno dal debutto a Roma, dove torneremo nelle prossime settimane. Siamo reduci dal doppio tutto esaurito all’Arena di Verona, dal successo in Austria, a primavera eravamo anche qui a Trieste... Sarà un tour ancora lungo: ora andremo in Francia, in Spagna, negli Stati Uniti, persino in India».

«Intanto - conclude Lucio Dalla - comincerò anche a lavorare al mio nuovo disco. Ho già alcune canzoni. Uscirà fra un anno, a fine 2005».

Ma torniamo a Enzo Jannacci. Anche per lui il jazz è stato il primo amore. «Sarà stato il ’55 - ricorda il musicista milanese - avevo vent’anni. Studiavo medicina ma mi ero diplomato in pianoforte al Conservatorio di Milano. Andai a fare un provino per entrare nel gruppo di Franco Cerri. Che, bontà sua, mi prese. Suonammo insieme per un po’ di tempo, poi dovetti lasciare il posto a un pianista molto più bravo di me: un certo Enrico Intra. In quegli anni, prima di scoprire il rock’n’roll e il cabaret, mi è capitato anche di suonare con Stan Getz, Gerry Mulligan, Bud Powell...».

Prosegue Jannacci: «Ho ascoltato molta musica jazz anche negli anni che ho passato negli Stati Uniti, a fare il cardiochirurgo. Poi, tornato in Italia, ho scritto soprattutto canzoni. Il jazz l’ho un po’ lasciato da parte. Ma il mio gruppo, con mio figlio Paolo al pianoforte e alla fisarmonica, è formato da jazzisti: e dunque anche gli arrangiamenti delle mie canzoni, vecchie e nuove, sono jazz...».

Di Gaber, Jannacci non trova ancora la forza di parlare: «Mi fa troppo male, non è passato ancora abbastanza tempo...». Del titolo dell’ultimo disco, «L’uomo a metà», dice: «Siamo tutti uomini a metà, per metà intenti a rifugiarci nel nostro comodo egoismo, per l’altra metà disposti anche a far del bene al prossimo...». Poi, prima di annunciare per il 22 novembre l’uscita di un altro disco, dedicato a vecchie canzoni dialettali rifatte, si lascia prendere da un sano lampo di pessimismo: «Guardo l’Italia, il mondo, e penso che ormai abbiamo davvero toccato il fondo. Peggio di così non può proprio andare...».

È andato bene invece il «Barcolana Festival 2004». La scommessa di puntare sul jazz e su un cast meno giovanilista, che alla vigilia poteva sembrare temeraria, può dirsi vinta. Dopo un’estate musicalmente ricca, gli organizzatori hanno preferito variare il menù, inventandosi il binomio «jazz & vela». Risultato: il festival è costato molto meno che nelle passate edizioni, il pubblico è stato inferiore rispetto agli anni passati, ma la qualità delle proposte musicali (Nicola Arigliano, la Casale, Shawnn Monteiro con Benny Golson, la Montecarlo Nights Orchestra con Nick the Nightfly - ieri sera di nuovo sul palco, ma in veste di presentatore - e Sarah Jane Morris, oltre a Jannacci e Dalla) è stata di assoluto rispetto. E il grande jazz è stato sdoganato anche in piazza Unità.

NICK THE NIGHTFLY AL BARCOLANA FEST.

Grande jazz - e grande swing - ieri sera in piazza Unità. Non era mai successo. Forse si pensava che uno spazio all’aperto così ampio fosse inadatto a suoni e atmosfere che abitualmente frequentano luoghi più raccolti. Ma chi dubitava ha avuto torto.

La prova si è avuta soprattutto con il concerto di Shawnn Monteiro, che ha aperto la seconda serata del «Barcolana Festival 2004». La cantante americana era accompagnata da un ottimo trio (Massimo Faraò al pianoforte, Aldo Zunino al contrabbasso, Bobby Durham alla batteria), ulteriormente nobilitato dalla presenza di un autentico mito del jazz contemporaneo, il sassofonista Benny Golson.

Lei, figlia di Jimmy Woode (bassista di Duke Ellington), è considerata una delle migliori voci del jazz femminile mondiale. Ha avuto per madrina Sarah Vaughan e nel corso di una carriera ormai lunga ha lavorato con artisti del calibro di Clark Terry, Lionel Hampton, Kenny Barron, Mongo Santamaria...

Golson, nato a Philadelphia nel ’29, oltre che come sassofonista ha contribuito a scrivere la storia del jazz dell’ultimo mezzo secolo come compositore, arrangiatore e produttore. Ha lavorato con Benny Goodman, Dizzy Gillespie, Lionel Hampton, Art Blakey... Recentemente, è apparso anche in un cameo nel film di Steven Spielberg «The Terminal», con Tom Hanks: «È stata la mia prima e ultima volta nel cinema - ha detto Benny Golson, che vive fra New York e Los Angeles, ieri in piazza Unità - mi hanno chiesto di interpretare me stesso in una scena e io l’ho fatto. Ma io non sono un attore, sono un musicista...».

Prima separatamente e poi, nel finale, assieme, Shawnn Monteiro e Benny Golson hanno offerto al pubblico triestino un set di grande qualità, ricco di standard, classici di Duke Ellington e John Coltrane, musiche dello stesso Golson.

Ma si diceva che la seconda serata del festival è vissuta anche di grande swing. E ciò grazie a Nick the Nightfly con la sua Montecarlo Nights Orchestra, ospite davvero speciale Sarah Jane Morris. Apertura con «Fly me to the moon», un classico del repertorio di Sinatra, e poi standard di Duke Ellington, Cole Porter, Burt Bacharach...

«La gente mi conosce soprattutto come dj - spiega Nick - ma io nasco come musicista. Negli anni Settanta, a Londra, cantavo e avevo un mio gruppo. E anche in Italia, dove mi sono trasferito nell’85, prima di fare radio, ho lavorato come cantante e autore...».

«Io sono nato a Glasgow, in Scozia, nel ’57, dunque sono cresciuto con il grande pop-rock degli anni Settanta. Ma ho sempre avuto una passione particolare per la musica swing. La notorietà è arrivata per caso. Mi avevano chiamato a fare dei jingle per Radio Montecarlo, ho conosciuto i responsabili, mi hanno chiesto se volevo provare a fare un programma... All’inizio ho detto di no, poi ho provato e ormai sono quasi quindici anni che conduco le mie ”Montecarlo Nights”...».

«Non è mai bello dire ”sono stato il primo” - prosegue l’artista - ma in effetti credo di aver lanciato un nuovo modo di fare radio, di notte, creando un’isola di buona musica, privilegiando la qualità, i ritmi notturni. Pop, jazz, world...: non mi importano le etichette quanto la riscoperta della canzone, della melodia, dopo anni di suoni e di troppa elettronica, e in questo ho trovato in Italia un pubblico molto ricettivo».

Ancora Nick: «Quando ho ripreso a cantare? Beh, in realtà non avevo mai smesso. Ma l’idea di mettere su una grande orchestra, proponendo i classici dello swing, mi è venuta tre anni fa, facendo un programma con Renzo Arbore, che s’intitolava ”Aperitivo con swing”. Allora ho chiamato questi musicisti che mi accompagnano, tutti turnisti che hanno lavorato con grandi della musica italiana e internazionale, abbiamo cominciato a suonare. E mi sembra che funzioni...».

«Anche i giovani stanno riscoprendo lo swing - conclude Nick the Nightfly - come dimostra il successo di artisti come Michael Bublè. Perchè? Forse perchè non c’è altro di nuovo. O forse perchè la riscoperta della canzone, della melodia, dello swing è l’unica possibilità che ci rimane dopo troppi suoni finti e dopo troppo tecnologia...».

Stasera, per il «Barcolana Festival», è già tempo di gran finale. Sul megapalco di piazza Unità (che per qualcuno comincia a diventare un incubo...) salirà per primo Enzo Jannacci, accompagnato da una band con il figlio Paolo alle tastiere e alla fisarmonica. A seguire Lucio Dalla, stavolta in versione jazz, voce e clarinetto, con il quartetto del sassofonista Stefano Di Battista e la cantante Nicky Nicolai. Come da tradizione degli ultimi anni, a fine concerto si terrà uno spettacolo pirotecnico.

venerdì 8 ottobre 2004

CASALE E ARIGLIANO AL BARCOLANA FEST.

Più qualità e meno quantità, sembra essere la parola d’ordine dell’edizione 2004 del «Barcolana Festival», che ha debuttato ieri sera in piazza Unità. Un debutto - e tutta un’edizione - nel segno del jazz, anzi, del nuovo e coraggioso binomio «jazz & vela», in attesa della grande regata di domenica.

Ieri sera apertura di gran classe con Rossana Casale e Nicola Arigliano. Lei ha presentato il suo spettacolo «Billie Holiday in me», che è il titolo anche dell’ultimo disco. Accompagnata dal suo quartetto, la bionda interprete ha proposto «My man», «You’ve changed», «Comes love», «Speak low», «Don’t explain» e altri brani della grande Billie.

«Il mio amore per il jazz - spiega la cantante, nata nel 1959 a New York ma cresciuta in Italia - nasce prestissimo, attraverso i dischi dei miei genitori. Mio padre, americano, faceva il batterista jazz. E anche mia madre, veneziana, amava molto la musica. Diciamo allora che certi suoni, certi ritmi, certi artisti sono entrati nelle mie corde molto presto».

«Per riappropriarmene, però, ho dovuto aspettare un po’ di tempo. Il mio debutto nella musica è stato come corista, lavoro che ho fatto per dieci anni. Negli anni in cui percorrevo il mio viaggio nella canzone, il jazz è sempre stata la musica dei miei segreti, quella dietro cui nascondermi nei momenti soltanto miei. Ciò fino a che non ho sentito l’esigenza di tirare fuori, davanti al pubblico, questa mia grande passione... E Billie Holiday mi ha sempre affascinato perchè cantava l’amore con parole semplici, perchè ci ha insegnato che il jazz è musica ma anche espressione di vita. Disco e spettacolo sono un tributo alla più grande voce della storia del jazz».

«Il musical? Beh, quella è l’altra mia passione. Per me che amo il jazz, fare prima ”Un americano a Parigi” e poi ”A qualcuno piace caldo” è stato un altro sogno che si è realizzato. Da quelle esperienze in teatro ho imparato davvero molto. Ora mi aspetta un’altra avventura: a gennaio sarò la ”narratrice” nella ripresa di ”Joseph e la strabiliante tunica dei sogni in technicolor”, a Roma. È il primo musical di Andrew Lloyd Webber a essere stato tradotto in italiano. Poi arriverà anche il mio nuovo disco: non faccio un disco di inediti dal ’96. La mia casa discografica - conclude Rossana Casale - vorrebbe che uscissi con qualcosa già prima di Natale, ma per ora tengo duro: il disco vorrei farlo come dico io, con i miei tempi...».

Seconda parte della serata dedicata al grande Nicola Arigliano, che ha sorpreso il pubblico con la sua incredibile verve. Ideale risposta italiana al Buena Vista Social Club, l’intramontabile «crooner» ha proposto - affiancato dal suo trio e con l’immancabile cappelluccio calato sugli occhi - cavalli di battaglia dello swing italiano: da «Marilù» a «Permettete signorina», da «Il pinguino innamorato» a «Venti chilometri al giorno» (Sanremo del ’64), da «Adagio Biagio» a «Ludovico», passando per un omaggio al grande Louis Armstrong e, nel finale, una toccante «Arrivederci» di Umberto Bindi.

Prima del concerto, l’artista si è raccontato così: «Sono nato a Squinzano, un paese in provincia di Lecce, il 6 dicembre 1923. Quindi fra un po’ ne faccio ottantuno. Quand’ero ragazzo nelle case non c’era il bagno, dunque si andava a fare i bisogni nei campi... Ma dalle nostre parti era pieno di ortiche, e si diceva: ”Squinzano scànsalo, che c’è l’erba che ti punge lu culu...”».

Quella di Arigliano è una storia declinata a suon di jazz, anzi, «di swing», come dice lui. Ma che se non ci fosse stata la pubblicità, quella dei vecchi Caroselli, sarebbe stata diversa.

«Sì, ho fatto per ventisette anni, alla radio e alla tivù, la pubblicità del Digestivo Antonetto - ricorda l’artista - quello che ”si poteva prendere anche in tram”, e posso dire che è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita. Prima suonavo, lavoravo, guadagnavo, ma poi, dopo quella pubblicità, che feci perchè ero amico di Armando Testa, grande pubblicitario, d’un tratto tutti mi conoscevano, tutti mi volevano, e anche economicamente le cose migliorarono: con il jazz nessuno ha mai guadagnato tanto...».

Ma la storia di Nicola Arigliano comincia molto prima. «In casa eravamo quattro fratelli, alla musica mi sono avvicinato subito, grazie a mia madre che cantava e suonava la chitarra. Presi anche lezioni di armonia e composizione, ma al paese mi annoiavo. A quattordici anni partii per Milano, attratto dai racconti che facevano alcuni giovani del paese che erano emigrati e tornavano giù d’estate. Continuai a studiare composizione, cominciando anche a suonare il sax, la batteria, il contrabbasso...».

«Al canto arrivai anni dopo - prosegue Arigliano - incoraggiato da altri colleghi con cui collaboravo: Renato Sellani, Franco Cerri, Gianni Basso, Oscar Valdambrini... Con Cerri condivisi l’esperienza nella pubblicità: lui era l’uomo in ammollo, ma un po’ si vergognava, mentre io mi sono sempre divertito e sono tuttora grato alla pubblicità».

«A Milano suonavamo alla Taverna Messicana: swing italiano e americano. Il mio mito era benny Goodman. Poi feci cinque anni di militare, durante la guerra. Ricordo che finii la leva a Udine. E poi me ne andai finalmente in America. Avevo una ragazza a San Francisco, andai a trovarla, poi mi fermai a Boston, a New York, dove conobbi finalmente il vero ”iazz”...».

Un salto nel tempo, siamo agli anni Sessanta. «Dopo una parte nel film di Monicelli ”La grande guerra”, partecipai ad alcune Canzonissime e anche a un Sanremo, nel ’64, con ”Venti chilometri al giorno”, scritta da un giovanissimo Mogol e da Pino Massara. Fu una stagione di successo: ”Permette signorina”, ”I sing ammore”, ”È solo questione di tempo”, ”Amorevole”... Per tutti ero ”il brutto che canta o’ iazz”, oppure ”il cantante che non canta”...».

«Poi, verso la fine degli anni Sessanta, mi sono allontanato dal mondo dello spettacolo. Ero un po’ stufo. Ho continuato a fare dischi, a tenere concerti, ma da una posizione più defilata. Fino a pochi anni fa: nel ’96 mi hanno dato il Premio Tenco, sono usciti degli articoli, la televisione si è di nuovo ricordata di me, e anche l’attenzione per i miei dischi e concerti è aumentata. Ed eccomi di nuovo qui...».

«Io sono un po’ misantropo - conclude Arigliano - ho sempre voluto restare padrone assoluto della mia vita: se mi propongono delle cose che non mi piacciono, non le faccio e basta. Invece mi piace ancora, e tanto, cantare davanti alla gente: se non ho davanti un pubblico da intrattenere, per cui swingare, io non mi diverto...».

Stasera il Barcolana Festival 2004 prosegue con il quartetto dell’americana Shawn Monteiro (ospite il grande Benny Golson) e con Nick the Nightfly & the Montecarlo Nights Orchestra (ospite Sarah Jane Morris).