giovedì 17 dicembre 2009

DISCHI - NATALE


Per Natale è meglio regalare musica. Le case discografiche lo sanno, e infatti hanno sfornato anche quest’anno una quantità notevole di raccolte, compilation, antologie, cofanetti, ”cd-più-dvd” e avanti con quella fantasia che è necessaria - anche se non sufficiente - per tentare di uscire da una crisi che picchia duro.

La prima scelta non può che essere il nuovo album di Bob Dylan, ”Christmas in the heart” (Sony Columbia), nel quale il menestrello di Duluth rilegge con il suo stile inconfondibile quindici classici natalizi tra cui ”Here comes Santa Claus”, ”I’ll be home for Christmas”, ”O little town in Bethlm”...

Per la cena del 24 va bene anche Andrea Bocelli con il suo ”My Christmas” (Sugar), già ai vertici delle classifiche americane. La scaletta? Da ”Tu scendi dalle stelle” a ”Jingle Bells” cantata con i Muppets, da ”What child is this” con Mary J.Blige a ”God bless us everyone” (dalla colonna sonora di ”A Christmas Carol”, il film con Jim Carrey).

”Merry Christmas in Jazz” è invece il cd proposto da Rossana Casale, acquistabile solo online su www.cdbaby.com: fra i brani ”The Christmas song”, ”I’ll be home for Christmas” ed altre celebri ballad.

Visto che qui non si butta via niente, Irene Grandi ripropone a prezzo speciale ”Canzoni per Natale” (Warner), l'album dell’anno scorso con ”Happy Christmas”, ”Wonderful Christmastime”, ”Buon Natale a tutto il mondo” di Domenico Modugno, ”Canzone per Natale” di Morgan...

Da segnalare ancora ”X Factor Christmas Album” (classici natalizi interpretati da alcuni protagonisti delle varie edizioni del programma: Marco Mengoni, Aram Quartet, Matteo Beccucci, Farias, Damiano...) e ”Caro papà Natale 2” (iniziativa di beneficenza con le voci fra gli altri di Katia Ricciarelli e Nicky Nicolai).

Per chi invece vuole regalare musica ”che va bene tutto l’anno”, c’è solo l’imbarazzo della scelta. ”Laura Live” (Warner) di Laura Pausini: cd e dvd per celebrare la cantante italiana più famosa nel mondo. ”Ho imparato a sognare” (Sony) di Fiorella Mannoia: cd e dvd con classici della canzone italiana e in più ”L’amore si odia”. ”Senza fine” (Sony) di Gino Paoli: due cd e un dvd per ripercorrere mezzo secolo di carriera, con la versione francese di ”Il cielo in una stanza” con Carla Bruni. ”Tutto Villa” (Warner) di Claudio Villa: due cd con quaranta canzoni dell’indimenticato ”reuccio”. ”Oltre l’infinito... Mimì” (Ricordi) di Mia Martini: due cd e un libretto per ricordare una grande interprete.

E da ultimo, il pezzo migliore (e più costoso): ”Opera completa” (Sony) di Fabrizio De Andrè. Un box in edizione limitata (Sony) che in 19 cd comprende la discografia completa dell’artista scomparso, con l’aggiunta del dvd che ripropone il concerto del febbraio ’98 al Teatro Brancaccio, a Roma, e di un libretto di 240 pagine.


NICK THE NIGHTFLY


Un’altra proposta natalizia può essere il triplo cd “Buona Vita" (Sony), di Nick the Nightfly. La storica voce della notte di Radio Monte Carlo ha ormai alle spalle una ricca discografia. Stavolta ha pensato alla Terra e ai suoi satelliti per selezionare le musiche del nuovo progetto discografico. Come titolo ha scelto l’augurio che da tanti anni rivolge al pubblico radiofonico delle sue “Monte Carlo Nights”. Ne è venuta fuori una selezione di qualità che attinge al jazz e alla fusion, alla lounge music e alla new age...

I tre cd sono "The Sun", "The Moon" e "The Earth". Il primo propone musiche calde e ritmate, ottime per cominciare la giornata. Si parte con “Move on up”, un classico di Curtis Mayfield, originariamente brano vocale, che per l’occasione viene proposto nella versione del sassofonista Richard Elliot. Si continua con Nate James e la sua versione di ”Runaway”, gli Indigo Sun (dalla Danimarca) che rileggono ”You don’t fool me” dei Queen, “Brasilian Love Song” presentata da Bebel Gilberto con la voce del mitico Nat King Cole. Ma anche l’italiano Nicola Conte, i norvegesi Röyksopp rifatti da Anneli Marian Drecker, “Sunny” cantata da James Brown con Marva Whitney

”The moon” vive di atmosfere più intime, più rilassate, giuste per poter sognare: la giovane Melody Gardot, il duetto fra la norvegese Beady Belle e l’inglese Jamie Cullum, “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode riletta da un’altra norvegese, Janita.

”The Earth” alterna stili musicali provenienti da ogni angolo del pianeta: un modo per viaggiare ascoltando armonie e arrangiamenti insoliti. Con Bryan Adams & Sarah McLachlan, Radiodervish, Pat Metheny, Henri Salvador, Gilberto Gil, Joe Barbieri, Cassandra Wilson, Belmondo & Milton Nascimento, Patrizia Laquidara, Jeff Buckley...

“Buona Vita” - dice Nick - è anche un’esortazione a comportarsi più responsabilmente verso il nostro pianeta, sensibilizzando le persone ad aiutare e sostenere tutte le associazioni sensibili a queste tematiche.


NEIL YOUNG Ci sono certi artisti che hanno segnato in maniera indelebile la musica degli ultimi quarant’anni. Musiche e dischi che mantengono la loro bellezza - e attualità - anche a tanti anni di distanza. Il canadese Neil Young, classe ’45, da solo o con i soci Crosby Stills & Nash, è sicuramente uno di questi. Ora esce ”Dreamin' Man Live '92”, rivisitazione live di ”Harvest Moon”, a diciassette anni dall'uscita di quel disco, che a sua volta era un omaggio all’indimenticato e insuperato ”Harvest” (del ’72). L’album raccoglie il meglio delle numerose performance acustiche che il leggendario chitarrista e cantautore fece nell'omonimo tour del ’92. Fra i brani: ”Dreamin' man”, ”Such a woman”, ”One of these days”, ”Harvest moon”, ”You and me”. E ancora ”Hank to Hendrix”, ”Unknown legend”, ”Old king”, ”Natural beauty” e ”War of man”. Neil Young riceverà, il 29 gennaio a Los Angeles, il premio di MusiCares per l'impegno umanitario e sociale.


SKIANTOS Trent’anni fa il mondo della musica italiana si prendeva molto (troppo) sul serio. Poi, dalla Bologna del Settantasette, arrivarono gli Skiantos. E nulla fu più come prima. Dopo alterne vicende, il gruppo di Freak Antoni esiste ancora e, a un anno dalla pubblicazione dell'ultimo disco di inediti (”Dio ci deve delle spiegazioni”), è appena uscito ”Phogna - The Dark Side Of The Skiantos”. Si tratta di un ”ep” composto da quattro pezzi registrati tra giugno e ottobre 2008 ed esclusi dall’album dell’anno scorso perchè considerati «troppo distanti dagli altri, quasi fossero i rappresentanti della parte buia, intimista della band». «Ci siamo accorti quasi immediatamente - spiegano - che queste canzoni sono molto diverse dalle altre sia nel testo che nella parte musicale: non sono ironiche e la musica è decisamente più ricercata e complessa. Così abbiamo deciso di non inserirle nel primo album di inediti uscito dopo quasi cinque anni perchè ci sembravano poco attinenti al resto del disco. Insomma, anche noi abbiamo un'interiorità...».


 

mercoledì 16 dicembre 2009

LIBRO SPADARO


Si può essere - si può essere stati - patriottici e di sinistra? Anticomunisti e al tempo stesso democratici? Per giunta su questo nostro sofferto e martoriato confine orientale, dove mezzo secolo di storia del vecchio e ormai defunto Partito comunista ha conosciuto accenti diversi e più complessi rispetto al resto d’Italia?

Leggendo il libro di Stelio Spadaro, ”L’ultimo colpo di bora” (Editrice Goriziana, pagg. 232, euro 20), la risposta da dare al quesito è sì, assolutamente sì. E il suo, come scrive Paolo Segatti nella prefazione, è perlappunto «un punto di vista democratico patriottico».

Intervistato dagli storici Patrick Karlsen (con cui aveva già firmato tre anni fa ”L’altra questione di Trieste”) e Lorenzo Nuovo, lo storico esponente della sinistra triestina e regionale - classe 1934 - racconta una vicenda umana e politica che ha attraversato tutta la seconda metà del Novecento.

Dagli anni nella natia Isola al definitivo ritorno a Trieste nel ’45 («le aree di Isola, Pirano e Capodistria formavano a mia memoria il tessuto metropolitano triestino, perchè ogni mattina c’era il vaporetto che partiva da Isola e arrivava a Trieste davanti al Nautico, sul Molo Pescheria, e portava gente che andava a lavorare, portava prodotti della terra...»), dagli studi classici al liceo Petrarca e poi alla facoltà di filosofia, dai primi interessi politici alla netta scelta di campo, con l’iscrizione al Pci. Sullo sfondo di un dopoguerra che qui è stato più lungo e più difficile che altrove, di una Trieste amputata del suo retroterra storico e culturale, di una divisione politica che attraversava le stesse famiglie.

Quella di Spadaro è operaia e cattolica, «ma quando io mi iscrissi al Partito comunista ci fu un atteggiamento di grande rispetto da parte loro per la mi scelta. Non fecero nessuna polemica. Anche se c’era una componente nella casa di Isola che cercava di capire le ragioni della sinistra, non di quella jugoslava ma di quella italiana...».

Ma la storia va avanti. Gli anni Cinquanta, l’invasione sovietica dell’Ungheria, il governo Tambroni, il ruolo di Togliatti, il rapporto con Tito, la figura di Vittorio Vidali (e della moglie, Laura Weiss), l’esplodere del Sessantotto. Spadaro insegna al Da Vinci, poi al Galilei. Incrocia la protesta studentesca, che trova il Pci abbastanza impreparato, qui come nel resto del Paese.

Intanto Spadaro è assessore provinciale, con deleghe per scuola e cultura. «Il mio essere insegnante rafforzava e dava conoscenza diretta e concretezza alla mia azione come assessore, e viceversa».

Siamo negli anni Settanta. La firma del trattato di Osimo, che sancisce la rinuncia definitiva alla Zona B, scuote Trieste e dà origine alla nascita del Melone, la Lista per Trieste che conquista la scena politica cittadina e anticipa molti movimenti localistici.

Personaggi come Letizia Fonda Savio, Aurelia BGruber Benco, Gianni Giuricin, ma soprattutto Manlio Cecovini, che con il suo ”Discorso di un triestino agli italiani” si rivolge e cerca esplicitamente un uditorio nazionale. Il Pci, intanto, «è fuori gioco per un milione di motivi», come annota Spadaro.

Il resto è storia di ieri, anzi, di oggi. Il Pds, l’Ulivo, la stagione di Illy e di Intesa democratica. «Il riformismo - scrive Spadaro - qui non è da inventare. È da recuperare. Tutta l’azione dell’Ulivo dagli anni Novanta in poi ha avuto l’obiettivo di unificare le componenti del riformismo e di unificare la città e la regione. (...) Questo lavoro si è riallacciato costantemente sul piano ideale all’esempio politico e civile di una radicata tradizione».

Il volume - che sarà presentato domani, alle 18, all’Auditorium del Museo Revoltella in via Diaz 27 in un incontro moderato da Fulvio Gon, caporedattore centrale del ”Piccolo” - è completato da un’antologia di scritti e interventi di Spadaro che coprono il periodo fra il ’96 e il 2008, divisi in tre capitoli: ”Dal Pds ai Ds: gli anni da segretario provinciale 1996/2001”, ”Gli anni nella segreteria regionale 2002/2007” e ”Dai Ds al Partito democratico 2007/2008”.

Una frase per tutte, da uno scritto del 2003: «Trieste non è solo una città. È un’idea d’Italia, è un’idea d’Europa. Per la sua storia, per le contraddizioni che nel Novecento la segnarono, per lo scontro fra più nazionalismi e totalitarismi lungo un ”confine delle sofferenze”...».

lunedì 7 dicembre 2009

CARLO MASSARINI


Dal ’69 dei Rolling Stones fotografati ad Hyde Park, a Londra, fino ai primi anni Ottanta dei videoclip e della ”musica da vedere” che lui stesso mostrava in tivù a ”Mister Fantasy”. Lui è Carlo Massarini, classe ’52, nei primi anni Settanta giovanissimo conduttore radiofonico (”Per voi giovani” e ”Popoff”) e poi televisivo, ma anche appassionato fotografo dei suoi miti musicali. Una passione diventata lavoro, che ha prodotto un archivio fotografico e di ricordi da cui ora nasce un libro, anzi, un bel librone intitolato ”Dear Mister Fantasy” (dal verso dei Traffic già utilizzato per il programma tv...), sottotitolo ”Foto-racconto di un’epoca musicale in cui tutto era possibile 1969-1982” (Rizzoli, pagg. 353, euro 49).

Massarini, i Traffic le hanno segnato proprio la vita...

«Sì, erano il mio gruppo preferito. Non erano famosi come altri, si scioglievano spesso e non sapevi mai se avrebbero fatto un altro disco, ma facevano una musica fantastica, nel senso letterale della parola. Mischiavano blues e rock, jazz e folk, psichedelia e tradizione (”John Barleycorn” era una canzone popolare inglese antichissima), e Steve Winwood aveva questa voce che ammantava di magia le storie che inventava Jim Capaldi, vero poeta eco-psichedelico».

Capaldi una volta le fece una sorpresa.

«Quando comparse in studio a ”Popoff”, il primo aprile ’74, fu una gioia indescrivibile. E mi scrisse sull'agenda "Power to Carlo, tell it like it is!". Una reliquia, con cui apro il libro. Steve, l'unico di loro ancora in vita, mi ha mandato per e-mail un "You told it like it was!" che ha chiuso il cerchio, trentacinque anni dopo».

Com’è cominciata questa storia?

«Con ”Per voi giovani”, ereditata da Mario Luzzatto Fegiz e Paolo Giaccio quando Arbore cominciò ”Alto Gradimento” con Boncompagni. Divenne programma pomeridiano più attento al sociale, alle nuove generazioni e alla loro musica. Canzoni con un significato che meritava di essere tradotto e spiegato a un pubblico quasi digiuno di rock. Io ero "quello che sapeva l'inglese" e cominciai traducendo Dylan e Cohen, Joni Mitchell e Crosby Stills Nash & Young».

Era un’altra radio.

«Alle 21.30 c'era il bollettino dei naviganti e poi filodiffusione a reti unificate. Noi nel ’73 aprimmo lo spazio serale. Poi ho continuato con la radio fino al ’77. Nell'81 Giaccio lavorava in tv, a RaiUno, ed ebbe l'idea di fare un programma su questo nuovo materiale che si cominciava a vedere, i videoclip».

Il Canada?

«Vi passai qualche anno da bambino. Crescere lì mi ha regalato l'inglese, che è stato il fattore determinante per tutto quel che è successo dopo: capire cosa il rock esprimeva a livello letterario e di messaggio, e poi poter parlare con gli artisti. Cominciai a "giocare" con la radio che ancora studiavo...».

Medicina...

«Sì, alla Cattolica. Ma gli esami si facevano più difficili, le soddisfazioni dall'altra parte più gratificanti e promettenti, allora il dj-fotografo era un'anomalia, un non-mestiere non così promettente. Però mi attirava di più, e alla fine la scelta è stata inevitabile».

A casa?

«Beh, avevo fatto gli esami di tre anni in sei. I miei all'inizio ci rimasero male, ma cominciavano anche loro a vedere qualche risultato. Ma solo quando sono arrivato in tv, l'ufficiale di marina che era in mio padre - uomo moderno, ma pur sempre legato a certe logiche - si arrese. Mi divertivo, guadagnavo più di lui e i suoi amici gli facevano i complimenti. Era fatta».

Radio, tv o internet?

«Ho amato ogni cosa che ho fatto, anche il giornalismo musicale e la fotografia. Passare da uno all'altro ha portato ogni volta un approccio e una visione nuova, ma ogni medium ha un suo linguaggio. Sono un solitario e mi piace scrivere, mi piace la rilassatezza e l'immediatezza della radio, ma se devo scegliere dico tv, dove parola, pensiero ed espressione si fondono. Naturalmente, il web è una fetta importante della comunicazione di oggi, ha potenzialità ancora da scoprire e un'interazione multimediale in tempo reale che nessun altro può offrire».

Cosa c’era allora che oggi non c’è più?

«Una voglia, un'urgenza di creare il nuovo. Di rompere gli schemi e vedere cosa fosse possibile. Non c'erano le regole e i paletti che nella discografia esistono adesso, anzi, c'era la ricerca dell'inusuale. Rock, black, folk e jazz riunivano quasi tutto lo scibile, ma a volte c'erano più idee in un disco che in un anno di musica di adesso».

L’informazione?

«Erano tempi molto diversi. Anche l'informazione era scarsa, l'accesso universale a tutto che hai ora con internet non era neanche ipotizzabile. I dischi uscivano in ritardo rispetto a Stati Uniti o Inghilterra, a volte non uscivano affatto e li compravamo di importazione».

Oggi invece...

«Il satellitare ha portato una miriade di canali musicali, ma nessuna attenzione in più al fattore culturale della musica. Nessuno ha voglia di raccontare le storie con cui siamo cresciuti: la redenzione della musica black, la trasgressione del rock, la poesia dei cantautori è come se non fossero mai esistite. Tutte le radio trasmettono le stesse cose, quelle in classifica».

La crisi della discografia?

«Le nuove tecnologie hanno creato molti problemi alle case discografiche, che non hanno compreso per tempo la sfida delle nuove tecnologie. Si sono preoccupati della pirateria, ma non son riuscite neanche a creare una piattaforma comune per la commercializzazione sul web. Se non arrivava Steve Jobs, la Apple e i-Tunes a risolvergli il problema della vendita on line...».

Più gioie o dolori?

«Internet è una minaccia ma anche un'opportunità, ma la devi saper cogliere. È importante capire che una canzone ormai viene consumata in tante forme diverse. Il mondo del web richiedeva competenze nuove, e non tutti si sono attrezzati per tempo. Ora la lezione è chiara, e le politiche sono in parte cambiate: si è capito che il web è strategico per diffondere vecchi e soprattutto nuovi artisti. In alcuni paesi (Inghilterra, per esempio) i prezzi dei cd si sono abbassati, i veri incassi gli artisti li fanno soprattutto con concerti e pubblicità, apparizioni, marketing».

Nella comunicazione?

«Lì internet ha creato un ambiente di partecipazione che ha trasformato il mondo. Anche se siamo solo all'inizio, c'è quasi un prima e dopo. La quantità di cose nuove che possiamo fare e quelle che è più facile fare on line, i contatti che possiamo intrecciare e la facilità con cui gira l'informazione globalmente sarebbero state incredibili pochi anni fa».

Volevamo cambiare il mondo ma il mondo ha cambiato noi. O no?

«Qualcosa è cambiato: la nostra maniera di pensare, di agire, la consapevolezza di chi siamo e cosa dovremmo essere. La musica è un veicolo di idealismo e partecipazione. Non ha tempi costanti, il suo effetto non è matematico. In quegli anni, sicuramente ha contribuito moltissimo: rispecchiava i tempi, e viceversa».

Mentre ora?

«I tempi ora, come diceva Dylan, sono cambiati, e anche molto. Sono tempi in cui siamo un po’ spaventati, incerti, molti tendono al quieto vivere, per molti la vita si è fatta dura. Non sono pochi quelli che si preoccupano degli altri e di cambiare il mondo, ma certo si fa una gran fatica. E la musica di adesso - non viviamo un momento artistico memorabile - rispecchia tutto ciò».


 

domenica 6 dicembre 2009

CLAUDIO LOLLI 2


È stato qualcosa di meno ma al tempo stesso anche qualcosa di più di un concerto, quello tenuto da Claudio Lolli l’altra sera al Teatro Bobbio, davanti a duecento aficionados, nell’ambito del Festival Trieste Poesia.

Qualcosa di meno, o comunque di diverso, perchè la forma vocale perlomeno traballante del cantautore bolognese (classe 1950, primo album nel lontano ’72, lo storico ”Aspettando Godot”), unita a quel quadernetto dal quale il nostro leggeva - in certi casi nel senso letterale del termine - i suoi testi, faceva somigliare il tutto più a una sorta di reading musical-politico che a un concerto in senso tradizionale. Pur supportato da due superbi musicisti come Paolo Capodacqua alla chitarra e Nicola Alesini ai sassofoni.

Qualcosa di più, perchè - complice qualche bicchiere di buon vino sorseggiato dall’artista fra una canzone e l’altra - la serata si è via via trasformata in una confessione mai così diretta e sincera, quasi un bilancio di vita personale e forse generazionale. Condito di amarezza ma anche di tanta ironia e autoironia. Esempio: «Ho fama di cantautore malinconico, triste. Dunque se siete qui, sapete già quel che vi aspetta. Le ballerine arrivano dopo...».

Apre con ”Donna di fiume”, una delle ”Lovesongs” scritte in tanti anni di carriera e recentemente riproposte tutte assieme nel nuovo album. Poi si racconta così: «Provate a immaginare un ragazzo, verso la fine degli anni Sessanta, che non riesce a dormire. Cosa può fare? Una delle prime radioline portatili, una cuffietta improbabile, e ascolta. Tutta la notte. Ma nessuno trasmette. Suoni in onde corte che vanno e vengono...».

È la sua storia, la storia di tanti suoi più o meno coetanei che di lì a poco, entrati negli anni Settanta, si trovarono calati in un mondo nuovo, pieno di energia e di speranze e di voglia/certezza di cambiare il mondo. Quello stesso ex ragazzo, quegli stessi ex ragazzi, un paio di decenni dopo, credono di essere tornati nel Medioevo: «Sintonizzatevi su Radio Padania Libera - suggerisce - e capirete benissimo cos’è l’odio moderno, contemporaneo, cos’è la nostra colonna sonora infame».

Meglio allora l’amore, la riflessione disincantata su passato e presente. Altre canzoni, figlie di tempi diversi. ”La pioggia prima o poi” e ”L’amore ai tempi del fascismo” («non quello degli anni Trenta, quello di oggi...»), ”Alla fine del cinema muto” e ”Analfabetizzazione” («il potere nasce dalla comunicazione, l’avevo capito già trent’anni fa»), ”Adriatico” e ”Da zero e dintorni”, ”La giacca” e ”Dita”...

Altre parole, altre riflessioni. Lolli racconta e si racconta. L’adolescenza, le letture, la politica, gli anni in cui si era animati dalla fede nel progresso, dalla certezza che il mondo stesse per cambiare. Il tutto sullo sfondo di Bologna, i vecchi in Piazza Maggiore («tutti comunisti...»), la chiesa di San Petronio. Ma anche Rimini a soli cento chilometri: il demonio, il male, la casa di famiglia dove veniva portato d’estate, da ragazzo...

Accenni di particolare sincerità - persino di commozione - quando arriva il turno dei padri: quelli musicali (”Folkstudio” e ”I musicisti di Ciampi”) e quello vero, biologico, «che non sarebbe contento di vedermi stasera qui...» (”Quando la morte avrà”, brano che chiudeva l’album d’esordio, del ’72).

Il finale è dedicato al capolavoro di Lolli, ”Ho visto anche degli zingari felici”, canzone del ’76, rifatta recentemente anche da Luca Carboni. E c’è anche un bis, ”Borghesia”, necessariamente riveduta e corretta nelle sue granitiche certezze di allora. Ora infatti si conclude così: «Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia, per piccina che tu sia, il vento un giorno - forse, eventualmente... - ti spazzerà via».

Applausi di affetto, quasi con tenerezza, per quell’ex ragazzo un po’ invecchiato.

venerdì 4 dicembre 2009

CLAUDIO LOLLI


Dice che queste canzoni sono «come un anticorpo politico-erotico contro il normale odio oggi in uso tra gli esseri umani, di qualsiasi razza, sesso, colore». Parole di Claudio Lolli, il cui concerto di domani al Teatro Bobbio (ore 21, ”evento speciale” del Festival Trieste Poesia) è uno dei primi del tour di presentazione del disco ”Lovesongs”.

«La tournée doveva partire a primavera - rivela Lolli, bolognese, classe 1950, sin dai primi anni Settanta esponente storico della miglior canzone d’autore italiana - ma il 23 aprile, due giorni prima del debutto previsto, sono caduto per strada. Una caduta banale, ma mi sono mezzo distrutto un ginocchio e ho dovuto annullare tutti gli impegni per mesi».

Lolli, dal sociale all’amore. Cos’è successo?

«Io le canzoni d’amore le ho sempre scritte. Ma mi davano sempre queste etichette: il cantautore del suicidio, della rabbia, persino il fiancheggiatore delle Brigate Rosse...».

Addirittura. Ma dica la verità: le sue canzoni d’amore erano poche...

«Questo è vero. Erano ”infilate” nei dischi, fra un brano impegnato e l’altro. Ed è per questo che ho deciso di riprenderle e riproporle. Con i miei collaboratori le abbiamo ascoltate tutte assieme, trovandole belle, omogenee, quasi ”sorelle” l’una dell’altra. Insomma, sembravano episodi minori ma non lo erano».

Canzoni di epoche diverse.

«Sì, direi fra il ’70 e il ’97. Ne abbiamo selezionate sedici, fra le quali abbiamo scelto le otto che sono inserite nel disco. Con Nicola Alesini e Paolo Capodacqua sapevamo di non poter riproporre gli arrangiamenti originali, né fare un disco pop. Dunque è prevalsa la scelta di puntare sul jazz, sul lirismo dell’improvvisazione».

E le canzoni politiche?

«Se la politica avesse ancora un ruolo, anche la canzone politica ne avrebbe uno. Ma oggi non c’è più politica, solo parole in libertà. Contano il potere per il potere, il denaro con cui si crede di poter acquistare tutto».

I giovani?

«Per un ragazzo oggi è difficile capire, intervenire, credere di poter cambiare le cose. Sembra tutto immodificabile. Sono pochi i giovani attenti al sociale: si trovano a cozzare contro questa società finta, costruita in studio. E poi manca una collettività giovanile a cui fare riferimento».

Lei insegna sempre?

«Certo. Italiano, latino e storia antica al Liceo Da Vinci di Bologna. Ormai sono vicino alla pensione: dovrò farmi fare i calcoli...».

I suoi studenti come reagiscono?

«Quando ho una classe nuova, di solito ci vogliono un paio di settimane perchè scoprano che sono ”il cantautore”. Vanno su internet, chiedono ai genitori, trovano i dischi... La loro reazione è buona. In fondo è un po’ spiazzante, per loro, scoprire che il prof è uno che fa dischi, concerti...».

Recentemente i suoi ”Zingari felici” sono stati rifatti sia dal Parto delle Nuvole Pesanti che da Luca Carboni. Quale versione preferisce?

«Quella con il Parto l’abbiamo fatta assieme, una versione molto balcanica, quasi zingaresca. Luca ha scelto da solo, ne ha fatto una versione molto dolce, delicata, togliendo aggressività all’originale. Mi ha fatto molto piacere, anche perchè lui arriva a un pubblico diverso dal mio».

Nel video c’è anche quel vostro incontro in Piazza Maggiore...

«Sì, una cosa carina. Quasi un passaggio del testimone, hanno detto. Anche se nemmeno lui, in fondo, è giovanissimo. Gli anni passano per tutti...».

Lolli, negli anni Settanta sembrava tutto possibile. Oggi...

«Ci eravamo immaginati che la storia andasse sempre avanti, in una direzione sola. E invece la storia va avanti e indietro, ha le sue fasi, ora va un po’ come un gambero. Aspettiamo che passi...».