venerdì 30 maggio 2008

VASCO, PINO E GLI ALTRI


TRIESTE Doveva arrivare Vasco Rossi a settembre, invece ci sarà Pino Daniele a luglio. Di che cosa stiamo parlando? Ovviamente dell’estate musicale triestina. Che quest’anno ha un retroscena che merita di essere raccontato.

La trattativa per riportare il Blasco allo Stadio Rocco, o in subordine in piazza Unità, era già ben avviata. Ma a questo punto possiamo dire che purtroppo è sfumata. E il leggendario rocker di Zocca - il cui doppio concerto allo Stadio Olimpico, ieri e l’altro ieri sera a Roma, ha tenuto metaforicamente a battesimo l’estate musicale 2008 - alla ripresa settembrina del tour farà con ogni probabilità tappa ancora una volta su Udine.

Vediamo di capire che cosa è successo. Il nuovo tour di Vasco (120 mila biglietti bruciati nelle prime ventiquattro ore di prevendita) toccherà, dopo Roma, Milano il 7 e 8 giugno, Ancona il 14 giugno, Mestre il 20 giugno (nell’ambito nell’Heineken Jammin’ Festival) e poi ancora Salerno, Messina, Cosenza e Reggio Calabria. A settembre, come è già successo in precedenti tour, è prevista una ripresa - che però non è ancora stata annunciata ufficialmente - con tappe in regioni non toccate nella prima fase della tournèe.

E qui si fa avanti la candidatura di Trieste, dove il Blasco manca giusto da quattro anni, cioè dal trionfale concerto dell’11 settembre 2004 allo Stadio Rocco. Ma... come sempre c’è un ma. E stavolta riguarda le megadimensioni della produzione vaschiana di quest’anno, con quel gigantesco palco </CF>largo settanta metri, profondo ventidue, alto venticinque, che i quasi due milioni di telespettatori hanno potuto vedere l’altra sera, su Raidue, a «Effetto Vasco», in diretta dal debutto romano del tour. Un megapalco che la moderna struttura di Valmaura, non essendo dotata della pista di atletica, pare non sia letteralmente in grado di contenere.

Rapido tentativo degli organizzatori di ripiegare su piazza Unità. Ma far pagare un biglietto per uno spettacolo nel salotto cittadino, con tutti i suoi varchi, già in passato si è dimostrata impresa ardua assai. Aggiungi che il Comune, in periodo di vacche magre, non può metter mano al portafogli in misura superiore a quanto già previsto. Ed ecco che la prospettiva del concerto triestino sfuma con la rapidità di uno stacco di batteria. Conseguenza: il popolo di Vasco anche quest’anno, a settembre, farà rotta sul vecchio ma ospitale Stadio Friuli di Udine. Per l’annuncio ufficiale (con conseguente avvio delle prevendite) dovrete attendere ancora un po’. Diciamo almeno un paio di mesi. Ma vedrete che andrà così.

E siamo a Pino Daniele. Il cui «Vai mo’ Live 2008» debutterà l’8 luglio all’ippodromo di Agnano, e non più allo Stadio San Paolo di Napoli, con lo stesso gruppo di vecchi amici musicisti (Tullio De Piscopo, Tony Esposito, James Senese...) che lo hanno affiancato nel recente cofanetto «Ricomincio da trenta». Il musicista partenopeo a questo punto sarà - il 31 luglio in piazza Unità - la star di «SerEstate», la rassegna organizzata dal Comune di Trieste che si terrà da metà luglio a metà agosto e il cui programma verrà annunciato ufficialmente martedì.

Cosa ci sarà dentro? Diciamo che gli organizzatori stanno facendo il possibile per allestire un programma dignitoso, pur non potendo contare su grosse cifre. Prima di Pino Daniele, il 13 luglio - nell’ambito di Folkest - è in programma un concerto di Hevia, il musicista spagnolo famoso per aver «sdoganato» la cornamusa asturiana e quella elettronica nel campo del pop.

È inoltre confermata la seconda edizione di «Trieste Loves Jazz», la rassegna curata dalla Casa della Musica, che l’anno scorso ha avuto un notevole successo (basti ricordare la serata con Tuck & Patty) e quest’anno si terrà dal 16 al 27 luglio fra piazza Unità, piazza Verdi, piazza Hortis e via San Nicolò, con artisti triestini ma anche internazionali. Fra questi: gli americani Yellow Jackets, con Mike Stern alla chitarra.

Confermato anche il Trieste Rock Summer Festival, giunto alla quinta edizione. Soltanto due sere in piazza Unità, sempre per problemi di bilancio: Glen Hughes (ex Deep Purple) il 2 agosto; i napoletani Osanna con David Jackson (ex Van der Graaf Generator) e poi Ray Wilson (per un breve periodo con i Genesis) la sera del 3.

Per il resto, salvo improbabili sorprese dell’ultima ora, poca cosa. Finiti dunque i tempi delle adunate oceaniche per «Isle of Mtv» e del mega-carrozzone del Festivalbar in piazza Unità. Conclusi per ora anche quelli dei megaconcerti allo Stadio Rocco, stile Vasco o anche Ligabue: roba ormai da libri di storia.

Eppure nella stagione autunno-inverno le cose sembrano andare benino. D’estate invece Trieste si risveglia e si ritrova quasi nuda alle meta. Poca roba in programma, qualche nome anche di qualità (come Sergio Cammariere, che il 14 giugno al Teatro Romano terrà a battesimo il Festival Teatri a Teatro; o come il programma che la Cooperativa Bonawentura sta preparando per le serate musicali in riva al mare all’Ausonia), ma nulla che possa essere considerato né all’altezza di quanto propongono - giusto per non andar troppo lontano - Udine e il Friuli né tantomeno un richiamo anche turistico da fuori città.

Ricordiamo alcuni appuntamenti. Mark Knopfler l’8 e Joe Satriani il 10 giugno a Villa Manin, dove poi arrivano anche Pat Metheny il 15 luglio, i Rem (con gli Editors) il 24 luglio, Antonello Venditti il 26 luglio, Gianna Nannini il 3 settembre. Al Castello di Udine Paul Simon il 22 luglio, all’Arena di Lignano Sabbiadoro Fiorella Mannoia il 3 luglio, Giovanni Allevi il 12, Francesco De Gregori il 18, Dionne Warwick il 9 agosto. E ancora i Duran Duran il 20 luglio a Jesolo, il programma di Onde Mediterranee (di cui riferiamo nelle pagine seguenti) a Monfalcone e i concerti in Slovenia e Croazia (articolo qui a destra), i Pooh il 2 agosto a Majano. Per ora basta così.

mercoledì 28 maggio 2008

BARTOLE 2


Una manciata di minuti dopo le undici di ieri mattina. Facoltà di giurisprudenza. Fuori fa caldo. Aula Venezian affollata di studenti, ex studenti, colleghi. Un applauso saluta l’ingresso di Sergio Bartole, che stempera subito il clima celebrativo - e forse nasconde l’emozione - con una di quelle battute fulminanti che un paio di generazioni di studenti di diritto costituzionale ricordano bene: «Almeno aspettate di sentire quel che dico...». Ma stavolta l’esimio professore, classe 1936, da ieri collocato ufficialmente «fuori ruolo», ha torto. L’applauso - caldo, sincero, quasi commosso - non ha bisogno di aspettare. Saluta l’uomo, il docente, la sua carriera, il contributo dato in tutti questi anni.

Il rettore Francesco Peroni ricorda di esser stato anche lui suo studente nell’80, ma a Pavia, nella parentesi vissuta da Bartole in quell’università. «E mai avrei pensato di poter avere oggi quello che considero un privilegio. In momenti come questo mi fa piacere essere rettore. Sergio è il vero professore universitario. Ci ha trasmesso una lezione semplice, autentica, essenziale. Da ricercatore appassionato e rigoroso».

Dopo il saluto del preside di facoltà Paolo Giangaspero (altro ex studente, stavolta triestino) e del segretario generale della Commissione di Venezia, Gianni Buquicchio, la parola passa finalmente al protagonista della mattinata. Per questa «ultima lezione» (titolo vagamente malaugurante, come ha simpaticamente segnalato Giangaspero...), Bartole ha scelto il tema «Diritti umani e Costituzione repubblicana».

Ma prima di cominciare i sessanta minuti della sua lectio magistralis - molte parti a braccio, divagando dalla paccata di fogli dattiloscritti ed evidenziati in giallo - il docente concede all’uditorio giusto due note autobiografiche: «Sono entrato in questa università da studente nel ’55. La prima lezione è stata di Vezio Crisafulli. Erano lezioni non facili da seguire. Crisafulli non si fermava mai e non arrivava mai a una conclusione. Non a caso. Da lui ho imparato che nel campo del diritto non esistono soluzioni definitive. Vengono affrontate situazioni che rimangono comunque aperte...».

Memore di questa lezione, che l’ha accompagnato per tutta la carriera, nel suo commiato che vero commiato non è (la collaborazione con l’ateneo triestino continuerà, nonostante la «collocazione fuori ruolo»), Bartole pone sul tavolo delle considerazioni, dei quesiti, dei problemi. Sull’identità nazionale dell’ordinamento repubblicano, sul rapporto fra Unione Europea e stati membri, fra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale...

«Oggi i diritti umani - annota lo studioso - non sono più appannaggio del potere dei singoli stati, vengono garantiti già dalle convenzioni europee. L’identità nazionale riguarda allora l’assetto dell’organizzazione del potere, i processi decisionali interni». In un rapporto di intreccio e necessaria collaborazione fra ambito nazionale e sovranazionale. Materia per costituzionalisti. Magari nipotini di Sergio Bartole.

martedì 27 maggio 2008

BARTOLE 1


Un paio di generazioni di laureati in giurisprudenza, triestini e non solo triestini, hanno appreso i primi rudimenti di diritto costituzionale nelle sue brillanti lezioni. E quell’esame ha rappresentato per tanti il primo vero scoglio da superare - assieme a quello di diritto privato - nei quattro anni del corso di laurea in legge.

Sergio Bartole, ordinario di diritto costituzionale all'Università di Trieste, oggi passa simbolicamente la mano. E in occasione di quella che, nel linguaggio accademico, è la sua «collocazione fuori ruolo», tiene l’ultima lezione. Appuntamento per tutti alle 11 nell’Aula Venezian dell’Università degli Studi (piazzale Europa, edificio centrale, secondo piano). Tema: «Diritti umani e Costituzione repubblicana».

Bartole è nato a Genova il 30 giugno 1936, ma vive da sempre a Trieste, dove ha compiuto gli studi. Laureato in giurisprudenza nel ’60 con una tesi - ovviamente - in diritto costituzionale, è stato prima assistente e poi docente di diritto costituzionale (ma anche di diritto regionale, diritto costituzionale comparato e giustizia costituzionale) nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Trieste, con una breve pausa a Pavia, fra il ’77 e l’82.

Proprio lì, fra le nebbie pavesi, è stato suo studente l’attuale rettore Francesco Peroni. «Sì, Bartole era mio professore a Pavia nell’80. Dodici anni dopo l’ho ritrovato a Trieste, io ricercatore e lui direttore dell’Istituto di diritto pubblico. Poi l’ho avuto come collega, quando sono diventato professore, preside e rettore. Oggi mi onoro di essere anche suo amico. È una grande personalità della cultura giuridica italiana. E sono contento di potergli testimoniare, in occasione di questa sua ”ultima lezione”, l’affetto, la stima e la considerazione di tutto l’ateneo, che comunque lui non abbandonerà».

Un altro ex studente. Fabio Padovini, oggi ordinario di diritto civile: «Lo ricordo come professore vivace, fascinoso, che sapeva ispirare simpatia per la materia. Per questo era ed è molto amato. Da collega ho apprezzato la sua <CF>attenzione al buon governo della facoltà, alla crescita dei giovani</CF>. È oggi uno dei più autorevoli costituzionalisti italiani. La facoltà perde uno dei migliori docenti, anche se so che rimarrà a dare una mano».

Molti gli incarichi di Bartole. È stato fino a due anni fa presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, ma anche presidente del comitato scientifico dell'Istituto per le regioni del Consiglio nazionale delle ricerche, membro dei comitati di direzione e dei comitati scientifici di varie riviste (Giurisprudenza costituzionale, Quaderni costituzionali, Le Regioni, Civitas europea...).

Innumerevoli le sue pubblicazioni in materia di teoria generale del diritto costituzionale, ordinamento giudiziario, autonomie regionali, riforme costituzionali nei Paesi dell'Europa orientale, giustizia costituzionale, diritti di libertà. Partecipando con voci in materia di diritto costituzionale alla Grande Enciclopedia Italiana Treccani, all'Enciclopedia del Diritto, al Digesto IV e alla Enciclopedia Giuridica Treccani.

Bartole ha tenuto seminari e conferenze in molte università europee e statunitensi. È stato consulente della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio, di vari ministeri e amministrazioni regionali. Ha rappresentato il Friuli Venezia Giulia nella Commissione paritetica per i rapporti Stato-Regione.

Collabora da più di quindici anni con il Consiglio d'Europa, con incarichi nel quadro della cooperazione internazionale per la redazione delle riforme costituzionali nelle nuove democrazie. Ed è membro per l'Italia della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto.

Tra le sue opere più recenti ricordiamo «Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana» (Il Mulino, 2004) e «Il potere giudiziario» (sempre Il Mulino, 2006)</CF><CF>. All’ultima edizione di èStoria, la rassegna svoltasi un paio di settimane fa a Gorizia, è stato protagonista nell’ultima giornata della rassegna dell’incontro dedicato alla «Costituzione da salvare», nel corso del quale è stato presentato il libro di Dino Messina «Salviamo la Costituzione italiana».

«Per ora non vado in pensione - spiega il docente - sono fuori ruolo per un anno. Ma amo insegnare e dunque mi piacerebbe continuare il mio rapporto di collaborazione con l’Università...».

domenica 18 maggio 2008

PINO DANIELE Trent’anni di carriera. E che carriera, quella di Pino Daniele. Nella Napoli degli anni Settanta quel ragazzino che scaricava casse e strumenti per i Napoli Centrale di James Senese - il vero «nero a metà»... - d’un tratto se ne venne fuori con quell’album, «Terra mia», che in un colpo solo pigliava stralci della tradizione popolare partenopea, mischiandola con ventate di rock, blues, contaminazioni anglosassoni, retaggi mediterranei...

Oggi questa tripla antologia, intitolata «Ricomincio da trenta» (RcaSonyBmg), è il monumento a una carriera importante e un atto d’amore a un amico e a un grande artista che non c’è più: l’attore Massimo Troisi, scomparso nel giugno ’94, il cui folgorante debutto cinematografico, nell’81, s’intitolava per l’appunto «Ricomincio da tre». Pino Daniele aveva anche firmato le musiche di alcuni suoi film. E la voce del grande Triosi è ora presente nel disco, nel brano «Saglie saglie».

I tre cd propongono quarantacinque brani: tutte le sue canzoni più belle e importanti (da «Napule è» a «Quanno chiove», da «Je so pazzo» a «Alleria», da «Chi tene ’o mare» a «Yes I know my way», da «Lazzari felici» a «’O scarrafone»...), ma anche quattro inediti (fra cui la vibrante «Anema e core», che ha anticipato la pubblicazione del cofanetto).

Per portare a termine l’impresa, Pino Daniele ha richiamato in servizio i vecchi soci Agostino Marangolo, Gigi De Rienzo, Ernesto Vitolo, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, James Senese, Rino Zurzolo, Joe Amoruso... «L'unico rimpianto che ho è di non aver fatto prima questa operazione, ma non era facile conciliare gli impegni di tutti - ha detto l’artista -. Questi musicisti rappresentano una parte importante della mia vita e non solo musicalmente parlando. Siamo uniti dalla comune passione per la melodia napoletana, quando stiamo assieme parliamo napoletano e oggi facciamo le cose con più serenità, quando eravamo giovani eravamo più irruenti rispetto al lavoro. Rimettere insieme le mie band storiche vuol dire anche tentare di riportare la gente a sintonizzarsi sul Sud del quale si dà solo un'immagine drammatica...».

Per l’occasione sono arrivati anche fior di ospiti, da Giorgia (per una splendida «Vento di passione») a Wayne Shorter, da Al Di Meola (magico in «Appocundria») a Chick Corea, da Irene Grandi («Se mi vuoi» da antologia) a Noa, e ancora Peter Erskine, Mick Goodrick, Mike Manieri, Chiara Civello.

Ora il cinquantatreene ex ragazzo dei vicoli prepara un tour che avrà la sua spettacolare apertura allo stadio San Paolo di Napoli l'8 luglio. E saranno ancora «buone vibrazioni». Per dimostrare che Napoli non è solo munnezza.


MICK HUCKNALL Bobby «Blue» Bland (classe 1930) è stato uno dei principali artefici di quello che poi sarebbe diventato il moderno soul sound, anche se in Europa non è molto conosciuto. Mick Hucknall (classe 1960) è stato per anni la voce, il leader e il simbolo stesso dei Simply Red.

Dopo ventitre anni con la band che gli ha dato fama e successo, «il rosso» (di capelli...) di Manchester ha deciso di ricominciare da solista. E per farlo ha scelto di mettere in cantiere un album di cover del vecchio blues man, chiamato «Lion of the blues».

Ecco allora «Tribute to Bobby» (Nunflower/Edel), cd con annesso dvd che va a scavare nel repertorio di «un cantante rhythm’n’blues tradizionale ma senza tempo, che non fa il solito tipico blues. Bobby canta esprimendo un dolore e una tristezza avvolgenti. È uno di quegli artisti che hanno influenzato il mio modo di cantare molto prima che io diventassi uno schiavo del successo».

Dodici brani che sono altrettanti classici del soul, rielaborati e riarrangiati da Mick, e un filmato di diciassette minuti registrato dal vivo a Memphis, Tennessee, nel novembre scorso. Nel quale appare lo stesso Bobby Bland.

Spiccano una grezza e appassionata «Cry cry cry», ma anche «I’ll take care of you», «I pity the fool», «Farther up the road», ma soprattutto «Stormy monday blues», sorta di emozionante viaggio nel mondo del jazz e del blues.

L’album è prodotto da Andy Wright, con cui Hucknall collabora da tempo. «Ho fatto quest’album per me stesso, è la mia personale odissea. Mi sento molto più a casa qui. È un lavoro che ho fatto con passione e rispetto».

Quest’estate Hucknall - che continua a vivere in Inghilterra ma da una decina d'anni ha una tenuta alle pendici dell'Etna, dove fra l’altro produce un vino chiamato «Il cantante» - sarà in concerto il 19 luglio ad Aosta, il 20 al Summer Festival di Brescia, il 22 a Roma e il 23 al Summer Festival di Lucca.


STEVE WINWOOD Ai tempi dello Spencer Davis Group, dei Traffic, dei Blind Faith era un ragazzo. Oggi Steve Winwood ha sessant’anni e ha ancora tante cose da dire. A cinque anni da «About me», disco autoprodotto con cui il musicista inglese si è ripresentato in scena dopo un lungo silenzio, questo «Nine lives» - «nove vite»: forse si riferisce a se stesso... - prosegue sulla strada intrapresa. Organo Hammond in primo piano, intrecci di chitarre, sax o flauto come ai vecchi tempi, tante percussioni ma niente basso: ci pensa il nostro, manovrando i pedali dell’organo. Suoni caldi, vitalissimi, di nuovo appassionati come ai vecchi tempi. E c’è anche una sorpresa: il vecchio amico e socio Eric Clapton, che compare nel robusto rock blues che risponde al titolo di «Dirty city». Un brano che vive dell’assolo del vecchio «Slow Hand» e delle vecchie atmosfere che richiamano i bei tempi dei Traffic. Insomma, bel disco. Che già in copertina - con la foto di Winwood ragazzo e ora adulto - gioca sulla sovrapposizione passato/presente.


RON Ron torna con un nuovo album, «Quando sarò capace di amare», cui hanno collaborato Mogol, Lucio Dalla, Alex Britti, Neffa, Renzo Zenobi. Il brano che dà il titolo all’album è una delle più belle e meno conosciute canzoni di Giorgio Gaber, anno ’94, che Ron ha sempre sentito particolarmente sua. «L'ho cantata al Premio Gaber nel 2004, aspettavo l'occasione per inciderla». Nel cd Ron parla «di quel sentimento che sembra ormai scomparso, ma che ci dà la possibilità di credere che si possa andare avanti, indipendentemente dal fatto di vendere dischi o meno. C'è una mancanza d'amore e rispetto in generale». A quattro anni da «Le voci del mondo», il disco contiene tra le altre «Evviva il grande amore», una canzone di Mogol che Ron incise nel ’75. Britti è protagonista di un assolo di chitarra blues in «Stella che non splende», firmata da Kaballà; Dalla suona il clarinetto in «Se vorrai», testo firmato da Neffa; «Occhi» ha un testo di Renzo Zenobi, mentre «Sigillo del tuo cuore» è liberamente ispirato al Vecchio Testamento.



LA NOTA STONATA DEL CASO BATTISTI


C’è una nota stonata, nel trionfo della rassegna goriziana. E riguarda la maldestra cancellazione dello spettacolo «L’Italia di Lucio Battisti», nel quale tre musicisti (Mao, Mario Congiu e Marco Peroni) ieri sera intendevano tornare su pregiudizi e leggende metropolitane fiorite attorno all’«eroe solitario» Battisti, testimone e protagonista di un’epoca. La vedova dell’artista, allertata da un’anticipazione sul «Magazine» del Corriere della Sera, ha minacciato le vie legali. L’aveva già fatto in passato, bloccando la titolazione di un dvd dei Dik Dik e di un musical di Ambra Angiolini con titoli di canzoni del marito. Stavolta si è superata, facendo cancellare uno spettacolo peraltro già rappresentato in altre città. «Siamo arrivati all’assurdo che non si può parlare di Battisti», ha denunciato ieri sera Mario Luzzatto Fegiz, introducendo l’intervento di Pasquale Panella. Poi, incuranti di divieti e di censori, si è parlato a lungo di un eroe chiamato Lucio Battisti...

sabato 17 maggio 2008

E LA VEDOVA DI BATTISTI FA SALTARE LO SPETTACOLO


Sul sito di èStoria non hanno fatto in tempo a cambiarlo. Assieme alla lettura di «L’eroe nella rete», di Pasquale Panella, introdotta dal critico del «Corriere» Mario Luzzatto Fegiz, ieri sera era ancora annunciato per oggi «L'Italia di Lucio Battisti», con Mao, Mario Congiu e Marco Peroni. Uno spettacolo che nel sottotitolo prometteva di essere «un viaggio nei pregiudizi che hanno circondato Battisti, per capire qualcosa in più dell'Italia e degli Italiani degli anni Settanta».

È successo che la vedova del cantante, Grazia Letizia Veronese, si è attaccata al telefono, minacciando fuoco e fiamme, e diffidando artisti e organizzatori della rassegna goriziana dall’usare nome e immagine e praticamente tutto del marito. Chissà, forse perchè nel sottotitolo citato, a proposito di pregiudizi, si parlava di «Battisti fascista, finanziatore di Ordine Nuovo, maschilista, impazzito e solo...».

Non è la prima volta che la vedova Battisti alza le barricate «a difesa» del marito. Stavolta è riuscita nel suo intento. Lo spettacolo è saltato. Al suo posto prima era annunciato un «omaggio alla poesia eroica di Fabrizio De Andrè». Poi ieri sera l’organizzazione ha cassato pure quello. Eppure Dori Ghezzi non aveva detto una parola...

STAZIONI LUNARI (CRISTICCHI, SERVILLO, DE SIO, DI MARCO)


TRIESTE Un lungo, commosso applauso ha avvolto ieri sera la Sala Tripcovich quando Simone Cristicchi ha concluso quel piccolo capolavoro di poesia e impegno civile che è «Ti regalerò una rosa». Canzone che parla di malattia mentale, di disagio, di marginalità, e lo fa con leggerezza, con rispetto, con amore. Canzone che l’anno scorso ha vinto Sanremo, parlando alla grande platea televisiva del Festival di temi che Trieste conosce forse meglio di ogni altra città, visto che la rivoluzione basagliana è nata qui.

Ma ieri sera alle «Stazioni lunari», sospese fra teatro e musica, fra sogno e realtà, non c’era solo il cantautore romano. Con lui, in diretta su RadioRai, anche Teresa De Sio, Ginevra Di Marco, Peppe Servillo e il trio di musicisti capitanati da quel Francesco Magnelli che di questo progetto è l’ideatore. Tutti chiamati nell’ambito della «Fabbrica del cambiamento», la rassegna organizzata per celebrare i trent’anni dall’approvazione della Legge 180, quella conosciuta come Legge Basaglia, che nell’Italia del 1978 portò a quella grande conquista di civiltà che è stata la chiusura dei manicomi.

Già, il ’78. In quegli anni poteva per esempio capitare che dei musicisti si mettessero assieme solo per il gusto di far musica assieme, in un teatro, davanti a un pubblico. Senza dischi da promuovere, senza regole di marketing da rispettare, senza comparsate televisive da inseguire. Poi le cosiddette ragioni dell’industria, della discografia, diciamo pure del denaro hanno ucciso la spontaneità, l’amore, forse il senso stesso di fare musica.

Quella spontaneità ci è sembrato di rivederla ieri sera. Nella voce meravigliosa di Peppe Servillo (un altro vincitore di Sanremo, con i suoi Avion Travel, nel 2000), superlativa nel mischiare sentimento e teatralità, magari reinventandosi da par suo quella «Storia d’amore» che Celentano cantava attorno al ’69. O nella sorprendente Ginevra Di Marco, che ricordavamo per le qualità vocali con lo stesso Magnelli - e con Giovanni Lindo Ferretti - prima nei Csi e nei Pgr, e ora ritroviamo più partenopea che mai, lei ch’è fiorentina di nascita.

Cristicchi a parte, che ha presentato altre canzoni e monologhi dal suo spettacolo «Centro d’igiene mentale», Napoli e il Mediterraneo sono la cifra prevalente dello spettacolo. Con Servillo, con la Di Marco (divertente il bozzetto «M’aggia a cura’», del grande Nino Taranto...), e ovviamente con Teresa De Sio. Che scandisce: «Padreterno, se torno a nascere voglio nascere libera come un uccello, in un mondo senza camorra, senza munnezza, senza violenza». Prima di concludere quasi con un’orazione: «Madonna della munnezza, scendi a lavare questa piazza...».

L’intenzione sembra quella di creare un porto, un punto di attracco per gli artisti che hanno la spinta e la curiosità di confrontarsi con gli altri, di rimettersi in gioco. Sul palco tre «stazioni lunari», tre simulacri di stanze disegnate con legno e luce, nelle quali gli artisti si muovono.

Spettacolo intelligente, originale, coinvolgente, di grande spessore. E il pubblico triestino, per l’occasione, è stato caldo neanche fosse pure lui meridionale...

martedì 13 maggio 2008

REMO ANZOVINO


Di lui, nel settembre scorso, Vincenzo Mollica ha detto al Tg1: «Uno dei momenti più belli della 64.a Mostra del Cinema di Venezia è stato il concerto di Remo Anzovino, che ha materializzato, mentre suonava, le figure di Louise Brooks e Tina Modotti...».

Che poi quella del noto giornalista della Rai è soltanto una delle lodi incassate dal pianista e compositore di Pordenone, che domani alle 21.15 presenta in prima nazionale al Teatro Miela («abbiamo fatto - dice - solo una sorta di anteprima a Roma, all’Auditorium della Conciliazione...»), nell’ambito della rassegna «L’inutile indispensabile», dedicata a Erik Satie, il suo nuovo spettacolo intitolato «Tabù».

«L’idea del tabù - spiega Anzovino, classe 1976, che divide l’attività musicale con la professione di avvocato penalista - è nata dalla danza omonima che ho scritto per questo spettacolo, che è anche un disco che sto ultimando di registrare a Udine. I tabù sono quelli musicali ma anche personali da infrangere, da abbattere, da superare. Pensavo, scrivendo queste musiche, che le certezze di ieri sono diventate i tabù di oggi: che ne so, farsi una famiglia, metter sù casa, trovare un lavoro, costruirsi un futuro certo. Ma ci sono anche i tabù della sessualità, della spiritualità, persino quelli della metropoli, con le sue frenesie, le sue regole codificate. Una cosa è certa: l’idea del tabù comporta quella della trasgressione. Non appena c’è un divieto scatta l’impulso a non osservarlo».

Ma vediamo chi è Remo Anzovino, il cui primo album «Dispari», uscito l’anno scorso, è stato a lungo in testa alla classifica dei dischi jazz su iTunes. «Ho avuto una formazione eclettica - spiega il musicista, che è autore di oltre cinquanta fra colonne sonore e musiche di scena - alternando un percorso accademico agli studi jazz, ma anche alla mia passione per la musica sinfonica e per l’opera. Anni fa ho cominciato a scrivere colonne sonore per vecchi film del muto: la prima cineteca con cui ho lavorato è quella di Bologna, poi ho collaborato anche con le ”Giornate” di Pordenone».

Ancora Anzovino: «Ho sempre cercato di non perseguire un linguaggio didascalico. Esempio: Charlot corre, la musica va di corsa; Charlor ride, la musica gli va dietro. A furia di scrivere a un certo punto mi sono accorto che avevo in mano un certo numero di temi musicali. Ho cominciato a suonarli dal vivo assieme al fisarmonicista udinese Gianni Fassetta, e ci siamo accorti che quelle musiche potevano avere una vita autonoma, indipendente dai film. Ed è cominciato tutto...».

L’album «Dispari» (RaiTrade/Risorgive/Cni) è un lavoro strumentale che raccoglie un brano ispirato a Tina Modotti («Que viva Tina!») e alcuni temi composti per capolavori del muto come «Nosferatu», «I misteri di un'anima», «Il Circo». Musica di grande atmosfera, melodie avvolgenti che vari programmi televisivi (da «Ballarò» su Raitre a «Otto e Mezzo» su La7) hanno utilizzato nell’ultimo anno. Il suo «Cammino nella notte» è stato inserito nella compilation «Chill out - Blue» (allegata all’Espresso), accanto a nomi come Amy Winehouse, Mario Biondi e l'Orchestra di Piazza Vittorio. Anche Simone Cristicchi ha scelto il suo brano «L'immagine ritrovata» come tema principale del documentario «Dall'altra parte del cancello» (distribuito in dvd) e dello spettacolo teatrale «Centro di Igiene Mentale». E la fama del musicista/avvocato pordenonese è arrivata fino a New York, dove una piccola etichetta lo ha pubblicato per il mercato americano.

Ora arriva «Tabù». «Lo spettacolo - conclude Anzovino - è lo sviluppo di quello presentato a Venezia. Propone una scaletta con composizioni originali accompagnate da immagini in bianco e nero di classici film anni Trenta e Quaranta. Anzi, i brani vengono quasi commentati dagli spezzoni dei film montati in sequenza differente dall'originale ma funzionale a renderne visiva la musica. Con me suonano Gianni Fassetta alla fisarmonica e mio fratello Marco Anzovino alle chitarre».

La pubblicazione dell’omonimo album è prevista per quest’estate.

venerdì 9 maggio 2008

FABBRICA DEL CAMBIAMENTO


«Negli anni Settanta la musica, il teatro, il cinema furono veicoli straordinari per far arrivare l’eco del nostro lavoro fuori dal manicomio. Anche in questo Franco Basaglia ebbe un’intuizione straordinaria: capì che doveva trasformarsi in comunicatore. E oggi, nel trentennale della legge 180, ricominciamo proprio da lì. Dalla comunicazione, dalla cultura...».

Peppe Dell'Acqua, direttore del Dipartimento di salute di mentale di Trieste ed erede - assieme a Franco Rotelli - di Basaglia, presenta così «La Fabbrica del Cambiamento». Una settimana dedicata al teatro, alla musica, al cinema, ai convegni, alla comunicazione. Trent’anni dopo quel 13 maggio ’78 in cui il parlamento diede il sì definitivo alla legge che chiudeva i manicomi.

Si comincia lunedì e martedì, alla Stazione Marittima, con il convegno sulla cooperazione sociale. Lunedì alle 21, al Teatro Miela, è in programma l’evento teatrale «Chi ha intascato i valori delle cooperative?».

Martedì alle 20, sempre al Miela, il film «Shine» di Scott Hicks e il reportage di Amedeo Fago «Se ho un leone che mi mangia il cuore» (realizzato per i programmi sperimentali della Rai nel ’77, in occasione del Reseau internazionale).

Mercoledì alle 19, al Centro di promozione della salute di via Pindemonte, «Letture» dedicate al trentennale della Legge 180. Giovedì alle 21, al Teatro Sloveno, «La luce di dentro, viva Franco Basaglia», del compianto Gianni Fenzi.

Venerdì alle 20.45, alla Sala Tripcovich, arrivano le «Stazioni Lunari»: un progetto fra teatro e musica che coinvolge vari artisti, e che a Trieste porterà Simone Cristicchi («che con una sola canzone a Sanremo - annota Dell’Acqua - a livello di comunicazione ha fatto più di noi in anni di lavoro...»), Teresa De Sio, Ginevra De Marco e Peppe Servillo.

Sabato 17 alle 20.30, al Comunale di Monfalcone, Natalino Balasso e Mirko Artuso in «Libera nos a malo». Lunedì 19 alle 17.30, all’Auditorium del Revoltella, incontro con Sergio Zavoli che presenta il suo «I giardini di Abele», girato nel ’67 per la Rai al manicomio di Gorizia.

«L’abbiamo chiamata Fabbrica del Cambiamento - conclude Dell’Acqua - per sottolineare l’idea che è stata alla base del nostro lavoro in questi trenta e più anni. Non accontentarsi della realtà esistente, lavorare per cambiare le cose dentro di noi e attorno a noi, produrre dei risultati concreti... Quello che vogliamo continuare a fare».

martedì 6 maggio 2008

RENGA


Ma chi l’ha detto che rock e melodia non possono andare d’accordo? Francesco Renga, il cui «Ferro e cartone Tour» ha fatto tappa ieri sera in un Politeama Rossetti affollato (ma non troppo...) soprattutto da giovanissime, è la dimostrazione italiana che quel connubio è possibile, vivo e vitalissimo.

A dieci anni dall’uscita dai Timoria, il quarantenne musicista nato a Udine ma bresciano d’adozione, famoso al grande pubblico per aver vinto il Sanremo 2005 con «Angelo» ma anche per aver messo su famiglia con Ambra Angiolini, sembra oggi aver trovato un equilibrio compositivo e interpretativo quasi perfetto, in bilico fra le sue origini rockettare e un presente cantautorale.

Ed è proprio la voce di Ambra (registrata), che apre in perfetto orario lo show, leggendo un brano tratto dal primo romanzo del suo compagno, intitolato «Come mi viene – Vite di ferro e cartone» ed edito da Feltrinelli. Poi si parte per davvero con «Cambio di direzione», lo stesso brano che ha anticipato l’anno scorso l’uscita dell’ultimo album, «Ferro e cartone», prodotto a San Francisco e caratterizzato dalle stesse sonorità internazionali che ora sono presenti dal vivo.

Tutta la prima parte è dedicata alle canzoni del nuovo disco: «Come mi viene» e «Dimmi», «Coralli» e «L’uomo che ho immaginato», «Vedrai» e «Lo specchio»... Ogni tanto ritorna anche la voce narrante dell’ex pupilla di Gianni Boncompagni a «Non è la Rai». Con l’effetto purtroppo di spezzare il ritmo che via via prende quota. Per esempio con «Affogo baby», che stava nel primo album solista di Renga, pubblicato nel 2001. O ancora con «Comete» (era in «Camere con vista», disco del 2004).

Ma il concerto decolla veramente quando arrivano due canzoni come «Ci sarai» e «Tracce di te» (Sanremo 2002), cantate in coro da una platea ridotta ma prodiga di applausi e urletti.  Brani che arrivano al cuore del pubblico in maniera semplice e diretta, riempite dalla forza e dall’unicità di una voce potente ed espressiva, arricchita nel tempo da raffinatezze interpretative che ne suggellano una vera maturazione artistica.

Si va avanti. Il palco è pulito, sobrio, illuminato da giochi di luce di un certo effetto, a tratti in stile «Guerre stellari». Mentre le sonorità e gli arrangiamenti che Corrado Rustici, il produttore napoletano trapiantato ormai da tanti anni sulla West Coast americana, ha pensato per l’ultimo disco ma anche per questo spettacolo dal vivo sono semplicemente sontuosi.

Francesco Renga ne approfitta per cantare i suoi sogni e le sue paure, i momenti dolorosi della vita, i tanti «cambi di direzione» affrontati, e ancora la memoria, l’abbandono, il ritorno. Ma anche una qual certa serenità familiare ormai raggiunta che si percepisce abbastanza chiaramente dai testi. La sua gran voce, unita all’indubbio mestiere di vecchio rocker, fa il resto.

Il concerto corre via liscio senza interruzioni per quasi due ore. Con il musicista mezzo udinese e mezzo bresciano sul palco ci sono Stefano Brandoni e Giorgio Secco (chitarre), Luca Visigalli (basso), Diego Corradin (batteria), Vincenzo Messina e Luca Chiaravalli (tastiere).

Il finale è un crescendo. Dopo «Ancora di lei» («la prima canzone che ho scritto dopo aver lasciato i Timoria...»), «Meravigliosa» e «Ferro e cartone» concludono la scaletta. La sanremese «Angelo» apre invece i bis.

Al Rossetti, successo caloroso. Non compromesso dal teatro pieno soltanto per metà.

domenica 4 maggio 2008

LE VIBRAZIONI Ancora anni Settanta sugli scudi. Suoni, atmosfere, abiti, capelli lunghi... Tutto rimanda al decennio scolpito nella memoria di chi c’era ma anche nell’immaginario di chi magari c’è in quegli anni c’è nato. Come Le Vibrazioni, il gruppo di ragazzi milanesi che hanno costruito il proprio successo su quella lezione artistica evidentemente mandata a memoria.

E ora che il bassista Marco Castellani, detto «Garrincha», milanese di origine triestina per parte di madre, ha mollato il gruppo, chi è rimasto sta... elaborando il lutto grazie anche a questo doppio cd con dvd e libretto fotografico annessi, intitolato «En Vivo» (Ricordi/SonyBmg), nel quale è ancora presente nella formazione originaria.

«Dopo tanti anni passati insieme - dice il cantante Francesco Sarcina - Marco aveva altri desideri, altri progetti, e li ha seguiti. È stata una scelta artistica ma anche personale. Il fatto all’inizio ci ha spiazzati parecchio, ma alla fine è meglio così per tutti. Al suo posto è arrivato Emanuele Gardossi, che suonava con noi tanti anni fa. E si va avanti...».

«En Vivo» è una sorta di riassunto di cinque anni di carriera, vissuti al ritmo di quasi cento concerti all’anno. Una sorta di «greatest hits», che giunge a mettere una sorta di punto e a capo nella storia del gruppo. Si parte con «Sai» e «Raggio di sole», si prosegue con «Ogni giorno ad ogni ora» e «Se», e ancora con «In un mondo diverso» e «L’inganno del potere»...

Dopo i primi anni passati a suonare nei locali milanesi e bussando senza successo alle case discografiche, è infatti nel 2003 che la band debutta con il singolo «Dedicato a te» e con l’album intitolato «Le Vibrazioni», entrambi premiati da un immediato e notevole successo. Da quel primo disco vengono poi estratti anche i singoli «In una notte d'estate», «Vieni da me», «Sono più sereno»...

La registrazione del concerto contenuta nel dvd documenta un concerto svoltosi in Campania. «Live in Avellino», ha scherzato qualcuno. E il titolo è stato scelto proprio in funzione del luogo, perchè con le luci della città attorno al palco, dicono Sarcina e compagni, sembrava quasi di stare in Messico. Per questo motivo la band ha pensato di tradurre il solito «live» in «en vivo», che è il corrispondente in spagnolo.

Il disco c</IP>omprende anche l’inedito «Insolita», che stava nella colonna sonora del dilm di Sergio Rubini «Colpo d'occhio», con Riccardo Scamarcio e Vittoria Puccini. «Più che una canzone - spiega Sarcina - si tratta di una preghiera laica di liberazione dalle paure. Una presa di posizione con cui ci dissociamo dalla costruzione metodica dei sensi di colpa che la Chiesa pratica da millenni...».

Poi c’è il video di «Drammaturgia», che vede la partecipazione di attori come Riccardo Scamarcio e Sabrina Impacciatore, oltre a Paolo Bonolis («Sono tutti amici...»). Con loro vengono ricreate ironicamente alcune scene del mitico «Rocky Horror Picture Show».


PIERO PELU'  Rock, rock, rock... Ritorna Piero Pelù. «Fenomeni» (SonyBmg) è il quinto capitolo della carriera solista dell’ex leader dei Litfiba. Il toscanaccio senza peli sulla lingua e con tanta grinta in corpo torna a sonorità più rock e punta sull'ironia, su un certo risentimento nei confronti di «una società che sta perdendo identità e comunicazione». Il sound è chiaro fin dalle prime battute di «Tutti fenomeni», che mette a confronto i giovani di ieri e quelli di oggi. Pelù dice di essere «preoccupato, la generazione attuale è coatta e bulimica. Mi sembra che i ragazzi facciano zapping sui problemi, c'è molta noia e poca voglia di lottare». Tra i brani spicca «Ti troverai», sorta di dialogo in musica con la figlia quasi diciottenne: «Ho cercato di farle capire che sono dalla sua parte - dice - nonostante tra di noi possano nascere contrasti forti. Ma non è facile intessere un dialogo con gli adolescenti». Il futuro rappresentato dalla figlia, dunque, ma anche il passato delle generazioni precedenti: «Zombies» parla delle due guerre mondiali e degli anni Sessanta. «Mamma Ma-donna» è una canzone d'amore nei confronti di tutte le donne, «Ufo su Firenze» è una caustica riflessione sulla città del rocker, che prende di mira i provvedimenti antilavavetri decisi nel capoluogo toscano («Un'ordinanza comunale contro un racket che arriva addirittura a duecento euro al giorno - ironizza - mentre non si tiene conto del fatto che Firenze è la prima città in Europa per consumo di droghe...»). Poi c’è «Viaggio», ballad dalle atmosfere intense che trasporta l’ascoltatore in una dimensione interiore. Non può mancare uno sguardo al web, con lo spirito di chi giura di non poter sostituire il supporto discografico con dei file. E come «bonus track» ritorna anche «Il mio nome è mai più». Disco godibile, che richiama il Pelù più rock, più sanguigno, basato essenzialmente sulla formazione classica del basso-chitarra-batteria. Da giugno Piero Pelù sarà in tour.


BARBAROSSA Dopo cinque anni di silenzio discografico, nuovo album di inediti per il cantautore romano di «Roma spogliata» e «Via Margutta». Il brano che dà il titolo al disco riguarda le vie dell'amore, della religione, delle aspettative nel futuro, della voglia di lottare per quello che si è nonostante le difficoltà della vita quotidiana. «Dio non è» contesta la strumentalizzazione delle guerre di religione, di un Dio usato in politica e per scopi militari. «Greta» è l’amore visionario, forse platonico, per una ragazza molto più giovane. «Un altro giorno» è quello del dolore dell’abbandono, del goffo tentativo di reagire, di rimettersi in piedi facendo finta di nulla. «Forme di vita» è la voglia di rimettersi sempre in gioco. «Vai vai» è un viatico per chi affronta un viaggio verso l’ignoto. La voglia di lottare per quello in cui si crede ritorna in «Invece no», dove «tra i sogni e le certezze si sceglie sempre la libertà...». Finemente cantautorale.


NADA Primo disco dal vivo ufficiale per Nada Malanima, in quasi quarant’anni di carriera. Era il ’69, infatti, quando la cantante toscana dalla voce roca debuttava appena quindicenne a Sanremo, in coppia con i Rokes, cantando «Ma che freddo fa». L’anno dopo sarebbe tornata nella città dei fiori con «Pa diglielo a ma», stavolta in coppia con Rosalino Cellamare (poi diventato Ron). Anticipato da «Stretta», il nuovo singolo estivo, scritto dalla stessa Nada, prodotto e arrangiato da Lucio «Violino» Fabbri, il disco è stato registrato a Roma nello scorso settembre durante l'ultimo concerto del fortunato «Luna in piena Tour». E fotografa il mondo della cantante attraverso i suoi successi vecchi e nuovi: dal citato «Ma che freddo fa» (che l’anno scorso è stato inserito nella colonna sonora del film «Mio fratello è figlio unico», nella versione realizzata nel ’95) ad «Amore disperato», da «Ti stringerò» fino a «Luna piena». A questi brani vanno poi aggiunti due inediti: il citato «Stretta» e «Novembre». Sorprendente, e mai scontato.

CAPAREZZA


La musica, ma anche il lavoro. L’ironia, ma anche le tematiche sociali. Reduce dal Concertone del primo maggio in piazza San Giovanni, a Roma, Caparezza ritorna a Trieste mercoledì sera per un concerto al Teatro Miela. La sua capacità di parlare dei problemi dell’Italia di oggi, senza prendersi troppo sul serio e rimanendo legato alle tradizioni della sua Puglia, fanno di Michele Salvemini - questo il suo vero nome - uno dei protagonisti più originali della scena italiana attuale. A quattro anni di distanza da quel «Fuori dal tunnel», feroce critica a una comunità devota al divertimento, che paradossalmente divenne un inno di quello stesso mondo messo alla berlina nel testo, e che fu il tormentone dell’estate 2004, ha appena pubblicato il libro «Saghe mentali» e il disco «Le dimensioni del mio caos».

«Libro e disco - spiega Caparezza, classe ’73 - sono strettamente collegati. Un racconto del primo sta infatti all’origine del secondo, che mi piace definire il primo fonoromanzo della musica italiana. È diviso in quattordici audiocapitoli, che banalmente potremmo definire canzoni. E racconta le avventure di una certa Ilaria...».

Prosegua.

«Prima devo fare una premessa. Io nel ’68 non ero nemmeno nato, ma mi sento un riflesso culturale di quel periodo, che troppe persone stanno demonizzando a quarant’anni di distanza. Quello per me fu invece un periodo di utopie giovanili ed entusiasmo, una stagione straordinaria che oggi ha molti detrattori perché ormai siamo in pieno revisionismo».

Diceva di Ilaria.

«Sì, mi sono inventato questo personaggio, una giovane hippie d'allora, che dal concerto romano di Jimi Hendrix al Brancaccio, realmente avvenuto, si ritrova catapultata nella società di oggi subendone il fascino. La sua voglia di cambiare il mondo oggi è puro consumismo e comunità virtuali».

E l’«Eroe» di un altro brano?

«Quella è la storia di Luigi delle Bicocche, un manovale, uno di quelli che non arrivano a fine mese. Uno dei tanti lavoratori sfruttati e malpagati dell’Italia del 2008. L’ho voluto accompagnare con un videoclip strampalato, un po’ dadaista...».

Temi sociali. Ha fatto un «concept album» come quelli degli anni Settanta?

«Più o meno. Nel mondo ideale fantastico che racconto gli episodi sono raccordati da voci di doppiatori professionisti, utilizzate per intermezzi, storie curiose, notizie strampalate su personaggi inventati».

Lei parla di cose serie e si diverte pure...

«Ci provo. Mi piacciono i giochi di parole, amo mischiare tutto per creare un immaginario a 360 gradi: dalle citazioni colte a quelle più infime, formando un calderone che poi, in fondo, credo sia diventato il mio stile, la mia cifra personale di fare musica».

Parla anche della sua regione.

Sì, con ”Vieni a ballare in Puglia” racconto con la musica popolare ciò che di impopolare accade nelle mie terre, dallo stabilimento siderurgico di Taranto che perde milioni di euro e non si capisce perché sia ancora aperto, fino al degrado ambientale diffuso con le tracce di diossina nel cibo».

Un Sud non da cartolina...

«Già. A fronte dell’immagine turistica della Puglia, terra di vacanze dove tutto è bello, sano, naturale, c’è una realtà molto più dura. Fatta di sfruttamento, di braccianti trattati come bestie, di malavita organizzata sempre presente e sempre potente. È quella che io chiamo la ”dark side of Puglia”...».

E poi c’è il dramma avvenuto nella sua Molfetta.

«Nel paese dove sono nato e dove continuo a vivere pochi mesi fa sono morti cinque operai che pulivano le cisterne. Non si sa ancora che cosa hanno respirato. Sono cose che purtroppo avvengono in tutto il Paese, ma quando succedono a casa tua, ovviamente ti colpiscono maggiormente».

Le morti bianche sono state un tema del Concertone del primo maggio.

«È un problema nazionale. Una vera strage. Ogni giorno in Italia muore qualcuno per questi che chiamano infortuni sul lavoro. Ma non si può accettare che una persona perda la vita per problemi legati al profitto, alla sicurezza che non c’è, ai controlli che non vengono effettuati».

Il libro?

«Dischi e concerti evidentemente non mi bastavano più, per soddisfare la mia urgenza di comunicare. Diciamo che volevo provare uno strumento nuovo, senza tradire il mio marchio di fabbrica. Gli aneddoti raccontati sono curiosi, ho usato l'ironia per raccontare un po' di cose e persone. L’ho diviso in quattro parti, in fondo è una sorta di diario, un'antologia di fiabe postmoderne».

Sa che la paragonano a Frank Zappa?

«La cosa mi fa onore. Anche perchè sono un suo patito. Amo molto la sua musica, come anche quella di Jimi Hendrix e dei Led Zeppelin. Tutta roba degli anni Settanta. Chissà, forse sono nato nell’epoca sbagliata...».