sabato 28 dicembre 2013

2014 a TRIESTE: Pearl Jam , Elisa, Venditti, Pezzali...

Antonello Venditti l’11 febbraio al Rossetti, Max Pezzali il giorno dopo al PalaTrieste. Dove il 29 marzo arriva anche Elisa. E poi il grande appuntamento del 22 giugno allo Stadio Rocco con i Pearl Jam, la cui attrattività è dimostrata da quei 14mila biglietti staccati nelle primissime ore di prevendita (l’altra tappa italiana del tour europeo è fissata il 20 giugno a Milano, stadio di San Siro). E poi ancora almeno un paio di altri nomi medio-grandi, almeno uno di “rock giovane”, da ospitare a luglio nell’impagabile cornice di piazza Unità. Insomma, il 2014 a Trieste promette di essere un anno da incorniciare, se non per l’economia e il porto, almeno per la musica dal vivo. Già i nomi citati sono un’ottima base da cui partire, non fosse che quasi sicuramente se ne aggiungeranno a breve degli altri. Gli organizzatori (ovvero la premiata ditta Comune di Trieste e Azalea Promotion, con il prezioso supporto della Regione) avrebbero voluto annunciare un altro nome già nei giorni scorsi, magari due settimane fa, in occasione della presentazione in pompa magna del colpaccio rappresentato dal concerto dei Pearl Jam. Un paio di trattative sono in corso, c’è un nome che ritorna con una certa frequenza, ma ancora mancano sia l’ufficialità che l’ufficiosità. Dunque meglio non illudere i fan, si dice. Nelle prime settimane dell’anno nuovo il panorama dovrebbe comunque schiarirsi e portare al completamento della stagione. Stagione che, come si diceva, promette di essere molto buona per gli amanti del rock e del pop. Alla base di questo successo, che negli ultimi anni ha riportato Trieste nei circuiti che contano della musica dal vivo, sicuramente il buon rapporto di collaborazione fra l’amministrazione comunale guidata dal sindaco springsteeniano Roberto Cosolini e il promoter Azalea (un buon esempio di proficua sinergia fra pubblico e privato...). Ma anche un fattore contingente, rappresentato dall’inagibilità dello Stadio Friuli per i lavori di ristrutturazione. E il quesito è sempre lo stesso: quando la struttura sarà nuovamente e completamente a disposizione, Udine si riprenderà il ruolo di prima scelta, forte della sua posizione geografica più baricentrica e dunque più facilmente raggiungibile? Alla presentazione del concerto dei Pearl Jam il vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello - testimoni Cosolini e Serracchiani - assicurò che «assolutamente no, ci sarà spazio per tutti. Nell’ambito di un disegno di promozione turistica complessivo strutturato e tarato per i nostri vari centri di attrazione». Ma il timore che in futuro a Trieste tocchino nuovamente le briciole ci sta tutto. Non pensiamoci adesso. E godiamoci la prospettiva di un’annata ricca di appuntamenti. Oltre ai nomi citati all’inizio, il 2014 porterà subito in dote il concerto della Glenn Miller Orchestra lunedì 20 gennaio al Politeama Rossetti, dove lunedì 3 febbraio arriveranno anche i Perpetuum Jazzile (gruppo sloveno famoso per il canto a cappella: 25 mila spettatori in due serate alla Stozice Arena a Lubiana a inizio novembre). Nel frattempo, cose molto interessanti anche a Udine. Giovanni Allevi martedì 25 marzo al “Nuovo”, dove il giorno dopo è prevista anche una nuova tappa del “never ending tour” dei Nomadi. Da segnalare a primavera il doppio ritorno in regione di Simone Cristicchi con il suo spettacolo “Magazzino 18”, attualmente in tour in Italia e accolto nei giorni scorsi con emozione ed entusiasmo anche a Roma, dove ha tenuto varie repliche nella centralissima Sala Umberto. Lo spettacolo dedicato alla storia dell’esodo degli istriani, giuliani e dalmati sarà il 13 marzo al Teatro Verdi di Gorizia e il 7 aprile al “Nuovo” di Udine. Sempre nel moderno teatro friulano ancora due importanti appuntamenti che sono altrettanti ritorni: venerdì 11 aprile lo spettacolo “Vivo” del pianista e compositore pordenonese Remo Anzovino, martedì 20 maggio la chitarra senza tempo dell’albino Johnny Winter. Ma l’estate 2014 prepara i suoi botti anche e ovviamente fuori dal Friuli Venezia Giulia: arrivano Neil Young & Crazy Horse (il 21 luglio al Festival Collisioni di Barolo, Cuneo) e Metallica, Arcade Fire e Iron Maiden, Robbie Williams e Motorhead, Artic Monkeys e gli italiani Vasco Rossi e Ligabue. E chissà che uno di questi nomi non arrivi a rinforzare proprio l’estate musicale triestina...

lunedì 16 dicembre 2013

LIBRO 50 ANNI CIRCOLO STAMPA TRIESTE

Domani alle 17.30 al Circolo della Stampa di Trieste in Corso Italia 13 verrà presentato il libro “Circolo della Stampa di Trieste. 50 anni di storia, arte e cultura”. Curato da Laura Kraker Silla, è corredato da una interessante e inedita documentazione fotografica, che verrà proiettata durante l’incontro. Del libro parleranno l’autrice, lo storico Roberto Spazzali e l’editore della Mgs Press Carlo Giovanella. Nella foto a fianco, il giornalista e scrittore Gian Antonio Stella al Circolo della Stampa di Trieste. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo di seguito la prefazione del volume. ----------------------------- di Carlo Muscatello* Mezzo secolo dopo la fondazione, c'è ancora spazio per il Circolo della Stampa di Trieste? Può avere ancora un ruolo, al tempo dei social network e della comunicazione virtuale, un sodalizio nato quando il telefono era inchiodato al muro, la televisione aveva un solo canale ed era in bianco e nero, gli articoli venivano battuti sui tasti della macchina per scrivere e composti col piombo? Noi siamo convinti di sì. Anche per questo abbiamo festeggiato un compleanno speciale con tante iniziative e con questo libro. E anche per questo, diversi anni fa, con l'aiuto di alcuni amici e colleghi, noi dell’Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia - il sindacato unitario dei giornalisti, la “casa madre” - ci siamo impegnati per rilanciare il Circolo dopo un periodo nel quale le iniziative e gli appuntamenti si erano decisamente ridotti. La città, la regione, l’Italia e il mondo sono cambiati forse più velocemente in questi cinquant'anni che nei cinque secoli precedenti, ma il ruolo che era stato immaginato per questo sodalizio all'inizio degli anni Sessanta rimane valido e in qualche modo attuale: “stimolare il dibattito culturale, sociale e politico cittadino, organizzando e ospitando iniziative e dibattiti che garantiscano sempre pluralismo e rispetto di tutte le opinioni, in un’ottica di civile e pacifica convivenza fra tutte le componenti della comunità in cui opera”. Sottolineo: in un’ottica di civile e pacifica convivenza. Una notazione che era importante allora e rimane importantissima oggi, qui, al centro della nuova Europa, su un confine che non c’è più ma ci ricorda antiche ferite che devono essere definitivamente sanate. Come giornalisti dobbiamo farlo ogni giorno con il confronto, nel rispetto delle opinioni di ognuno, con l’umiltà necessaria per comprendere le ragioni dell’altro. La rivoluzione digitale ha fatto sì che oggi l’informazione sia cresciuta esponenzialmente come quantità, purtroppo non come qualità. Allora l’attività e gli spazi del Circolo della Stampa di Trieste vogliono essere sempre a disposizione dell’approfondimento, dell’analisi, del confronto costruttivo. Lo dobbiamo agli amici e colleghi che mezzo secolo fa hanno posto la metaforica prima pietra, ma anche a tutti quelli che hanno tenuto in vita e fatto crescere questo particolare club nel corso dei decenni trascorsi. Citarli tutti è impossibile. Ne ricordiamo allora solo due ma con l’intento di ricordarli tutti: il compianto Chino Alessi e il nostro Danilo Soli, che visse da presidente dell’Assostampa l’angoscia dell’attentato incendiario del 1979. Ma lo dobbiamo anche alle giovani generazioni. Alle ragazze e ai ragazzi che, lasciati per un paio d’ore nello zaino lo smartphone e l’iPad, potranno al Circolo della Stampa riassaporare - o a volte conoscere per la prima volta - la bellezza di un dibattito, la ricchezza del confronto diretto, il fascino della comunicazione non solo virtuale. Magari guardando il proprio interlocutore negli occhi e non attraverso la luce artificiale di uno schermo. *presidente dell'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia

domenica 15 dicembre 2013

PEARL JAM, 22-6-14 STADIO ROCCO, TRIESTE

Dunque l’anticipazione è confermata: saranno i Pearl Jam le stelle dell’estate musicale triestina e regionale. L’appuntamento è per domenica 22 giugno allo Stadio Rocco. Due sole date italiane, l’altra il 20 giugno a Milano, stadio di San Siro. Conferma e dettagli sono arrivati nella conferenza stampa nel Salotto azzurro del Municipio di Trieste. Il sindaco springsteeniano Roberto Cosolini: «È un evento che conferma la città fra le grandi piazze italiane del rock. Il fatto che si svolga di domenica porterà minori problemi organizzativi e maggior afflusso “turistico” di pubblico, anche dal Centro ed Est Europa, considerato che l’unica altra tappa in zona del tour europeo è Vienna». La presidente della Regione Debora Serracchiani non era annunciata. Ma fra un impegno dall’altra parte della piazza e il nuovo incarico romano nella segreteria nazionale Pd griffata Renzi, ha trovato il tempo per esserci. Sottolinea «l’attrattività di Trieste e del Friuli Venezia Giulia a livello di grandi eventi, che caratterizzeranno l’intero 2014». Poi ricorda che «a pochi metri da qui, in questo momento si parla di sicurezza nel mondo dello spettacolo»: un imperativo, dopo il tragico incidente di due anni fa al concerto di Jovanotti al PalaTrieste. Il suo vice Sergio Bolzonello: «Un concerto di tale rilievo, fra l’altro nel week end, è una grande occasione per richiamare pubblico dal resto d’Italia e dall’estero, garantendo un indotto immediato al nostro territorio. E pochi sanno che questi sono eventi che si pagano da soli, con l’incasso dell’Iva». Al netto dei ringraziamenti incrociati, merito tuo, no merito tuo, prego passi prima lei, un paio di curiosità arrivano grazie a Loris Tramontin. «Portare i Pearl Jam - dice il boss di Azalea - era rimasto un mio chiodo fisso almeno da tre anni, quando era già stata annunciata la data a Udine del 6 luglio 2010, che poi ci fu scippata dall’Heineken Jammin Festival. I cui organizzatori avevano offerto di più. Stavolta ce l’abbiamo fatta, ma è stata un’impresa. Le due date erano già previste a Milano e Roma, noi siamo riusciti a inserirci al posto della capitale». Prendendo poi spunto dal fatto che il Tramontin, friulano di Latisana, non riesce a pronunciare per esteso il nome della regione (per lui siamo solo Friuli, e tanto basta...), il discorso torna al famoso “Mandi Trieste” di Springsteen, un anno e mezzo fa. «Prima del concerto Bruce aveva chiesto il significato di alcune parole alla massaggiatrice friulana. Era atterrato nello stesso aeroporto usato quando aveva suonato a Udine e, vedendo che le città sono vicine, aveva pensato che quel saluto già usato con successo allo Stadio Friuli poteva funzionare ancora...». A proposito di Stadio Friuli: ma quando termineranno i lavori di ristrutturazione, Udine tornerà prima scelta per i grandi concerti e Trieste dovrà nuovamente accontentarsi delle briciole? «Assolutamente no - risponde Bolzonello, che da pordenonese rivendica neutralità sull’argomento -, ci sarà spazio per tutti. Nell’ambito di un disegno di promozione turistica complessivo strutturato e tarato per i nostri vari centri di attrazione». Ma torniamo ai Pearl Jam. Debutto del tour europeo, che arriva dopo le date negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda, il 16 giugno ad Amsterdam. Quelle italiane sono la seconda e la terza tappa. Poi vanno il 25 giugno a Vienna, il 26 a Berlino, e dopo toccano Svezia, Norvegia, Polonia, Belgio e Inghilterra. Americani di Seattle e capitanati da Eddie Vedder, i Pearl Jam sono fra i maggiori esponenti del movimento grunge. In oltre vent’anni di carriera hanno venduto più di sessanta milioni di copie, di cui la metà negli Stati Uniti. Due mesi fa - a quattro anni di distanza dal precedente “Backspacer” - hanno pubblicato “Lightning bolt”, decimo lavoro in studio della band, anticipato dal singolo “Sirens” e subito ai vertici delle classifiche negli States, in Canada, in Australia e in diversi paesi europei fra cui l’Italia. Per diverse settimane il disco è stato numero uno della classifica di iTunes in ben cinquantasei paesi. Al concerto di Trieste sono attese almeno trentamila persone. Biglietti (dai 51,50 ai 71,50 euro, più diritti di prenvendita) disponibili dalle ore 11 di venerdì 20 dicembre sul circuito ticketone.it e nei punti vendita abituali di Azalea. Altre info su www.azalea.it Ancora Tramontin. «Ma non ci fermiamo qui. Abbiamo creato il marchio “Live in Trieste”. Stiamo trattando altri nomi. Almeno uno di “rock giovane”, in piazza Unità. Lo annunciamo la prossima settimana...».

DISCO DI CIOCCOLATO PER GIBONNI, ROCKER CROATO

Gibonni, considerato in Dalmazia il “Vasco croato”, colpisce ancora. Stavolta, in pieno periodo natalizio, il quarantacinquenne rocker di Spalato sforna un album fatto di cioccolata. Della serie: prima si ascolta e poi si mangia. Zlatan Stipisic, questo il suo vero nome, ha registrato in Inghilterra il nuovo album in studio, intitolato “20th Century Man”. Canzoni in inglese, incisioni ai leggendari Abbey Road Studios dei Beatles e allo Sphere Studio, produzione affidata ad Andy Wright (uno che ha firmato i lavori di Simply Red, Eurythmics, Simple Minds...) e, quasi a festeggiare l’evento, la decisione di realizzare una versione a 33 giri della traccia che dà il titolo al disco stampata su cioccolata e riproducibile su un normale giradischi. «È un singolo da suonare a 33 giri, ma dopo cinque ascolti devi mangiarlo...», afferma Gibonni, da oltre vent’anni ai vertici delle classifiche di vendita croate e di tutti i Balcani. Poche sere fa, il disco è stato presentato per la prima volta al Gasometer di Vienna e poi mangiato collettivamente. «Ho letto che il cioccolato contiene un ormone che stimola il desiderio - dice ancora Gibonni -, ho pensato allora che fosse una combinazione perfetta con la mia musica fortemente legata agli anni Ottanta. Quando ho saputo di questa opportunità, non ho voluto lasciarmela sfuggire». Figlio d’arte (suo padre Ljubo Stipisic era un famoso compositore di klapa, stile musicale tradizionale della Dalmazia, nel quale non a caso il giovane Zlatan ha mosso i primi passi, prima di dedicarsi al rock...) il “Vasco croato” è l’artista della vicina repubblica che in questi anni ha saputo mischiare meglio sonorità rock e pop, coniugando melodie e tematiche che hanno saputo coinvolgere i giovani del suo paese. Sia ai tempi tormentati della guerra dei primi anni Novanta, che nei vent’anni trascorsi nel frattempo. L’album ha i suoni e le atmosfere delle migliori produzioni rock contemporanee e rappresenta un’importante sfida dell’artista croato nei confronti del mercato internazionale. Una sfida che ora è anche al sapore di cioccolato.

venerdì 13 dicembre 2013

PEARL JAM A TRIESTE ESTATE 2014

Dovrebbero essere i Pearl Jam le stelle della prossima estate musicale triestina. Dopo Bruce Spingsteen nel 2012 e i Green Day quest’anno, l’accoppiata Comune di Trieste e Azalea Promotion (che stamattina terranno una conferenza stampa congiunta, annunciando quasi sicuramente questo e forse altri nomi in arrivo) produce insomma un’altra... “perla”. Bocche cucite da parte degli interessati. «I Pearl Jam? Un bel nome, magari - risponde Loris Tramontin, boss di Azalea -. Mi piacerebbe, ma non ci sono date disponibili. Più facile che arrivino Bon Jovi, o Robbie Williams, o addirittura i Metallica...». Ma sembra tanto un tentativo di depistaggio, per “salvare” la conferenza stampa odierna. È vero che il sito ufficiale della band di Seattle annuncia solo i concerti in Australia e Nuova Zelanda fra gennaio e febbraio. Ma si danno ormai per certi i concerti a Milano il 20 e a Roma il 22 giugno. Subito prima o subito dopo queste tappe dovrebbe essere infilato il concerto triestino allo Stadio Rocco, tenendo conto del fatto che la band sarà a Berlino il 26 giugno e in Inghilterra ai primi di luglio. Si diceva allo Stadio Rocco. Un ritorno dunque alla grande struttura di Valmaura, dopo il successo del concerto del Boss nell’estate 2012. E dopo che il 25 maggio di quest’anno, in un clima decisamente autunnale, è stata la centralissima piazza dell’Unità a ospitare invece i californiani Green Day. Per quanto riguarda i Pearl Jam, come i fan sanno, sono un gruppo grunge formatosi a Seattle nel ’90. In oltre vent’anni di carriera hanno venduto più di sessanta milioni di copie, di cui la metà negli Stati Uniti. Influenzati dal rock classico degli anni Settanta, a loro volta continuano a influenzare molti gruppi rock contemporanei. Due mesi fa hanno pubblicato “Lightning bolt”, subito ai vertici delle classifiche negli States, in Canada, in Australia e in diversi paesi europei fra cui l’Italia. Per diverse settimane è stato numero uno della classifica di iTunes in ben cinquantasei paesi. Anticipato dal singolo “Sirens”, l’album è il decimo lavoro in studio della band, arriva a quattro anni di distanza dal precedente “Backspacer” (uscito nel 2009) e comprende dodici brani. In un alternarsi di ballate e brani punk-rock con gli inconfondibili “riff” di chitarra di Mike McCready e la personalissima voce di Eddie Vedder, cantante e leader rinosciuto della band. «Il fatto di pubblicare un disco in questo momento - ha detto in un’intervista Vedder, vero nome Edward Louis Severson III, nato il 23 dicembre 1964 a Chicago - è un po’ come una scossa che vogliamo dare all’intero sistema. Ci piace rimarcare che sappiamo essere traumatici». Stamattina sapremo se il sogno di vederli a Trieste diventerà realtà l’estate prossima. Nell’incontro convocato dagli organizzatori inizialmente dovevano essere annunciati altri nomi in arrivo, ma sembra che le trattative siano ancora in corso.

giovedì 12 dicembre 2013

FRAGIACOMO, TROMBA DI LATTA PER RICORDARE L'ESODO

Un libro con annesso cd in uscita: “Quella tromba di latta del confine orientale italiano”. Il cofanetto multimediale “Histria e oltre”, con dentro un libro di disegni e commenti di Bruno Chersicla su Portole d’Istria (patria dei genitori dell’artista scomparso), un cd sulla musica popolare istriana e con canti dell’esodo, un dvd del regista Giorgio Diritti sulla storia istriana. E il concerto letterario con il suo Mitteleuropa Ensemble, che per il prossimo Giorno della memoria, il 10 febbraio, dovrebbe arrivare finalmente anche a Trieste. Insomma, il musicista triestino Mario Fragiacomo - anche se da tanti anni trapiantato a Milano - è più che mai impegnato sul fronte a lui da sempre congeniale: lo studio e la diffusione delle tradizioni culturali e musicali delle sue terre. «Libro e cofanetto usciranno nei primi mesi dell’anno nuovo - dice Fragiacomo -, ma tengo particolarmente a far vedere anche a Trieste lo spettacolo già portato a Torino, Gorizia, Pescara, Alessandria, Monza...». Ancora l’artista: «Raccoglie le testimonianze di tanti italiani d’Istria, di Fiume, della Dalmazia, che dopo la fine della guerra sono stati costretti ad abbandonare tutto: i propri beni, la casa, gli affetti. Quasi un viaggio dentro la memoria di tutto il popolo dell’esodo». «Sono felice - conclude Fragiacomo - del nuovo interesse su questi temi suscitato dallo spettacolo di Simone Cristicchi “Magazzino 18”. Io seguo da oltre dieci anni l’ambiente dell’associazionismo di istriani, fiumani e dalmati. E da dieci anni mi emoziono sui palcoscenici italiani quando racconto questa storia. La stessa che cantavo nel mio primo album “Trieste, ieri, un secolo fa”, presentato tanti anni fa da Fulvio Tomizza».

ADDIO A GIPO FARASSINO

Ultimamente aveva ripreso a occuparsi solo di musica, di canzoni. Il suo primo, grande amore, messo per anni un po’ in disparte per la passione politica e per la Lega Nord. Ma Gipo Farassino, scomparso ieri a settantanove anni, è stato soprattutto artista, cantante, anzi chansonnier. Il caposcuola della canzone piemontese. Torinese, classe 1934, Giuseppe “Gipo” Farassino debutta discograficamente nel 1960 con un album di canzoni popolari piemontesi. Scrive anche brani in lingua italiana, spesso venati di ironica e struggente malinconia. Le musiche sono spesso legate alla tradizione francese. Nel decennio del boom e della contestazione il pubblico italiano lo conosce per canzoni come “Avere un amico”, “Remo la barca”, “Ballata per un eroe”. Avvicinandosi spesso ai territori del cabaret (si esibirà per anni anche al celebre Derby Club milanese), racconta i problemi della povera gente, della sua Torino operaia, degli amori infelici consumati nelle case di ringhiera e della quotidianità di cui è attento testimone. Con “Non devi piangere Maria” nel ’70 partecipa a “Un disco per l’estate” e porta la sua poetica dinanzi al grande pubblico televisivo del sabato sera: canta «un mare di fredde ciminiere, un fiume di soldatini blu, un cielo scordato dalle fiabe, un sole che non ti scalda mai. Questa mia città ti fa sentir nessuno, ti strozza il canto in gola, ti spinge ad andar via. Questa mia città che spegne le risate, che sfugge a tanta gente, resta la mia città...». Sempre nel ’70 la sua “Senza frontiere”, con un testo contro le guerre in Vietnam e nel Biafra, viene respinta al Festival di Sanremo. E poi va alla Mostra Internazionale di Musica Leggera con “Quando lei arriverà”. Altri dischi, tanti spettacoli e molta televisione negli anni Settanta. Poi l’impegno politico prende il sopravvento. Nell’87 dà vita al un movimento Piemont Autonomista, dall’87 al ’96 è segretario della Lega Piemont, che poi si scioglie nella Lega Nord. Ne diventa segretario regionale nel suo Piemonte, assessore regionale, parlamentare europeo. Ieri l’addio.

domenica 8 dicembre 2013

MOGOL A UDINE: IO, LUCIO E 50 ANNI DI CARRIERA

Di Carlo Muscatello Inviato a UDINE Ha regalato le parole alla miglior musica leggera di casa nostra. In oltre mezzo secolo di onorata attività, Giulio Rapetti Mogol (dal 2006 quel che era uno pseudonimo è diventato parte del suo cognome) ha infatti firmato i testi di oltre millecinquecento canzoni. Molte delle quali bellissime, alcune indimenticabili, entrate a far parte della colonna sonora delle nostre vite. Con Lucio Battisti, ma non solo. Anche per Celentano, Morandi, Cocciante. Per non parlare di Mina, Bobby Solo, Equipe 84, Dik Dik... Mogol ieri era a Udine, ospite d'onore della serata al Castello per celebrare i venticinque anni dell'agenzia Rem. Poco prima, nella hall di un albergo del centro, ha ricordato con noi alcune tappe di una carriera straordinaria. Sanremo '61, "Al di là", Luciano Tajoli e Betty Curtis: un debutto subito vincente... "Ero un ragazzo - ricorda l'artista, milanese, classe 1936 - che aveva avuto la fortuna di scrivere quelle parole. Le avevo date al maestro Donida, un caso strano perché in seguito io ho sempre scritto su una musica già esistente. Una serie di coincidenze fortunate e la canzone vinse il Festival. Ma fu tutto merito di Tajoli". Che Italia era? "L'Italia che vorrei anche oggi, invece tutto è andato male, tutto va di male in peggio. È mancata la moralità, qui tutto raccontano balle, tutti fanno debiti e nessuno va galera". Battisti lo conobbe pochi anni dopo: intuì subito le sue potenzialità? "Assolutamente no. Si presentò con due canzoni, gli dissi che aveva scritto due brani modesti, la cosa che mi colpì fu che lui disse: sono d'accordo. Mi fece quasi tenerezza. Gli dissi: dai, vediamoci, proviamo a collaborare assieme. E cominciò quell'incredibile avventura. La terza canzone che scrivemmo assieme fu "29 settembre". E fu il botto". Quindici anni di collaborazione: i fan ancora non si capacitano di quel divorzio. "In effetti fu una cosa incomprensibile, girarono tante balle sui motivi della separazione. Questioni di gelosie, di soldi, persino di confini fra le nostre proprietà in Brianza. Tutte balle. La verità? Credo sia stato influenzato, mal consigliato da chi gli era vicino". Un ricordo bello e uno brutto di quegli anni con lui. "Brutto nessuno. Mi sono sempre trovato bene, anche lui mi sembrava appagato e contento. E anche quando ci siamo incontrati di nuovo, anni dopo, tutto sempre bene. Era un rapporto ad alto gradimento reciproco". Un'alchimia irripetibile? "Beh, ho lavorato e scritto canzoni con altri artisti. Anche belle canzoni. Ma credo che sì, era irripetibile perchè completa nel senso globale del termine. Lucio era un grande autore, un arrangiatore, un interprete. Assieme avevamo raggiunto la completezza, una certa complementarietà". Quella storia che eravate fascisti? "Io sono sempre stato moderato, Lucio non l'ho mai sentito parlare di politica. La verità è che in quegli anni se un artista non alzava il pugno era fascista. Chi scriveva di privato era qualunquista. La neutralità non era ammessa". Lei fa cronaca? "Si, credo che un autore degno di fede è quello che fa cronaca. La fantasia non conta. Io mi ispiro alla vita, alla mia, a quella della gente comune. Per questo il pubblico mi segue". Una parola per alcuni artisti con cui ha lavorato. Celentano. "Timbrica straordinaria. Meglio come artista che come predicatore". Mina. "Coerente nella sua scelta di ritirarsi a Lugano. L'altro giorno mi hanno detto quante canzoni ho scritto per lei: sono ventotto, nemmeno me le ricordavo". Morandi. "Anche lui libero di fare quel che vuole. Bravissimo nel ripartire, con quella "Canzoni stonate" che scrissi per lui trent'anni fa". Cocciante. "Grande interprete e grande musicista, di livello internazionale". Gianni Bella. "Un genio musicale. Non lo ha aiutato l'accento siciliano, lui che in inglese canta benissimo". L'opera che avete scritto assieme? "L'ha scritta soprattutto lui, e dopo due anni di lavoro, il giorno dopo averla finita, è stato colpito dal male che ancora non gli permette di comunicare. Per l'opera abbiamo dei problemi economici, forse debutterà all'estero" La scena musicale attuale? "Manca la qualità, e sa perchè? Perché oggi si cerca solo il profitto. Una volta era diverso, si cercava l'artista che aveva qualcosa da dire e sapeva come dirlo. Oggi si cerca di fare soldi, e subito. Non va bene". Ha detto che oggi Battisti e Mogol non emergerebbero. Possibile? "Lo confermo. Noi eravamo pieni di idee e trovavamo gente disposta ad ascoltarci. C'era entusiasmo, voglia di cambiare. Lucio fu bocciato alla radio come interprete, ma poi le radio lo trasmettevano comunque. Oggi non c'è questa possibilità. I dj sono degli impiegati, passano quello che gli dicono di trasmettere". Il Cet, la sua scuola? "Ha vent'anni, ha diplomato oltre duemila allievi, abbiamo tenuto a battesimo interpreti come Arisa e autori come Giuseppe Anastasi. Abbiamo una didattica avanzatissima, di livello europeo. Ma anche per noi mancano i fondi, dobbiamo fare economia. Chi ci governa non capisce che diffondere la musica e la cultura popolare è una priorità". Dopo l'inno della Ternana ora scrive quello della Lombardia. Cos'è successo con Maroni? "L'inno per la Ternana l'ho scritto perché è la squadra per cui tifo. Maroni ero andato a trovarlo per alcune borse di studio finanziate dalla Regione Lombardia già nella precedente legislatura. Mi ha chiesto di scrivere questo inno, gli ho detto che al momento non avevo la musica giusta. Poi mi sono ricordato di un bellissimo brano inedito di Lavezzi, e ho scritto il testo. Maroni ha detto che voleva una musica più rock, e da questa battuta si è scatenato un casino". Che testo ha scritto? "La storia della mia vita, ricordi di me da bambino. Io sono sempre stato autobiografico. Ho scritto una cosa bella, sentirete. Figuriamoci se per la mia regione, ripeto, la mia regione, la mia terra, non per una giunta di destra o di sinistra, figuriamoci se non scrivevo una cosa bella. Invece di questo sembra non interessare niente a nessuno. Sotto con le balle, con le polemiche, con i titoloni". I talent show? "Torniamo al discorso del qualità. Se scegli degli artisti veri da presentare al pubblico, forse fai un'operazione culturale. Ma se aspetti quelli che vogliono essere lanciati, che vogliono vendere due dischi, fare la bella vita, beh, non vai da nessuna parte". Internet? "Ci sono 200mila siti musicali, manca chi ti aiuta a individuare le cose di qualità. Siamo sempre lì. Corsa ai soldi, al profitto, poca attenzione alla qualità". Gli aforismi? "Ho sempre amato la sintesi, mi piace scrivere breve. Questo libro "Le ciliegie e le amarene" ha avuto quattro premi, uno internazionale. Ne sto scrivendo un altro. Si intitolerà "le arance e i limoni". Mogol, lei ha fede? "Sì, prego tutte le sere. E lo faccio con il cuore".

sabato 7 dicembre 2013

BAUSTELLE 16-12 Udine, intervista BIANCONI

«Non so se un disco sinfonico come “Fantasma” ha rappresentato una svolta. Mi piace pensare che ogni album dev’essere di svolta, altrimenti ci si annoia. In realtà bisogna svoltare sempre, mantenendo il proprio stile e la propria personalità. Cosa non sempre facile...». Francesco Bianconi è il cantante e leader riconosciuto dei Baustelle, il trio di Montepulciano (gli altri sono Rachele Bastreghi e Claudio Brasini) che lunedì 16 torna in regione per un concerto al “Nuovo” di Udine. Il loro “Minimal Fantasma Tour” li sta riportando ancora una volta in giro per l’Italia: stasera sono a Napoli, il 18 a Torino, il 21 a Roma... «Abbiamo scelto di registrare con un’orchestra di sessanta elementi perchè gli archi veri sono più belli di quelli riprodotti con le tastiere. E anche dal vivo stiamo suonando assieme a un quartetto d’archi». Cos’è, il rock non vi piace più? «Tutt’altro. Ma nella nostra musica c’è sempre stata la passione per l’elemento sinfonico, per le musiche da film, anche nei primi dischi. Forse allora non potevamo permetterci l’orchestra d’archi. Diciamo che l’elemento pop-rock, con le chitarre elettriche e la batteria, l’abbiamo messo temporaneamente da parte». “Fantasma” vi ha avvicinato a un pubblico diverso? «Sì, credo che abbiamo rubato qualche ascoltatore al pubblico dei cantautori, grazie a un album che in effetti è un po’ più cantautorale. Non mi piace la parola “adulto”, ma devo ammettere che l’età media in platea si è un po’ alzata, rispetto ai tempi di “Charlie fa surf” e “Colombo”. Insomma, nessuno potrà più dire che siamo una band per ventenni...». Come mai avete ripubblicato “La moda del lento”? «Dopo il nostro debutto nel 2000 con “Il sussidiario illustrato della giovinezza” eravamo rimasti senza contratto discografico. Ma sentivamo di avere ancora molte cose da dire, avevamo il nuovo disco quasi pronto ma senza la possibilità di pubblicarlo. Periodo difficile, insomma». Dunque? «Riuscimmo ad avere dei soldi dalla Bmg, che però non poteva pubblicarlo con il proprio marchio. L’album uscì per un’etichetta satellite nel 2003, vendicchiò qualcosa, finì fuori catalogo, non venne più ristampato, e attraverso un complicato giro di fusioni il master divenne di proprietà della Sony». È meglio di un giallo... «In effetti. Per farla breve, in questi anni molti ci hanno chiesto di rispampare quell’ormai introvabile nostro secondo album, finalmente abbiamo trovato un accordo con la Sony e ora il disco viene ripubblicato: da alcuni giorni è disponibile in cd e in digitale, la prossima settimana esce anche su doppio vinile a tiratura limitata». Richieste dei fan a parte, perchè riproporlo? «Perchè, in un’epoca in cui tutta la musica è disponibile con un semplice clic, ci sembrava incredibile e ingiusto che su quel lavoro fosse sceso il silenzio tombale». Lo trova ancora attuale? «Alcuni brani di quel disco li facciamo ancora dal vivo, dunque sì, lo trovo abbastanza attuale. L’ho riascoltato in questi giorni: lo trovo un buon album, i suoni sono ovviamente un po’ invecchiati. Ma bisogna pensare al fatto che all’epoca eravamo dei ragazzi innamorati delle sonorità elettroniche, con tanta voglia di fare, dire, suonare». Oggi lo fareste diverso? «Certo, sono passati dieci anni. Forse ne faremmo una versione più intima, magari da camera, chissà. Ma arrangiamenti a parte, la sostanza è ancora buona». Come sta la musica italiana? «Bene, ma tutto il sistema sta andando in crisi. Non si vendono dischi, dunque non si investe sulle nuove band, suoi nuovi artisti. In giro c’è buona musica, ma le major vogliono andare sul sicuro, puntando magari sui ragazzi dei talent show». Sui quali che giudizio dà? «Non ce l’ho con i talent. Ma rischiano di far pensare ai ragazzi che la musica in tivù è fatta solo di gente che interpreta brani scritti da altri. Un grave errore culturale. Un De Gregori oggi avrebbe difficoltà a emergere». Fra gli stranieri chi ascolta? «Tante cose. Ultimamente mi piacciono i Tame Impala, un gruppo proveniente dall’Australia. Ma ho apprezzato anche il nuovo disco dei Daft Punk». Prossimo Baustelle? «Dopo questo tour abbiamo bisogno di un po’ di letargo, di silenzio, di fare tabula rasa per ripartire. Diciamo che se dovessi incidere oggi farei un disco senza orchestra. Per una nuova svolta». A Montepulciano ci tornate? «Claudio ha continuato a viverci. Rachele vive a Milano da anni. Io da ancor prima, quando venni qui per fare il giornalista in una rivista. Ma a Montepulciano torno spesso. E forse mi piacerebbe anche tornare a viverci».

giovedì 5 dicembre 2013

LUDOVICO EINAUDI stasera a Trieste, Rossetti

Italo Calvino girava per casa sua, quand’era bambino: praticamente uno zio. In una famiglia letteraria nella quale Natalia Ginzburg era una sorta di zia. Capita se ti chiami Ludovico Einaudi, pianista di fama ormai internazionale che stasera alle 21 suona a Trieste, in un Politeama Rossetti strapieno: i biglietti sono esauriti (e tutti venduti sono anche i tagliandi per il concerto di Mario Biondi domani sera alle 21 al Teatro Nuovo di Udine). Chi affolla i suoi concerti a Londra e Parigi, a Berlino e Budapest, a New York e Sidney, probabilmente nulla sa di quel cognome importante, che significa figlio dell'editore Giulio e nipote del secondo presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, appunto. «Calvino - ricorda il pianista, torinese, classe 1955 - era un personaggio particolare, molto attento ai dettagli, ai rapporti umani. Veniva spesso a casa nostra. La sua famiglia aveva tradizioni botaniche che anche lui coltivava. Sono passati quasi cinquant’anni, ma non dimentico che una volta mi regalò una pianta grassa, ricordo ancora il nome: sedum guatemalense. Particolare perchè le foglie, interrate, facevano nascere una nuova pianta». Suo padre? «Le sue amicizie, le sue frequentazioni mi hanno permesso di conoscere persone importanti legate alla cultura italiana. Ciò è stato fondamentale negli anni della mia adolescenza e formazione. Una figura impegnativa, la sua. Con lui ho condiviso alcune visioni del lavoro, la grande cura che aveva per il lavoro mi ha segnato. Bisogna avere passione per le cose che si fanno. La sua vita era indissolubile dalla sua attività. Un po’ com’è capitato a me». Il nonno? «Quando sono nato, nel ’55, aveva appena terminato il suo settennato al Quirinale. È morto che io avevo sei anni. I ricordi sono dunque per forza di cose molto sfumati, mediati dai racconti di mio padre. Credo però mi abbia lasciato una certa filosofia di sobrietà, presente nel mio dna. Il fatto di guardare alle cose importanti, una certa morale. Molto piemontese». La musica? «Mia madre suonava il pianoforte. Musica classica: Bach, Chopin, Schumann. Ma anche canzoni francesi: amava Jacques Brel, Moustaki. Dalle stanze delle mie sorelle arrivavano invece i suoni nuovi, i dischi dei Beatles. Io sono cresciuto in mezzo a tutto questo». Fino a che... «Fino a che un giorno cominciai a prendere lezioni private di pianoforte, poi presi a suonicchiare anche la chitarra. Nell’adolescenza, verso i sedici anni, misi su anche qualche complessino, sviluppando una conoscenza e un interesse maggiore. E decisi che avrei voluto appronfondire il mio rapporto con la musica. Mi iscrissi allora al convervatorio: composizione e pianoforte, sentivo un forte interesse per l’aspetto creativo della musica». Lo studio è stato importante? «Diciamo che mi è servito, mi ha aiutato a ragionare sulla musica. Ma forse è un’illusione, perchè poi la conoscenza ognuno la sviluppa per conto proprio, attraverso una propria interpretazione della musica e dei suoi misteri». A Londra, due mesi fa, all’iTunes Festival, ha diviso il palco con Lady Gaga... «Non nella stessa serata. C’erano anche Elton John, Kate Perry, Justin Timberlake. Un’esperienza che ho vissuto con grande entusiasmo. Un’occasione importante legata al discorso delle nuove tecnologie. Eravamo in un teatro, la leggendaria Roundhouse, con duemila persone in platea, ma in diretta streaming ce n’erano probabilmente cento volte tanto». Le piace mischiare i generi? «Molto. Quella sera mi divertiva il contesto diverso dal solito. È sempre stimolante mescolare le carte, soprattutto nella musica». Ascolta rock? «Sì, qualche volta. Radiohead, Bjork, Portishead, Pj Harvey... Artisti che suonano quello che a me sembra un rock di ricerca, che sperimenta soluzioni nuove. Di una scena che ha i suoi alti e bassi, ma mi dà degli stimoli». Da ragazzo? «Sono cresciuto con Beatles e Rolling Stones, ma anche Jimi Hendrix, il rock progressive di King Crimson, Soft Machine, Jethro Tull, Genesis. Mi piacevano i Pink Floyd, i Colosseum. Alcuni li ho anche visti dal vivo, a Torino, negli anni Settanta. Ma non ero un fan sfegatato, di quelli che divoravano i dischi». Com’è diventato un pianista star? «Per caso. All’inizio ero concentrato sulla composizione, il pianoforte era lo strumento per scrivere. “Time out”, il primo album, è uscito nell’88, ma non mi ha cambiato la vita. Le cose hanno cominciato a mutare negli anni Novanta, con dischi come “Stanze”, “Salgari”, soprattutto “Le onde”: un lavoro che ha ottenuto molta attenzione, ha cambiato il mio destino». Cosa propone a Trieste? «Alcuni brani del mio nuovo album, “In a time lapse”, e altre cose del passato. La mia musica».

DISCHI: ANZOVINO, VIVO

REMO ANZOVINO “VIVO” (Egea Music) Il trentasettenne pianista e compositore pordenonese brucia le tappe e vola verso i piani alti della scena musicale di casa nostra. Dopo il successo del “Viaggiatore immobile” e del Concerto per il mezzo secolo della strage del Vajont, arriva il suo primo album dal vivo. Registrato ad aprile all’Auditorium del Parco della Musica, a Roma, assieme alla band che lo ha accompagnato in tour, comprende quattordici brani già conosciuti dal pubblico e due inediti: “Afrodite” e “No smile (Buster Keaton)”. Di quest’ultimo brano esiste anche un godibilissmo video. Anzovino dimostra a tratti un piglio da rocker, e si conferma versatile e intelligente equilibrista fra generi, che attraversa con leggerezza e ottima tecnica. Il disco è in realtà un cofanetto, che comprende anche il dvd del Concerto della memoria tenuto a settembre accanto alla diga del Vajont, con il Coro polifonico di Ruda. Info e altre cose su www.remoanzovino.it

DISCHI: LIGABUE, MONDOVISIONE

Una certa indignazione per come va il mondo, per la politica italiana che anche a sinistra è sempre più distante dalla gente comune. E poi l’eterno mondo dei sentimenti, dell’amore che fa girare il mondo. Ruota attorno a questi temi “Mondovisione” (Warner), il nuovo album di Ligabue che non ha fatto in tempo a uscire che è subito balzato in testa alle classifiche di vendita. Erano tre anni che il rocker di Correggio non proponeva un disco di inediti, i fan cominciavano a essere impazienti, la casa discografica forse pure. Copertina che cita il vecchio Carosello, dentro quattordici brani (fra i quali due brevi strumentali) che non deludono le attese. Album abbastanza rock, suoni semplici e diretti, senza bisogno di ricorrere a tutti i marchingegni che le nuove tecnologie mettono oggi a disposizione di un artista che entra in sala d’incisione. «Ho sempre raccontato delle mie emozioni, dei miei sentimenti in maniera scarnificante. Non so se sono arrivato ad essere ancora più diretto». Apertura con “Il muro del suono”, brano che più arrabbiato non si può («Sotto gli occhi da sempre distratti del mondo, sotto i colpi di spugna di una democrazia, chi doveva pagare non ha pagato, è sotto gli occhi di tutti...». “Nati per vivere” ha una bella ritmica nera, rhythm’n’blues. “Con la scusa del rock’n’roll” sembra voler chiudere il trittico iniziato tanti anni fa con “Sogni di rock’n’roll” e poi proseguito con “In pieno rock’n’roll”. “Il sale della terra”, che con “Tu sei lei” è il brano di punta dell’album, è una di quelle canzoni destinate a entrare nel canzoniere dell’artista. Lui la spiega così: una canzone sull’esercizio del potere, una galleria di personaggi, non è l’Italia tutta; parla di quelli che troppo spesso ci sono passati negli ultimi vent’anni. «È un album piuttosto rock, ma in questi vent’anni - dice il Liga - il rock è cambiato, è cambiato anche il modo di ascoltarlo. Il rock è il modo che uno ha per non avere pudore dei propri sentimenti e urlarlo in faccia alla gente. Se il rock è quello lì, faccio rock. Se rock è una chitarra metal, allora non sono rock...». Per il suo popolo, quello che affolla i suoi concerti e compra i suoi dischi, Luciano Ligabue è rock per tutta la vita... La conferma nel “Mondovisione Tour”: 30 e 31 maggio allo Stadio Olimpico di Roma, 6 e 7 giugno allo Stadio di San Siro a Milano. E ancora il 12 luglio allo Stadio Euganeo di Padova, il 16 a Firenze, il 19 a Pescara, il 23 Salerno.

martedì 3 dicembre 2013

ELISA 29-3 trieste

Elisa chiuderà al PalaTrieste, sabato 29 marzo, il suo nuovo tour. A ottobre, in occasione dell’uscita dell’album “L’anima vola”, quando le avevamo fatto notare che la tournèe - debutto il 7 marzo alla Zoppas Arena di Conegliano, Treviso - purtroppo non prevedeva tappa nella “sua” regione, aveva risposto così: «Beh, c’è la tappa a Conegliano, che non è molto lontana. E poi c’è ancora speranza di rimediare. C’è sempre speranza...». Ed ecco la novità, che è anche bella sorpresa. Gli organizzatori hanno aggiunto al tour due tappe: il 27 marzo a Montichiari (Brescia) e il 29 a Trieste, per ora ultima data de “L’anima vola tour”. Che, dopo il debutto veneto del 7 marzo, toccherà l’8 Padova (Pala Fabris), il 10 marzo Torino (Pala Olimpico), l’11 marzo Genova (105 Stadium), il 13 marzo Firenze (Nelson Mandela Forum), il 15 Roma (Palalottomatica), il 18 Napoli (Pala Partenope), il 19 marzo Pescara (Pala Giovanni Paolo II), il 21 Perugia (Pala Evangelisti), il 22 Bologna (Unipol Arena) e il 24 Milano (Mediolanum Forum). Intanto, sabato 7 dicembre Elisa parteciperà alla 21.a edizione del Concerto di Natale, il tradizionale appuntamento musicale in scena all’Auditorium della Conciliazione, a Roma, che poi verrà proposto in tv e alla radio, come di consueto, la sera della vigilia. Per l’occasione l’artista monfalconese proporrà un brano estratto dal nuovo album “L’anima vola” - il suo primo tutto in italiano, da settimane ai vertici delle classifiche, già disco d’oro con oltre 30mila copie vendute - e duetterà per la prima volta con Dolores O’Riordan dei Cranberries. Fra gli altri duetti, quelli fra Patti Smith e Alex Britti, e fra Anggun e Luca Barbarossa. Venerdì 20 dicembre Elisa sarà - con Jovanotti, Tiziano Ferro, Franco Battiato, Fabri Fibra, Biagio Antonacci e tanti altri - fra gli ospiti di Luca Carboni al PalaDozza di Bologna, nel concerto per celebrare i trent’anni di carriera del cantautore. È invece di pochi giorni fa la pubblicazione del secondo singolo tratto dal nuovo album, “Ecco che”, scritto da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro e scelto da Giovanni Veronesi come tema principale del suo ultimo film “L’ultima ruota del carro”, per cui Elisa ha composto, per la prima volta nella sua carriera, l’intera colonna sonora. Il video del brano (su youtu.be/9QAxaltZ6Z0) è stato diretto dal regista toscano e vede la partecipazione dell’attore Elio Germano, protagonista del film. «Veronesi lo chiama ironicamente un video “solo in bianco” - spiega Elisa - perchè è molto etereo e basato sull’idea di uno spazio surreale dove pennellate di grigio, che scrivono poche cose minimali, si contrappongono alla mia figura e a quella di Elio Germano». Tornando al tour e al concerto triestino, biglietti e info su www.ticketone e www.azalea.it, e nei punti vendita abituali.

lunedì 2 dicembre 2013

IL COLPO DI STATO DI BANCHE E GOVERNI, libro di Gallino

«Quando arriva l’uragano, è dura per tutti. Ma se hai costruito per tempo una casa in cemento armato, avrai una certa quantità e un certo tipo di danni. Se invece vivi in una casupola fatta di lamiera, è chiaro che rischierai di venir spazzato via...». Luciano Gallino, uno dei più importanti sociologi italiani, professore emerito all’Università di Torino, dov’è stato per oltre trent’anni ordinario per l’appunto di sociologia, legge così, attraverso questa metafora, una crisi apparentemente senza fine. Che secondo alcuni non è una crisi mondiale, ma soltanto o perlomeno soprattutto italiana. «Fuor di metafora - spiega il docente, che ha appena pubblicato per Einaudi il volume “Il colpo di stato di banche e governi, L’attacco alla democrazia in Europa” (pagg, 344, euro 19) -, la nostra economia è di latta. In Italia da anni abbiamo assistito all’incapacità di realizzare politiche industriali e progetti adeguati alla fase storica. Nel frattempo la Germania si è attrezzata per la bisogna, dunque soffre di meno di una situazione oggettivamente difficilissima». Perchè dopo oltre due anni di recessione, e una caduta dell’economia del nove per cento dal momento simbolico del fallimento di Lehman Brothers, la zona euro dà segnali di ripresa e crea posti di lavoro. Anche in Spagna, in Portogallo, in Irlanda. Mentre l’Italia è drammaticamente ferma al palo. Professore, quando è cominciata questa crisi? «È una crisi che parte da lontano. Già negli anni Settanta il sistema produttivo dei paesi sviluppati dava segni di rallentamento. Per ovviare al quale, governi e società finanziarie statunitensi ed europei hanno intrapreso, a partire dagli anni Ottanta, una forte campagna di finanziarizzazione dell’economia». I cosiddetti mutui facili? «Sì, soprattutto negli Stati Uniti in quegli anni si è cominciato a erogare milioni di prestiti e mutui che tutti venivano sollecitati a sottoscrivere. Anche quanti non avevano ragionevolmente la possibilità di farvi fronte». La ricetta ha funzionato? «Per alcuni anni. Poi ha mostrato i suoi limiti, anche perchè si trattava di tutto un sistema di crediti ingenti, concessi con estrema disinvoltura». Quand’è saltato tutto? «C’erano stati segnali allarmanti già nel 2003, segnalati da alcuni giornali e persino dalla Fbi. Ma nessuno ha datto loro retta. Poi tutto il sistema entra drammaticamente in crisi nel 2007. E quando nel 2008 falliscono le grandi banche, i governi intervengono pompando soldi pubblici per salvare banche private». Altre cause della crisi? «Proprio perchè i governi intervengono con soldi pubblici, nel 2010 quella che comincia come una crisi di banche private e dell’industria finanziaria diventa una crisi del debito pubblico. Alla quale si tenta di far fronte con politiche di austerità, che portano alla recessione e a tutti i danni che ben conosciamo». L’Europa ha meno responsabilità? «No, le responsabilità di Europa e Usa sono due facce della stessa medaglia. Pensiamo al fatto che i governi europei hanno avuto una parte importante nel processo di liberalizzazione dell’economia, nel creare le piazze finanziarie. E i gruppi finanziari europei hanno contribuito in maniera determinante a creare la situazione poi esplosa innanzitutto oltreoceano». La politica, intanto? «Il fatto che i governi abbiano salvato le banche con i soldi pubblici è stato difeso da molti sottolineando che poteva saltare tutto, che comunque sono stati salvati anche i risparmi della gente. Vero. Però è anche vero che i governi non hanno chiesto nulla in cambio. E potevano, forse dovevano farlo». Cosa potevano chiedere? «Per esempio di ridurre i derivati. Di eliminare certe attività discutibili. Di separare le oneste e necessarie attività di deposito e prestito da quelle meramente e smaccatamente speculative. Invece hanno concesso enormi aiuti e non hanno chiesto, e dunque ottenuto, nulla in cambio». Potevano tentare di cambiare il modello produttivo? «Anche. Automobile, televisione, frigorifero ormai ce li hanno tutti, dopo le enormi diffusioni dei decenni passati. Bisognava inventare altro». I grandi gruppi finanziari? «Hanno enormi responsabilità. Hanno inventato nuovi prodotti finanziari. Pericolosi perchè fondati su modelli che hanno concentrato il rischio su pochi piani e settori». Le grandi banche? «Sono rimaste scoperte anche per centinaia di miliardi di euro. Abbiamo assistito a fallimenti clamorosi anche in Europa. Tutto il sistema poteva saltare». E l’Europa, appunto, cosa poteva fare? «Anche qui, come si diceva, non è stato chiesto nulla in cambio. Ma il vecchio continente poteva in particolare fare a meno di sviluppare le piazze finanziarie, cercando di far meglio degli Stati Uniti, nella corsa forsennata alla distribuzione dei rischi». Invece? «Invece queste pratiche sono state esaltate. Ricordo che in Germania, nella campagna elettorale del 2005, entrambi i due maggiori partiti avevano preso l’impegno con gli elettori di trasformare il paese in una grande piazza finanziaria. E i problemi erano già quasi tutti sul tappeto». I responsabili? «La classe politica e dirigente, che non capito la crisi e ha favorito con ricette sbagliate i dirigenti dei grandi gruppi finanziari, davanti ai quali sono stati stesi dei veri e propri tappeti rossi». Austerità fa rima con recessione? «Sì, lo scrivono anche gli economisti liberali. Le politiche di austerità dei governi hanno prodotto ventisei milioni di disoccupati in Europa, dato dell’agosto 2013: sei/sette più del 2007». Perchè parla di “attacco alla democrazia”? «Perchè le dicisioni importanti vengono prese da un numero sempre più ristretto di persone, attraverso leggi e trattati sottratti al processo democratico. E si liquidano le discussioni dicendo che non ci sono alternative». Invece, come se ne esce? «Traducendo la consapevolezza degli errori fatti in passi politici. I trattati si possono modificare. Si può chiedere alla Bce di applicare meglio le sue norme. Si deve puntare sulla creazione di posti di lavoro...». Altrimenti, sostiene Gallino, si continuerà a destrutturare le democrazie, distruggere i diritti, in primis quello al lavoro.