sabato 31 marzo 2007

JOSS STONE "Introducing... Joss Stone" (Emi Virgin). Pelle bianca, anima (e voce) nera.  Joss Stone è un caso più unico che raro.  A soli vent'anni ha appena pubblicato il suo terzo cd, intitolato «Introducing... Joss Stone» (Emi Virgin), dopo il successo nel 2003 dell’album di esordio «The soul sessions» e nel 2004 di «Mind, body and soul».  Nel suo caso non deve sorprendere il fatto che il debutto sia arrivato quando aveva appena sedici anni.  Il mondo del pop è infatti ricco di cantanti ragazzini o boyband composte da adolescenti che poi quasi sempre si perdono per strada (vedi il caso di Britney Spears).  Con Jocelyn Eve Stoker - questo il suo vero nome - è stato subito chiaro sin dall’inizio che ci trovavamo e ci troviamo in un altra storia.  Potenzialità da grande interprete, margini di miglioramento infiniti, splendida voce nera in dote a una ragazzina bianca. Per promuovere in Italia questo suo nuovo disco l’inglesina nata a Dover (ma già trapiantata a Los Angeles) ha fatto una comparsata anche all’ultimo Sanremo.  E in quei pochi minuti si è avuta una conferma della sua grandezza, quasi sproporzionata rispetto alla giovane età.  Poi ha detto in un’intervista: «Quando ho inciso il primo album ero una ragazzina e non avevo alcun potere di decisione.  Oggi ho vent’anni, i capelli rossi e la minigonna.  Ma quello che conta per me è la musica, il resto è irrilevante...». Sentite come il caso può cambiare una carriera: «A otto anni sognavo di diventare una Spice Girls come tutte le bambine della mia età.  Una volta però ho visto alla tv uno spot promozionale di un ”Greatest Hits” di Aretha Franklin e sono rimasta fulminata.  Mi sono appuntata il nome e da allora non ho mai smesso di considerarla la più grande.  Ho una certezza: tutti i bambini dovrebbero essere esposti alla musica di Aretha». Ancora Joss Stone: «Il primo album non mi convince perché non mi piace la mia voce, ero troppo piccola.  Il secondo è così così, ma io mi sono limitata a cantare.  Le decisioni le hanno prese altri. È questo il motivo per cui ho intitolato il mio nuovo album ”Introducing... Joss Stone”, perché finalmente posso decidere io.  Non voglio più fare album così così...». Il disco è stato registrato alle Barbados, con la collaborazione fra gli altri di Lauryn Hill.  Lavoro maturo, grintoso, in qualche modo addirittura eccitante.  Una miscela elettrizzante di soul caldo e rhythm’n’blues classico, in pieno stile anni Sessanta/Settanta, con arrangiamenti e armonie che ricordano alcuni dei migliori dischi della Motown. La giovane artista - che l’anno scorso ha trovato il tempo e il modo anche di debuttare nel cinema, con un ruolo nel film «Eragon» - sembra aver tovato il suo personale sound proprio andando a scavare nella memoria della musica nera.  Una mano gliel’ha di certo data il produttore del disco, il quarantunenne Raphael Saadiq, cantautore californiano considerato un pioniere del «nu-soul» (dopo esser stato la voce dei Tony Toni Toné e dei Lucy Pearl, ha collaborato con Whitney Houston, Faith Evans, Macy Gray, Kelis...). Assieme, la ragazza e il quarantunenne, si sono inventati un'autentica esplosione di energia funk e di fuoco soul, che infiammano le quattordici tracce del disco.  L’unica critica: forse si è un po’ troppo americanizzata, ma è giovane e ha diritto di cambiare e sperimentare. Per concludere una curiosità: Joss Stone si esibisce sempre a piedi nudi (come tanti anni fa la sua connazionale Sandie Shaw...) perché «con le scarpe - ha detto - non mi sento a mio agio: non voglio correre il rischio di inciampare...».


RINO GAETANO "Figlio unico" (cd+dvd SonyBmg). Forse Rino Gaetano aveva capito tutto già trent’anni fa.  Con la sua ironia, i suoi nonsense, la sua idiosincrasia nei confronti della politica...  Il 2007 è comunque il suo anno.  Paolo Rossi che canta all’ultimo Sanremo il suo inedito «In Italia si sta male», il nuovo sceneggiato televisivo dedicato alla sua breve vita, ma soprattutto un interesse sempre acceso per l’opera lasciataci dal cantautore calabrese, morto in un incidente stradale, a Roma, nell’81, a soli trentuno anni. Ora arriva anche il primo dvd dedicato all’artista nato a Crotone nel ’50, dal titolo «Figlio unico».  Sta in un cofanetto, distribuito dalla Sony Bmg Music e realizzata da Rai Trade grazie a un progetto curato da Maria Laura Giulietti, che comprende un cd e un dvd. Fra le altre «schegge», qualcuna in bianco e nero, anche la partecipazione al Festival di Sanremo del ’78 con «Gianna», l’esecuzione di «Ahi Maria» presentata nel programma «Una valigia tutta blu» del ’78 condotto da Walter Chiari, una versione di «Nuntereggae più» in spagnolo («Corta el rollo ya») durante la trasmissione «10 Hertz» del ’78, i tre brani eseguiti da Rino nel famoso «Q-Concert» insieme con Riccardo Cocciante e i New Perigeo: «Insieme», «A mano a mano» e «Imagine» di John Lennon. Fra gli «extra» da segnalare la partecipazione di Rino Gaetano al programma «Acquario» di Maurizio Costanzo, con la canzone «Nuntereggae più» eseguita davanti allo stesso Costanzo e a Susanna Agnelli (che nel testo del brano sono alcuni dei personaggi che il nostro non reggeva più...). In tutto quindici momenti della vita televisiva del cantautore, più altri sette spezzoni presenti negli «extra» del dvd, e poi ancora le interviste alla sorella Anna e al nipote Alessandro, all’autore Sergio Bardotti, al cantante Nicola di Bari che di Rino cantò una versione un po’ modificata di «Ad esempio a me piace il sud»... Il cofanetto, come si diceva, comprende anche un cd con sedici canzoni.  Tutti i suoi successi ma anche le inedite «Ancora insieme», «A mano a mano» e la spagnola «Corta el rollo ya».



GIANNI TOGNI "La vita nuova" (Acquarello) Nato a Roma nel ’56, Gianni Togni fece il botto nell’80 con «Luna», cui seguirono altri successi - in Italia ma anche all’estero, soprattutto in Sudamerica - come «Semplice», «Giulia» e «Vivi».  In tutti questi anni ha sempre continuato a fare musica, senza farsi stritolare dai meccanismi dello show business.   Questo nuovo disco è stato registrato, nel corso di quattro anni, in varie session tra Italia, Olanda e Los Angeles, con collaborazioni internazionali di rilievo (come Michael Landau alle chitarre, Tollak all’armonica, Stefano Di Battista al sax...).  Sono dieci belle canzoni («Oggi di più», «Quello che so», «Appena puoi portami via»...), che confermano Togni un fine artigiano della canzone e dei sentimenti.


SABRINA DI STEFANO "Conoscete qualcuno che come me..." (SonyBmg)  Racconta: «Sono nata nel 1970 a Roma.  Anni importanti della nostra storia, di contestazione verso la famiglia e la società.  Troppo giovane per vivere tutto questo: ascoltavo i racconti e le idee di mia sorella.  Ascoltavo tutti i cantautori...  Quanti sogni con quelle musiche che sapevano di liberta' e di futuro...».  A due anni da «Mi hanno detto che ero nata per essere felice» (la cui title-track viene riproposta in questa raccolta), la cantautrice ritorna con dodici canzoni che sembrano frutto di una ricerca interiore e sono figlie della canzone d’autore di casa nostra.  Fra i brani, anche una bella versione de «La bambola» che fu di Patty Pravo.

venerdì 23 marzo 2007

MONFALCONE Settantadue anni a giugno. Mezzo secolo di carriera musicale, considerando gli esordi nella Milano della seconda metà degli anni Cinquanta, quando il medico-cantante forma il suo primo gruppetto jazz con Giorgio Gaberscik, che non aveva ancora tagliato le ultime quattro lettere del cognome triestino. Enzo Jannacci - il cui tour fa tappa domani alle 20.45 al Comunale di Monfalcone, a chiusura del festival Absolute Poetry - all’epoca studiava medicina di giorno e suonava il pianoforte di sera, nei locali e localini notturni.

Padre maresciallo dell’aeronautica di origine meridionale e madre operaia, il giovane Enzo andava avanti così, fra borse di studio che gli permettevano di inseguire la laurea (conseguita nel ’67), studi all’università e al conservatorio, serate musicali pagate quattro soldi...

Questo che torna ancora una volta nella nostra regione, dopo il concerto di Cormons del mese scorso e quello di Latisana di ieri sera, è il tour dei cinquant’anni di carriera di uno dei caposcuola della canzone d'autore ma anche del cabaret di casa nostra. Uno degli artisti più creativi e originali di un panorama che non brilla né per creatività né per originalità.

Abbinato al doppio album antologico «The best», uscito nel novembre scorso e comprendente trentacinque canzoni, il nuovo spettacolo è l'occasione per vedere sul palco uno degli artisti più divertenti ma anche più impegnati della musica italiana. Uno che in scena canta e racconta le sue storie a volte un po’ surreali di vita quotidiana, mischiando musica e umorismo, jazz e rock’n’roll, cabaret e teatro. Un modo, il suo, di raccontare l'Italia, la gente qualunque, gli emarginati, quelli più strani...

«Lo spettacolo cambia in realtà ogni sera - spiega Jannacci -, io parto dalle mie canzoni, poi inserisco dei parlati, dei piccoli monologhi. Racconto delle storie, degli episodi di vita quotidiana di questa nostra Italia. Dipende molto dalla situazione che si crea in sala, con il pubblico...».

Teatro canzone?

«No, quello lo faceva il mio amico Giorgio Gaber. Ed era insuperabile...».

Il sociale quest’anno è arrivato persino a Sanremo...

«Non ho visto il Festival, ero in tour. Ma la canzone di Cristicchi l’ho sentita, è bella, mi sembra riuscita. E anche quella di Paolo Rossi, che era stato con me a Sanremo, sarà stato il ’94, con ”I soliti accordi”... Chissà, forse il merito è di Baudo, che come direttore artistico è sempre una garanzia, perchè sa dare spazio alla buona musica...».

Nel doppio ha inserito anche canzoni non molto conosciute dal grande pubblico...

«Avevo già fatto un paio di antologie. Stavolta ho voluto puntare su quelle che io considero le mie canzoni migliori, quelle che mi sono più care. E alcune in effetti non erano mai arrivate a una platea ampia. Penso a ”Soldato Nencini”, ma anche ad altre che per me sono importanti».

Tutte le canzoni sono state riproposte in una nuova veste.

«Sì, infatti la differenza con le raccolte precedenti è che stavolta tutti i brani sono stati completamente riarrangiati: una veste musicale nuova, che si deve al lavoro di mio figlio Paolo...».

Che lavora con lei ormai da tanti anni...

«È da diciassette anni che lavora con me, sia dal vivo che in sala d’incisione. Ora ne ha trentaquattro, quindi quando ha cominciato era giovanissimo. Sì, ovviamente sono molto soddisfatto di averlo al mio fianco. Lui è un musicista jazz, è molto bravo, anche se questo non devo dirlo io...».

Molti si sono sorpresi di trovare nel disco «Via del campo».

«Perchè non tutti sanno che l’avevo scritta io, con De Andrè. All’epoca non l’avevo firmata per motivi di Siae. Ma la musica era mia. Fra l’altro la melodia originale era quella di ”La mia morosa va alla fonte”, un brano che avevo scritto con Dario Fo. Quando anni fa abbiamo ricordato il grande Fabrizio con un tributo, mi è sembrato giusto ricordarlo così. E ora mi è sembrato altrettanto giusto inserire questa mia versione nel disco».

Adesso che è andato in pensione come medico avrà più tempo libero...

«Per la verità lavoro più di prima. Sì, sono andato in pensione ma come cardiologo esercito ancora. La medicina non l’ho mai abbandonata. Da quando studiavo all’università a Milano, da quando ho studiato e lavorato nove anni negli Stati Uniti, da quando ho fatto la specializzazione con Barnard... I miei malati non li abbandono mai».

Recentemente ha ritrovato Cochi e Renato, in occasione del loro ritorno in televisione.

«Non ci eravamo mai persi di vista. Anche recentemente, avevo scritto per loro ”Nebbia in Val Padana”, per quello che era stato il loro primo ritorno in televisione, anni fa, dopo una lunga assenza. Stavolta, con loro, ho ritrovato il mondo del cabaret milanese degli anni Sessanta e Settanta. Ho scoperto anche alcuni nuovi comici che sono davvero bravi...».

Raccontano una Milano molto diversa da quella in cui lei è cresciuto...

«Certo, è una Milano diversa da quella che consideravo la mia città. Ma è l’Italia intera che ha perso la sua identità. Questo è un Paese da ricostruire, ma non mi faccia continuare, che poi dicono che parlo sempre di politica...».

giovedì 15 marzo 2007

Quando sillabava «Vorrei cantare come Biagio» arrivava in scena con una ventiquattrore. E pochi pensavano che l’autore ironico di quel tormentone agiografico di Antonacci nascondesse un’anima così sensibile, attenta alla sofferenza, alla diversità. Per vincere Sanremo Simone Cristicchi si è presentato sul palco con una bella canzone e una sedia. «L’ho trovata - spiega - a Vignola, vicino Modena, a una Festa dell’Unità. È vecchia. Ma io stavo cercando un oggetto per il mio spettacolo e mi è sembrata perfetta. E così l’ho portata nel mio viaggio per i Centri d’igiene mentale e i manicomi da cui è nato un documentario. A poco a poco per me è diventata un simbolo: l’oggetto del mio fermarmi ad ascoltare. Ad ascoltare tutte le storie sconvolgenti che mi raccontavano...»
«Dall'altra parte del cancello» (SonyBmg) è il secondo album di Simone Cristicchi, trent’anni, romano. Oltre a «Ti regalerò una rosa» («I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base...»), con la quale ha vinto il Festival, comprende altri dieci canzoni, tra cui «Legato a te» (dedicato a Piergiorgio Welby, immaginario dialogo tra l’uomo e la macchina che lo tiene in vita), «Lettera da Volterra» (lettura di una lettera autentica, datata 21 marzo 1901, tratta dagli archivi del manicomio San Girolamo di Volterra e accompagnata dalle note del pianoforte di Giovanni Allevi) e «Nostra Signora dei Navigli», che racconta la disordinata quotidianità che incornicia l'incontro con una fantomatica poetessa ed è dedicata ad Alda Merini.

Cristicchi mischia ironia e sentimento, focalizzando la sua attenzione su chi sta ai margini della società. Ci sono anche episodi divertenti e ironici, come «L’Italia di Piero» e «Non ti preoccupare Giulio». Lo spunto retrò de «Il nostro tango». La rivisitazione in chiave multietnica de «L’Italiano» di Toto Cotugno (splendido il refrain così corretto: «Sono un italiano, un italiano nero...»). E ancora il seguito naturale di «Studentessa universitaria», che ora è diventata «Laureata precaria».

Il cd viene proposto anche in versione «cd più dvd», con il documentario nel quale Cristicchi racconta il suo viaggio nei Centri d’igiene mentali e nelle ex strutture manicomiali italiane, dimostrando che la distanza tra normalità e follia spesso spesso è solo un mero concetto teorico.

Un'ispirazione e una testimonianza per il cantautore al termine di un viaggio artistico e umano negli ex manicomi italiani che lo ha segnato tanto da dedicare a questa esperienza vissuta con intensità e poesia la canzone di Sanremo, l’album e un libro.

«Centro di Igiene Mentale - Un cantastorie fra i matti» è infatti anche il titolo del libro che Cristicchi ha pubblicato per Mondadori: un esordio narrativo basato su testimonianze dirette, su poesie e lettere mai spedite (perchè spesso censurate), su documenti preziosi, alcuni dei quali risalenti ai primi del 1900, che ancora oggi mantengono una straordinaria umanità e attualità.

Roma, Firenze, Siena, Pistoia, Volterra, Genova sono alcune delle tappe seguite da Cristicchi che ha portato il suo talento e la sua arte fra i diversi, tra quelli che lui chiama «i matti», senza farsi prendere dal politicamente corretto.

«Da questo viaggio - dice Cristicchi - vorrei imparare il coraggio. Il coraggio di esporsi nel meraviglioso museo che è la vita per diventare un'unica e irripetibile opera d'arte. L'opera d'arte che è in ognuno di noi...».

 

Una volta Bryan Ferry ha detto: «Amo tutte le canzoni che Bob Dylan ha scritto». E già in «Frantic», uscito nel 2002, il musicista cantava due canzoni di Dylan, «It’s all over now baby blue» e «Don’t think twice it’s allright». E precedentemente aveva riletto in maniera eccellente anche la classicissima «Hard rain».

Non c’è da meravigliarsi, dunque, se il suo nuovo lavoro s’intitola «Dylanesque» e comprende undici (ottime) riletture di classici tratti dal vasto repertorio di Bob Dylan: «Just like tom thumb's blues», «Simple twist of fate», «Make you feel my love», «Times they are a-changin'», «All I really want to do», «Knockin' on heaven's door», «Positively 4th street», «If not for you», «Baby let me follow you down», «Gates of eden» e «All along the watchtower».

Le cover sono sempre state una grande passione dell’ex Roxy Music (fra l’altro: il musicista inglese e gli altri membri fondatori del gruppo, Phil Manzanera e Andy Mackay, stanno per tornare con un nuovo album firmato proprio Roxy Music...), ma è la prima volta che dedica un intero album al repertorio di un solo artista.

«Ho sempre pensato che sarebbe stato bello fare un interno album di cover di Dylan - dice il musicista - nel suo lavoro c'è moltissima gioia, una sorta di humour contagioso. E tutto questo è vita, vita vera. Ho sempre apprezzato molto questo atteggiamento: ci sono band che hanno soltanto un tipo di canzone, un unico atteggiamento, e questo è noioso. Un unico ritmo... Invece Bob Dylan rappresenta tutto per tutti, un po' come Picasso. Picasso ha dipinto quadri molto scuri e cupi, ma ne ha fatti anche molti altri nei quali c'è un'esplosione di vita, e poi ha fatto ceramica, cose divertenti di tutti i tipi...».

Alla registrazione dell’album, durata una sola settimana a fine 2006, a Londra, ha partecipato anche Brian Eno, già con Ferry nei Roxy Music.




AIR

Ritorna il duo francese con questo album prodotto da Nigel Godrich (uno che ha lavorato con gente come Radiohead e Beck...). Al quarto disco in carriera, Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel continuano a creare sinfonie pop che non lasciano indifferenti. Soprattutto ora che la loro ricerca sonora li ha portati a usare anche strumenti tipici della cultura giapponese e cinese, come il Koto e lo Shamisen. Collaborano Neil Hannon (Divine Comedy) e Jarvis Cocker (Pulp), con cui gli Air avevano già collaborato nella produzione dell’ultimo disco di Charlotte Gainsbourg. Fra i brani, «Space maker», «Napalm love», «Photograph», «Night sight»...



TRACEY THORN

Lei è stata per tanti anni la metà degli Everything But The Girl (il socio era Ben Watt, suo compagno anche di vita), duo che ha scritto alcune belle pagine del pop inglese degli anni Ottanta. Da sola mantiene ovviamente la sua splendida voce, malinconica e a tratti struggente, capace di incantare e di ammaliare, e ci aggiunge doti notevoli di autrice e strumentista. I dieci brani originali e la cover («Get around to it», di Arthur Russell, uno degli episodi migliori del disco) ricreano le atmosfere soft ed «electro» nelle quali gli Everything erano maestri, nel disco che è co-prodotto da Ewan Pearson.




di Carlo Muscatello

TRIESTE Le luci si abbassano, il boato sale. Sono le 21.18 di ieri sera, quando appare il divo Claudio. PalaTrieste meno affollato di tre anni fa, ma ci sono pur sempre quattromila persone. Pochi giovanissimi, tante ragazze ed ex ragazze di ogni età. Tutte per lui, per Claudio Baglioni, per sentire e cantare ancora una volta in coro le canzoni della propria vita, della propria adolescenza.

E lui si presenta con un faretto in mano con cui illumina i vari strumenti disseminati sul grande palco quadrato e centrale, che via via, come per incanto, appena illuminati suonano. «Buonasera, benvenuti in questo magazzino di tante tournèee...», dice il nostro, che viene subito raggiunto dai cinque musicisti del gruppo. Si siedono attorno a lui, che imbraccia la chitarra acustica e attacca con «Tutti qui». La festa può cominciare. Anzi, è già cominciata.

Il cantautore romano presenta e ringrazia subito i suoi musicisti e lo staff che lavora ai lati del palco. Già, il palco. L’architetto Baglioni da tempo progetta e disegna i palcoscenici sui quali porta in giro i suoi spettacoli. E va detto che ha imparato a usare alla perfezione anche quegli spazi inadatti alla musica che sono i palasport. Anche in questo tour, come in quello precedente, si è inventato un enorme «ring musicale» che occupa praticamente tutto il parquet, e ha dunque quattro lati, con altrettante passerelle e con il pubblico tutto attorno.

Sul palco, una trentina di monitor (che nell’attesa dell’inizio diffondono il video con le cover di «Gli altri, tutti qui») e varie postazioni musicali nelle quali i cinque musicisti e i quattro coristi della band via via si sistemano. Lui, atletico e nerovestito, spazia ovviamente da un punto all’altro del ring, spesso avvicinato e inseguito dalle ragazze e dalle ex ragazze delle prime file che vogliono toccarlo, stringergli la mano.

Va detto che la scaletta è costruita con lo stesso rigore geometrico del palcoscenico. Dopo l’iniziale «Tutti qui», Claudio cala subito il jolly «Strada facendo» (e vai col coro...). Il tempo di alzare il ritmo con «Noi no» ed eccolo di nuovo alla chitarra acustica per «Avrai», impreziosita e resa ancor più sognante dall’arrangiamento con gli archi.

Ma il corpo dello spettacolo è costituito da cinque medley, nel tentativo quasi teatrale di raccontarsi attraverso cinque quadri, cinque momenti di vita e di spettacolo. Ecco allora il medley yè-yè (con una «Porta portese» quasi folk con banjo e violino, una «W l’Inghilterra» simil-western, e poi «A modo mio», «Signora Lia», «Notti», «Serenata in Sol»), il medley atmosfera («Con tutto l’amore che posso», «Io dal mare», «Le ragazze dell’Est», «Domani mai», «Quei due», «Acqua dalla luna»), il medley folk («Ragazza di campagna», «I vecchi», «Un po’ di più», «Fotografie», «Vivi», «Le vie dei colori»), il medley rock («Dagli il via», «Un nuovo giorno o un giorno nuovo», «Io me ne andrei», «Quanto ti voglio», «Bolero», «Grand’uomo») e il medley songs, quello più festeggiato con «Questo piccolo grande amore», «Amore bello», «E tu», «Sabato pomeriggio», «Solo», «E tu come stai»...

Fra un medley e l’altro c’è comunque lo spazio per altri classici come «Mai più come te» e «Amori in corso», «Poster» e «Quante volte» (più malinconica e crepuscolare che mai), «Sono io» e «Buona fortuna». E ancora «Cuore d’aliante», «Adesso la pubblicità», «Notte di note», «Tienimi con te», «Via», mentre il gran finale - dopo aver pescato a sorpresa dall’ultimo cd la cover di «Cinque minuti e poi», che fu di Maurizio Arcieri - gioca su cavalli di battaglia come «Io sono qui», «Mille giorni di te e di me», «La vita è adesso»...

Dinanzi a tutto questo ben di dio musicale, il popolo di Baglioni è in adorazione. Anche perchè il cantautore romano è uno di quegli artisti che il pubblico va a vedere e rivedere per il gusto di ritrovarsi, di ritrovare la colonna sonora della propria vita, spesso della propria adolescenza. Canzoni da riascoltare ma soprattutto da cantare in coro, in una sorta di rito laico di immedesimazione. Officiante: colui che è da quasi quarant’anni il massimo cantore del romanticismo pop italiano (il primo disco uscì infatti nel ’70, ma il suo debutto al Festival degli Sconosciuti di Ariccia, appena sedicenne, è proprio del ’67...).

Al PalaTrieste, quasi tre ore di musica e autentico trionfo di pubblico. Resta solo da riferire che l’elicottero che ha portato Baglioni ieri pomeriggio a Trieste non è potuto atterrare come previsto allo Stadio Rocco. A causa del vento ha toccato terra in condizioni di maggior sicurezza all’aeroporto di Ronchi.

sabato 10 marzo 2007

TRIESTE Claudio Baglioni arriverà oggi pomeriggio in elicottero a Trieste, dove è atteso per il concerto che si terrà al PalaTrieste con inizio alle 21 (biglietti ancora disponibili alle casse). Il cantautore romano è stato protagonista l’altra sera di un concerto al Forum di Pordenone, tutto esaurito per l’occasione. Ieri sera era invece impegnato come ospite di una convention a Bormio, in provincia di Sondrio. L’elicottero che lo porterà a Trieste è atteso attorno alle 16 e atterrerà allo Stadio Rocco, dunque proprio a due passi dal PalaTrieste. Inizialmente questo tour partito a fine ottobre doveva concludersi a dicembre, dopo quaranta concerti e oltre trecentomila spettatori, ma l’enorme successo riscosso ancora una volta dal cantautore romano ha portato gli organizzatori a predisporre questa ripresa primaverile.

Nello spettacolo Baglioni propone innanzitutto le canzoni delle raccolte «Tutti qui» e «Gli altri, tutti qui», due cd tripli dedicati alle cover di canzoni soprattutto degli anni Sessanta e Settanta, che si sono aggiudicati ben sei dischi di platino. Ma ovviamente non mancano i classici di una carriera ormai lunghissima.

Il megapalco centrale, in stile «ring musicale», è strutturato con svariate postazioni musicali e con sottolineature di immagini trasmesse da trenta televisori sistemati su tutto il palco. E anche stavolta il palco è stato disegnato dallo stesso Baglioni, che mette così... a frutto la laurea in architettura che ha conseguito un paio d’anni fa, riprendendo gli studi che aveva abbandonato per seguire la carriera musicale. «Per il palco - ha detto il cantante nell’intervista al nostro giornale - questa volta mi sono ispirato a un magazzino che ho a Roma. L’ho ridisegnato a memoria pensando a quello reale, ma in entrambi sono contenuti tanti strumenti, alcune scene, e piccoli pezzi di altri spettacoli, delle tante altre tournée che ho fatto negli anni. Io e gli altri musicisti, pian piano, li facciamo rivivere ritrovando a volte i suoni originali dell’epoca dalla quale arrivano. Nella scaletta ho trovato posto per brani lasciati in disparte da un po’. E ho studiato nuovi attangiamenti per altri. La storia che racconterò sarà accompagnata anche da suggestioni...».

E in tre ore di musica Baglioni propone un repertorio con il meglio della sua carriera artistica, riscoprendo canzoni che erano rimaste assenti per molto tempo dai suoi concerti. Un ruolo particolare nel corso della serata ce l’hanno cinque medley, legati ad altrettanti elementi. Sono il medley yè-yè («Porta portese», «A modo mio», «Signora Lia», «W L’Inghilterra», «Notti», «Serenata in Sol»), il medley atmo («Con tutto l’amore che posso», «Io dal mare», «Le ragazze dell’Est», «Domani mai», «Quei due», «Acqua dalla luna»), il medley folk («Ragazza di campagna», «I vecchi», «Un po’ di più», «Fotografie», «Vivi», «Le vie dei colori»), il medley rock («Dagli il via», «Un nuovo giorno o un giorno nuovo», «Io me ne andrei», «Quanto ti voglio», «Bolero», «Grand’uomo») e il medley songs («Questo piccolo grande amore», «Amore bello», «E tu», «Sabato pomeriggio», «Solo», «E tu come stai»), che rappresentano i vari momenti della carriera dell’artista.

Sul palcoscenico Baglioni sarà accompagnato da Paolo Gianolio (conduzione musicale, chitarre, violoncello, sax baritono, cori), John Giblin (basso, contrabbasso, chitarra), Stefano Pisetta (batteria, virtual drum, percussioni, chitarra), Roberto Pagani (pianoforte, tastiere, vibrafono, clarino, sax contralto, fisarmonica, banjo, viola, chitarra, cori) e Pio Spiriti (violino, tastiere, fisarmonica, melodica, chitarra, cori).

Dopo la tappa triestina il tour prosegue martedì a Trento, e poi a Mantova, Padova (sabato 17, al palasport San Lazzaro), Modena, Rimini, Forlì... Ad aprile terza parte del tour, con tappe a Firenze, Bologna, Torino, Genova, Milano (21 aprile, al DatchForum) e Roma (24 Aprile, al PalaLottomatica).

Altre informazioni sulla tournée di Baglioni sono disponibili sul sito ufficiale dell’artista www.patapan.it oppure su www.friendsandpartners.net.

domenica 4 marzo 2007

di Carlo Muscatello

Simone Cristicchi ha vinto il 57.o Festival di Sanremo con la canzone «Ti regalerò una rosa». Secondo Al Bano con «Nel perdono». Terzo Piero Mazzocchetti con «Schiavo d’amore». Seguono Daniele Silvestri con «La paranza», e poi nell’ordine Mango, Paolo Meneguzzi, Tosca, Francesco e Robi Facchinetti, Zero Assoluto e Antonella Ruggiero. La serata finale è cominciata con Mike Bongiorno e Pippo Baudo, 150 anni e 23 festival in due, a cantare assieme «Siamo la coppia più bella del mondo...». Ed è proseguita, con tutti i cantanti in gara e gli ospiti, fino all’una e mezzo.

Ma diamo stavolta per scontato tutto il male che si può dire, scrivere e leggere del Festival di Sanremo. Ricordando soltanto che non possiamo continuare a sopportare, nel 2007, maratone televisive di cinque o sei ore in cui l’unica parola d’ordine è allungare il brodo. Per una volta fermiamoci alle canzoni, che dovrebbero essere l’anima del festival. E diciamo allora che, pesando soltanto i brani e i loro interpreti, è stato un grande Festival di Sanremo. Sicuramente il migliore da moltissimi anni a questa parte.

Prendiamo i cosiddetti Campioni. Non era mai successo, a memoria di cronista, che più della metà delle canzoni in gara fosse di un livello qualitativamente più che sufficiente. In certi casi addirittura buono o ottimo. Dopo aver toccato il fondo lo scorso anno, quando la vittoria di Povia non è bastata a salvare uno dei peggiori festival dell’era moderna, stavolta la presenza di Pippo Baudo come direttore artistico ha riportato sul palcoscenico dell’Ariston la qualità.

Su tutti Simone Cristicchi, il trentenne romano noto in passato per il tormentone «Vorrei cantare come Biagio». Per il suo secondo Sanremo (lo scorso anno era stato confinato fra i Giovani) se n’è venuto fuori con questo piccolo capolavoro di arte, sensibilità, umanità. «Ti regalerò una rosa» - anche Premio della critica - parla di malattia mentale («i matti sono punti di domanda senza frase...»), di disagio, di marginalità. Lo fa con prodigiosa leggerezza, con partecipe rispetto, con amore. Una canzone che riconcilia con il mondo, con la vita. Il fatto che abbia vinto aggiunge valore alla rassegna.

Livelli alti anche con Daniele Silvestri e «La paranza». Un calipso anarchico pieno di ironia e nonsense, fra fritto misto e latitanza. Ritmicamente irresistibile nella sera del duetto con i tamburi poveri di Capone e Bungt Bangt.

Ma il podio della qualità deve per forza di cose far spazio anche a Fabio Concato e al suo disoccupato cinquantenne messo ai margini da questo mondo che va di fretta, al garibaldino Paolo Rossi che ha fatto rivivere il genio e la sregolatezza di un altro grande ousider del passato come Rino Gaetano, al gioiellino felliniano circense di Tosca, al mondo degli artisti falliti disegnato da Giorgio Faletti per la grande e inarrivabile Milva, alla follia quasi avanguardista di Nada...

Una lista, quella dei promossi, che è ancora lungi dall’esser conclusa. Sì, perchè se parliamo di canzoni e interpretazioni degne almeno di una buona sufficienza (roba che a Sanremo, negli ultimi decenni, andava ricercata col lanternino...), non possiamo dimenticare la magica voce contro tutte le guerre di Antonella Ruggiero, la classe swing da vecchio crooner di Johnny Dorelli, la straniata raffinatezza jazzy di Amalia Grè, la dignitosa canzone pop degli Stadio, la sana melodia rock dei Velvet, persino il romanticismo giovanilista degli Zero Assoluto... Anche se il voto finale ha premiato, dietro Cristicchi, le proposte a nostro avviso meno valide di Al Bano e di Piero Mazzocchetti.

Comunque, con quel che passava il convento negli anni passati, qui c’era materiale per farne tre, di festival, non uno. Aggiungiamo il fatto che molte di queste canzoni hanno portato al festival quello che si chiama «il Paese reale». Tematiche come il disagio psichico e sociale, la disoccupazione e il precariato, la guerra e la lotta alla mafia (grazie alla splendida vittoria di Fabrizio Moro fra i Giovani con «Pensa», coraggiosa orazione antimafia) sono entrate forse per la prima volta ma sicuramente per la prima volta tutte assieme nel mondo finto, nell’universo parallelo, nella realtà assai virtuale del Festival di Sanremo. E il risultato finale è che la 57.a edizione della rassegna che è sempre stata nel bene e nel male uno specchio del Paese, annusandone gli umori e anticipandone i cambi di stagione, verrà ricordata come una delle migliori. Al netto ovviamente di Michelle Hunziker, della lentezza, dei tempi lunghi, dei comici fuori posto e di tutto quello che con le canzoni e la musica non c’entra nulla...

La formula di quest’anno è una base su cui si può lavorare. A patto venga emendata da tutto quello che odora solo di brutto show televisivo. Sanremo vive una contraddizione: da un lato è l’ultimo avanposto di un mondo, di una televisione, che non esistono più; dall’altro, complice la passione sincera di Baudo (che avrà tutti i suoi caricaturali difetti, ma è un professionista che vive nella musica da sempre), vuole rimettere al centro dell’attenzione le canzoni. Che in televisione da anni sono trattate malissimo, nell’errata convinzione che non facciano ascolti.

Ripartiamo dal fatto che non è vero. Che i risultati di quest’anno - ammesso e non concesso che si voglia continuare a riservare centralità al dio Auditel - dimostrano una piccola grande inversione di tendenza: scende l’idiozia del Grande Fratello, sale l’arte povera e nobile delle canzoni, quando sono buone canzoni.

Salviamo allora l’idea dei duetti, che anche quest’anno hanno dato la riprova del fatto che se ai cantanti viene chiesto e permesso di fare il loro mestiere, che quando alla musica viene restituito un minimo di centralità, i risultati e le emozioni arrivano. Salviamo anche la possibilità (fino a pochi anni fa negata dal regolamento) di far partecipare al festival alcuni superospiti italiani. Si è dimostrato che non toglie nulla, ma aggiunge molto. Come si è visto nella serata con Battiato, Elisa, Gianna Nannini, Tiziano Ferro...

Insomma, rimandate a casa l’ilare svizzerotta col suo milione di euro, tenete Baudo solo come direttore artistico, tirate fuori dal cilindro due ragazzi svegli e da lì ricominciate. Che forse il peggio, per Sanremo, è passato.