giovedì 15 marzo 2007

Quando sillabava «Vorrei cantare come Biagio» arrivava in scena con una ventiquattrore. E pochi pensavano che l’autore ironico di quel tormentone agiografico di Antonacci nascondesse un’anima così sensibile, attenta alla sofferenza, alla diversità. Per vincere Sanremo Simone Cristicchi si è presentato sul palco con una bella canzone e una sedia. «L’ho trovata - spiega - a Vignola, vicino Modena, a una Festa dell’Unità. È vecchia. Ma io stavo cercando un oggetto per il mio spettacolo e mi è sembrata perfetta. E così l’ho portata nel mio viaggio per i Centri d’igiene mentale e i manicomi da cui è nato un documentario. A poco a poco per me è diventata un simbolo: l’oggetto del mio fermarmi ad ascoltare. Ad ascoltare tutte le storie sconvolgenti che mi raccontavano...»
«Dall'altra parte del cancello» (SonyBmg) è il secondo album di Simone Cristicchi, trent’anni, romano. Oltre a «Ti regalerò una rosa» («I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base...»), con la quale ha vinto il Festival, comprende altri dieci canzoni, tra cui «Legato a te» (dedicato a Piergiorgio Welby, immaginario dialogo tra l’uomo e la macchina che lo tiene in vita), «Lettera da Volterra» (lettura di una lettera autentica, datata 21 marzo 1901, tratta dagli archivi del manicomio San Girolamo di Volterra e accompagnata dalle note del pianoforte di Giovanni Allevi) e «Nostra Signora dei Navigli», che racconta la disordinata quotidianità che incornicia l'incontro con una fantomatica poetessa ed è dedicata ad Alda Merini.

Cristicchi mischia ironia e sentimento, focalizzando la sua attenzione su chi sta ai margini della società. Ci sono anche episodi divertenti e ironici, come «L’Italia di Piero» e «Non ti preoccupare Giulio». Lo spunto retrò de «Il nostro tango». La rivisitazione in chiave multietnica de «L’Italiano» di Toto Cotugno (splendido il refrain così corretto: «Sono un italiano, un italiano nero...»). E ancora il seguito naturale di «Studentessa universitaria», che ora è diventata «Laureata precaria».

Il cd viene proposto anche in versione «cd più dvd», con il documentario nel quale Cristicchi racconta il suo viaggio nei Centri d’igiene mentali e nelle ex strutture manicomiali italiane, dimostrando che la distanza tra normalità e follia spesso spesso è solo un mero concetto teorico.

Un'ispirazione e una testimonianza per il cantautore al termine di un viaggio artistico e umano negli ex manicomi italiani che lo ha segnato tanto da dedicare a questa esperienza vissuta con intensità e poesia la canzone di Sanremo, l’album e un libro.

«Centro di Igiene Mentale - Un cantastorie fra i matti» è infatti anche il titolo del libro che Cristicchi ha pubblicato per Mondadori: un esordio narrativo basato su testimonianze dirette, su poesie e lettere mai spedite (perchè spesso censurate), su documenti preziosi, alcuni dei quali risalenti ai primi del 1900, che ancora oggi mantengono una straordinaria umanità e attualità.

Roma, Firenze, Siena, Pistoia, Volterra, Genova sono alcune delle tappe seguite da Cristicchi che ha portato il suo talento e la sua arte fra i diversi, tra quelli che lui chiama «i matti», senza farsi prendere dal politicamente corretto.

«Da questo viaggio - dice Cristicchi - vorrei imparare il coraggio. Il coraggio di esporsi nel meraviglioso museo che è la vita per diventare un'unica e irripetibile opera d'arte. L'opera d'arte che è in ognuno di noi...».

 

Una volta Bryan Ferry ha detto: «Amo tutte le canzoni che Bob Dylan ha scritto». E già in «Frantic», uscito nel 2002, il musicista cantava due canzoni di Dylan, «It’s all over now baby blue» e «Don’t think twice it’s allright». E precedentemente aveva riletto in maniera eccellente anche la classicissima «Hard rain».

Non c’è da meravigliarsi, dunque, se il suo nuovo lavoro s’intitola «Dylanesque» e comprende undici (ottime) riletture di classici tratti dal vasto repertorio di Bob Dylan: «Just like tom thumb's blues», «Simple twist of fate», «Make you feel my love», «Times they are a-changin'», «All I really want to do», «Knockin' on heaven's door», «Positively 4th street», «If not for you», «Baby let me follow you down», «Gates of eden» e «All along the watchtower».

Le cover sono sempre state una grande passione dell’ex Roxy Music (fra l’altro: il musicista inglese e gli altri membri fondatori del gruppo, Phil Manzanera e Andy Mackay, stanno per tornare con un nuovo album firmato proprio Roxy Music...), ma è la prima volta che dedica un intero album al repertorio di un solo artista.

«Ho sempre pensato che sarebbe stato bello fare un interno album di cover di Dylan - dice il musicista - nel suo lavoro c'è moltissima gioia, una sorta di humour contagioso. E tutto questo è vita, vita vera. Ho sempre apprezzato molto questo atteggiamento: ci sono band che hanno soltanto un tipo di canzone, un unico atteggiamento, e questo è noioso. Un unico ritmo... Invece Bob Dylan rappresenta tutto per tutti, un po' come Picasso. Picasso ha dipinto quadri molto scuri e cupi, ma ne ha fatti anche molti altri nei quali c'è un'esplosione di vita, e poi ha fatto ceramica, cose divertenti di tutti i tipi...».

Alla registrazione dell’album, durata una sola settimana a fine 2006, a Londra, ha partecipato anche Brian Eno, già con Ferry nei Roxy Music.




AIR

Ritorna il duo francese con questo album prodotto da Nigel Godrich (uno che ha lavorato con gente come Radiohead e Beck...). Al quarto disco in carriera, Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel continuano a creare sinfonie pop che non lasciano indifferenti. Soprattutto ora che la loro ricerca sonora li ha portati a usare anche strumenti tipici della cultura giapponese e cinese, come il Koto e lo Shamisen. Collaborano Neil Hannon (Divine Comedy) e Jarvis Cocker (Pulp), con cui gli Air avevano già collaborato nella produzione dell’ultimo disco di Charlotte Gainsbourg. Fra i brani, «Space maker», «Napalm love», «Photograph», «Night sight»...



TRACEY THORN

Lei è stata per tanti anni la metà degli Everything But The Girl (il socio era Ben Watt, suo compagno anche di vita), duo che ha scritto alcune belle pagine del pop inglese degli anni Ottanta. Da sola mantiene ovviamente la sua splendida voce, malinconica e a tratti struggente, capace di incantare e di ammaliare, e ci aggiunge doti notevoli di autrice e strumentista. I dieci brani originali e la cover («Get around to it», di Arthur Russell, uno degli episodi migliori del disco) ricreano le atmosfere soft ed «electro» nelle quali gli Everything erano maestri, nel disco che è co-prodotto da Ewan Pearson.




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