age di «Lotus»? Bene, ora dimenticatevela. Se avevate ancora negli occhi e
nelle orecchie le atmosfere sognanti, le foto dei fiori e della natura del
precedente tour (passato al Rossetti nel dicembre 2003), il concerto con cui
la ventisettenne popstar - sì, popstar: ormai a tutti gli effetti... -
monfalconese ha chiuso ieri sera al PalaTrieste il suo «Pearl days tour» ha
rischiato di farvi venire un coccolone. Uno show rock, tirato, tiratissimo,
con poche e brevi parentesi soft, giusto il tempo di tirare il fiato e
ripartire.
Cade il sipario argentato, Elisa è già schierata al centro del palco. Si
parte con «Together», brano che apre anche il nuovo album: brillante di
sciabolate rock e lampi bianchi (figli di un «light show» sofisticato,
firmato dal mago del settore Billy Bigliardi). La ragazza parte subito in
quarta, preme sull’acceleratore, è scatenata. Ancora dal nuovo album c’è
«Bitter words» e poi, pescando in un passato recente ma già importante,
torna utile anche «Labyrinth». Per non rischiare l’infarto così, fin da
subito, arrivano - di nuovo dall’ultimo disco - le atmosfere più rilassate
di «Pearl days», di «In the green», di «Life goes on». Quest’ultima in
un’esecuzione vocale assolutamente magistrale, che la dice lunga sullo stato
di forma della cantante.
È passata poco più di mezz’ora ma è già tempo di «Luce (Tramonti a Nord
Est)», con cui Elisa vinse Sanremo nel 2001. Sentirla cantare da queste
parti, vicino casa sua, fa sempre un effetto particolare, e infatti il
pubblico non si fa pregare a cantarla in coro. Ma avevamo detto che il
concerto è tiratissimo. E infatti si riparte con «I know», altra canzone dal
nuovo cd: nera, vibrante, quasi soul. D’un tratto pensi a quanto è cresciuta
la ragazza in pochi anni. Ha presenza scenica, personalità, ormai persino
carisma. E lo spettacolo fila che è un piacere. Grazie anche alla signora
band che Elisa si porta appresso.
Una band più robusta e completa rispetto a quelle che ricordavamo, nella
quale brilla il lavoro alla chitarra di Davide Tagliapietra (figlio di Aldo
Tagliapietra delle Orme) e al basso di Max Gelsi, oltre ovviamente a quello
degli altri quattro musicisti (Andrea Rigonat alla chitarra, Andrea Fontana
alla batteria, Christian Rigano e Giorgio Pacorig tastiere e pianoforte) e
delle tre coriste (Barbara Evans, Julia St. Louis e Bridget Anne Mohammed).
Alcuni di questi ragazzi sono con Elisa dagli inizi, sono anche loro
originari di queste terre, e l’affiatamento di vede tutto.
Ma non c’è tempo per le chiacchiere. Il treno viaggia e chi si ferma rischia
di restare a piedi. «The waves», «Gift», «Dancing», «Joy»... E poi «Heaven
out of hell» che prepara la giusta atmosfera per la popolarissima «Broken»,
per onorare la quale l’artista si siede e imbraccia la chitarra acustica.
Finale tiratissimo, a nervi scoperti, quasi heavy, soprattutto con «Shadow
zone» e «It is what it is», che chiude la scaletta. Per aprire i bis, Elisa
lascia la divisa da ragazzaccio e riappare biancovestita, in mezzo a una
sorta di gabbia di stoffa bianca, per cantare alla sua maniera «Almeno tu
nell’universo», già di Mia Martini, l’altra canzone in italiano del concerto
e del suo repertorio.
Al PalaTrieste duemila spettatori entusiasti per la consacrazione dell’unica
popstar targata Friuli Venezia Giulia. Chissà, forse quel «Mitteleurock»
intuito e coltivato oltre venticinque anni fa dal triestino Gino D’Eliso è
finalmente sbocciato proprio grazie a Elisa. Nasce in quel terreno fertile
che sta fra Isonzo e Timavo. Forse per questo dà buoni frutti.