mercoledì 16 giugno 2004

Il gran giorno, per il popolo di Vasco Rossi, è finalmente arrivato. Apertura dei cancelli dello Stadio Friuli di Udine alle 15.30, inizio del concerto alle 21.30. Giusto il tempo di un antipasto, rappresentato dal giovane Simone (visto all’ultimo Sanremo), che presenterà cinque canzoni del suo primo album «Giorni», e poi la grande festa potrà cominciare.

Come nelle tappe precedenti di questo ennesimo tour «tutto esaurito», partito dallo Stadio Olimpico di Roma sabato 5 giugno, il Vasco nazionale dovrebbe dar fuoco alle polveri con «Cosa vuoi da me», dal nuovo album «Buoni o cattivi». Poi, dopo un veloce uno-due con «Fegato, fegato spappolato» e «Cosa succede in città», ancora spazio alle nuove canzoni con «Non basta niente» e «Anymore». Altra piccola perla del passato, «Portatemi Dio», e sotto ancora con l’ultimo disco: «Come stai», «Hai mai», «E...».

A questo punto i quarantamila dello Stadio Friuli (biglietti tutti esauriti in prevendita con un mese di anticipo...) dovrebbero essere già carburati al punto giusto. Tempo allora per tirare il fiato ricordando «Sally», emozionandosi con «Stupendo», eccitandosi con «Stendimi». Prima della title-track del nuovo cd: «Buoni o cattivi», per l’appunto.

Gli altri due nuovi brani del Vasco - «Senorita» e «Un senso», che chiude le danze prima dei bis - dovrebbero venir inframmezzati da qui fino alla fine del concerto con classici tipo «Domenica lunatica», «Rewind», «Stupido hotel», «C’è chi dice no», «Gli spari sopra», «Siamo soli»...

Ma si diceva dei bis, che nei concerti del rocker di Zocca formano quasi storia a sé. La prima razione dovrebbe comprendere «Bollicine» e «Vivere». La seconda un medley con «Brava», «Cosa c’è», «Brava Giulia» e «Dormi Dormi», e ancora le classicissime «Siamo solo noi» («...che andiamo a letto la mattina presto e ci svegliamo con il mal di testa...») e «Vita spericolata». Per un concerto di Vasco Rossi degno di questo nome manca ancora qualcosa: e infatti è prevista ancora un’altra dose di bis, con «Canzone» e soprattutto con «Albachiara» («...respiri piano per non far rumore...»), di solito cantata in coro più dal pubblico che da quell’uomo sul palco.

Questo, con beneficio d’inventario, dovrebbe essere il concerto di Vasco Rossi stasera allo Stadio Friuli di Udine. Con lui - su un palco largo 60 metri, alto 20 e profondo 19, disegnato come una struttura metallica che somiglia a una sorta di gigantesca ragnatela metropolitana - una band formata da Mike Baird (batteria), Claudio Golinelli (basso), Stef Burns (chitarra), Muarizio Solieri (chitarra), Riccardo Mori (chitarra acustica), Alberto Rocchetti (pianoforte e tastiere), Frank Nemola (tastiere, tromba e cori), Andrea Innesto (sax e cori), Clara Moroni (cori).

Per chi non sarà stasera a Udine, ricordiamo che il tour «Buoni o cattivi» fa tappa anche giovedì 24 giugno allo Stadio Bentegodi di Verona (biglietti da tempo esauriti anche lì) ma soprattutto sabato 11 settembre allo Stadio Rocco a Trieste. Biglietti un po’ cari, ma il popolo di Vasco sembra disposto a far sacrifici pur di esserci. Anche perchè lo show è una cavalcata di quasi tre ore.

martedì 15 giugno 2004

cofferati stravince a bologna, bassolino regna su napoli, veltroni domina roma, d'alema è il più votato.



uno di loro sfiderà berlusconi tra due anni.



scusa, e prodi?



prodi chi?



(jena - il manifesto)

sabato 12 giugno 2004

Non di solo Vasco Rossi vivrà l’estate musicale triestina. L’attesissimo appuntamento con il massimo rocker di casa nostra, già fissato (dopo la prima regionale di giovedì 17 giugno allo Stadio Friuli di Udine) per l’11 settembre allo Stadio Rocco, sembra proporsi fin da ora come il botto finale di una stagione - a differenza degli anni passati - abbastanza ricca, che verrà presentata ufficialmente nei prossimi giorni.

Il cartellone è ormai quasi pronto. Sono possibili degli aggiustamenti, qualche piccola modifica, ma nella sua gran parte è fatto. E prevede il primo appuntamento importante domenica 11 luglio, in piazza Unità, nell’ambito di Folkest, con il concerto degli indiani della Jaipur Kawa Brass Band. Nelle venticinque edizioni precedenti, l’importante rassegna aveva solo sfiorato qualche volta il capoluogo regionale: è la prima volta che si insedia nel salotto buono cittadino, dunque è un debutto che va salutato positivamente.

Tre grossi nomi, con scadenza settimanale, completano il mese di luglio. Venerdì 16, in piazza Unità, arrivano le Orme: venerdì 23, sempre nella maggior piazza cittadina, Edoardo Bennato; venerdì 30, al Teatro Romano, la grande Joan Baez, che proprio a Trieste conclude la sua breve tournèe italiana (22 Saint Vincent, 23 Genova, 25 Andria, 28 Roma).

Tre appuntamenti importanti anche nel mese di agosto, dedicati al pop-rock progressive degli anni Settanta. Venerdì 20 la Pfm, sabato 21 il gruppo di Carl Palmer impegnato in un tributo alle musiche di Emerson Lake & Palmer, domenica 22 i Creedence Clearwater Revived (gruppo nato sulle ceneri e nel ricordo dei leggendari Creedence Clearwater Revival). Inizialmente i tre concerti dovevano svolgersi al Teatro Romano: sono stati invece dirottati in piazza Unità.

Sempre a fine agosto torna a Trieste, in piazza Unità, la carovana del «Tim Tour», che promette - proprio come due anni fa - nomi di prima grandezza.

Ma non ci saranno solo i grandi eventi. Per esempio, già a cavallo del prossimo week end, in piazza Ponterosso, nell’ambito della rassegna «Gesti e Sapori», la Casa della Musica propone una manciata di appuntamenti di rilievo. Giovedì 17 tornano i macedoni dell’Orkestar Agushevi, venerdì 18 la band di Ellade Bandini, sabato 19 i tedeschi Papa Skaliente, domenica 20 lo spettacolo «Luttazzi Mania» (con la figlia del musicista triestino, Daniela, che rileggerà con il quartetto vocale femminile «Le Zebre a Pois» i successi di Lelio Luttazzi). Finale lunedì 21 giugno con il flamenco proposto dal gruppo spagnolo di Angel Rubio, nel quale milita da anni il batterista triestino Giancarlo Spirito.

Ed è possibile che arrivi anche una piccola rassegna jazz, di cui nomi e date non sono però ancora disponibili. Il seguito alla prossima puntata.

giovedì 3 giugno 2004

Il Friuli è terra di miracoli. Prendete i raduni musicali. Folkest è ormai giunto alla 26.a edizione e viene da tempo annoverato fra le manifestazioni più importanti a livello europeo nel campo della musica popolare. Ma c’è un’altra rassegna, nata quasi in sordina una decina di anni fa nella nostra regione, che ormai è diventata un punto di riferimento obbligato per gli appassionati - italiani e stranieri - della musica reggae.

Stiamo ovviamente parlando del «Rototom Sunsplash», la cui undicesima edizione si terrà dal 2 al 10 luglio nel Parco del Rivellino, a Osoppo, in provincia di Udine. Nove giorni di musica con i maggiori protagonisti, stranieri e italiani, di una musica che è anche filosofia di vita. Un vero e proprio megafestival, per il quale non a caso arrivano spettatori da tutta Europa, uniti anche da ideali all’insegna della fratellanza e della tolleranza.

Eppure sono passati appena dieci anni da quella prima edizione che durò soltanto due giorni: il 2 e 3 luglio del ’94, a Gaio di Spilimbergo, che rimase la sede dei primi anni. Nel ’98 arrivò il trasloco in un camping a Latisana, e il festival era ormai lievitato a cinque serate. Nell’estate del 2000 nuovo trasloco, nel Parco del Rivellino che ancora ospita il festival, e ulteriore allungamento della durata: otto giorni, poi ulteriormente cresciuti fino agli attuali nove.

Anche quest’estate, in quei giorni, un bosco del Friuli si trasformerà come per incanto in un pezzo di Giamaica. E non soltanto per la musica. Che comunque rimane l’elemento accomunante, quest’anno assieme alla necessaria parola d’ordine pacifista: «Contro tutte le guerre, un'oasi di pace».

Ma vediamo il programma di quest’anno, che propone una completa «carrellata degli esponenti dei vari filoni della musica reggae».

Venerdì 2 luglio apertura con Alpha Blondy, Beenie Man (featuring Silver Cat + Kirk Davis), Headcornerstone. Sabato tocca agli italiani Africa Unite, a Yami Bolo & Dub Asante Band, Gentleman & The Far East Band, Alerta.

Domenica il festival prosegue con Julian Marley, Warrior King, Abyssinians, Ras Ites. Lunedì il palco è per Tok, Cec'Ile, Sud Sound System, Chop Chop. Martedì tocca ai Cypress Hill, band di punta del pianeta hip hop. Mercoledì si torna al reggae con Steel Pulse, Luciano (featuring Mickey General e Dan Fraser), Jaka + One Drop Band.

Siamo alle ultime tre serate. Giovedì 8 luglio suonano Culture, Mystic Revelation of Rastafari, Br Stylers. Venerdì Capleton, Sanchez, Thai Stylee. Sabato Junior Kelly, Jah Mason, Andrew Tosh, Lady Saw, Tribo de Jah, Oliver Skardy.

Il festival viene trasmesso in diretta da Popolare Network e da una rete di tv satellitari e siti internet. Informazioni 0434/977314, oppure www.rototomsunsplash.com, sunsplash@rototom.com, shop@rototom.com.

mercoledì 2 giugno 2004

Ogni Paese può essere raccontato attraverso la propria musica. E tutta la musica che ascoltiamo oggi, con poche eccezioni, deriva dalle grandi famiglie della musica americana. Non si può che partire da qui per parlare di «Blues, jazz, rock, pop - Il Novecento americano - La guida a musicisti, gruppi, dischi, generi e tendenze» (Einaudi, pagg. 909, euro 19,80), monumentale opera a quattro mani dei giornalisti e critici di «Repubblica» Ernesto Assante e Gino Castaldo.

Centodiciotto capitoli attraverso i quali si dipana un percorso che parte dal blues delle origini e arriva ai suoni più aggiornati del presente, per raccontare appunto la storia del continente nordamericano. L’America che ha molte facce. L’America tanto amata e a volte anche odiata. Quella delle discriminazioni razziali ancor dure a morire e quella della grande stagione dei diritti civili, quella della nuova frontiera kennediana e quella che cerca di ergersi a gendarme del mondo, quella dei fucili e quella della non violenza, quella di Woodstock e quella del Vietnam, quella di Bob Dylan e quella di George Bush.

Sì, perchè il libro di Assante e Castaldo non è soltanto un manuale, un’opera specialistica alla quale attingere per trovare un nome, un titolo, un’indicazione. È una vera e propria storia, la storia di un grande Paese attraverso i suoni che ne hanno composto la colonna sonora e poi, quasi subito, prima in Occidente e poi «in ogni ’ddove», sono diventati la colonna sonora di tutto il pianeta.

Che poi, quella dell’America non è certo la storia di un Paese qualsiasi. Dalla presenza dei neri che ancora perpetuano suoni dell’Africa a quella dei bianchi delle città tanto diversi da quelli delle sterminate campagne e periferie, dall’arrivo di immigrati europei con le loro tradizioni alla progressiva integrazione di etnie lontanissime. In quello straordinario crogiuolo di popoli, razze, lingue e culture che forma il melting pot americano.

Fra italiani, russi, polacchi, cechi, ungheresi, finlandesi, croati, greci, turchi, ucraini, slovacchi, ebrei, armeni, libanesi, siriani, ma anche cinesi, filippini, giapponesi, messicani... Arrivavano da tutto il mondo - ci ricordano Assante e Castaldo - perchè l’America era la nuova terra promessa, o almeno così veniva percepita dall’esterno: un luogo dal quale poter ricominciare in libertà a costruire una vita, «un luogo dove lavoro e prosperità sembravano essere alla portata di tutti».

Ed è così che il cosiddetto mondo nuovo diventa, di pari passo, l’incredibile laboratorio di suoni che conosciamo. Nel 1910 un terzo della popolazione che viveva nelle dodici più grandi città degli Stati Uniti era nato all’estero e un altro terzo era figlio di immigrati. Ognuno con le proprie tradizioni, anche musicali.

Non a caso George Gershwin, che nel 1924 scrisse la celebre «Rhapsody in blue», confessò di averla costruita proprio «come un caleidoscopio musicale dell’America, con il nostro miscuglio di razze, il nostro favoloso brio nazionale, i nostri blues, la nostra follia metropolitana...».

I blues, appunto. Perchè comunque una storia - anche musicale - dell’America non può che partir da lì. Dal Delta del Mississippi dove forse la musica blues non è nata, ma dove di certo ha definito la sua forma e i suoi principali codici espressivi. Un’epopea che si è dipanata attraverso i nomi di Robert Johnson, di Johnny Lee Hooker, di Muddy Waters, di B.B.King...

W.C. Handy, da qualcuno chiamato «The father of the blues», raccontò di aver incontrato, viaggiando agli inizi del Novecento negli Stati del Sud, alcuni musicisti ambulanti che suonavano una musica per lui nuova. Girovaghi afroamericani, analfabeti, che nelle loro note dolenti esprimevano «il ricordo di una perdita, di un mondo mitico dal quale i neri furono strappati a forza, la sintesi di una storia antica da confrontare con un nuovo scenario».

Il bluesman si materializza così, fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, come artista nomade per eccellenza. I suoi sono i canti che gli schiavi intonavano nei campi di lavoro o nelle loro baracche. Suona una musica che è figlia dell’incontro fra cultura bianca e cultura nera, e che si diffonde inizialmente nelle strade e nelle campagne degli Stati americani del Sud.

Mentre i neri suonavano il blues, all’inizio del secolo la musica dei bianchi americani era quella rurale eseguita soprattutto da suonatori di banjo, da violinisti («fiddlers») e da «string bands» che attraversavano i vari stati, di fiera in fiera, di festa paesana in festa paesana, proponendo un repertorio basato essenzialmente su ballate e canzoni popolari dei loro luoghi d’origine. Molti di loro erano irlandesi, scozzesi, inglesi...

Ma queste, ovviamente, sono solo le origini. Il Novecento americano è poi segnato da eventi, personaggi, suoni che - come si diceva - sono quelli che scrivono l’agenda del secolo e del pianeta. Per restare al fatto musicale basti pensare a Broadway e ai musical, al jazz, al country, alla nascita del rock’n’roll con tutto quel che ne consegue.

La storia della musica americana - e dell’America - è ovviamente anche storia di donne e di uomini che ne hanno scritto le pagine più importanti. Da George Gershwin a Cole Porter, da Jerome Kern a Hoagy Carmichael, da Duke Ellington a Count Basie, da Louis Armstrong a Frank Sinatra, e con lui Bing Crosby, Nati King Cole, Billie Holiday...

Man mano che la musica pop e rock comincia a dettare il ritmo della nostra storia, i nomi dei protagonisti diventano attuali. E sono quelli di artisti scomparsi ma ancor presenti sulla scena come Elvis Presley, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin. Oppure di grandi protagonisti ancora in attività come Bob Dylan, Joan Baez, Bruce Springsteen, Michael Jackson, Prince, Madonna...

Anche attraverso loro e le loro canzoni - che ritroviamo in questo volume - la musica popolare americana (la «pop music») è diventata la musica, il suono del nostro tempo. E non c’è musica etnica o moda più o meno passeggera che possa cambiar ciò.