lunedì 28 dicembre 2015

RENZO ARBORE, libro mostra e stasera in tv

«Mi chiamo, come risulta dai documenti, Lorenzo Giovanni Maria Antonio Domenico Arbore. In arte Renzo. Sono nato l’anno in cui è morto Guglielmo Marconi (1937 - ndr) e non ho fatto in tempo a dispiacermi...». Comincia così, con queste righe autografe, il libro di Renzo Arbore “E se la vita fosse una jam session?”, sottotitolo “Fatti e misfatti di quello della notte” (Rizzoli, pagg. 311, euro 35). Un volume curato da Lorenza Foschini (già volto noto del Tg2) che celebra mezzo secolo di carriera di un grande showman e accompagna la mostra aperta a Roma, al Macro Testaccio, fino al 3 aprile. «Un libro - ha spiegato l’artista, pioniere di nuovi linguaggi e registri - improvvisato come la mia vita, perché all’improvvisazione devo la mia passione per la musica che poi è diventata passione per la parola improvvisata. Ho cercato di non parlare solo di me, ma di quello che ho visto perché possano vederlo gli altri e, vedendolo, possano dire sì, forse era proprio così. E anche di quello che il pubblico vorrebbe sapere di me, dai retroscena ai backstage. Nelle pagine ci sono le mie dieci o quindici passioni, dalla plastica a Napoli, dal jazz alla provincia, da New Orleans allo shopping, da Totò ai pupazzetti o alle luci colorate, in una sorta di rassegna. Non c’è niente che sostenga idee come io sono bravo. Io sono solo stato fortunato perché adesso mi sono accorto di aver vissuto rispettando la sacra regola del carpe diem». Ma non aspettatevi la solita biografia di un uomo di spettacolo. Da grande anticipatore e contaminatore qual è sempre stato, Arbore si diverte a introdurre il lettore in quel caleidoscopio che è stato - ed è ancora - il suo lavoro alla radio, in televisione e sui palcoscenici italiani e di mezzo mondo. «Nel libro racconto le cose che ho visto. La mia vita è diventata abbastanza lunga quindi ci sono diverse cose: ho visto la guerra, il dopoguerra, gli americani, gli anni di piombo e quelli delle mie trasmissioni. E c’è anche la politica». In parallelo, mentre lo sperimentatore radiofonico (assieme a Gianni Boncompagni) di “Alto gradimento” diventa prima l’innovatore del varietà televisivo e poi, molto tempo dopo, il leader dell’Orchestra Italiana, è infatti possibile leggere quasi in filigrana i mutamenti culturali, sociali, politici oltre che ovviamente di costume del nostro Paese. Il tutto partendo dalla Foggia dell’immediato dopoguerra, dove il giovane Arbore teneva già allora le antenne ben dritte verso il nuovo, che all’epoca non poteva che essere l’America. Dice: «Quello che ho visto della società e della vita civile, dalla guerra che ho visto a Foggia quando ero un bambino, poi con gli americani, poi quando sono andato a Napoli e dopo a Roma, e che vedo ancora oggi guardando la televisione e la rete, che è la mia ultima passione». Le sue città, le racconta così: «Foggia, la provincia, con tutto quello che mi ha insegnato; Napoli, una città di cultura straordinaria; Roma, città ospitalissima e veramente capitale del nostro Paese; e poi l'America tra New York, Los Angeles, Miami, New Orleans, il sogno che avevo fin da bambino quando ho visto arrivare gli americani nella mia città». Il suo segreto? Il segreto del suo successo? Facile, almeno a parole: «Ho cercato sempre di fare quello che non facevano gli altri. Ho cercato di fare l’altro e quindi l’altra radio, l’altra musica, l’altra canzone napoletana, l’altro cinema. Sono afflitto da ricorrenti passioni che ho sempre tradotto in opere vagamente artistiche». La radio. «Adoro la radio, è uno strumento fantastico. Mi ha insegnato a vincere la timidezza. La amo perchè avendo solo la voce è il mezzo che, più della televisione, scatena la fantasia. Alla radio puoi raccontare una storia e descrivere un personaggio affidandoti all’immaginazione di chi ti sente. Facendola, impari l’importanza del ritmo che è indispensabile per catturare l’ascoltatore. La radio è stata la prima a capire quanto contino le scelte tematiche, infatti ci sono le radio dei cattolici, quelle del rock, del jazz, le radio dei deejay con voci particolarissime...». E tutte le radio italiane, di ieri e di oggi, devono forse qualcosa agli esordi di Arbore a “Per voi giovani”, a “Bandiera gialla” e soprattutto ad Alto gradimento”. La televisione. «Noi facevamo una televisione con velleità artistiche e “Quelli della notte”, essendo stato un programma improvvisato e cult, e avendo un marchio potente e indelebile come “Lascia o raddoppia?” di Mike Bongiorno, ha lasciato un segno perché era assolutamente anomalo, è stato il biglietto da visita e la dichiarazione di un modo di fare televisione che nessuno faceva». L’Italia. «Ho recuperato il patriottismo con “Telepatria International”, ho celebrato la fine degli anni del terrore e degli anni di piombo con “Quelli della notte” passando dal riflusso all’edonismo reaganiano, ho fatto la satira della televisione degli anni Ottanta con “Indietro tutta”. Non ne potevo più di dire da dove chiama, il programma lo fate voi, gli sponsor, il cacao meravigliao, le ragazze coccodè...». La politica. Negli anni d’oro Pertini lo invitava al Quirinale, Berlusconi lo voleva nelle sue televisioni, Craxi «mi propose di candidarmi sindaco di Napoli per i socialisti. Io mi vestii da donna e con Gigi Proietti mi presentai sul palco intonando “Malafemmina” alla presenza di Bettino. Lui si divertì e capì che non volevo fare il sindaco». La vita privata. «Ho trascurato l’idea di farmi una famiglia, che avrei dovuto fare con Mariangela Melato, l’amore più grande della mia vita, ma ci siamo distratti». Gli anni con l’attrice recentemente scomparsa sono stati quelli «della formazione, dei primi successi, dell’incontro con l’arte, con il grande cinema, con il teatro». E la famiglia più o meno tradizionale che Arbore non ha avuto è diventata quella degli amici e colleghi, di quell’allegra brigata che comprende fra gli altri Nino Frassica a Marisa Laurito, da Roberto Benigni a Isabella Rossellini. «Guardandomi indietro - conclude Arbore quelle poche righe citate all’inizio, che aprono il volume - mi accorgo che mi sono sempre divertito a improvvisare pensieri, parole e suoni strampalati, prima da solo e poi con tanti amici. La mia vita è sempre stata un concerto improvvisato, insomma una jam session. Punto». . . . . . . . . . Dopo i suoi successi storici “L’altra domenica”, “Quelli della notte” e “Indietro tutta”, Renzo Arbore ritorna questa sera, alle 23, su RaiDue con un nuovo spettacolo di grande allegria e ritmo dal titolo “Quelli dello swing”. Recuperando il vecchio orario di messa in onda di “Quelli della notte” di 30 anni fa, un gruppo di giovani amici capitanati da Gegè Telesforo seguirà il popolare showman alla scoperta di “Videos, radios e cianfrusaglias”, l’anima della Mostra al Macro-Testaccio di Roma, dedicata ai 50 anni della attività professionale di Arbore. Il programma passerà in rassegna alcune delle sue tante passioni: la musica, l’America, la radio, la televisione, la collezione di oggetti in plastica, vecchie radio, cinema e altro. All’insegna di “Lasciate ogni tristezza, voi che entrate”, “Quelli dello swing” sarà una grande festa.

martedì 22 dicembre 2015

DAVID BOWIE, nuovo album esce 8-1-16

Il nuovo 28° album di inediti di DAVID BOWIE dal titolo ‘★’ (pronunciato ‘Blackstar’), esce l’8 gennaio 2016, il giorno del suo 69° compleanno, su etichetta Iso/Columbia Records, conterrà 7 brani inediti e sarà disponibile su CD, vinile 180 gr. con copertina fustellata e in versione digitale. ‘★’ arriva a 3 anni di distanza dallo straordinario disco ‘The Next Day’, uscito a marzo 2013 dopo 10 anni di silenzio, arrivato al # 1 delle classifiche in 19 Paesi e acclamato da pubblico e critica in tutto il mondo. Il nuovo album ‘★’ è stato ufficialmente annunciato il 25 novembre scorso, due settimane dopo il lancio della nuova serie drammatica TV ‘The Last Panthers’, in onda anche in Italia su Sky Atlantic, della quale il primo singolo ‘★’ accompagna i titoli di testa. Dal 18 dicembre 2015 il secondo singolo di DAVID BOWIE ‘Lazarus’ è in radio e disponibile in digitale. Questo è l’unico brano presente nel musical “Lazarus” (sequel teatrale de "L’uomo che cadde sulla terra), scritto da Bowie e Enda Walsh e diretto da Ivo Van Hove , tratto dall’album. Catalogare e descrivere il genere di ‘★’ è complesso. Basta la dichiarazione del produttore Tony Visconti, rilasciata alla prestigiosa rivista musicale inglese Mojo, per capire che, anche questa volta, ci troviamo di fronte a materiale che non segue alcuna regola se non quella della vocazione di DAVID BOWIE a fare ciò che gli piace, esplorare nuovi territori musicali e anticipare i tempi e mode: “BOWIE ha voluto musicisti jazz per suonare il rock. Avere ragazzi jazz che suonano rock vuol dire capovolgere tutto. In questi disco abbiamo messo qualsiasi cosa, volevamo qualcosa di fresco con l’obiettivo di evitare il puro rock’n’roll’”. Anche il fatto che durante la preparazione e le lunghissime session di registrazione di ‘★’ DAVID BOWIE ascoltasse molto materiale, tra cui Kendrick Lamar, gli scozzesi elettronici Boards Of Canada e gli hiphoppers californiani Death Grips, la dice lunga sul desiderio di continua ricerca, ispirazione e contaminazione da parte di questo artista e sulla direzione intrapresa per questo attesissimo nuovo lavoro”. Il sassofonista Donny McCaslin, il chitarrista jazz Ben Monder, il batterista Mark Giuliana, il bassista Tim Lefebvre, Jason Lindner alle tastiere e, in soli due brani, il fondatore degli LCD Soundsystem James Murphy alle percussioni, sono i musicisti che hanno suonato con DAVID BOWIE in ‘★’.

lunedì 21 dicembre 2015

COMPILATION UNICEF nata nel Fvg

S’intitola “Noi siamo amore, noi siamo Unicef”, è la prima compilation discografica dedicata a Unicef Italia ed è nata nel Friuli Venezia Giulia. Il disco verrà presentato oggi alle 20.30 allo Stadio Olimpico di Roma, in occasione della partita di calcio fra la Nazionale Attori e la Nazionale Unicef. Tra gli autori e gli interpreti spiccano artisti del calibro di Phil Palmer (già chitarrista dei Dire Straits, Renato Zero, Pino Daniele, Lucio Battisti...), lo stesso Renato Zero (con un testo inedito), Ornella Vanoni, Noa, Fabio Concato, Mariella Nava, Toto Cutugno, Fiordaliso (che propone con la piccola Aurora, undici anni, il brano “A casa per Natale”), Gigi D'Alessio, Ron, Silvia Mezzanotte, Grazia Di Michele, Numa (capofila del progetto “Promised land”). E c’è anche l’Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione Slovena diretta da Patrik Greblo. Nonchè il Piccolo Coro Mariele Ventre dell’Antoniano di Bologna, con le voci dei Piccoli Cantori di Milano, del Piccolo Coro “Artemia” di Torviscosa, del coro francese “Dock des Mômes”. Arricchiscono il cast alcune voci internazionali: la cantante greca Kaiti Garbi, le voci capoverdiane di Teofilo Chantre e Cesaria Evora, i contributi lirici degli Eroika con l'Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione Slovena diretta da Patrik Greblo. Insomma, un elenco di prim’ordine, gran parte del quale è stato messo assieme dall’attivissimo discografico udinese Alberto Zeppieri, fresco di partecipazione dell’Expo con il sesto volume della collana discografica “Capo Verde, terra d’amore”. Il disco - che comprende sedici brani - parla di umanità, di uguaglianza, di tolleranza, ma anche «di infanzia e adolescenza da proteggere, di bambini da lasciar esprimere e da saper ascoltare. Il tutto - come si legge in una nota delle produzione - con il linguaggio diretto della musica e della poesia cantata da grandissimi interpreti di chiara fama». Fra questi, solo problemi di tempi tecnici stretti, che non hanno permesso di ottenere le rispettive autorizzazioni, hanno tenuto fuori dal cast almeno altri tre pezzi da novanta: la nostra Elisa, i tre del Volo e Tiziano Ferro, tutti fra l’altro ambasciatori Unicef. Da segnalare infine che tutto il ricavato dell’operazione va a Unicef Italia, grazie all’impegno gratuito di tutti i protagonisti (cantanti, autori, produttori, editori, management...). Ciò permetterà di finanziare nuove campagne umanitarie in favore dei bambini.

sabato 19 dicembre 2015

SAN GIUSTO D'ORO A DON MARIO VATTA (18-12-15)

Oggi alle 12, nella sala del consiglio comunale di Trieste, verranno consegnati i premi del San Giusto d'oro 2015. I giornalisti triestini dell’Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia e del Gruppo Giuliano Cronisti hanno deciso quest'anno di premiare don Mario Vatta, il "prete degli ultimi". “Nell’anno dei profughi e dei morti in mare, di Papa Francesco e del suo monito a illuminare le periferie – ha detto Carlo Muscatello, presidente del sindacato regionale -, i giornalisti triestini hanno voluto premiare, con don Vatta, un uomo che ha speso tutta la sua vita per aiutare gli ultimi, i meno fortunati, le donne e gli uomini che la nostra città ha lasciato e lascia troppo spesso ai margini. Un premio insomma al “prete degli ultimi”, che meglio e più di tanti altri impersona il volto aperto, generoso e solidale di Trieste”. Nato nel 1937, sacerdote dal 1963, don Mario Vatta è il fondatore della Comunità di San Martino al Campo, organizzazione che da 45 anni opera a Trieste in stretta collaborazione con le istituzioni e in rete con simili realtà italiane per garantire accoglienza a chi fa più fatica: persone vittime dell’alcol, della droga, reduci dal carcere, ostaggio della solitudine, che non ce la fanno a stare al passo e hanno bisogno di assistenza, di una casa, di cure, ma soprattutto di qualcuno che condivida le loro vite in salita. E la vita di questo “prete degli ultimi”, che un biografo potrebbe descrivere elencando premi, incarichi e inaugurazioni di nuovi centri d’accoglienza, è di fatto una galleria di volti, incontri, confronti, che hanno contribuito a costruire il volto solidale della nostra città. Ruolo riconosciutogli anche ufficialmente dal Comune di Trieste, che nel 2007 lo ha insignito della Civica Benemerenza, ma soprattutto dalla stima e dalla fiducia che i triestini hanno nei confronti di San Martino al Campo e del suo fondatore. Come ha scritto un lettore del Piccolo alla rubrica Segnalazioni qualche anno fa, ci sono tre cose che a Trieste non si possono toccare: le donne, l’esodo e don Mario Vatta. Nel corso della cerimonia, alla quale parteciperà anche il sindaco Roberto Cosolini, verrà consegnata una targa speciale al ristoratore Mario Suban, l’uomo che ha servito generazioni di triestini, politici, presidenti, persino Papa Wojtyla, cui aveva dedicato un dolce che è poi rimasto nel menù. Quest’anno ha festeggiato gli 80 anni e i 150 anni del suo storico ristorante nel rione di San Giovanni. A Trieste Suban non è un ristoratore, è “IL ristoratore”, quello da cui andare quando si vuol fare bella figura con ospiti venuti da fuori, per mangiar bene, ritrovare i piatti della tradizione ed essere coccolati. Lui, che da giovane non voleva seguire la tradizione di famiglia (il nonno, nel 1865, aveva aperto l’osteria allora fuori porta grazie a una vincita alla Lotteria di Vienna), è diventato un simbolo della triestinità a tavola. Perché lui, il nome di Trieste lo ha portato ovunque nel mondo, dall’Australia ai Paesi Arabi al Giappone, in qualsiasi posto ci fosse bisogno della sua affabilità e professionalità. Affiancato adesso dalla figlia Federica, il patriarca della famiglia non ha mai smesso di lesinare consigli, con un garbo che non è da tutti, mettere i clienti a proprio agio, portare in alto il nome della città e della sua cucina unica, troppo spesso sottovalutata ma assolutamente di valore. . . . . . . . . . . . . . da ufficio stampa Comune di Trieste: Don Mario Vatta, fondatore della Comunità di San Martino al Campo, il prete degli ultimi, che impersona il volto aperto, generoso e solidale di Trieste, ha ricevuto oggi (venerdì 18 dicembre) - nel corso di una affollata e partecipata cerimonia, svoltasi nella sala del Consiglio comunale - il 49° San Giusto d'oro, tradizionale riconoscimento che giornalisti triestini assegnano a chi ha saputo distinguersi e portare con eccellenza alto il nome della città. ​Promossa dal Comune di Trieste, dall'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia e dal Gruppo Giuliano Cronisti con il contributo della Fondazione CRTrieste (che mette a disposizione ogni anno la statuetta opera dello scultore Tristano Alberti) la cerimonia ha visto gli interventi del presidente del Consiglio comunale Iztok Furlanic, del sindaco Roberto Cosolini, dei presidenti di Assostampa FVG Carlo Muscatello, e dell'Ordine dei Giornalisti del FVG Cristiano Degano, del vicepresidente del CdA della Fondazione CRTrieste Lucio Delcaro, della vicesindaco Fabiana Martini e del fiduciario del Gruppo Giuliano Cronisti Furio Baldassi. ​Con don Vatta,i giornalisti triestini hanno voluto premiare un uomo che ha speso tutta la sua vita per aiutare gli ultimi, i meno fortunati, le donne e gli uomini che la nostra città ha lasciato e lascia troppo spesso ai margini. Nato nel 1937, sacerdote dal 1963, don Mario Vatta è il fondatore della Comunità di San Martino al Campo, organizzazione che da 45 anni opera a Trieste in stretta collaborazione con le istituzioni e in rete con simili realtà italiane per garantire accoglienza a chi fa più fatica: persone vittime dell’alcol, della droga, reduci dal carcere, ostaggio della solitudine, che non ce la fanno a stare al passo e hanno bisogno di assistenza, di una casa, di cure, ma soprattutto di qualcuno che condivida le loro vite in salita. E la vita di questo “prete degli ultimi”, che un biografo potrebbe descrivere elencando premi, incarichi e inaugurazioni di nuovi centri d’accoglienza, è di fatto una galleria di volti, incontri, confronti, che hanno contribuito a costruire il volto solidale della nostra città. ​“Oggi gli ultimi sono diventati i primi con questo premio” ha detto aprendo la cerimonia il presidente del Consiglio comunale Iztok Furlanic, mentre il sindaco Roberto Cosolini ha evidenziato come don Mario è “un simbolo dell'amore verso il prossimo”, oltre che “un'autorità morale di indiscutibile esempio”. Sempre il sindaco Cosolini ha sottolineato l'importanza della sua opera: “non solo nel dare aiuto, ma nel dare strumenti e opportunità per fare uscire le persone dal bisogno, ricercando l'integrazione e la coesione”. Il presidente Carlo Muscatello ha messo in luce il valore di “un uomo che della solidarietà ha fatto la ragione della sua vita con la Comunità di San Martino al Campo”, mentre la vicesindaco Fabiana Martini, ha brevemente ripercorso il significato dell'opera di don Mario e della Comunità di San Martino al Campo, che ha visto sempre “la persona al centro e prima di tutto ed è solo il noi che vince”. “Significativo anche il fatto -ha aggiunto Martini- che questo premio sia consegnato oggi, 18 dicembre, giornata internazionale dei migranti”. ​Parole di gratitudine con commozione sono venute da don Mario Vatta. “Dalla strada -ha detto- ho imparato a leggere il Vangelo a vivere e a trasmettere alla mia gente il messaggio del Maestro”. Ricordando i tanti tipi di povertà, ha voluto ringraziare la Caritas Diocesana, espressione della Chiesa che gli è sempre stata accanto in questi 45 anni di attività, come pure quella rete infinita di solidarietà, fatta da tante persone, volontari e operatori, che rendono Trieste una città accogliente. “Questo San Giusto d'Oro fa un po' di luce sulle povertà, accende un faro più forte e ci rende ancora più attenti ai fratelli ed amici in difficoltà”. Sempre nel corso della cerimonia è stata presentato anche suggestivo e apprezzato filmato Rai che, in tredici minuti ha ripercorso, a partire dal 1967 il quasi mezzo secolo del Premio e i suoi illustri vincitori. Una targa speciale del San Giusto d'Oro è stata conferita dal fiduciario dei Cronisti Giuliani Furio Baldassi al ristoratore Mario Suban, l'uomo che ha servito generazioni di triestini, politici, presidenti, che ha festeggiato gli 80 anni e i 150 anni del suo storico ristorante nel rione di San Giovanni (il nonno, nel 1865, aveva aperto l'osteria allora fuori porta grazie a una vincita alla Lotteria di Vienna), un simbolo della triestinità a tavola, che ha portato il nome della città mondo, dall'Australia ai Paesi Arabi al Giappone, in qualsiasi posto ci fosse bisogno di affabilità, gusto e professionalità. Da ricordare infine che, prima della cerimonia in Consiglio, in salotto azzurro, don Vatta ha firmato, come da tradizione, il libro d'oro del Comune, lasciando questa significativa dedica: “Il San Giusto di oggi è per noi. Noi ci sentiamo premiati e ne proviamo una gran gioia. Noi continueremo sulla strada già battuta, con tutte le donne e gli uomini di questa magnifica città di Trieste”.

venerdì 18 dicembre 2015

COLDPLAY sempre più pop

. A HEAD FULL OF DREAMS (Parlophone Rec) Una testa piena di sogni. E di colori, suoni, emozioni, forse ricordi. Questo e tanto altro è il nuovo album della celebrata band inglese, che torna al pop più epico e coinvolgente, dopo le atmosfere intimiste, quasi minimaliste del precedente “Ghost stories”. “Birds”, “Hymn for the weekend” (con Beyoncè che apre il brano “duettando” con gli uccellini...), “Adventure of a lifetime”, “Up&Up” e il brano che dà il titolo alla raccolta sono i pezzi che sembrano dettare il ritmo del disco. Ma piacciono anche “Fun”, “Army of one” e “Amazing day”, una ballatona vecchio stile che ricorda all’ascoltatore come hanno fatto i Coldplay a diventare i Coldplay... Gwyneth Paltrow, ex moglie di Chris Martin, appare nel brano “Everglow”. Un segno, forse, del fatto che la fine della storia è stata assorbita dalle due star. Non a caso, nel primo brano dell’album lui canta: «Mi sono risvegliato nella vita, con la testa piena di sogni..

ADELE DA RECORD

Con i precedenti album “19” e “21” ha venduto oltre trenta milioni di copie. Con “25” (l’età che aveva quando due anni fa ha cominciato a lavorarci), Adele rischia di migliorare i precedenti record. Nella prima settimana ha venduto tre milioni e mezzo di copie soltanto negli Stati Uniti. E c’è da scommettere che entro Natale supererà quota dieci milioni a livello planetario. La scelta di non aver concesso l’ascolto in streaming a Spotify e alle altre piattaforme digitali (della serie: se volete ascoltare le nuove canzoni vi comprate il disco, e stop...) spiega solo in piccola parte l’exploit. La ragione vera va ricercata nelle doti musicali e interpretative di questa ventisettenne di Tottenham che si definisce «solo una signora che canta», come ha detto un paio di settimane nel salotto televisivo di Fabio Fazio. Il nuovo album, anticipato dal singolo “Hello”, è un buon prodotto di pop d’altri tempi eppure contemporaneo, a suo modo classico, persino con una spruzzata retrò, confezionato in maniera elegante e lussuosa. Anche nelle nuove canzoni, semplici ma efficaci, scritte bene e interpretate meglio, la parte del leone la fa sempre la voce, quella voce calda e al tempo stesso possente che è dall’esordio il marchio di fabbrica della ragazza. I tanti milioni di copie vendute, i diversi Grammy e l’Oscar non l’hanno cambiata, semmai le hanno donato nuova consapevolezza delle proprie doti. Oltre alla citata “Hello” (con quell’inizio, “Hello, it’s me...”, che in poche settimane è già diventato un classico), i nuovi brani si intitolano “Send my love (To your new lover)”, “I miss you” (con un incedere in crescendo che ricorda da vicino “Rolling in the deep”), “When we were young” (ballata strappalacrime solo piano e voce e poco altro), “Remedy” (anche qui solo piano e voce, con espliciti richiami a “Someone like you”), “Water under the bridge”. E ancora “River Lea” (con le sue tentazioni gospel è uno dei brani più riusciti dell’album), “Love in the dark”, “Million years ago” («...I miss the air, I miss my friends, i miss my mother, I miss it when my life was a party to be thrown, but that was a million years ago...»), “All I ask”, “Sweetest devotion”. I biglietti per la doppia data all’Arena di Verona, il 28 e 29 maggio, sono andati esauriti in appena tre ore. Pare che i bagarini stiano già tentando di rivenderli a quattromila euro cadauno. Follia? Certo. Ma anche questo è un segnale del livello cui è giunta la giovane signora. Una superstar che nel 2015 riesce ancora a muovere numeri che la discografia internazionale non conosce più da decenni.

DIZIONARIO POP ROCK 2015

Le agognate cinque stelle agli album di Neil Young, Leonard Cohen e Bjork. Ma sul podio c’è spazio anche per i nuovi lavori di Jovanotti, Marco Mengoni e Max Pezzali, insigniti delle quattro stelle. E vanno segnalate importanti “new entry” come quelle di Benjamin Clementine, Sam Smith, Alt-J, Joe Barbieri. Persino di Cristina D'Avena, passata a sorpresa dalle canzoni per bambini al rock. Sono alcune delle novità del nuovo “Dizionario del pop-rock”, la monumentale opera di Enzo Gentile e Alberto Tonti, che hanno aggiornato con quanto visto e soprattutto sentito nel 2015 la versione digitale del loro lavoro edito da Zanichelli. Ma vediamo nel dettaglio almeno alcune di queste novità, partendo ovviamente dai vertici. Da segnalare innanzitutto che imperano ancora e comunque i “grandi vecchi”, visto e considerato che la più giovane sul gradino più alto del podio ha appena compiuto cinquant’anni (la cantante islandese li ha compiuti il 21 novembre), mentre gli altri due, entrambi canadesi, variano fra i settanta dell’ex socio di Crosby, Stills e Nash e addirittura gli ottantuno del poeta, scrittore e cantautore di “Hallelujah”. L’album di Neil Young s’intitola “The Monsanto years”, nel libro viene definito «instancabile, ispiratissimo, idealista, per i suoi settant'anni si regala (e concede) un disco tra i migliori di una carriera superba anche nel misurare quantità e qualità». “Popular problems” è invece il disco di Leonard Cohen, per gli autori del dizionario «una perfetta esemplificazione di come vada trattata la fragile materia della musica popolare». E siamo a Bjork. Il suo “Vulnicura” - secondo gli autori - è «il disco più sentito, personale, drammatico dell'artista islandese ripercorre la lenta rottura della relazione col regista Matthew Barney. “A complete heartbreak album”, lo definisce la cantante che non s'è mai mostrata tanto vulnerabile». In Italia c’è Jovanotti, con il suo “Ora”: «Tante canzoni, trenta in tutto, forse troppe. Ma nessuna poteva essere esclusa, perché l'artista è strabordante di idee per natura e sfugge a limiti e confini». Ottimo risultato comunque anche per le “Parole in circolo” di Marco Mengoni e “Astronave Max” di Pezzali. La versione cartacea del dizionario analizza la produzione di oltre duemilatrecento artisti o gruppi, per un totale di circa 35mila album, proposti in ordine cronologico, usciti dagli anni Cinquanta fino a oggi. Nella versione digitale ora disponibile sono stati aggiunti cinquanta artisti (fra cui Sergio Mendes) e ottocento nuovi album. Si spazia dal pop al rock, dal blues al country, dal rap al punk, dal soul al rhythm’n’blues, dal folk alla musica etnica, dal reggae allo ska... Per ogni nome viene fornita una nota biografica, mentre i dischi sono completi di casa discografica, anno di pubblicazione e valutazione (da una a cinque stelle).

lunedì 14 dicembre 2015

SANREMO 2016

Qualche grande ritorno, tante facce (e voci) da “talent”, un paio di rapper. Insomma, la solita sbobba. L’Italia e il mondo cambiano, il mondo della musica anche di più, ma il Festival di Sanremo riesce a rimanere sempre uguale a se stesso. Paradossalmente, anche cambiando i suoi protagonisti. Che in teoria dovrebbero essere i cantanti e le canzoni. Ieri, su Raiuno, nell’Arena di Massimo Giletti, il conduttore e direttore artistico Carlo Conti - riconfermato per la seconda volta, e pare dovremo sorbircelo anche nel 2017 - ha svelato i nomi dei venti protagonisti (i cosiddetti e sedicenti “big”, o “campioni”...) dell’edizione 2016. Che è la numero 66 e si terrà dal 9 al 13 febbraio. Cinque canoniche serate in diretta tivù su Raiuno, dall’ora di cena fin oltre mezzanotte, canzoni e cantanti usati quasi come scusa per seratone di varietà televisivo al solito di non alta qualità. Ma vediamoli, allora, questi nomi. Saranno della partita Deborah Iurato e Giovanni Caccamo (“Via da qui”), Noemi (“La borsa di una donna”), Alessio Bernabei (“Noi siamo infinito”), Enrico Ruggeri (“Il primo amore non si scorda mai”, Arisa (“Guardando il cielo”), Rocco Hunt (“Wake up”), Dear Jack (“Mezzo respiro”), Stadio (“Un giorno mi dirai”), Lorenzo Fragola (“Infinite volte”), Annalisa (“Il diluvio universale”), Irene Fornaciari (“Blu”), Neffa (“Sogni e nostalgia”), Zero Assoluto (“Di me e di te”), Dolcenera (“Ora o mai più”), Clementino (“Quando sono lontano”), Patty Pravo (“Cieli immensi”), Valerio Scanu (“Finalmente piove”), Morgan e Bluvertigo (“Semplicemente”), Francesca Michielin (“Nessun grado di separazione”), Elio e Le Storie Tese (“Vincere l’odio”). Insomma, il solito cocktail che dovrebbe accontentare tutti ma poi rischia come sempre di scontentare tutti. Anche stavolta si pesca a piene mani dai “talent”. Torna persino Scanu. Fra quelli che arrivano dalla scuderia un tempo potentissima di “Amici” e i figli di “X Factor” (per il fresco vincitore di quest’anno non c’è spazio, ma torna quello dell’anno scorso, Lorenzo Fragola), che da quando è passato sotto le insegne di Sky è diventato più alla moda, quasi mezzo cast. Che aumenta se teniamo conto che in gara troviamo anche due artisti (Elio e Morgan, ognuno dei quali completo di gruppo di riferimento) che sono o sono stati giudici di “X Factor”. Sempre dal “pianeta talent”, da segnalare la sfida in famiglia fra i Dear Jack, molto amati dai giovanissimi, e il loro ex leader Alessio Bernabei, che ha appena lasciato la compagnia (lo scorso anno avevano cantato assieme “Il mondo esplode”), ma ha già misteriosamente conquistato il diritto di partecipare al Festival come “big”. Anche se il suo nome, senza il riferimento al gruppo, non dice molto al grande pubblico (della serie: Bernabei chi?). L’altra metà del cast coglie un po’ dappertutto. C’è l’eterna ed eterea Patty Pravo, che torna a Sanremo a cinquant’anni di distanza da quella “Ragazzo triste” che la lanciò, appena diciottenne, come scatenata e anticonformista “ragazza del Piper”. Si era sentito che doveva far coppia con Loredana Bertè. Evidentemente non ha voluto rischiare, forse per rispetto a quel capolavoro che era “E dimmi che non vuoi morire”, firmata Vasco Rossi, premio della critica nel 1997. C’è un altro veterano come Enrico Ruggeri, dieci partecipazioni come interprete e cinque come autore, ma soprattutto due vittorie in bacheca: nel 1987 con Gianni Morandi e Umberto Tozzi (“Si può dare di più”) e nel 1993 con “Mistero”. C’è un gruppo storico come gli Stadio, alla quinta presenza all’Ariston in poco più di trent’anni. Poi ci sono quelli lanciati da Sanremo Giovani. Come il vincitore dell’anno scorso Giovanni Caccamo (che aveva firmato anche il successo di Malika Ayane, “Nostalgico presente”), costretto all’accoppiata con Deborah Iurato, vincitrice di Amici 2014. E come Rocco Hunt, al secolo Rocco Pagliarulo, il rapper salernitano che vinse fra le “Nuove proposte” del 2014 con “Nu juorno buono”. L’unico nome che non è classificabile fra le citate categorie è quello di un altro rapper, l’avellinese Clementino, che aveva accompagnato gli Almamegretta nel Festival del 2013, ma che debutta come solista quest’anno. Poi c’è una “figlia di” (Irene Fornaciari), un’eterna emergente (Dolcenera), un ex rapper che deve ancora decidere cosa farà da grande (Neffa), un duo pop già visto un paio di volte all’Ariston (Zero Assoluto). Ma la partecipazione mediaticamente più rumorosa è quella di Morgan, che torna con i suoi vecchi Bluvertigo. Come qualcuno ricorderà, il quarantatreene artista milanese era stato escluso dal Sanremo 2010, pochi giorni prima dell’inizio del Festival, a causa di una sua controversa dichiarazione al mensile “Max” circa il suo uso di droghe come antidepressivo. Anche a “X Factor”, dopo varie fortunate partecipazioni come giudice, è finita male lo scorso anno, fra polemiche, abbandoni e recriminazioni varie. Il palco dell’Ariston, assieme ai suoi vecchi compagni di cordata, potrebbe rappresentarne il rilancio. O anche no. Le speranze risiedono ancora una volta nell’imprevedibile genialità di Elio e le Storie Tese. Mancano dal 2013, quando si presentavano due brani: i loro erano “Dannati forever” e “La canzone mononota”. Ma molti ricordano il loro secondo posto (secondo alcuni in realtà erano arrivati primi...) nel ’95 con “La terra dei cachi”. «Ci metteremo la stessa onestà e lo stesso amore dello scorso anno - ha detto Carlo Conti -. Questa volta vogliamo fare una cosa più poetica, un mosaico con tanti tasselli... La scorsa edizione era più una macedonia. E non ci sarà politica. I giovani hanno personalità, sono forti, per loro sarà una sfida incrociata». Il conduttore, al solito, sarà affiancato da alcune vallette. Dopo Emma e Arisa (vincitrice fra le Nuove proposte nel 2009 con “Sincerità” e fra i Campioni nel 2014 con “Controvento”) dell’anno scorso, pare si pescherà ancora nel campo musicale, visto che di parla di Anna Tatangelo. Tra gli ospiti, dopo Giorgio Panariello l’anno scorso, dovrebbe arrivare un altro toscano: Leonardo Pieraccioni. Che a febbraio il suo “cinepanettone” dovrebbe averlo ormai digerito.

domenica 13 dicembre 2015

GRISHAM, L'AVVOCATO CANAGLIA

Dopo trenta romanzi (da “Il momento di uccidere” dell’89 a “I segreti di Gray Mountain” dell’anno scorso) venduti in oltre sessanta milioni di copie, John Grisham cambia registro. Con “L’avvocato canaglia” (Mondadori, pagg. 676, euro 22) il sessantenne scrittore dell’Arkansas, colui che la rivista statunitense Publishers Weekly definì “lo scrittore maggiormente venduto degli anni novanta”, mette da parte la formula del “legal thriller” di cui è maestro riconosciuto (ma ha scritto anche una mezza dozzina di romanzi per ragazzi) per virare verso una vicenda che ruota attorno a un avvocato diverso da quelli ai quali ci aveva abituato, e via via diventa un deciso attacco all’attuale sistema giudiziario americano. Quello capace di tenere per anni un innocente nel braccio della morte, quello dove polizia e pubblici ministeri spesso “collaborano” alla costruzione di prove fasulle pur di inchiodare un colpevole predestinato che magari colpevole non è, quello in cui la giustizia non sempre trionfa. Ma vediamolo, questo Sebastian Rudd, “avvocato canaglia” che non possiede uno studio vero e proprio. Riceve a bordo di un grande furgone nero blindato dotato di vari comfort e un buon equipaggiamento di armi (siamo pur sempre negli Stati Uniti...). Dorme in motel a buon mercato. Non ha soci, lo aiuta quello che lui chiama Partner, autista, guardia del corpo e confidente ovviamente armato. L’ex moglie lo ha lasciato per una lei e non gli permette di vedere il figlio piccolo quanto vorrebbe. Sebastian fa il lavoro sporco: difende i peggiori criminali, i casi disperati, quelli che nessun avvocato vorrebbe mai avvicinare. È animato da un ideale: ritiene che ognuno abbia diritto a un processo equo, odia le ingiustizie e i poteri forti, gode se riesce a sbeffeggiare le istituzioni. Per farlo, mette in gioco se stesso, a costo di diventare lui stesso il bersaglio dei suoi assistiti e di essere costretto a usare metodi poco ortodossi. Rudd si presenta così: «Anche se sono un noto avvocato di strada, non vedrete mai il mio nome strillarvi in faccia dalle pagine gialle, né lo vedrete sui cartelloni pubblicitari o sulle panchine alle fermate degli autobus. Non pago per andare in televisione, anche se ci finisco spesso. Non compaio sull’elenco telefonico. Non ho uno studio tradizionale. Vado in giro con una pistola, legalmente, perché il mio nome e la mia faccia tendono ad attirare l’attenzione del tipo di gente che a sua volt se ne va in giro con una pistola e non ha problemi a usarla. Vivo solo, di solito dormo da solo e non ho né la pazienza né la comprensione necessarie per coltivare delle amicizie. La mia vita è la legge, sempre appassionante e ogni tanto appagante». Al centro del romanzo, a differenza dei tanti libri precedenti, non c’è una sola storia. Ma c’è Rudd, la sua vita, i casi giudiziari che gli capitano. Si procede per racconti che sembrano storie indipendenti, unite soltanto dal fatto che vengono trattate dal nostro “avvocato canaglia”. Solo nel finale, alcuni elementi dei capitoli precedenti ritornano e diventano essenziali per la conclusione del romanzo. Al solito, di quelli che non molli facilmente prima della parola fine.

giovedì 3 dicembre 2015

TEATRO DEGLI ORRORI domani a Trieste, Teatro Miela

.«Questo disco è per noi un nuovo punto di partenza. O almeno noi lo sentiamo così, come una rinascita, quasi come una resurrezione. Ha lo stesso nome della band perchè vuole essere una sorta di ritorno alle origini. Per la prima volta lo abbiamo scritto tutti assieme, pochi mesi di lavoro molto intensi, è venuto fuori come una cosa naturale. Ma ci siamo anche divertiti molto, a scriverlo e a registrarlo...». Pierpaolo Capovilla, leader del Teatro degli orrori (citazione/omaggio ad Artaud), parla così del nuovo album omonimo, che la band sta presentando in un tour in giro per l’Italia. Domani alle 21 sono a Trieste, al Teatro Miela. «Il concerto è piuttosto lungo - dice il quarantaseienne rocker veneziano -, siamo infatti sulle due ore e mezzo. Nella prima parte tutti i brani del nuovo disco. Nella seconda parte i nostri cavalli di battaglia. Scelti dal pubblico attraverso i “social”». Qual è risultato il pezzo preferito? «”Compagna Teresa”, canzone partigiana, che stava nel nostro primo album, “Dell’impero delle tenebre”, uscito nel 2007. Non ce lo aspettavamo, ma personalmente mi ha fatto molto piacere». Nel disco si avverte molta rabbia. «È vero. La nostra è una rabbia per il disinteresse della massa nei confronti di quel che sta succedendo nel nostro Paese, nel mondo. Tutti si lamentano, nessuno fa qualcosa, ognuno si sente impotente, disarmato nella propria solitudine. Dunque nel disco c’è rabbia, ma anche indignazione, addirittura disperazione». L’Italia? «Questo è un Paese che non cambia mai, con contraddizioni e disuguaglianze sociali sempre più marcate. Un Paese che detesta, non ricambiato, la gente come noi. Eppure ci sono in giro tante teste pensanti, pur in un clima qualunquistico che va sempre combattuto. Noi lo facciamo con la musica». Dopo Parigi? «Che dire... Eccoci, ci siamo, siamo arrivati al dunque, al nostro “teatro degli orrori”, ad Artaud. Di solito, in questi drammatici spettacoli dell’orrore, noi europei esavamo abituati a fare da spettatori. Ora siamo sorpresi e impauriti perchè la guerra ce l’abbiamo in casa. Ma è una storia che viene da lontano, almeno dalla prima Guerra del golfo, quella del ’91...». I nuovi brani? «Noi veniamo da un contesto musicale e intellettuale di un certo tipo, la rabbia in fondo è desiderio di riscatto, di emancipazione, che c’è sempre all’interno dei nostri dischi. È il rock che spinge, che vive di una violenza positiva e non fine a se stessa. Ripartiamo da questa rabbia, ma anche da un sentimento di ottimismo, di speranza. I suoni sono molto più moderni, è un disco più europeo che americano». Trieste? «Ci siamo molto legati, non solo perchè è la città del nostro batterista, Franz Valente. Da voi c’è un pubblico non caldo ma molto attento, vigile, che ascolta e sa anche essere critico, quando è necessario». “Il teatro degli orrori”, che arriva a tre anni di distanza dal precedente “Il mondo nuovo”, è forse il lavoro più politico del gruppo. Racconta e distrugge il mito del benessere, analizza i pericoli insiti nell’esclusione e nelle disuguaglianze sociali, spara a zero su una politica sempre più autoreferenziale, parla del lavoro che si porta via la vita delle persone. Album musicalmente duro, dai suoni potenti, tornando a certe atmosfere dei primi lavori della band, che risalgono a meno di dieci anni fa. Dodici storie che sono altrettanti episodi di un affresco musicale che ambisce a essere unico, una sorta di ritratto del nostro scassato Paese. Fra smarrimento e rabbia, sarcasmo e voglia di reagire, sfruttati e sfruttatori. I brani: “Disinteressati e indifferenti”, “La paura”, “Lavorare stanca”, “Bellissima”, “Il lungo sonno (lettera aperta al Partito Democratico)”, “Una donna”, “Benzodiazepina”, “Genova”, “Cazzotti e suppliche”, “Slint”, “Sentimenti inconfessabili” e “Una giornata al sole”. In occasione del nuovo disco e di questo tour, il gruppo ha cambiato formazione: sono infatti entrati Marcello Batelli alla chitarra elettrica e Kole Laca alle tastiere, che ora affiancano stabilmente (dopo averli supportati dal vivo da tre anni a questa parte) il cantante e leader Pierapolo Capovilla, il citato Franz Valente, Gionata Mirai alla chitarra e Giulio Ragno Favero al basso.

esce domani BRUCE SPRINGSTEEN, The ties that bind: The River Collection

BRUCE SPRINGSTEEN THE TIES THAT BIND: THE RIVER COLLECTION in uscita domani 4 dicembre 2015 un imperdibile cofanetto che offre una retrospettiva completa sul periodo di The River, 4 CD, 52 brani con inediti e rarità in, 3 DVD con 4 ore di immagini inedite Esce domani, 4.12.2015, The Ties That Bind: The River Collection di Bruce Springsteen, un meraviglioso cofanetto che offre una retrospettiva completa sul periodo di The River. 4 CD, 52 brani con tantissimo materiale inedito oltre a 4 ore di immagini inedite (3 DVD). Il box set comprende: il doppio album The River originale; la prima release ufficiale di The River: Single Album; un CD di outtake 1979/80; un doppio DVD con immagini mai viste prima, con nuovo montaggio e riprese multicamera, tratte dal famoso show di Springsteen del 1980 a Tempe, in Arizona (definito da tutti un concerto imperdibile e mai pubblicato); un nuovo documentario su The River intitolato The Ties That Bind e un libro illustrato contenente 200 foto rare o inedite e cimeli più un nuovo saggio di Mikal Gilmore. The River, quinto album di Springsteen, uscì il 17 ottobre 1980 come doppio album e raggiunse la posizione n. 1 della classifica Top 200 di Billboard. Nelle sue note, il giornalista Mikal Gilmore definisce The River di Springsteen “l’album cardine: la cerniera tra le ambiziose agitazioni che l’avevano preceduto e i tumulti musicali più stringati, e talvolta lo storytelling da brivido, che seguirono”. (Due CD, recentemente rimasterizzati) The River: Single Album è l’album di dieci brani che Springsteen incise nel 1979 come seguito di Darkness On The Edge Of Town del 1978 senza mai pubblicarlo. “Alle canzoni mancava quella sorta di coesione e intensità concettuale che mi piace avere nella mia musica. Così sono tornato in studio di registrazione”, scrisse nel libro di testi e immagini Songs. Le prime sessioni segnarono l’inizio di un lungo e prolifico viaggio durato 18 mesi. Sette dei dieci brani di The River: Single Album finirono su The River, alcuni dei quali con testi e arrangiamenti diversi, mentre outtake come “Cindy” e una versione rockabilly di “You Can Look (But You Better Not Touch)” non trovarono spazio sul disco. Ora, per la prima volta, The River: Single Album è finalmente disponibile. Il quarto CD contenuto nel cofanetto è The River: Outtakes, che abbraccia le intere sessioni di registrazione di The River tra il 1979 e il 1980 e mostra tutta la profondità e la varietà della musica di Springsteen di quel periodo. Gli undici brani in tracklist sono rarità mai pubblicate finora, e in buona parte sono anche totalmente sconosciuti persino ai fan, abituati ormai a considerare le outtake di Springsteen come dei veri e propri segreti. Le undici outtake del “Record One” sono state mixate da Bob Clearmountain e masterizzate da Bob Ludwig. Altre undici outtake, quelle del “Record Two”, sono tratte dal cofanetto Tracks e da Essentials, e sono finalmente raccolte in un unico disco. The Ties That Bind è un nuovo documentario di 60 minuti diretto da Thom Zimny contenente un’intima intervista a Springsteen, nel corso della quale l’artista riflette sul lungo e tumultuoso periodo in cui The River fu scritto e registrato. Il film alterna il racconto del retroscena delle canzoni – con Springsteen che le illustra eseguendole da solo con la chitarra acustica – a immagini dei concerti dell’epoca e rare foto di Bruce e la sua band, dentro e fuori dallo studio di registrazione. L’ultima chicca video, Bruce Springsteen & The E Street Band: The River Tour, Tempe 1980, è un nuovo film realizzato con il materiale ripreso professionalmente nel 1980 utilizzando quattro telecamere e registrato in audio multitraccia. Il film contiene 24 canzoni (2 ore e 40 minuti) su 2 DVD tratte dal concerto che Springsteen tenne il 5 novembre 1980 alla Arizona State University di Tempe. Ampiamente riconosciuta come una delle migliori performance di Bruce, questo show intenso contiene le prime versioni live di più della metà dei brani che compongono The River. Il film include anche 20 minuti di immagini tratte dalle prove del River Tour, svoltesi a fine settembre 1980 a Lititz, in Pennsylvania, che mostrano Springsteen e la E Street Band lavorare agli arrangiamenti live di quello che allora era materiale inedito tratto dall’album che di lì a breve sarebbe stato pubblicato. Il film è stato recentemente montato dal regista Thom Zimny, collaboratore abituale di Bruce e vincitore di Grammy ed Emmy; l’audio è stato mixato in stereo e surround 5.1 da Bob Clearmountain partendo dalle registrazioni multitraccia originali, e infine masterizzato da Bob Ludwig. The Ties That Bind: The River Collection è racchiuso in un cofanetto 10’’ x 12’’ (25,40 cm x 30,48 cm) che contiene un libro con copertina rigida e 148 pagine illustrate da 200 foto in studio e dal vivo (buona parte delle quali mai pubblicate finora), oltre a pagine degli appunti di Springsteen, copertine dei singoli, immagini e outtake tratte dal packaging originale dell’album, più altri cimeli. Le note di copertina includono un nuovo saggio dil Gilmore, la recensione originale dell’album pubblicata da Rolling Stone nel 1980, e i commenti aggiornati di Springsteen su The River tratti dal libro Songs del 1998. CD 1 The River - Record One 1 The Ties That Bind 2 Sherry Darling 3 Jackson Cage 4 Two Hearts 5 Independence Day 6 Hungry Heart 7 Out In The Street 8 Crush On You 9 You Can Look (But You Better Not Touch) 10 I Wanna Marry You 11 The River CD 2 The River - Record Two 1 Point Blank 2 Cadillac Ranch 3 I'm A Rocker 4 Fade Away 5 Stolen Car 6 Ramrod 7 The Price You Pay 8 Drive All Night 9 Wreck On The Highway CD 3 The River: Single Album 1 The Ties That Bind 2 Cindy 3 Hungry Heart 4 Stolen Car (Vs. 1) 5 Be True 6 The River 7 You Can Look (But You Better Not Touch) (Vs. 1) 8 The Price You Pay 9 I Wanna Marry You 10 Loose End CD 4 The River: Outtakes Record One 1 Meet Me In The City 2 The Man Who Got Away 3 Little White Lies 4 The Time That Never Was 5 Night Fire 6 Whitetown 7 Chain Lightning 8 Party Lights 9 Paradise By The “C” 10 Stray Bullet 11 Mr. Outside Record Two 12 Roulette 13 Restless Nights 14 Where The Bands Are 15 Dollhouse 16 Living On The Edge Of The World 17 Take 'em As They Come 18 Ricky Wants A Man Of Her Own 19 I Wanna Be With You 20 Mary Lou 21 Held Up Without A Gun 22 From Small Things (Big Things One Day Come) DVD 1 The Ties That Bind (Documentary) DVD 2 The River Tour, Tempe 1980 Concert – Part 1 1 Born To Run 2 Prove It All Night 3 Tenth Avenue Freeze-Out 4 Jackson Cage 5 Two Hearts 6 The Promised Land 7 Out In The Street 8 The River 9 Badlands 10 Thunder Road 11 No Money Down 12 Cadillac Ranch 13 Hungry Heart 14 Fire 15 Sherry Darling 16 I Wanna Marry You 17 Crush on You 18 Ramrod 19 You Can Look (But You Better Not Touch) DVD 3 The River Tour, Tempe 1980 Concert – Part 2 1 Drive All Night 2 Rosalita (Come Out Tonight) 3 I'm A Rocker 4 Jungleland 5 Detroit Medley 6 Where The Bands Are (Credits) BONUS: The River Tour Rehearsals - Ramrod - Cadillac Ranch - Fire - Crush On You - Sherry Darling www.sonymusic.it - www.facebook.com/sonymusicitaly - http://www.brucespringsteen.net/ http://www.facebook.com/brucespringsteen - http://www.twitter.com/springsteen

mercoledì 2 dicembre 2015

FRANK GET, nuovo album

Il rocker triestino Frank Get (all’anagrafe Franco Ghietti) è inarrestabile. Fra un disco con i Ressel Brothers e una partecipazione nel New Jersey al “Light of day”, l’evento benefico sponsorizzato da Bruce Springsteen, ha trovato il tempo per un nuovo album solista, “Rough man”. Che presenterà dal vivo domani alle 21 al Teatro Miela. «Dopo più di trent'anni spesi a suonare in giro per il mondo - racconta Get/Ghietti - ho sentito il bisogno di fermarmi e rivolgere lo sguardo alle mie radici, alle storie dei luoghi e delle persone che mi hanno reso quello che sono e che vivono tuttora dentro di me». Tredicesimo album in carriera, che esce un anno dopo “To milk a duck!” con i Ressel Brothers, “Rough man” è scritto, suonato e prodotto interamente dal musicista triestino. E va detto che già al primo ascolto emergono con forza le influenze rock e blues che da sempre caratterizzano il suo suono. «Già con il gruppo - prosegue - avevo iniziato un lavoro di ricerca sulla figura e sulle opere del geniale inventore triestino d'adozione Joseph Ressel, che ritorna in questo disco nel brano “Joseph’s dream”. Mi è venuto dunque naturale scrivere i nuovi brani pescando nella storia del territorio e nel passato della mia famiglia». I brani profumano quindi di Trieste, di Istria: «Provenire da una terra in cui i popoli e le culture si sono sempre mescolati mi ha sempre fatto sentire cittadino del mondo e non appartenente a una nazione specifica dal momento che le mie radici sono istriane, slave, ungheresi e piemontesi. Ho cercato di raccontare alcune storie di cui la mia famiglia è stata testimone e protagonista diretta». In “Barbed wire” Frank Get ripercorre la tragedia legata al dover abbandonare la propria casa, la propria terra d'origine. In “Mine disaster” ricorda la tragica esplosione nella miniera di Arsia, in Istria, nella quale morirono 185 lavoratori. “In a heartbeat” è dedicata alle alterne vicende di Trieste, fra occupazioni militari e cambi di situazioni politiche. “Destination nowhere” racconta la storia del nonno di Frank Get, maresciallo alla sussistenza che dopo la disfatta di Caporetto riuscì ad assicurare il cibo ai commilitoni nonostante la disfatta. “Buffalo Bill” ricorda la venuta a Trieste, nel 1906, del cacciatore americano con il suo “Wild West Show”.

SPRITZ FOR FIVE, presentazione disco a Milano

Lo scorso anno, a “X Factor”, hanno rischiato di fare il colpaccio. Nelle prime puntate sembrava infatti la talentuosa “vocal band” fosse destinata alla finalissima, il loro giudice Morgan si sbilanciava persino parlando di possibile vittoria, ma poi sono state proprio le scelte azzardate - per restare all’eufemismo - dell’istrionico musicista ad affossare i cinque “muli” di belle speranze. Ma Nicola, Marco, Piero, Giulio e Rocco - in arte Spritz for five - non si sono persi d’animo. Sono tornati alla vita che facevano prima di entrare nel famoso loft, senza per questo seppellire i loro sogni musicali. Insomma, non hanno abbandonato quello che loro stessi definiscono il “pop/jazz/spritz a cappella”. Quest’estate hanno realizzato un singolo: “Abbronzarella”, come dire un accattivante miscela fra due classici come “Abbronzatissima” e “Tintarella di luna”. Non è diventato un tormentone, ma non è andato nemmeno male. Ma erano anche ospiti ai Nastri d’argento, a Taormina, e hanno fatto da supporter a Fedez, nel riuscitissimo concerto triestino in piazza Unità. Ora escono con il loro “ep” d’esordio, che verrà presentato domani a Milano: un sapiente mix di brani originali e cover di artisti quali Avicii e Tiziano Ferro, per sfornare il quale - proprio come nelle audizioni e nelle primissime puntate del “talent” che li ha lanciati - non hanno bisogno di strumenti, perché sono loro gli strumenti. “Calypso” è il nuovo singolo che lancia questo mini-cd. Un brano pop fresco e orecchiabile, che testimonia l’assoluta modernità del gruppo. E come ha detto qualcuno, al primo ascolto sembra impossibile che per incidere il brano non sia stato utilizzato neanche uno strumento. Nell’ep gli inediti si intitolano “Bastimento” e “Sono vento”, le cover sono “Hey brother” di Avicii, “Radioactive” degli Imagine Dragons e “Rosso relativo” di Tiziano Ferro. Funzionano gli arrangiamenti vocali di Marco Obersnel (classe ’96), Nicola Pisano (del ’91) è il mago del ritmo e del Beatbox, il tenore Piero Gherbaz (’94), il baritono Giulio Bottecchia (il più “anziano”: è dell’88...) e il basso Rocco Pascale (’92) completano un menù di prim’ordine. Bel quale le coreografie sono firmate dall’amica di sempre Marta Keller (anche lei giovanissima: del '93). La verità è che, nonostante il mezzo infortunio a “X Factor”, causato peraltro da Morgan, gli Spritz for five piacciono. Hanno vari “fans club” disseminati per la penisola, qualcuno anche all’estero, uno persino a Seattle. «Morgan - hanno detto i ragazzi - è stata la nostra fortuna e al tempo stesso la nostra iattura: ci ha scelti, ma a un certo punto ha seguito Lo scorso anno, a “X Factor”, hanno rischiato di fare il colpaccio. Nelle prime puntate sembrava infatti la talentuosa “vocal band” fosse destinata alla finalissima, il loro giudice Morgan si sbilanciava persino parlando di possibile vittoria, ma poi sono state proprio le scelte azzardate - per restare all’eufemismo - dell’istrionico musicista ad affossare i cinque “muli” di belle speranze. Ma Nicola, Marco, Piero, Giulio e Rocco - in arte Spritz for five - non si sono persi d’animo. Sono tornati alla vita che facevano prima di entrare nel famoso loft, senza per questo seppellire i loro sogni musicali. Insomma, non hanno abbandonato quello che loro stessi definiscono il “pop/jazz/spritz a cappella”. Quest’estate hanno realizzato un singolo: “Abbronzarella”, come dire un accattivante miscela fra due classici come “Abbronzatissima” e “Tintarella di luna”. Non è diventato un tormentone, ma non è andato nemmeno male. Ma erano anche ospiti ai Nastri d’argento, a Taormina, e hanno fatto da supporter a Fedez, nel riuscitissimo concerto triestino in piazza Unità. Ora escono con il loro “ep” d’esordio, che verrà presentato domani a Milano: un sapiente mix di brani originali e cover di artisti quali Avicii e Tiziano Ferro, per sfornare il quale - proprio come nelle audizioni e nelle primissime puntate del “talent” che li ha lanciati - non hanno bisogno di strumenti, perché sono loro gli strumenti. “Calypso” è il nuovo singolo che lancia questo mini-cd. Un brano pop fresco e orecchiabile, che testimonia l’assoluta modernità del gruppo. E come ha detto qualcuno, al primo ascolto sembra impossibile che per incidere il brano non sia stato utilizzato neanche uno strumento. Nell’ep gli inediti si intitolano “Bastimento” e “Sono vento”, le cover sono “Hey brother” di Avicii, “Radioactive” degli Imagine Dragons e “Rosso relativo” di Tiziano Ferro. Funzionano gli arrangiamenti vocali di Marco Obersnel (classe ’96), Nicola Pisano (del ’91) è il mago del ritmo e del Beatbox, il tenore Piero Gherbaz (’94), il baritono Giulio Bottecchia (il più “anziano”: è dell’88...) e il basso Rocco Pascale (’92) completano un menù di prim’ordine. Bel quale le coreografie sono firmate dall’amica di sempre Marta Keller (anche lei giovanissima: del '93). La verità è che, nonostante il mezzo infortunio a “X Factor”, causato peraltro da Morgan, gli Spritz for five piacciono. Hanno vari “fans club” disseminati per la penisola, qualcuno anche all’estero, uno persino a Seattle. «Morgan - hanno detto i ragazzi - è stata la nostra fortuna e al tempo stesso la nostra iattura: ci ha scelti, ma a un certo punto ha seguito più il suo ego che le nostre vocazioni. Le sue sono state tutte assegnazioni difficili, lontane da quello che facciamo abitualmente: cantare a cappella. All’inizio questa cosa incuriosisce, ma poi alla lunga logora, soprattutto se non hai mai uno spiraglio per una boccata di ossigeno. Così va a finire che tu ti senti snaturato e la gente a casa non capisce più chi sei». Ancora i cinque cantanti, due dei quali hanno alle spalle proprio esperienze corali: «Noi non siamo un coro, ma una vera e propria band. Solo che al posto degli strumenti usiamo la voce. Negozianti, per favore, non metteteci nel bancone dei gruppi vocali, ma in quello del pop...». Messaggio ricevuto. E proprio nelle settimane in cui altri ragazzi sfidano la lotteria in una nuova edizione di “X Factor”, gli Spritz for five ricominciano da questo disco. Che è il miglior biglietto da visita per la loro carriera.