giovedì 29 settembre 2016

ADDIO AD ALFREDO LACOSEGLIAZ

«Alfredo Lacosegliaz - ha detto una volta Moni Ovadia - è quello che mi ha introdotto, quasi quarant’anni fa, alla musica balcanica. E gliene sarò sempre grato. Spero che Trieste prima o poi lo onori come si deve...».
Dovrà farlo ora che il musicista triestino, classe 1953, se n’è andato. Se n’è andato ieri a Trieste, maledettamente troppo presto, lasciandoci un’eredità culturale, musicale e umana molto importante.
Lacosegliaz è stato per oltre quarant’anni un protagonista di primissimo piano della scena musicale triestina. Un anticipatore dell’interesse per la musica balcanica, per le contaminazioni che guardavano a Oriente, per i ritmi dispari così poco praticati in Occidente.
Comincia da ragazzo, nei primissimi anni ’70, nel gruppo Mahayana Trans, lo spettacolo “Happiness” ispirato al movimento hippy, tante registrazioni alla Rai regionale e a Radio Capodistria. Ma il rock gli sta stretto. È naturalmente curioso di generi, stili, strumenti. La musica popolare fa parte del suo dna. Nel ’76 pubblica con I Giorni Cantati (“canzoniere popolare”, recitava il sottotitolo...) l’album “Trieste contro”. Per il debutto solista deve aspettare solo un anno, quando a Milano pubblica per la Cooperativa L’Orchestra l’album “L’orco feroce”. Nel ’79 segue “Triaca oder drek”.
Nel frattempo Moni Ovadia - che non è ancora diventato il massimo divulgatore della cultura yiddish in Italia - lo vuole nel Gruppo Folk Internazionale, con cui realizza gli album “Il nonno di Jonni” e “Le mille e una notte”, e con cui va in tournèe in mezza Europa. Nell’81 il gruppo cambia nome, diventa Ensemble Havadià: escono l’album omonimo e poi “Specchi”.
Ma sono anni pieni di stimoli, Alfredo è uno curioso. Collabora con Wolf Biermann, con la Scalcinata Compagnia Solfrini, ma anche con Sergio Bardotti, Anna Identici. Nell’89 è al Festival dei Due Mondi a Charleston, nel Sud Carolina, con la Compagnia Marionettistica Carlo Colla e figli e lo spettacolo “The legend of Pocahontas”.
Il lavoro per il teatro diventa sempre più importante. Nel ’90 è a Rabat, in Marocco, per il progetto “Le voyage en bateau”, con attori e musicisti dell'Azerbaidjan, dello Zaire, della Corea. Realizza “Est Est Est”, disco e spettacolo, con libere interpretazioni di danze, ritmi e stili musicali suggeriti dal Medio Oriente. Va in tournée (Roma, Berlino, New York, Parigi, Cracovia...) con Moni Ovadia, ormai decollato, e il suo “Golem”. Un altro suo disco s’intitola “Reset”, opera da lui definita “di mistilinguismo musical/verbale”.
Dunque teatro, ma anche cinema. Nel ’94 firma la colonna sonora del film “Senza pelle”, di Alessandro D'Alatri. Compare come musicista/attore in “La vera storia di Antonio H.” di Enzo Monteleone e in “Dov’è Yankel?” di Paolo Rosa, presentati al Festival del Cinema di Venezia. Scrive le musiche per “Facciamo Paradiso” di Mario Monicelli.
È di nuovo con Moni Ovadia nel “Dibbuk” e in “Ballata di fine millennio”. Sue le musiche per “Madre coraggio di Sarajevo” al Piccolo Teatro di Milano e per “Il caso Kafka”, regia di Roberto Andò. Ogni tanto esce un suo disco: nel ’98 “Dom Taty Tomka”. A cavallo fra il vecchio e il nuovo millennio è attivissimo. Scrive le musiche per “Trieste, ebrei e dintorni”, di Moni Ovadia, che apre una stazione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, al Rossetti di Trieste. Michele Santoro si accorge di lui e gli chiede le musiche per i suoi programmi “Circus” e “Sciuscià”, con partecipazioni dal vivo assieme al Patchwork Ensemble.
Ancora dischi: “WindRose” (tratto dall’omonimo spettacolo di “varietà etnico”) e “Matàda” (da lui definito «blues in scale orientali in dialetto triestino»). Ancora spettacoli, ancora collaborazioni: “Ascoltando immagini in paesaggi sonori”, “La ballata di Franz” (che debutta al Mittelfest), “Un triestino d’Irlanda”. Nel 2005, ancora per il Mittelfest, produce la “Cergoleide”, prima proposta di spettacolarizzazione poetica su testi di Carolus Cergoly. Di cui tanti anni prima aveva musicato “Fuma el camin” (“de la Risiera, del lager de Mauthausen grande fradel...”).
Lacosegliaz sembra quasi invaso da una fretta creativa. Attorno al 2010 escono i dischi “Panduro” e “Hypnos”. Poi “Dunje Ranke”, complemento dell’audiolibro “La cotogna di Istanbul”, di Paolo Rumiz, con cui realizza l’adattamento teatrale, portato in vari festival. Gli ultimi lavori: “L’insostenibile arte della guerra”, “installazione semi-tragica in tecnica multivideo” rappresentata al Mittelfest e al Peace Event di Sarajevo; “La sposa di Sarajevo e Ahmet Jusuf”, spettacolo in italiano e bosniaco tratto da una novella di Novak Simic.
Seppur provato dalla malattia, ha lavorato fino all’ultimo. Stava preparando nuovi progetti. Poche settimane fa aveva curato a distanza la messinscena dello spettacolo “MultiKulti”. Perchè la musica è stata sempre la sua vita. Ciao Alfredo.

venerdì 9 settembre 2016

da NEWSLETTER ORDINE GIORNALISTI FVG

RINNOVO DEL CONTRATTO
L'IMPEGNO DEL SINDACATO
PER L'OCCUPAZIONE



di Carlo Muscatello*

Il 30 settembre scade la proroga del contratto di lavoro dei giornalisti, a sua volta scaduto il 31 marzo 2016 dopo la disdetta dalla Fieg dell'ottobre 2015. Settimane decisive, dunque, per il rinnovo. L'impressione che abbiamo avuto nei mesi scorsi, come giunta esecutiva della Fnsi, è stata che la nostra controparte, più che rinnovare, vuole smantellare il contratto, dando l'assalto a tutti quegli istituti che ne sono parte fondante e sono il sofferto frutto di decenni di battaglie sindacali.
La lista delle richieste della Fieg è lunghissima: tocca l'orario di lavoro e il numero degli scatti, il lavoro festivo e quello domenicale, il notturno e i giorni di permesso straordinario, i contratti a termine e i poteri del direttore, la settimana corta e il lavoro straordinario, le qualifiche e l'indennità di agenzia, il calcolo della tredicesima e i periodi di malattia, la tutela sindacale e i poteri del comitato di redazione...
Potremmo continuare, entrando nello specifico delle richieste (tutte ovviamente al ribasso) degli editori. Ma quel che ci interessa sottolineare è la portata della piattaforma che ci è stata presentata. L'impressione è quasi che, dopo il "pareggio" dell'ultimo rinnovo, la nostra controparte sia animata da uno spirito di "redde rationem".
Sappiamo che una parte della Fieg il contratto nazionale non lo vuole più. E lo dimostra il fatto che nell'ottobre scorso è arrivata la disdetta. Nella migliore delle ipotesi gli editori vogliono riscrivere tutto il contratto, per abbassare ulteriormente il costo del lavoro giornalistico. Come già si diceva, viene chiesta ai giornalisti una sorta di contratto di solidarietà nazionale, stante, a loro dire, il perdurare della crisi economica.
La Fnsi continua responsabilmente a opporsi a questo piano scellerato, chiedendo nuovi posti di lavoro, allargamento della base contrattuale, riscrittura di quelle parti contrattuali che nelle redazioni (e fuori dalle redazioni) è ormai superata da tempo. Senza rilancio dell'occupazione non c'è futuro per il giornalismo in questo paese, senza investimento non c'è rilancio, non c'è ripresa del mercato del lavoro, e i prossimi anni rischiano di essere più neri del presente. Non abbiamo chiesto un euro in più, ma soltanto lavoro, soprattutto per tutti i colleghi che sono fuori dal perimetro contrattuale e, stante la situazione, rischiano di rimanervi a lungo.
Da ultimo, una sottolineatura che vuole essere anche una rassicurazione per tutti quei colleghi che ci chiedono: ma dopo il 30 settembre, in assenza di un accordo e di un'eventuale seconda proroga, che cosa succede? Sia chiaro: disdetta del contratto non significa rescissione della contrattazione collettiva, la cui validità è confermata dall’intero ordinamento giuridico e dalla stessa Costituzione. Come già avvenuto in passato (l’ultima volta con il contratto disdettato nel 2005 e rinnovato soltanto nel 2009), le norme contrattuali scadute continuano a trovare applicazione. Gli editori non potrebbero dunque disapplicare il contratto in quanto scaduto, anche perché i giornalisti sono stati assunti con un contratto individuale di lavoro nel quale si richiama l’integrale applicazione del contratto. La legge non consente di venire meno agli accordi sottoscritti fra le parti e l’applicazione rientra nella tutela dei diritti individuali acquisiti.
Rimane il problema dei nuovi assunti. Va ricordato al proposito che il contratto collettivo del 1959 ha acquisito validità erga omnes con legge dello Stato e, come ribadito in una recente sentenza della Corte di Cassazione, non può essere disatteso. Pertanto, qualora il contratto non fosse rinnovato, per i nuovi assunti si farebbe riferimento al contratto del 1959 e, per l’adeguamento economico, all’articolo 36 della Costituzione che garantisce a ogni lavoratore una retribuzione proporzionale alla qualità e quantità del suo lavoro. Fra l'altro, la parte normativa del contratto del 1959 prevede numerosi istituti, fra i quali gli aumenti biennali (e non triennali) di anzianità, le maggiorazioni per lavoro festivo e domenicale, l’indennità fissa in caso di risoluzione del rapporto (ex fissa), successivamente modificati.
Crisi e tagli negli ultimi cinque anni hanno comportato la perdita di più di tremila posti di lavoro giornalistico e consistenti riduzioni delle nostre retribuzioni, anche per effetto del ricorso massiccio alla cassa integrazione e ai contratti di solidarietà. I costi della crisi sono stati dunque già pesantemente pagati dall’intera categoria. Insomma, abbiamo già dato. E tanto.

* presidente Assostampa Fvg e componente giunta Fnsi

giovedì 1 settembre 2016

WHO 14-9 a VIENNA (poi BOLOGNA e MILANO)

Due date italiane per “The Who Tour 2016”, il 17 settembre a Bologna e il 19 a Milano. Ma per i nostalgici rockettari del Nordest che non hanno paura delle trasferte, gustosa anteprima già fissata per mercoledì 14 settembre alle 19.30, a Vienna, allo Stadthalle. Da segnalare che con questi tre concerti si chiude la prima parte europea del tour, che sarà seguita da una serie di concerti americani (a partire dal 6 ottobre a Santa Barbara, California), prima di tornare nella vecchia Europa, dal 30 marzo, appuntamento alla Royal Albert Hall, a Londra.
Occasione insomma da non perdere per gli appassionati di ieri e di oggi. In scena uno dei gruppi che hanno letteralmente scritto la storia del rock, il cui antico vessillo è attualmente portato avanti dal cantante Roger Daltrey e dal chitarrista Pete Townshend, componenti originari e superstiti della band, dopo la scomparsa di Keith Moon nel 1978 e di John Entwistle nel 2002.
È passato più di mezzo secolo dal primo, vero successo degli Who, quella “My generation” (dall’album omonimo) che divenne nel lontano ’65 il primo inno generazionale del popolo internazionale del rock. La cui forza rimane intatta, come dimostra anche il fatto che nel 2004 la rivista Rolling Stone l’ha inserito all’undicesimo posto tra le 500 migliori canzoni di sempre.
All’interno di una carriera immensa, non si possono non ricordare le due opere rock “Tommy” (1969) e “Quadrophenia” (1973), figlie soprattutto del genio visionario e iconoclasta di Townshend. Proprio di “Quadrophenia”, nel cui film del ’79 si fece notare un giovanissimo Sting, è stato annunciato per il 2017 un seguito, basato sul libro di Peter Meadow “To be someone”. Ma i due Who superstiti hanno bollato il progetto come una mera operazione commerciale.