domenica 30 novembre 2008

CELENTANO


Adriano Celentano è da mezzo secolo protagonista assoluto della canzone - e non solo della canzone - italiana. Basta questo dato per riservare l’attenzione che merita al suo nuovo album, un doppio, intitolato «L’animale» (Clan/SonyBmg). L’ex Molleggiato, settantuno anni a gennaio, ha voluto dividere il lavoro in due parti ben distinte, ognuna con un suo titolo: il primo cd «Canzoni d'amore», il secondo «Canzoni contro». Quasi a voler distinguere le sue due anime: quella più tradizionale, dedicata all’amore, al sentimento, alla spiritualità (da «Storia d'amore» a «Una carezza in un pugno», fino ai più recenti «L'emozione non ha voce», «L'arcobaleno», «Acqua e sale» e «Dormi amore»...), e quella di protesta, attenta ai temi sociali, alla difesa dell’ambiente, in un certo qual modo politica («Il ragazzo della via Gluck» e «Un albero di trenta piani», «Il mondo in mi settima» e «Svalutation», «I want to know» e «Io sono un uomo libero», e ancora un remix di «Prisencolinensinainciusol»...).

Fra le ventotto canzoni, equamente divisi fra i due cd, ci sono anche due inediti: il primo è la sua personalissima versione di «La cura», di Franco Battiato (al quale ha anche chiesto il permesso di cambiare in alcuni punti la melodia), il secondo è «Sognando Chernobyl», che ha anticipato la pubblicazione del disco di un mese, con la diffusione in rete del video. Sorta di apocalittico monito - molto alla maniera di Celentano, soprattutto quello degli ultimi show televisivi - affinchè gli uomini rinsaviscano, e smettano di distruggere se stessi e l’intero pianeta.

Celentano dice di averla scritta «un anno fa, perchè temo che le cose siano peggiorate, lo stato del pianeta è disastroso. È un grido disperato. Sono sempre stato ottimista ma oggi è difficile rimanerlo. Il momento che stiamo vivendo è talmente fragile che non riguarda soltanto l'Italia ma tutto il mondo. Oggi si rischia una vera catastrofe umana a causa di scelte scellerate dei governi di gran parte del mondo». La versione integrale del brano, sempre su internet, è un filmato di dieci minuti con immagini molto forti sulla pena di morte e sugli effetti di Chernobyl sugli esseri umani.

Nel secondo cd, quello dedicato all’impegno sociale, ci sono anche episodi meno conosciuti, come «L'ultimo degli uccelli», tratto da un disco del ’72, e «Uomo macchina», che nel ’76 affrontava il tema dell'alienazione dell'individuo nella società moderna. E brani di ultima produzione come «I passi che facciamo» e «La situazione non è buona», che lo scorso anno dava anche il titolo all'ultimo show televisivo di Adriano (il suo ritorno su Raiuno è previsto per l'autunno dell’anno prossimo).

Le due anime - dell’artista e del disco - sono presenti anche in copertina, con una foto di Celentano e un suo autoritratto in versione «molto animalesca». L’idea del titolo pare invece sia di Jovanotti, che «forse ha visto in me l'istinto della "salvaguardia" della specie e del territorio...».


IRENE GRANDI


L’hanno fatto tutti, soprattutto all’estero, e allora perchè non io? Questo deve essersi detta Irene Grandi, prima di sfornare - a un anno di distanza dal suo «greatest hits» - questo «Canzoni per Natale» (Warner). L’idea le girava in testa da tempo, ma la spinta - dice - le è arrivata dalla riscoperta del vecchio «Feed the world», di Bob Geldof. Ecco allora il progetto di una raccolta dedicata a un «Natale universale, basato su spiritualità e introspezione». A fianco di classici come «Happy Christmas» e «Silent Night», il disco propone anche titoli italiani come «Buon Natale a tutto il mondo» di Domenico Modugno, «Canzone per Natale» di Morgan e «O è Natale tutti i giorni» di Luca Carboni e Jovanotti.

Nell'album ci sono anche brani che non appartengono alla tradizione natalizia, come «Qualche stupido ti amo», cantata assieme all'attore Alessandro Gassman: si tratta della cover di «Somethin' stupid», vecchio classico che Frank Sinatra ha cantato anche assieme alla figlia. «Nel mio immaginario - quasi si giustifica l’ex rockettara - è un brano molto natalizio e per il duetto mi sono ispirata a quello fra Robbie Williams e Nicole Kidman...».

Fra le altre tracce non tradizionalmente natalizie anche la cover in chiave soul di «Wishing on a star», di Rose Royce, e una versione corale di «Oh happy day», con la partecipazione del pianista jazz Stefano Bollani.

Ma in un disco di canzoni natalizie non poteva mancare «Happy Xmas», di John Lennon: nell’inno pacifista dell’ex Beatles l’artista toscana ha scelto di rallentare leggermente la ritmica originale ma ha mantenuto il coro di bambini che invocano la fine della guerra.

Irene Grandi proporrà dal vivo, con l’orchestra, alcuni brani del disco nel tradizionale concerto di Natale del 24 dicembre all'Auditorium di Roma.


NEGRAMARO Sono stati il primo gruppo italiano a riempire San Siro. E ora quel loro concerto del 31 maggio è diventato un cofanetto con cd e dvd, progetto di Caterina Caselli. Con tredici tracce audio e ventuno tracce video «Negramaro San Siro Live» racconta per immagini e musica il suggestivo spettacolo che la band salentina ha portato nello stadio milanese (ma anche in tour in giro per l’Italia e all’estero). Il cd propone anche quattro inediti: «Meraviglioso», cover del classico di Domenico Modugno, presente anche nella colonna sonora del film «Italians» di Giovanni Veronesi, con Carlo Verdone e Riccardo Scamarcio (e lo stesso Veronesi ha firmato la regia del videoclip, con la partecipazione dei due attori); «Your eyes», versione inglese de «La finestra», con il contributo dei Mattafix; «Solo per te» in versione elettrica e infine «Blu cobalto», in versione elettrica e acustica. Fra gli ospiti anche i Solis String Quartet, Jovanotti e Mauro Pagani. Nel dvd immagini della band in tour europeo in bus e nella loro casa-factory di Parma.


TATANGELO A Sanremo ha cantato i turbamenti del suo parrucchiere gay, stavolta sposta l’obiettivo sull’universo femminile. Al quarto album Anna Tatangelo si lancia in un viaggio all'interno dell'universo femminile, un racconto interamente dedicato alle donne e ai chiaroscuri delle loro vite: dalla gioia della maternità alla delusione per la fine di un amore, dalla disperazione dell'anoressia («Adesso») e della violenza all'emozione di un nuovo incontro. Fragilità ma anche forza, senza perdere mai di vista la speranza. L'album comprende undici canzoni che spaziano tra generi e stili diversi, ed è stato anticipato dal singolo «Profumo di mamma», un pezzo allegro, colorato di samba, firmato dal fidanzato e produttore Gigi D'Alessio. Che porta in dote, grazie alla recente riappacificazione, anche la chitarra di Pino Daniele in «Sarai», brano scritto dallo stesso Daniele con D'Alessio e presente anche nel nuovo album di quest’ultimo. Fra i brani anche due cover: «Il posto mio» di Domenico Modugno (scritta nel ’68 da Alberto Testa e Tony Renis) e «Anna verrà», altro omaggio al Pino Daniele di «Mascalzone latino».


 




martedì 25 novembre 2008

SABINA GUZZANTI


di CARLO MUSCATELLO

UDINE «Il problema vero non è la satira, ma la mancanza di informazione. Viviamo in un regime autoritario, nel quale non è possibile esprimere dissenso. Mancano gli spazi liberi per i punti di vista diversi. Che dunque chiedono ospitalità al teatro, al cinema, alla satira, appunto...».

Sabina Guzzanti - il cui «Vilipendio Tour» fa tappa stasera alle 21 al «Nuovo» di Udine - è il solito, antagonista fiume in piena. Ce l’ha con Berlusconi («anticostituzionale»), con il centrosinistra che «non fa l’opposizione», con i giornalisti che «non fanno le domande», ovviamente con la Carfagna («il fatto che sia ministro è una vergogna»), persino con il Papa che «non può interferire nella vita politica italiana». Ci fermiamo qui, anche se la lista - se ne accorgeranno stasera gli spettatori friulani - è ancora molto lunga.

Piazza Navona: «la madre» di tutti i vilipendi?

«Forse. Quella manifestazione è stata un’esperienza per me molto importante, che ha costretti molti gruppi di potere a gettare la maschera, a far vedere a tutti come reagiscono dinanzi a espressioni legittime di dissenso».

Si spieghi.

«Quando dico che avere la Carfagna come ministro (con sotto la firma di Napolitano) è una vergogna, o che il Papa non può interferire con la vita politica italiana, le piazza si entusiasmano. Ma com’è allora che i giornali di sinistra, ”Repubblica” in testa, mi attaccano quasi più di quelli della destra?».

Appunto: com’è?

«È la prova del regime. E che c’è una vera e propria oligarchia contro il dissenso, gruppi di potere che come risultato ultimo permettono al manovratore di agire indisturbato».

Ammetterà che il regime era un’altra cosa.

«Quello fascista sì. Infatti non ho mai detto che siamo in un regime fascista. Quello che Berlusconi ha creato è piuttosto un regime autoritario. C’è un Parlamento formato da persone che non sono state elette ma nominate, visto che non si possono esprimere le preferenze. Alla magistratura stanno mettendo il bavaglio. E l’informazione non è libera».

Giornalisti complici?

«Non tutti, certo, ma è un dato di fatto che nelle redazioni non c’è democrazia. Se non scrivi quello che va bene al tuo editore non hai più spazio, ti mettono da parte, vieni sostituito. Magari da un precario che è più ricattabile. Chi avrebbe il potere per fare vero giornalismo accetta di non farlo per salvare se stesso e i suoi».

Eppure lei è appena tornata in tivù.

«Io in televisione non posso fare un programma mio ormai da anni. Posso fare solo l’ospite, e Santoro ha dovuto battagliare non poco per potermi invitare. Eppure per il chiacchiericcio dei politici in tivù c’è sempre spazio. Ormai sembrano una compagnia di giro».

Gli studenti?

«Lì il discorso cambia. Intanto basta con questa storia che sarebbero una minoranza. In ogni città dove porto lo spettacolo mi invitano ai dibattiti nelle università, e ho sempre trovate aule strapiene. Proprio come le loro manifestazioni. E poi sono vivi, senza esperienza politica ma capaci di organizzarsi, ricchi di entusiasmo e buona volontà, ancora fiduciosi nella razionalità del sistema. Della serie: abbiamo ragione, dunque ci ascolteranno».

Invece...

«Invece non è così facile. Le cose non vanno in questa maniera. Devono anche capire i meccanismi perversi dei media: all’inizio tanto spazio, poi stop, vieni cancellato dai titoli di testa. E vai in crisi, perchè credi di non esistere più. Invece il primo strumento di censura è proprio quello: non darti più spazio».

Cosa ha consigliato loro?

«A loro ho detto: continuate finchè non avrete ottenuto quel che volete, state uniti e non stancatevi, perchè hanno paura di voi.</CP></CF></IP> Studiate, leggete, approfondite periodi come il Sessantotto. Sono due cose diverse, certo, ma un paragone può servire per capire come usare la propria forza. Bisogna reimparare a fare politica con passione, lottando con le proprie forze».

È un riferimento a Obama?

«Se vuole. Di certo se lui è diventato presidente è perchè, negli otto anni di Bush, una parte degli americani ha sofferto e ha lottato. Gli Stati Uniti hanno attraversato una grande crisi con l’ultimo presidente, ma evidentemente hanno un senso della democrazia più radicato del nostro. E il risultato si chiama Obama».

In Italia?

«Forse sarebbe necessario lo stesso percorso degli americani. Bisogna ricominciare a guardarsi nello specchio, capire a che punto siamo arrivati. In giro vedo molta rassegnazione, mancanza di autostima».

Dunque?

«I ragazzi che incontro nelle università - conclude Sabina Guzzanti - oggi vorrebbero vivere da un’altra parte, magari andare a vivere all’estero. Ciò dimostra che c’è molta delusione. Ma non è vero che esiste un’anomalia italiana: bisogna crederci, bisogna ripartire...».

lunedì 24 novembre 2008

MORIRE DI CLASSE / BASAGLIA


Era il 1968. E i manicomi esistevano ancora. I fotografi Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin entrarono prima nell’ospedale psichiatrico di Gorizia, poi in quelli di Parma e Firenze. L’idea di farne un libro - che sarebbe uscito l’anno dopo - era di Franco Basaglia, che proprio a Gorizia stava avviando quella rivoluzione innanzitutto di civiltà poi realizzata a Trieste. Di quel «Morire di classe», Einaudi stampò all’epoca soltanto mille copie. Era il primo libro che documentava l’orrore del manicomio e dava idealmente il «la» a tutto quel che sarebbe successo dopo e avrebbe avuto nella Legge 180 il suo quadro normativo.

Ora Duemilauno Agenzia Sociale - concretizzando l’idea del giornalista e fotografo Claudio Ernè, che firma la prefazione - pubblica la ristampa anastatica di quel volume, nell’ambito delle celebrazioni del trentennale della Legge 180, che cade quest’anno. La presentazione si terrà domani alle 18, alla Stazione Rogers (Riva Grumula 14).

«Il progetto del libro - ricorda Carla Cerati - fu di Basaglia, che in precedenza aveva pensato a un libro fotografico su tutte le istituzioni repressive: il manicomio, la caserma, la scuola, il riformatorio, la famiglia. Però, visto nell’immediato lavorava per l’eliminazione dei manicomi, decise di fermarsi a questo: un’inchiesta complessiva avrebbe richiesto troppo tempo. Poi la richiesta di realizzare il reportage è partita da me, dopo aver letto i libri che Basaglia stava pubblicando con Einaudi. Tramite la casa editrice mi sono messa in contatto con lui che immediatamente si è detto disponibile e si è dato da fare per aiutarci e entrare anche negli altri manicomi».

Com'è stato il rapporto con Basaglia?

«Splendido: come avrebbe potuto non esserlo? Con lui tutto diventava semplice. Era un geniale rivoluzionario, provvisto di humour e al tempo stesso di pietas».

Le foto come sono state scelte?

«In una riunione alla casa editrice, a Torino. Non ricordo se era presente anche Franca Ongaro Basaglia, ma mi pare di no. Con Basaglia c’era Giulio Bollati, editor dell’Einaudi, oltre a me e Berengo. Noi avevamo presentato una scelta di stampe nel formato 30x40. Per le riprese io avevo lavorato con la Nikon e Berengo con la Leica. La scelta finale, per volontà dei Basaglia e di Tommasini, all’epoca assessore e membro dell’Associazione contro la malattia mentale, venne realizzata in pannelli di due metri ciascuna per una mostra agli ex-gabinetti pubblici di Parma. Si trattò di un evento a cui Franco e Franca Basaglia lavorarono personalmente. Così come per il libro: loro fu anche la scelta dei testi».

Quali difficoltà avete avuto nel realizzare le fotografie?

«Nel manicomio di Parma gli infermieri che ci accompagnavano, quando hanno capito che cosa stavamo facendo, cioè che non ci limitavamo a fotografare gli ambienti, ci hanno intimato di consegnare i rullini. Ma Berengo, che aveva previsto questo rischio, li ha fatti sparire in un ombrello. E abbiamo consegnato dei rullini vergini».

Scattando aveva la consapevolezza di realizzare un lavoro "storico"?

«No, forse non l’ho percepito subito. Certo, il fatto di lavorare per la causa di Basaglia mi era sembrato di per sé importante».

Perchè all'epoca sono state stampate solo mille copie?

«Io con gli zeri sbaglio sempre, ma mi pare di ricordare che la prima tiratura fosse in realtà di 10 mila copie a un prezzo “politico”, perché sia Basaglia che la casa editrice volevano che il libro avesse diffusione tra gli studenti. Poi, per un buon numero di anni, sono state ristampate mille copie all’anno».

Quelle foto poi hanno fatto il giro del mondo.

«Sì, e continuano a girare».

Lei poi ha seguito il lavoro di Basaglia anche a Trieste?

«Sono stata a Trieste nel ‘77, invitata personalmente da Basaglia, per il Reseau Internazionale della Psichiatria. È stata un’altra esperienza importante».

Ha seguito anche la chiusura del manicomio triestino? Ed è tornata in quelli di Gorizia, Parma e Firenze?

«No. Con l’appoggio di Basaglia abbiamo lavorato sul tema per sei mesi fotografando a Gorizia, Parma, Firenze e Ferrara. Lo scopo era fare un’azione di rottura, scuotere le coscienze, mostrare qualcosa che i più non conoscevano e inconsciamente non volevano conoscere. Questa consapevolezza, almeno per me, è venuta dopo essere entrata per la prima volta in un ospedale psichiatrico. Prima c’era soltanto l’idea di fotografare qualcosa di estremo, una realtà drammatica e sconosciuta che ci veniva concesso di avvicinare».

Quelle foto hanno influenzato la sua attività di fotografa e poi di scrittrice?

«Non credo. Ma è stata sicuramente un’esperienza umana e professionale importantissima, non foss’altro perché mi ha dato l’occasione di conoscere persone straordinarie come Basaglia e sua moglie Franca Ongaro, Mario Tommasini, Leo Nahon e tanti altri che sarebbe lungo elencare».

giovedì 20 novembre 2008

RAMPINI


C'è un Paese che sembra sul punto di crollare. Zavorrato da un’economia malata, una politica mai all’altezza, una scuola disastrata, una ricerca su cui non si investe, un sistema bancario inefficiente, una burocrazia che... Si potrebbe continuare a lungo, enumerando i mali alla base della crisi italiana. Ma c’è chi preferisce parlare di ricette per batterla, la crisi. Con «Centomila punture di spillo» (Mondadori, pagg. 318, euro 17), l’editore Carlo De Benedetti e il giornalista Federico Rampini - assieme a Francesco Daveri - raccontano come, secondo loro, è possibile uscire dal tunnel.

«Le centomila punture di spillo che ognuno di noi può fare - spiega Rampini, corrispondente di ”Repubblica” da Pechino, ma nelle settimane scorse inviato negli Stati Uniti per seguire la crisi finanziaria e l’elezione di Obama - sono tante: ciascuna dipende dalla nostra situazione, dall’attività, dal fatto se uno è giovane o no...».

Cominciamo dai giovani.

«Nelle scelte di studio devono fare uno sforzo per aprirsi sul resto del mondo. È importante integrare nel percorso di studio l’apprendimento di varie lingue straniere, con esperienze di studio e lavoro all'estero. Devono allungare lo sguardo verso nuove frontiere di sviluppo».

Una riforma dal basso è davvero possibile?

«È dimostrato che si può fare. Ci sono paesi che hanno conosciuto fasi di forte declino e poi sono ripartiti, in una sorta di rinascimento della loro storia. Lo hanno fatto perchè hanno avuto classi dirigenti migliori delle precedenti, ma anche grazie a uno sforzo della società civile. Un po’ come il miracolo della ricostruzione del nostro dopoguerra: anche allora c’era mediocrità nel ceto politico, ma lo sforzo corale della società, partendo da una situazione più difficile dell'attuale, è stato fondamentale».

Quali sono i pesi che zavorrano la nostra economia?

«Da decenni una scarsa modernizzazione delle infrastrutture, il decadimento della scuola e dell’università, il peso della burocrazia, una giustizia civile che non funziona».

Anche quella penale non scherza.

Certo, ma incide più sul senso di sicurezza che non c’è. C’è invece una logica mafiosa che non è solo quella di Gomorra, che ha pervaso tanti settori della vita italiana: strade e carriere vengono decise secondo logiche di clan e obbedienza. I mediocri avanzano, e i migliori vanno all'estero».

La scuola?

«Occorre un esame di coscienza collettivo. Gli errori del governo sono evidenti, ma le colpe vanno distribuite fra insegnanti, famiglie e studenti. C’è una complicità di sistema. E con la logica delle promozioni facili non si va da nessuna parte».

Il crollo finanziario è arrivato a libro scritto.

«Sì, ma confermo tutto: avevamo chiaro da un anno cosa stava succedento, i segnali c'erano tutti, il libro include già la crisi finanziaria e quel che è successo. Guardiamo già al mondo di domani. Mi stupisce piuttosto lo stupore di certi dirigenti e ministri, che fanno finta che tutto sia successo negli ultimi mesi. Ma a Davos, a febbraio, già si parlava di recessione mondiale, di banche che potevano fallire».

Il libro si chiude con una nota di ottimismo: da dove lo trae?

«Dalla vita che faccio all'estero, da cinque anni a Pechino e prima in California. In Asia ho visto un miglioramento in quantità e qualità della presenza italiana: dalle imprese che trattano energie verdi e risparmio energetico fino a chi ha lo ”know how” per il restauro dei centri storici. L’immagine dell’Italia è sempre forte nel mondo, anche nei paesi emergenti».

I mali italiani?

«Assistenzialismo, statalismo, dirigismo e protezionismo. Ma nel libro non c’è polemica con la politica italiana: indichiamo le cose che possiamo fare nella vita quotidiana per preparare la rinascita del Paese».

Su cosa puntare?

«Sulla tutela dell’ambiente, che è un dovere ma anche un’opportunità e un investimento altamente redditizio, creatore di posti di lavoro. E poi dobbiamo guardare alla sponda sud del Mediterraneo come alla nostra Cina. Le economie emergenti più vicine sono ricche di opportunità per noi. La società multietnica è un arricchimento...».

E Obama?

«Ha alcune emergenze da affrontare, deve tamponare la crisi. Ma ha in mente cantieri di riforma di lungo termine: modernizzazione delle infrastrutture, investimento in energie rinnovabili, istruzione, sanità. Può farcela, può invertire la tendenza. Obama è un catalizzatore di energie individuali, lui stesso è già il risultato di centomila spunture di spillo».

mercoledì 19 novembre 2008

BATTIATO A TS


Franco Battiato per due sere al Politeama Rossetti, il 13 e 14 febbraio. Sognando un ritorno nel maggior teatro triestino di Ligabue in versione acustica. E persino il debutto - almeno per quanto riguarda il Rossetti - nientemeno che di Claudio Baglioni.

Ma andiamo per ordine. Di sicuro, per ora, nella programmazione musicale dello Stabile regionale, c’è solo la doppia data del cantautore e musicista siciliano, che ha appena pubblicato «Fleurs 2», il suo secondo album di cover dopo «Fleurs» e «Fleurs 3». Sì, avete letto bene: il terzo capitolo, nel 2002, era arrivato prima del secondo ed era destinato a chiudere un immaginario trittico, saltando un gradino, perchè, spiegava Battiato, «assecondando la consequenzialità dei numeri si apre una serie infinita».

L’uomo deve evidentemente aver cambiato idea, visto che ora ha realizzato questa nuova raccolta, che comprende cover come «Sitting on the dock of the bay» di Otis Redding, «Il carmelo di Echt» di Juri Camisasca, «Era d’estate» di Sergio Endrigo, «It’s five o’clock» degli Aphrodite’s Child, «Bridge over troubled water» di Simon & Garfunkel e «Il venait d'avoir 18 ans» di Dalida. Unico inedito: «Tutto l’universo obbedisce all’amore», duetto con Carmen Consoli.

Il disco sarà presentato il 12 dicembre al Teatro dell'Opera di Roma. Con Battiato, sul palco, ci saranno Manlio Sgalambro, Carlo Guaitoli (pianoforte), Davide Ferrario (chitarre), Angelo Privitera (tastiere e programmazione) e il Nuovo Quartetto Italiano, formato da Alessandro Simoncini e Luigi Mazza (primo e secondo violino), Demetrio Comuzzi (viola) e Luca Simoncini (violoncello). Probabilmente la stessa formazione con cui si presenterà nel tour italiano che a febbraio farà tappa a Trieste.

Ma come si diceva, il 2009 potrebbe portare al Rossetti altri due pezzi da novanta. Innanzitutto Ligabue, già visto negli anni scorsi sia al PalaTrieste che nello stesso Politeama, rispettivamente in versione elettrica e acustica. Il rocker di Correggio - l’unico che insidia al Vasco nazionale numeri da record negli stadi della penisola - si è un po’ innamorato della dimensione teatrale, più raccolta e dunque più meditata, per proporre al pubblico i suoi spettacoli. Dunque d’estate negli stadi, d’inverno nei teatri. Ecco allora in arrivo un tour teatrale invernale, che però si scontra con problemi di date: il management del Liga chiede la disponibilità del teatro (per almeno due serate) fra febbraio e marzo, periodo in cui la programmazione dello Stabile lascia pochissimi spazi vuoti. Da viale XX Settembre c’è stata un’offerta per aprile o maggio. Si vedrà.

Discorso analogo per Baglioni, che ha cantato diverse volte, anche recentemente, a Trieste, ma mai al Rossetti. Lo Stabile sta trattando per organizzare quello che sarebbe un vero e proprio debutto teatrale triestino, ma le difficoltà - dal poco che è dato sapere - sembrano notevoli. Superiori a quelle legate alla venuta di Ligabue.

In attesa di saperne di più, ricordiamo quali sono i maggiori appuntamenti dal vivo nella nostra zona per le prossime settimane. Sabato 6 dicembre a Padova e domenica 7 a Conegliano concerto di Zucchero, mercoledì 10 dicembre sempre a Conegliano arriva Jovanotti, venerdì 12 dicembre al palasport di Pordenone ritorna Francesco Guccini, giovedì 18 dicembre al Palaverde di Treviso tocca ai Negramaro, domenica 28 dicembre al Nuovo di Udine concerto di fine anno con Antonella Ruggiero, domenica primo febbraio al palasport di Pordenone suonano i Sonohra (che il giorno prima, sabato 31 gennaio, sono al palazzo del turismo di Jesolo), venerdì 13 febbraio al Nuovo di Udine si esibisce Mango, sabato 21 febbraio al Palaverde di Treviso fa tappa il tour degli Oasis, martedì 31 marzo al palasport di Pordenone concerto dei Nightwish.

domenica 16 novembre 2008

GIUSY FERRERI Questa è la storia di una fiaba. La fiaba di una cassiera di supermercato con la passione per la musica - ma dotata anche di una voce coi controfiocchi - che nello spazio di una sola stagione debutta in televisione a «X Factor», non vince ma in certi casi arrivare primi o secondi non fa molta differenza, poi firma con «Non ti scordar mai di me» il tormentone dell’estate musicale 2008 (autore Tiziano Ferro, tre dischi di platino con il mini-cd) e ora arriva nei negozi con il suo primo, a questo punto attesissimo, album.

Per vivere il suo sogno musicale Giusy Ferreri - vero nome Giuseppa, nata a Palermo nel ’79 e trapiantata al nord - si era messa in aspettativa dal lavoro al supermercato Esselunga di Corbetta, provincia di Milano. Il periodo di assenza dal lavoro scadeva nei giorni scorsi, praticamente in concomitanza con l’uscita del disco. E lei, ormai una piccola grande star con tanto di copertine dei settimanali a lei dedicate in bacheca, mica firma la lettera di dimissioni... No, va dal datore di lavoro e contratta l’allungamento del periodo di aspettativa. Altri sette mesi, fino a giugno, non si sa mai. «Il mercato discografico è in crisi - riflette a voce alta la cantante -, di dischi se ne vendono sempre meno. E metti che il mio ne venda pochi, che faccio? Meglio tenersi aperta una via di fuga. Magari non più come cassiera ma con un lavoro in ufficio...».

Questo per capire la persona, equilibrata e umile e con i piedi ben piantati per terra, di cui parliamo. Una senza grilli per la testa, nonostante il successo appena assaporato. Una che intitola «Gaetana» (Sony Bmg), dedicandolo alla nonna siciliana (settantaquattro anni ma con un grande spirito rock: jeans e stivali, e continui viaggi a Milano per incontrare la nipote...), il suo primo album.

Quando è apparsa a «X Factor» - raro esempio di televisione utile per la musica, non fosse altro per il fatto che ci ha fatto scoprire Giusy e altri giovani promettenti - la ragazza ha colpito tutti, oltre che per la voce, per la grinta e la personalità, che hanno spinto alcuni a paragoni con Amy Winehouse.

Ora la Ferreri si rivela anche autrice poetica e ironica di quattro delle canzoni dell’album. Tiziano Ferro non l’ha abbandonata: è produttore artistico del disco, firma il testo di «Il sapore di un altro no», su musica di Sergio Cammariere, ed è l’autore anche di «L’amore e basta» («...e sfido la vita sempre a testa bassa, perchè per me conta solo l'amore e basta...»), in cui duetta con la cantante.

Fra gli altri brani «Novembre», singolo di lancio dell’album, con annesso video ad alta programmazione, ma anche «Cuore assente» e «La scala», firmate dalla cantautrice e produttrice americana Linda Perry (il sogno di Giusy era lavorare con lei: Tiziano Ferro lo ha realizzato...). E ancora «Pensieri», «In assenza»,«Piove» e «Il party», che Giusy Ferreri aveva già inciso tre anni fa proprio col nome d'arte Gaetana. Canzoni nelle quali l’artista alterna il lato intimista e quello trasgressivo. Convincendo con entrambi.


TIZIANO FERRO Ma in queste settimane Tiziano Ferro non si limita ovviamente a tenere a battesimo la sua protetta Giusy Ferreri. È appena uscito anche il suo quarto album, intitolato «Alla mia età» (Emi Capitol): dodici canzoni nuove, due delle quali scritte con Ivano Fossati e Franco Battiato (rispettivamente «Indietro» e «Il tempo stesso»), per tratteggiare una personalità giovane ma già ben definita. Non dimentichiamo che in pochi anni (il suo primo album è del 2001) Ferro è passato dallo status di sconosciuto emergente di belle speranze a star della musica italiana e internazionale. Fa infatti parte del ristretto drappello di cantanti di casa nostra che godono di notorietà anche fuori dai confini nazionali.

Ora il ventottenne cantante e autore nato a Latina - da qualche tempo con residenza a Londra - sforna un lavoro dal taglio dichiaratamente autobiografico, quasi un'autoanalisi in bilico fra intimismo ed emotività. «L'album - dice l’artista - è certamente la fotografia più coerente di quello che sto scrivendo. Le insicurezze ma anche le sicurezze, i timori e le gioie. Insomma è un lavoro in equilibrio. Di una cosa sono certo, però: voglio dare un messaggio positivo, se c'è un aspetto interiore non c'è tristezza. Sono stato ispirato dalla mia vita, ho sentito l'urgenza di scrivere forte del quotidiano».

L’album è uscito in contemporanea in 42 paesi: praticamente mezzo mondo. E fra i brani c’è anche «La paura non esiste», titolo regalato a Tiziano Ferro dall’amica Laura Pausini.

Dal 18 aprile, partenza da Rimini, l’artista sarà in tour. «Vorrei riuscire a realizzare uno spettacolo che intrattenesse in maniera ilare gli spettatori. Non voglio riempirlo di ”poesia”. Desidero sia un momento di distrazione e che chi è venuto possa dire di essersi divertito per un paio d'ore. Non vorrei essere frainteso ma mi piacerebbe fare un pò un circo, essere un circense, e che poi i fan cantino e ballino...».


DOORS Un inedito disco «live» dei Doors, estratto da due concerti che il gruppo tenne al Matrix di San Francisco nel marzo del 1967, poche settimane prima dell'uscita del singolo «Light my fire», che li rese famosi in tutto il mondo. È il regalo per tutti i fan di Jim Morrison e compagni che arriva nei negozi in questi giorni. L'album è composto da un doppio cd, nel quale sono presenti gran parte dei brani dell’album «The Doors», che segnò esordio del gruppo di Jim Morrison, e alcune tracce del secondo album, «Strange days». Ray Manzarek, membro fondatore della band, racconta così quei lontani concerti: «Li abbiamo fatti nei primi mesi del 1967, quando i Doors stavano per entrare nella coscienza della nazione». E il produttore del «Live at the Matrix», Bruce Botnick, aggiunge:«Questo disco è probabilmente il miglior documento che abbiamo prima che tra i Doors iniziassero i contrasti». Una stagione breve, ma che segnato profondamente la storia della musica rock.


MANNOIA Dieci canzoni che comunicano la necessità di aprirsi all'altro, la bellezza dell'essere diversi, le emozioni che la musica è ancora in grado di suscitare. È «Il movimento del dare», il nuovo disco di inediti di Fiorella Mannoia, che arriva a ben 7 anni di distanza dal precedente studio album. Scritto dalla coppia Battiato/Sgalambro, il brano che dà il titolo al disco è un invito esplicito a imparare dagli altri per capire la realtà che ci circonda: «È necessario comprendere - dice la cantante - che non esiste solo il pensiero occidentale o quello cattolico. Oggi il mondo ci impone il confronto con altre culture e bisogna considerare la società multirazziale come qualcosa che può arricchirci invece che penalizzarci. Non si possono insomma discriminare gli stranieri in quanto tali, perchè si rischia di ripetere gli episodi di razzismo che, in passato, sono stati costretti a subire anche gli emigranti italiani in paesi come la Germania». Le canzoni del cd sono state scritte da alcuni dei più importanti musicisti italiani: da Ligabue a Pino Daniele, da Battiato a Tiziano Ferro (anche in duetto con la cantante), dall'amico di sempre Ivano Fossati fino a Jovanotti.


 

sabato 15 novembre 2008

FILM ZAMPAGLIONE


TARVISIO Federico Zampaglione come Ligabue, diviso fra rock e cinema. Il leader dei Tiromancino è infatti da qualche giorno in Friuli, impegnato nelle riprese del suo secondo film da regista. Dopo l’esordio dietro la macchina da presa due anni fa con «Nero familiare», ora l’artista sta girando «The shadow», assieme alla sua compagna, l’attrice Claudia Gerini.

Dopo aver svolto il casting e il primo ciak negli Stati Uniti, ora la troupe è a Tarvisio, dove si stanno girando alcune scene del film. Una storia che mescola thriller e horror, racconto di guerra e azione. Sulla trama tutti stanno piuttosto abbottonati. Pare comunque che sia la storia di un giovane americano, reduce dall’Iraq, che parte per l’Europa per cercare un misterioso percorso di biking. Lo scontro con due cacciatori per difendere una ragazza dà il via a un inseguimento nelle zone più oscure del bosco, dove aleggiano antiche leggende e segreti inquietanti. A un certo punto i protagonisti si perdono in questo bosco, che è quello millenario di Tarvisio. «Un messaggio contro la guerra», dicono i produttori. E temi molto duri e attuali, che vogliono far riflettere lo spettatore. Quasi una sfida, rispetto ai canoni del cinema italiano, che ha ottenuto l’interesse degli americani.

Il film, una coproduzione italoamericana con un budget elevato, viene girato in lingua inglese e ha un cast internazionale. Per Zampaglione - che a Sanremo quest’anno ha cantato la precarietà del lavoro con «Rubacuore» - un rilancio cinematografico.

lunedì 10 novembre 2008

MIRIAM MAKEBA


CASERTA La cantante sudafricana Miriam Makeba è morta nella clinica Pineta Grande di Castel Volturno dove era stata trasportata l’altra notte dopo essere stata colta da un malore, al termine della sua esibizione al concerto anticamorra e contro il razzismo dedicato allo scrittore Roberto Saviano, tenutosi a Castel Volturno. Aveva 76 anni. L'artista aveva accusato un malore subito dopo aver concluso il concerto.


Mama Africa è spirata nell’ospedale dove da anni si registra il maggior numero di nascite di figli di extracomunitari. Se n’è andata sul campo di battaglia, in prima linea, proprio come aveva sempre vissuto. Un’esistenza intera spesa sul fronte della lotta per i diritti civili, contro l’apartheid e ogni razzismo. Un’esistenza il cui ultimo atto è stato cantare a un concerto organizzato per esprimere solidarietà a uno scrittore che vive braccato dalla criminalità organizzata. Un concerto contro tutte le ingiustizie. In una città dove due mesi fa la camorra ha ucciso per strada sei extracomunitari.

Nelson Mandela l’ha definita la «madre» della nazione sudafricana. «Era la first lady sudafricana della canzone e merita il titolo di Mamma Africa: è stata la madre della nostra lotta e della nostra giovane nazione», ha scritto il Premio Nobel per la Pace in un messaggio. Di certo è stata un’artista sempre al fianco dei più deboli, dei quali è stata capace di essere la voce. Ha usato la musica e la canzone per esprimere messaggi di libertà e sostenere battaglie di civiltà.

Miriam Zenzi Makeba era nata a Johannesburg il 4 marzo del 1932, quando in Sudafrica imperava la segregazione razziale più dura. Musicalmente è stata a lungo considerata una grande anticipatrice. All’inizio della carriera assieme al primo marito, il musicista Hugh Masekela (nel ’68 avrebbe poi sposato l’ex leader delle Pantere Nere, Stokely Carmichael), in un secondo momento al fianco del grande Harry Belafonte. Seppe coniugare la musica tradizionale dell’amato Sudafrica assieme al jazz e al pop, ben prima che il mondo conoscesse le nuove tendenze che vanno sotto il nome di world music.

«Pata Pata» è rimasto, a distanza di tanti anni, il suo successo più grande e popolare. Ma tutta la sua discografia è ricca e piena di perle rare. Nel ’66 è stata premiata con il Grammy Award per l'album «An evening with Belafonte/Makeba». All’epoca viveva già negli Stati Uniti, e il governo del suo paese - mentre Mandela stava in carcere - nel 1960 le aveva revocato la cittadinanza e ritirato il passaporto. La sua colpa? Aver denunciato alle Nazioni Unite la situazione di apartheid e la politica razzista che toglievano pace e libertà e giustizia al Sudafrica. In quel ’60 la cantante partecipò con il documentario anti-apartheid «Come back, Africa» alla Mostra del Cinema di Venezia. E decise di non tornare più a casa.

Negli anni successivi la Makeba ha vissuto in Europa, negli Stati Uniti e in Guinea. Musicalmente ha sempre mantenuto la sua carriera a ottimi livelli qualitativi, con dischi e concerti in tutto il mondo. Nell’87 ha partecipato alla tournèe «Graceland» con Paul Simon, nel ’90 ha partecipato al Festival di Sanremo in coppia con Caterina Caselli, nel ’92 ha fatto parte del cast del musical «Sarafina». Nell’aprile di quest’anno aveva cantato anche a Pordenone, a chiusura della rassegna «Dedica» per Nadine Gordimer.

Nel suo Sudafrica è tornata dopo trent’anni di esilio nel 1990, invitata da Nelson Mandela - che come lei appartiene all'etnia xhosa per parte di padre: la madre della cantante era invece una sangoma di etnia swazi - ormai uscito dalla galera e diventato presidente. Per l’occasione ebbe un’accoglienza degna di una regina. Anzi, di più. Quella che si doveva a Mama Africa.

venerdì 7 novembre 2008

OBAMA


Obama primo leader politico figlio della new economy. Obama che oggi non sarebbe il primo presidente nero degli Stati Uniti se non ci fosse stato il web. Obama aiutato nell’ascesa dal suo indubbio carisma da rockstar. Obama il cui programma politico è la storia della sua vita...

Tutte sfaccettature che da quarantotto ore vengono rilanciate e analizzate sui giornali e dai commentatori di mezzo mondo. Giuliano da Empoli, trentacinquenne di talento con sette libri già in bacheca, è forse il massimo conoscitore italiano di Barack Obama. Gli ha anche dedicato un libro, uscito per Marsilio due mesi fa: «Obama, la politica nell’era di facebook» (pagg.160, euro 12). Nel quale ricostruisce l’ascesa di colui che cinque anni fa era un semplice membro dell’assemblea statale dell’Illinois («l’equivalente di un consigliere regionale del Piemonte...», chiosa lo scrittore) e che col voto dell’altro giorno, oltre a diventare capo della massima potenza mondiale, è entrato nella Storia.

«Obama l’ho scoperto tre anni fa in tivù - ricorda Giuliano da Empoli, che nel ’96, quando esordì con «Un grande futuro dietro di noi, fu accolto come un autentico enfant prodige - grazie a un mio amico che fa il curatore d’arte a Chicago, e che mi aveva segnalato l’ascesa di questo nuovo leader politico. Nel 2004 lui aveva già tenuto il discorso di apertura alla convention dei democratici che aveva candidato Kerry, ma in Italia non lo conosceva nessuno. Forse nemmeno Veltroni...».

Si aspettava un successo di queste dimensioni?

«Via via che ci si avvicinava al voto, sì. Da noi è stato percepito come un ufo. Un nero presidente degli Stati Uniti? Non ci credeva nessuno, nemmeno a sinistra. Lui invece ha vinto perchè ha portato in politica le trasformazioni della società americana dell’ultimo quarto di secolo. La sua vittoria non nasce solo dalla delusione per Bush, ma ha radici più profonde».

Figlio della new economy. Perchè?

«Analizzandolo con le vecchie categorie della politica americana, è un fenomeno che non si comprende. Negli Usa ci sono i partiti, le lobby, le grandi famiglie. La new economy ha invece prodotto negli ultimi anni fenomeni come Google, l’avventura di due ragazzi partiti da un garage che hanno costruito un impero. È da quel mondo, da quel tipo di avventure velocissime che nasce il fenomeno Obama. Un perfetto sconosciuto, un outsider che in pochi anni si fa conoscere, trova i fondi necessari, assembla le intelligenze e le professionalità giuste. E diventa presidente».

Senza internet sarebbe stato impossibile.

«Certo. Ma gli Stati Uniti ci hanno abituati all’irrompere dei nuovi media: un tempo la radio, poi la tivù, oggi la rete. Che viene usata da tutti. Lo stesso McCain, nonostante l’età, ne fu un precursore, quando nel 2000 contese la nomination a Bush. La novità con Obama è che non usa internet solo per comunicare qualcosa agli altri: lui ha permesso ai suoi sostenitori di comunicare fra loro, creando un movimento dal basso che è stato fondamentale, a lui che viene dal volontariato, per reperire i fondi economici. Poi ha lasciato lo strumento nelle mani della base: un rischio che un politico tradizionale non avrebbe mai corso».

Quanto ha contato il carisma da rockstar?

«Molto. Nello show business le barriere razziali sono cadute da un pezzo. Di quel mondo lui ha preso la dimensione del sogno, come già aveva fatto Kennedy, giovane e prestante come lui, e l’ha trasferita in politica. Senza questa dimensione la sua avventura forse non sarebbe stata possibile. A un certo punto gli è stata anche utilizzata contro da McCain, con qualche contraccolpo nei sondaggi, e lui ha dovuto rallentare. Ma all’inizio, nell’ascesa, gli è servito molto».

Michelle fondamentale.

«Assolutamente. Con una doppia funzione. Lei che viene dal ghetto di Chicago gli ha dato le radici nere che non aveva ma che cercava, come dimostra l’esperienza di volontariato nei quartieri neri. Con cui lui non c’entrava nulla, cresciuto com’è fra le Hawaii e l’Indonesia. E poi, a lui figlio di un padre che aveva avuto otto figli da quattro donne diverse, lei ha dato la solidità di una coppia e di una famiglia. Che negli Stati Uniti è importante».

Come la fede. E con Obama Dio non è più repubblicano...

«I cattolici stavano con Bush, ora hanno votato Obama. Mentre i protestanti sono ancora con i repubblicani, ma in misura minore. La novità di Obama è che parla apertamente dell’importanza della religione, della fede nell’attività politica, mentre i democratici avevano una tradizione più laica. Del resto lui ha forti radici nella religione. Dai predicatori neri ha preso lo stile, l’oratoria, le metafore».

Per il programma ha attinto invece dalla sua vita.

«È un’altra sua particolarità. Basti pensare che a trent’anni aveva già scritto la sua autobiografia. Sì, il programma di Obama è Obama. Si tratta di un’arma retorica molto efficace, usata ben sapendo che il racconto biografico è molto più efficace di un programma, in una società e per una generazione narcisista dove tutti si raccontano, fra blog, siti e social network».

Quarant’anni dopo Bob Kennedy e Martin Luther King, e 45 dopo John Kennedy, Obama oggi rischia la vita?

«Purtroppo sì. Gli Stati Uniti sono pieni di armi, e ci sono questi gruppi di fanatici militarizzati molto pericolosi. Ma il rischio è preso sul serio: già nel discorso della vittoria ho visto che Obama era molto più protetto che nella campagna elettorale. Rimane un forte elemento di preoccupazione».

E in Italia?

«La forza del segnale di Obama è che tutto è possibile. E il contrasto con la realtà italiana è netto. La partita va giocata in positivo, non con il lamento. Obama vince perchè offre una promessa, la realizzazione del sogno americano secondo il quale tutto è possibile».

«Le cose si muovono - conclude Giuliano da Empoli - quando qualcuno porta innovazione in termini di messaggio, contenuti, tecnologia. Ma le trasformazioni della società italiana non sono ancora state portate in politica. L’ultimo che l’ha fatto è stato Berlusconi, ma solo nella fase iniziale, ormai quattordici anni fa. Il prossimo che riesce a farlo vince. Ma a questo punto ci vuole un outsider. Com’era fino a ieri Barack Obama».


 

lunedì 3 novembre 2008

GORIZIA TU SEI MALEDETTA


La Grande Guerra per noi fu anche quella dei seicentomila morti. Seicentomila giovani vite umane sacrificate sull’altare della patria. La battaglia di Gorizia - agosto 1916 - costò da sola un prezzo terribile: oltre cinquantamila soldati per parte italiana, quasi altrettanti sul versante austriaco. Un autentico massacro, secondo gli storici.

Un massacro, un macello a cui venne mandata la gioventù dell’epoca, che valse alla città isontina l’attributo di «maledetta» in una canzone della grande tradizione antimilitarista. «Oh Gorizia tu sei maledetta, per ogni cuore che sente coscienza, dolorosa ci fu la partenza, e il ritorno per tutti non fu...».

Pare che la versione originale fosse stata raccolta, qualche anno dopo i tragici fatti, da un testimone che affermò di averla ascoltata dai fanti che conquistarono la città il 10 agosto 1916. Ma il brano si innestava su moduli di tradizione popolare risalenti a una manciata di anni prima: una strofa è infatti simile a un’altra cantata dei tempi della guerra di Libia.

Fra le tante canzoni contro la guerra, «Oh Gorizia tu sei maledetta» è diventata nel corso del Novecento una delle più conosciute, quasi un simbolo dell’antimilitarismo e del pacifismo italiano.

Ciò un po’ per i toni drammatici e incisivi dei versi, nella ferma e dura condanna della violenza e della guerra, resa più amara dalla sottolineatura di classe, sulla differenza fra ufficiali («Traditori signori ufficiali, che la guerra l’avete voluta, scannatori di carne venduta e rovina della gioventù...») e soldati semplici («Raccomando ai compagni vicini di tenermi da conto i bambini, che io muoio invocando il suo nom...»).

Ma la fama del brano nasce anche dal vero e proprio scandalo avvenuto nel giugno 1964 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nel corso dello spettacolo «Bella ciao», nel quale il Nuovo Canzoniere Italiano proponeva un programma di canzoni popolari e canti della gente comune. Quando Michele L. Straniero e Fausto Amodei, Roberto Leydi e Giovanna Marini cominciarono a cantare i versi di «Gorizia» - recuperata dagli studiosi della musica popolare che si erano raccolti in quella formazione - tutto filò via tranquillo fino al verso «Traditori signori ufficiali...».

Lì scoppia il finimondo. «Un tumulto - come racconta trent'anni dopo lo stesso Straniero - provocato da chi esige l'interruzione dello spettacolo. I dissenzienti non vogliono intendere ragioni: Gorizia non si tocca, la Grande Guerra nemmeno. Questi qui sono una banda di comunisti, il festival è caduto in mano ai rossi, bisogna farli tacere e cacciarli via».

Ancora Straniero: «Un facinoroso particolarmente acceso tenta la scalata al palco: ma Giovanna Marini, già alta e imponente di suo come una matrona romana, lo ferma di botto levandogli sul capo la sua superba e preziosa mandòla. In un palco Giorgio Bocca, tra i sostenitori più convinti, ribatte da par suo a una "carampana" che squittisce dissenso. Dal fondo della sala una voce stentorea proclama: "Signori ufficiali, attenti!"...».

Ufficiali scandalizzati dalla visione assai poco eroica della «guerra vittoriosa». Ufficiali che quel giorno abbandonarono la sala assieme alle autorità. Lo spettacolo venne sospeso. E pochi giorni dopo gli artisti vennero denunciati per vilipendio alle forze armate.

Questo era il clima all’inizio degli anni Sessanta nel nostro Paese. Nei quarant’anni che son passati, soprattutto Giovanna Marini ha mantenuto viva - negli spettacoli e nei dischi - la tradizione di «Gorizia» (questo è ormai diventato il titolo della canzone).

E recentemente anche il gruppo goriziano ’Zuf de Zur - che attinge alle tradizione multietnica di queste terre - ne ha realizzato una versione originale e convincente.

domenica 2 novembre 2008

SHEL


Se è vero che un Paese può essere raccontato anche attraverso la sua musica, «Sarà una bella società» di Shel Shapiro - domani e mercoledì al Comunale di Monfalcone, poi in giro per la regione fino a domenica - è un manuale perfetto di quarant’anni di storia italiana e non solo italiana. Una storia illustrata attraverso canzoni che, fra sentimenti e avvenimenti, fanno da sfondo alla grande trasformazione sociale e culturale cominciata negli anni Sessanta.

«Sarà una bella società, fondata sulla libertà, però spiegateci perchè se non pensiamo come voi, ci disprezzate, come mai...?», cantava nel ’66 Shel Shapiro con quel suo caratteristico accento inglese che oltre quarant’anni in Italia non hanno ancora cancellato. Il gruppo era quello dei Rokes, quattro ragazzi britannici che avevano trovato l’America qui da noi.

La canzone era «Che colpa abbiamo noi», versione firmata Mogol di «Cheryl’s going home» di Bob Lind. Col suo sapiente mix di contestazione e vittimismo, e grazie al ritornello orecchiabile, divenne il manifesto del beat italiano. Ma forse anche della contestazione che stava sbocciando.

Oggi quel verso torna come titolo di uno spettacolo - scritto dal giornalista Edmondo Berselli, debutto al Mittelfest 2007 - che racconta lo spirito di un’epoca attraverso lo strumento popolare della canzone e affidandosi a un uomo-icona degli anni Sessanta. «I Sessanta – spiega Berselli - sono un decennio “seminale”, in cui sembra essersi concentrata una creatività, un’energia sociale, ma anche intellettuale, culturale, comportamentale, davvero irripetibile. Se pensiamo all’America di Bob Dylan, a una voce mai sentita prima che annuncia il tempo nuovo, che investe i grandi raduni civili e politici dell’età kennediana e post-kennediana, abbiamo una fotografia suggestiva del cambiamento».

Speranze, sogni, illusioni di ieri; certezze, amarezze, disillusioni di oggi. Shapiro (vero nome: David) in tutti questi anni ha lavorato nella musica come autore e produttore, ma anche come attore.  Accompagnato dalla sua band (Alessandro Giulini tastiere, fisarmonica e voce; Daniele Ivaldi chitarre; Luigi Mitola chitarre e mandolino; Mario Belluscio basso, Ramon Rossi batteria e percussioni), nello spettacolo - e nel disco omonimo che è stato pubblicato da Edel/Promo Music - Shel alterna alcuni fra i pezzi più celebri della storia del rock e del pop ai suoi più famosi successi, per raccontare la sua storia e i cambiamenti della nostra società, citando Elvis e Beach Boys, Beatles e Rolling Stones, Dylan e Hendrix.

Come si diceva, «Sarà una bella società» va in scena domani e mercoledì al Comunale di Monfalcone, aprendo la stagione, e poi giovedì allo Zancanaro di Sacile, venerdì al Pasolini di Casarsa, sabato al Verdi di Maniago e domenica al Candoni di Tolmezzo.

Ma la stagione di Monfalcone ha già in programma un altro grande protagonista della musica italiana: martedì 11 novembre Eugenio Finardi presenta infatti lo spettacolo «Il cantante al microfono», dedicato al poeta e cantautore russo Vladimir Vysotsky.