sabato 28 febbraio 2015

SANTA MARGARET stasera a Tricesimo, Udine

Arriva nel Friuli Venezia Giulia una delle band più interessanti del nuovo rock italiano. Stasera alle 21, all’Interstate Studio di Tricesimo (Udine), suonano infatti i Santa Margaret. La band nasce a Milano dall’incontro fra la cantautrice Angelica Schiatti e il chitarrista Stefano Verderi, ai quali si sono poi aggiunti il tastierista Leonardo Angelicchio, il bassista Ivo Barbieri e il batterista Marco Cucuzzella. In questo tour, presentano i brani del loro ep d’esordio intitolato “Il suono analogico cova la sua vendetta Vol.1”. Il disco è disponibile solo in vinile, in free digital download e su tutte le piattaforme streaming, ed è una sorta di assaggio del primo album ufficiale, in uscita nei prossimi mesi. La loro ricetta mischia rock, blues e canzone d’autore degli anni Sessanta/Settanta, senza però indulgere sull’effetto nostalgia. «Il computer - dicono i Santa Margaret, che l’anno scorso hanno aperto i concerti dei Deep Purple e di Beth Hart - ha modificato radicalmente il nostro modo di produrre e di ascoltare la musica, ha reso tutto più facile, ma anche più freddo. Registrare su nastro a 24 tracce ti pone nella condizione mentale del “buona la prima”, perché è molto più difficile correggere un errore, o fare dei copia/incolla di parti come si fa con il computer». Ancora la band: «Devi arrivare in studio già con le idee molto chiare su tutte le parti e gli arrangiamenti; e non puoi neanche sovraincidere troppe volte sullo stesso nastro perché rischi di compromettere la qualità della registrazione. Abbiamo fatto parecchi mesi di sala prove per arrivare pronti alle registrazioni. Ovviamente sono stati usati solo strumenti veri e vintage, nessun campionamento, nessuno strumento Midi». Fra i brani del disco spiccano “Riderò” e “Vieni a gridare con me”, che fanno parte della colonna sonora del recente film di Aldo Giovanni e Giacomo “Il ricco, il povero e il maggiordomo”. Ma ci sono anche “La strada”, “Insonnia”, “Comincia tu” e “Oltre al limite”.

venerdì 27 febbraio 2015

HYSTERIA, nuovo video dei 2CELLOS girato nel manicomio di Pola

Ospedale psichiatrico di Pola. Lo sloveno Luka Šulic’ e il croato Stjepan Hauser fingono di essere due ricoverati. Armati di violoncello rileggono il vecchio successo dei Muse “Hysteria”. Fra camicie di forza, psicofarmaci, occhiaie, sguardi allucinati. Visto dalla città della rivoluzione basagliana, il nuovo video dei 2Cellos mette quasi i brividi... Ma la cavalcata del duo prosegue. Il tour americano è appena partito da Minneapolis, dopo un trionfale concerto a Londra, allo “O2 Shepherd’s Bush Empire”. Quest’estate li rivedremo in Italia, con tappa domenica 2 agosto a Tarvisio, al No Borders Music Festival. “Celloverse” è il titolo del nuovo album, appena pubblicato: il terzo in carriera dopo i vendutissimi “2Cellos” del 2011 e “In2ition” del 2013, autoprodotto anche nella scelta degli arrangiamenti. L’album - subito entrato in classifica in mezzo mondo - è disponibile nell’edizione standard con tredici brani e in quella deluxe, che comprende anche un dvd con sette video. Nell’album - “il più sperimentale e innovativo della nostra carriera”, dicono - ascoltiamo “The trooper (Ouverture)” (ovvero l’Ouverture del “Guglielmo Tell” di Rossini che si trasforma in “The trooper” degli Iron Maiden, violoncelli come chitarre elettriche) e “I will wait” del gruppo folk-rock Mumford & Sons, “Thunderstruck” degli Ac/Dc e “Shape of my heart” (Sting, “Ten Summoner’s Tales”, 1993). Ma anche “Mombasa” e “Time” (dalla colonna sonora di “Inception”, con Leonardo Di Caprio), “Wake me up” di Avicii, “They don’t care about us” di Michael Jackson, “Live and let die” di Paul McCartney, “Street spirit (Fade out)” dei Radiohead, la citata “Hysteria”... Chiude “Celloverse”, l’unico originale, oltre che il più classico, della raccolta. Finora i 2Cellos, mischiando rock, pop, dance e folk alla classica, hanno costruito una carriera di successo sulle cover. Chissà che da qui non parta una carriera anche da compositori.

mercoledì 25 febbraio 2015

FNSI: MUSCATELLO (FVG) ELETTO IN GIUNTA ESECUTIVA (Ansa)

FNSI: MUSCATELLO (FVG) ELETTO IN GIUNTA ESECUTIVA (ANSA) - TRIESTE, 24 FEB - Carlo Muscatello, presidente di Assostampa Fvg, è stato eletto oggi nella giunta esecutiva della Fnsi. Il Friuli Venezia Giulia torna così, dopo un'assenza di vent'anni, nell'organo di governo del sindacato unitario dei giornalisti italiani. «Un risultato - ha detto Muscatello, 58 anni, giornalista de Il Piccolo di Trieste - che premia il lavoro svolto in questi anni dall'Assostampa Fvg. Darò il mio contributo per affrontare le tante emergenze del nostro lavoro anche nel Friuli Venezia Giulia: dalle condizioni di lavoro dei precari e collaboratori a quelle dei contrattualizzati, su cui gli editori scaricano il peso della crisi, dai problemi dei giornali delle minoranze linguistiche a quelli della sede regionale Rai, fino agli uffici stampa pubblici e privati, all'emittenza locale, al far west del web». (ANSA).

sabato 21 febbraio 2015

LITFIBA 31-7 Majano, FRIULI

Si erano tanto amati. Poi, forse non erano arrivati al punto di odiarsi, ma comunque avevano ritenuto opportuno e salutare separare per diversi anni le rispettive strade. Ma il tempo sana le ferite, le carriere soliste non sempre vanno come si era sperato, e dunque Piero Pelù e Ghigo Renzulli - le due anime dei Litfiba - hanno da qualche tempo rimesso assieme l’azienda. Ora lanciano il nuovo progetto “Tetralogia degli elementi Live”, che di fatto celebra quei loro quattro album in qualche modo storici - “El Diablo”, “Terremoto”, “Spirito” e “Mondi sommersi”, ora disponibili in un cofanetto pubblicato dalla Sony, comprendente anche un dvd con le immagini del tour del ’93 -, che hanno scritto fra il ’90 e il ’97 una parte non trascurabile della storia del nuovo rock italiano. L’annunciato tour - già quasi tutto esaurito: Roma 12 e 13 aprile, Firenze 20 aprile, Milano 22 e 23 aprile - si arricchisce adesso di una nuova data, venerdì 31 luglio, al Festival di Majano, in Friuli. «Abbiamo deciso di suonare molte di quelle canzoni che nei tour di allora non suonavamo mai o quasi - raccontano Pelù e Renzulli -, perchè il bello della nostra storia è che ci sono tanti Litfiba, da quelli più popolari a quelli dei “b-side”. L’idea è tornare a suonare per sottolineare e godere di tutta la complessità di un gruppo come il nostro». Ancora i due rocker: «In un angolo delle nostre teste ci ricordavamo di avere un dvd praticamente già pronto che racconta un tour invernale di “Terremoto”. All’interno c’è del materiale meraviglioso che racconta la nostra musica di quel periodo, ma anche il materiale umano che popolava il backstage. Quello è stato il periodo più rock dei Litfiba». «In quegli anni - concludono Pelù e Renzulli - scrivevamo di molte cose che riguardavano l'Italia di allora, che nel frattempo sono anche peggiorate. Nonostante qualcuno ci tacciasse di catastrofismo, alla fine avevamo ragione noi. Quello della “Tetralogia degli elementi” è il nostro punto di vista sugli anni Novanta, quando il marcio in Italia non aveva raggiunto i livelli di oggi e quando Renzi faceva ancora il boy scout». Dei Litfiba delle origini, negli anni Ottanta, attualmente rimangono solo i due leader, affiancati anche in questo tour da alcuni nuovi musicisti. I biglietti per il concerto di Majano - il primo annunciato dagli organizzatori di questa 55.a edizione della rassegna - sono in vendita a partire dalle 10 di stamattina, sul sito Ticketone.it e negli abituali punti vendita autorizzati.

venerdì 20 febbraio 2015

NUOVA LEGGE BAVAGLIO / dal sito Articolo 21

> di Carlo Muscatello > > Da una parte la libertà, anzi le libertà, dall'altro la sicurezza. Lo ha spiegato bene Beppe Giulietti, nell'incontro svoltosi a Venezia assieme al segretario Fnsi Raffaele Lorusso, nel quale è stata lanciata la campagna della Fnsi e di Articolo 21 contro la nuova legge bavaglio. Paradossalmente la strage di Parigi, gli altri attentati e la drammatica congiuntura internazionale hanno dato ulteriore fiato allo schieramento che in Italia vuole storicamente mettere la mordacchia alla libera informazione: scritta, parlata, sul web. Il ricatto è semplice, al limite della banalità: volete maggiore sicurezza? dovete rinunciare a pezzetti di libertà, comprese quelle che discendono dal diritto universale di manifestazione del proprio pensiero. > Non è mai stato e non è un problema di destra o di sinistra. Lo schieramento è trasversale e aveva già avuto modo di compattarsi prima dei drammatici fatti che hanno aperto il 2015. Fra l'altro quella che rischia di diventare una legge della repubblica italiana nasce da un intento apparentemente nobile e condivisibile: eliminare la previsione del carcere per i giornalisti in casi di diffamazione. Peccato che, come si dice nel Nordest, "xè pezo el tacòn del buso" (la toppa è peggio del buco...). Sì, perchè dietro l'abolizione della pena del carcere sono > state introdotte disposizioni liberticide in materia di multe e di modalità delle rettifiche, mentre nulla si dice delle cosiddette “querele temerarie”. > Gli esempi sono noti. Sanzioni pecuniarie fino a 50 mila euro: inefficaci per i grandi gruppi editoriali ma devastanti per l’informazione indipendente, per le piccole testate online. Responsabilità ampliata del direttore per omesso controllo, ormai quasi impossibile soprattutto nelle testate on line caratterizzate da un continuo aggiornamento. Diritto di rettifica immediata e integrale al testo ritenuto lesivo della dignità dall’interessato, senza possibilità di replica o commento né del giornalista né del direttore responsabile: invece di una “rettifica”, si configura come un diritto assoluto di replica, assistito da sanzioni pecuniarie in caso di inottemperanza (e che prescinde, nei presupposti della richiesta, dalla falsità della notizia o dal carattere diffamatorio dell’informazione). Introduzione di una sorta di generico diritto all’oblio che consentirebbe indiscriminate richieste di rimozione di informazioni e notizie dal web (anche da un semplice blog), se ritenute diffamatorie o se contenenti dati personali ipoteticamente trattati in violazione di disposizioni di legge. > Ultimo ma non ultimo, il tema delle querele temerarie. Nella legge non se ne parla, ma è chiaro che va sanzionato chi usa la querela a strumento intimidatorio, solo per mettere a tacere un giornalista che fa onestamente e correttamente il suo mestiere. > Potremmo continuare a lungo, ma i termini della questione sono ormai noti e sono stati ampiamente dibattuti. Si avverte, dietro l'alibi della cancellazione del carcere, un clima da resa dei conti fra legislatore (e dunque fra politica) e informazione libera e indipendente. Una sorta di "non disturbate i manovratori", di "mettetevi in riga". Sotto la minaccia di un fuoco di fila di sanzioni, rettifiche, rimozioni che avrebbero l'effetto di mettere il bavaglio ai (pochi?) giornalisti ancora con la schiena dritta. > A Venezia lo abbiamo detto: dobbiamo organizzare una grande manifestazione nazionale per tentare di fermare, fin che siamo in tempo, una legge che non è degna di un paese civile. E la cui eventuale approvazione non farebbe migliorare, per restare all'eufemismo, la pessima posizione dell'Italia nelle classifiche sulla libertà di informazione. Fnsi e Articolo 21 ci sono. E gli altri? > > >

RACHELE BASTREGHI, Marie

RACHELE BASTREGHI “MARIE” (Warner) I Baustelle sono il miglior gruppo italiano di questi anni, ma per il loro prossimo album dovremo attendere il 2016. L’attesa è meno dura grazie a questo “ep” (un mini album, in questo caso di sette brani) della brava e fascinosa cantante del trio di Montepulciano, Rachele Bastreghi. “Marie” nasce dalla prima esperienza recitativa dell’artista: la fiction di RaiUno “Questo nostro amore 70”, nella quale interpretava il ruolo di una cantante francese di nome appunto Marie, e per la quale aveva scritto appositamente una canzone, "Mon petit ami du passé". Che ritroviamo ovviamente in questo disco, assieme a due cover: “All’inferno insieme a te” e “Cominciava così”, cantate tanti anni fa rispettivamente da Patty Pravo e Equipe 84. E ad altri tre brani nuovi: “Senza essere”, “Folle tempesta” (anche in versione strumentale) e “Il ritorno”. Insomma, un gustoso antipasto in attesa del nuovo album dei Baustelle...

CARMEN CONSOLI, l'abitudine di tornare

La “cantantessa” stavolta si è presa una lunga pausa. Sono passati infatti sei anni da “Elettra”, il precedente album di inediti di Carmen Consoli, appena tornata in pista con questo “L’abitudine di tornare” (Universal). Sei anni nei quali per lei sono successe tante cose: innanzitutto la nascita del suo primo figlio (al quale è dedicata la ninna nanna conclusiva del disco, “Questa piccola magia”), fra le note musicali a margine la pubblicazione della raccolta antologica “Per niente stanca”, che ha rappresentato per la quarantenne artista catanese un ideale momento di sintesi e bilancio, ma anche una sorta di punto e a capo. Si riparte, dunque. Con la voglia che si avverte canzone dopo canzone di cominciare una nuova stagione, nella carriera ormai lunga della brava Carmen. Anche lei figlia di un Sanremo Giovani (a ulteriore dimostrazione che è lì, fra i ragazzi, che bisogna guardare nel festivalone...): era infatti il ’95, giusto vent’anni fa, quando la ragazza non passò inosservata per il suo stile, canoro e musicale, assolutamente originale. Quattro lustri, tanti dischi e tour dopo, quella che è ormai una donna e un’artista matura riparte da questa manciata di canzoni nuove, ritratti al femminile che non disdegnano il passato da cui provengono ma guardano con coraggio al presente e al futuro. Il brano che dà il titolo all’album (primo singolo estratto), ma anche episodi come “E forse un giorno” e “San Valentino”, citano infatti orgogliosamente la produzione iniziale (“Amore di plastica”, “Confusa e felice”, “In bianco e nero”...), quella che ci ha fatto scoprire questa artista nella seconda metà degli anni Novanta. Ma nella musica, come nella vita, si va avanti. O almeno: i migliori lo fanno. Ed ecco allora episodi che ci fanno scoprire con piacere anche una Carmen Consoli nuova, inedita, aperta alla contemporaneità e al sociale. Pensiamo a un brano come “La signora del quinto piano”, che affronta con taglio quasi da cronista la piaga criminale del femminicidio. O ai testi che richiamano gli sbarchi dei migranti (“La notte più lunga”), la crisi che cambia e penalizza la vita delle persone (“E forse un giorno” parla di una famiglia costretta a vivere in un’automobile...). “Sintonia imperfetta” coniuga l’orchestrazione elettronica del presente con una citazione vecchia di settant’anni (“Voglio vivere così”, classico degli anni Quaranta). “Esercito silente” è una condanna dell’eterna omertà siciliana, “Oceani deserti” e “Ottobre” (rispettivamente un amore all’epilogo e una storia fra due donne) ci fanno riscoprire invece la Carmen Consoli più soft e in qualche modo rilassata: quella che preferiamo. Bel disco, di classe, che segna un buon ritorno.

MARIO FRAGIACOMO, tromba di latta sul confine orientale

Mario Fragiacomo è appena tornato da New York, dove ha presentato a Lidia Bastianich il suo nuovo libro “Quella tromba di latta del confine orientale italiano” (LuglioEditore, pagg 226, euro 25, cd allegato). «Con lei - spiega il musicista triestino, trapiantato da tanti anni a Milano - abbiamo un progetto: il cofanetto “Histria e oltre”, disegni di Bruno Chersicla, musiche della mia Mitteleuropa Ensemble, canti dell’esodo istriano...». Come nasce il libro? «Dal desiderio di far conoscere agli italiani cosa è successo dalle mie parti del confine orientale italiano nella seconda metà del ‘900 con gli occhi di un musicista e non di uno storico. Il desiderio di raccontarsi attraverso una storia vissuta sulla propria pelle». Da dove parte? «Appartengo a quella schiera di ultimi testimoni viventi dell'esodo di istriani, fiumani e dalmati. Nel libro sono partito proprio da quella vicenda dimenticata dai libri di storia. Parlo del Silos di Trieste, delle baracche del campo profughi di Padriciano e di Campo Marzio, dell'hangar 26 del porto vecchio di Trieste». Un ricordo personale? «Al porto franco di Trieste c'era un luogo della memoria particolarmente evocativo: il magazzino o hangar 26. Ci passavo davanti nei primi anni Settanta quando lavoravo in una piccola ditta di misurazioni di bordo e di legnami. Vedevo lavoratori portuali, scaricatori, gruisti... Riflettevo sul silenzio spettrale: nessun movimento, nessun vagone, nessun camion che si fermasse, porte e finestre sbarrate, come un cimitero». Prosegua. «Lì sono custodite le masserizie dei profughi, mi dicevano. Riflettevo e andavo avanti a passo svelto perché quell'insolito silenzio mi intimoriva, mi turbava. In questi ultimi anni il magazzino è stato restaurato e le masserizie spostate al magazzino 18 dopo una breve sosta all’hangar 22. Ma per decenni sono rimaste dentro quel magazzino tenebroso: il magazzino 26». Una storia che lei ha portato in scena. «Sì, mi emoziono sul palco da dieci anni quando racconto questa vicenda nascosta per sessant'anni dalla storia. Lo documenta il mio album di tanti anni fa “Trieste, ieri un secolo fa”. Un florilegio musicale, come lo ha definito Fulvio Tomizza nella presentazione all’interno dell'album». La “tromba di latta”? «Come ricorda Luigi Maria Guicciardi, che ha scritto con me il libro, la tromba di latta viene da lontano per uno specifico episodio di vita, forse dell’adolescenza, e cioè l’incontro e la presa di possesso di una “res derelicta”, uno strumento scalcinato e abbandonato nei Silos terra di nessuno del Territorio Libero di Trieste. Faccio parte di quella schiera di musicisti tosti che soffia nel tubo di una tromba. “Di latta” perché voglio un po’ staccarmi dagli altri soffiatori “del tubo” che circolano...». La sua storia musicale? «Cominciai giovanissimo, al Ricreatorio Brunner di Roiano con il maestro di banda Pasquale D’Iorio. Avevo otto anni. Tromba, flicorno baritono (bombardino), flicorno tenore, sempre e comunque strumenti della famiglia degli ottoni. A sedici anni mi iscrivo al Conservatorio Tartini. Poi scopro il jazz, anni dopo suono nel gruppo di Silvio Donati...». Il “free jazz”? «Ho cominciato a Trieste assieme a giovani musicisti triestini come l’oboista Mario Feroce, ora regista di fama in Francia, i sassofonisti Edy Meola e Ottavio Corrado, i percussionisti Jacques Centonze, Fulvio Zafred e Pino Fontanarosa, il talentuoso chitarrista Tullio Palumbo, i pianisti Carlo Moser ed Edoardo Zanmarchi ancora adesso in attività. Ci aiutava a trovare spazi in cui esibirci un caro amico prematuramente scomparso, Edoardo Kanzian». Milano? «Alla fine degli anni Settanta, dopo aver vissuto la rivoluzione basagliana, e anche il concerto di Ornette Coleman al manicomio di San Giovanni, tromba sottobraccio parto per Milano, la capitale delle sette note per noi musicisti». La musica klezmer? «Dopo il trasferimento a Milano, dove ho proseguito gli studi accademici e di perfezionamento, e dopo aver suonato sempre in gruppi di “free jazz” e in diverse big band, vengo contattato dall’entourage di Moni Ovadia tramite l’amico musicista triestino Alfredo Lacosegliaz. Con loro sono approdato al klezmer tradizionale ebraico per poi portarlo nell’ambito jazzistico». La prefazione è firmata Giorgio Gaslini. «È stato il mio primo maestro di musica jazz, al corso che teneva al Conservatorio Giuseppe Versi, a Milano. Mi ha detto che l’ha scritta con piacere, che è rimasto colpito dalla lettura di quello che allora era solo un manoscritto. Purtroppo è mancato prima di vedere questo libro uscire...». Il libro/cd di Fragiacomo verrà presentato il 20 marzo alle 18 alla Sala Giubileo, a Trieste, nell’ambito della Festa della letteratura e della poesia “Castello di Duino”.

lunedì 16 febbraio 2015

SANREMO 2015, the last one... - E IL VOLO 11-7 A TRIESTE, in piazza unità

E adesso finalmente di Sanremo non sentiremo più parlare per un anno. Poi, a febbraio 2016, puntuale come una cartella Equitalia, il sedicente Festival della canzone italiana (lo ripetiamo da anni: trattasi di spettacolo televisivo, cantanti e canzoni sono un pretesto, peraltro di livello quasi sempre mediobasso...) monopolizzerà implacabile l’attenzione di mezza Italia. Di chi lo vede e di chi dice di non vederlo, di chi lo segue per criticarlo magari su Twitter, di chi ne scrive sui giornali, ne parla alla radio e in mille programmi televisivi. Il successo di ascolti, non certo di qualità, di questa edizione nazionalpopolare affidata all’abile restauratore Carlo Conti (scontato il bis l’anno prossimo, anche se lui gigioneggia: farò il bis... chero) non fa che riaffermare la centralità mediatica di questa rassegna nata nel 1951, in un’altra Italia appena uscita dalla guerra, con tanta voglia di ricominciare a vivere e divertirsi, ma con pochi strumenti per farlo. Sono passati sessantaquattro anni e sessantacinque edizioni, ma pare piuttosto un’era geologica. Eppure, dopo una fase grigia coincisa con i complicati anni Settanta, quando nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza, oggi il festivalone è più vivo che mai. E promette di sopravvivere a tutti, punta alla perennità. Nell’Italia di Renzi e Mattarella, qualcuno ha parlato di un “festival democristiano”. Un certo ecumenismo, la capacità di comprendere e anestetizzare tutto al proprio interno, persino “opposti estremismi” spettacolari (dalla reunion di Al Bano e Romina a Conchita Wurst), farebbero pensare che in fondo sì, è stato un festival all’insegna della vecchia Balena bianca. Del resto anche chi un tempo prevedeva e auspicava “Non moriremo democristiani” (da un titolo del Manifesto, 28 giugno 1983, copyright Luigi Pintor), dopo i guai peggiori vissuti nei trent’anni successivi, ha da tempo fatto in tempo a ricredersi. Cantanti e canzoni. Come da pronostico della vigilia, hanno vinto i tre tenorini (in realtà due tenori e un baritono) de Il Volo. Lanciati sei anni fa dal talent show di Antonellona Clerici “Ti lascio una canzone”, i giovanissimi Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble hanno bruciato le tappe e sono diventati delle star planetarie, ambasciatori del bel canto all’italiana, sulle orme di Bocelli. Il loro “Grande amore”, costruito come un suggestivo melodramma, in un crescendo un po’ kitsch che comunque funziona, alla fine ha respinto gli attacchi della concorrenza e ha conquistato il gradino più alto del podio. L’11 luglio saranno in concerto a Trieste, in piazza Unità. La piazza d’onore di Nek (che nell’unico vero momento di caos della serata finale sembrava scivolato al nono posto, ma era solo un errore...) premia un artista onesto, che ha sviluppato in questi anni un suo percorso di crescita. La sua “Fatti avanti amore” non è granchè, ma è un pezzo pop-dance che rimane subito in testa e già funziona nelle radio. Terza l’unica (assieme a Nina Zilli, finita a metà classifica) presenza di qualità di quest’anno: Malika Ayane con “Adesso e qui (nostalgico presente)”. Fra gli autori, lo stesso Giovanni Caccamo che ha trionfato fra i giovani.

domenica 15 febbraio 2015

SANREMO 2015, primo IL VOLO, seguono NEK e MALIKA AYANE

Oggi tutti diranno che in realtà il 65.o Festival di Sanremo lo ha vinto Carlo Conti. Ci permettiamo di dissentire. Il vero vincitore quest’anno è la Rai. Primo perchè mette in saccoccia oltre cinque milioni di euro di utili. Una cifra monstre che vien fuori da un punto di vista meramente aritmetico sottraendo sedici milioni di costi dai ventuno milioni abbondanti di entrate pubblicitarie. E da un punto di vista sostanziale dal fatto di aver dato una ricca sforbiciata a cachet (conduttori, direttori artistici, ospiti stranieri...) che in tante edizioni passate facevano gridare vendetta. Certo, la Rai ha vinto anche per la scelta di affidare il festivalone, dopo i due anni delle sperimentazioni radical chic griffate Fabio Fazio, a un campione della tradizione e della normalità nazionalpopolare come il toscano Carlo Conti, sorta di “Pippo Baudo 2.0”. Un restauratore, si è detto, capace di tenere ecumenicamente assieme il diavolo (la drag queen barbuta Conchita Wurst e il siparietto sul matrimonio gay a cura di Luca e Paolo, entrambi solo passata la mezzanotte) e l’acqua santa: dopo la famiglia calabrese con i sedici figli tutti opera della spirito santo, ieri la coppia sicula sposata da 65 anni. Un restauratore che ha svolto alla perfezione il suo mandato, schivando le polemiche e incassando ascolti da record (e si sa che i costi della pubblicità sono legati all’audience). Nella sua impresa, almeno sul palco dell’Ariston, l’abbronzato conduttore ha fatto praticamente tutto da solo. Non si può infatti dire che le tre “vallette” gli siano state di un qualche aiuto. Malissimo Emma e Arisa, già vincitrici del Festival (la prima nel 2012 con “Non è l’inferno”, la seconda l’anno scorso con “Controvento”), assolutamente fuori ruolo. Inutile infierire sulla pochezza della loro presenza e sulle gaffe inanellate, soprattutto da Arisa, ferocemente rilanciate dal web. La bella spagnola Rocío Muñoz Morales ha fatto la figura tutto sommato migliore, e non soltanto per la sua indubbia avvenenza. Si accennava al web. Un milione e mezzo di tweet prima della finale di ieri sera dice chiaramente che il festival, criticato, sbeffeggiato, visto comunque da un italiano su due se non altro per parlarne male, anche nell’Italia multimediale di oggi ha riguadagnato una centralità che in tanti periodi della sua lunga storia sembrava in netto declino. Anziani e famiglie lo guardano in tivù, ma anche il popolo “evoluto” del web segue (e commenta) a modo suo la rassegna. Resterebbe da dire ancora della musica, delle canzoni, dei cantanti. Taciamo per onor di patria delle tante stonature e delle presenze inadeguate. E ribadiamo che quest’anno c’erano due sole cantanti e canzoni all’altezza della situazione: la sofisticata Malika Ayane e la “bluesy” Nina Zilli. Poi una manciata di mezze sufficienze. Il resto è noia. O peggio.

sabato 14 febbraio 2015

SANREMO 2015, stasera il gran finale: IL VOLO favorito, MALIKA AYANE recupera posizioni

Finalmente il gran finale. Un altro Sanremo pronto per gli spaziosi archivi. Un’altra maratona molto televisiva e poco musicale (si sa: i migliori artisti, le migliori canzoni da tempo non bazzicano il festivalone...) vicina all’epilogo. È dunque il momento dell’interrogativo di sempre: chi vince? Secondo gli attivissimi scommettitori, già alla vigilia i favoriti erano - e rimangono - i “tre tenorini” de Il Volo. Lanciati sei anni fa dal talent show di Antonellona Clerici “Ti lascio una canzone”, i giovanissimi Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble hanno bruciato le tappe e sono diventati in men che non si dica delle star planetarie, ambasciatori del bel canto all’italiana, sulle orme di Bocelli. Il loro “Grande amore” è costruito come un suggestivo melodramma, in un crescendo un po’ kitsch che comunque soddisfa i palati di bocca buona. Se il verdetto fosse interamente affidato al televoto vincerebbero a mani basse. Ma anche con i correttivi inseriti nel meccanismo di quest’anno potrebbero farcela. Alla vigilia andava forte anche Lorenzo Fragola, il diciannovenne catanese fresco vincitore di “X Factor”. La sua “Siamo uguali” è un brano ben costruito, che ha bisogno di più ascolti per essere apprezzato, ma l’emozione ha un po’ penalizzato il ragazzo, che comunque mantiene a nostro avviso notevoli potenzialità. Serata dopo serata sono invece cresciute le quotazioni di Malika Ayane, una delle due presenze di assoluta qualità del Festival. «Mi danno sempre per favorita - ha detto la cantante di madre milanese e padre marocchino -, ma poi non vinco mai...». Diciamo che stavolta è molto vicina al podio, grazie anche alla sua “Adesso e qui (nostalgico presente)”, gioellino di classe e raffinatezza. Della serie: ora o mai più, o quasi... Ma Sanremo non è più quello di una volta, quando il nome del vincitore era già scritto e blindato da settimane, se non da mesi. Da qualche anno è possibile anche l’elemento sorpresa. Al proposito, sono date in crescita - sempre dagli scommettitori - due ragazze da “talent” come Chiara e Annalisa, rispettivamente scuderia “X Factor” e “Amici” di Maria De Filippi, che ha piazzato diversi vincitori di recenti edizioni. E c’è persino chi vede sul podio i debolissimi Dear Jack. Gli altri partono indietro, ma nella lotteria del voto tutto è possibile. Fin qui quelli che possono vincere. Diverso il discorso da un punto di vista critico. Premesso che il livello complessivo è stato mediobasso, a nostro avviso due artiste hanno presentato canzoni e si sono prodotte in esibizioni assolutamente accettabili. Stiamo parlando della citata Malika Ayane ma anche di Nina Zilli, che con la sua “Sola” ha portato uno squarcio di musica nera al Festival. Vicini alla sufficienza, oltre a Lorenzo Fragola, anche Alex Britti, Irene Grandi e Raf. E mettiamoci anche un paio di giovani di belle speranze. Puntualmente bastonati dalle giurie.

venerdì 13 febbraio 2015

SANREMO 2015, terza serata

Con la serata dedicata alle cover, il 65.o Festival di Sanremo ha passato la boa di metà percorso e veleggia allegramente, accompagnato dagli ascolti record garantiti dalla formula nazionalpopolare portata in dote da Carlo “Pippobaudo” Conti, verso la finalona di domani sera. Tranquilli, poi tutto tornerà come prima. Archiviato un nuovo vincitore e una nuova canzone regina di cui pochi si ricorderanno alla vigilia della prossima edizione, o forse già alla fine dell’estate, il Paese tornerà alle sue emergenze, la gente tanto cara all’abbronzato conduttore toscano riprenderà a occuparsi dei suoi problemi veri e reali, così lontani dalla vetrina edulcorata che ogni anno viene spacciata dai pusher del Teatro Ariston. Va intanto preso atto che il ritorno alla tradizione, che come dicevamo fa rima con restaurazione e con normalizzazione, funziona. Eccome se funziona. I numeri parlano chiaro. E sono, per la gioia di mamma Rai, decisamente migliori di quelli incassati da Fabio Fazio e dalla sua formula radical chic ricca di birignao “de sinistra”. Da buon professionista qual è, Conti fa un festival rassicurante ed ecumenico, mette assieme il diavolo (la drag queen con barba e baffi Conchita Wurst, mandata in onda però l’altra sera solo passata la mezzanotte...) e l’acqua santa, magari nei panni della devota famiglia calabrese con sedici figli. Anche se, per la par condicio, ci aspetteremmo che entro domani sera venga invitata sul palco anche una coppia di trentenni precari che non riescono a metter su casa, famiglia e prole proprio in virtù della condizione lavorativa, economica e sociale cui è costretta dalla perdurante crisi del Paese. Ma sappiamo che ciò non avverrà. L’ex dj fiorentino sta anche riuscendo nell’impresa senza precedenti di schivare le polemiche. Non ce ne sono state alla vigilia (ricordate l’anno scorso il temuto arrivo al Festival di Beppe Grillo? e tutte quelle delle edizioni precedenti?), i taccuini non ne segnalano nemmeno in corso d’opera. Non hanno lasciato traccia né la sofferta identità transgender della canzone di Platinette (che ieri sera, per interpretare con Grazia Di Michele la cover della compianta Giuni Russo, ha ripreso la sua abituale “mise en travesti”), né la citata comparsata di Conchita Wurst. Per incocciare in uno straccetto di polemica abbiamo dovuto accontentarci dell’infelice battuta dell’infelicissimo Alessandro Siani al bambino sovrappeso. Stasera prima finale, quella dei giovani. Un merito (l’unico?) di Conti è stato quello di non confinarli in orari notturni. Le giurie, come da contratto, hanno ovviamente eliminato subito i pezzi migliori (ogni riferimento a Chanty è puramente voluto), ma potrebbe essere un buon viatico per brillanti carriere. Gli esempi, fra i tanti, di Biagio Antonacci e Negramaro, partiti da un’eliminazione fra i giovani a Sanremo, insegnano...

giovedì 12 febbraio 2015

SANREMO 2015, seconda serata

E dopo i sedici figli avuti “per opera dello spirito santo” dalla simpatica famiglia calabrese, Sanremo schiera - quasi a mo’ di compensazione - Conchita Wurst, la barbuta “drag queen” vincitrice dell’Eurovision Song Contest. Presenza peraltro assai poco trasgressiva, quasi normale, come normale vuol essere questa edizione griffata Carlo “Pippobaudo” Conti. La seconda razione dell’indigeribile sbobba ha proposto alcune pietanze che non farebbero infuriare Joe Bastianich - ieri comparsata quasi d’obbligo - e gli altri giudici di Master Chef. Innanzitutto Nina Zilli, che si aggiunge a Malika Ayane fra le presenze di classe, eleganza e qualità. La sua “Sola” (accezione italiana, non romanesca...) profuma di musica nera, brilla di fiati e ritmiche apprezzabili anche fuori dal contesto festivaliero, se volessimo esagerare parleremmo di alcuni spunti degni della grande Nina Simone. Ma non vogliamo esagerare. Rivedibile e dunque riascoltabile Lorenzo Fragola, il diciannovenne catanese che la recente vittoria a “X Factor” ha trasferito sic et simpliciter dall’anonimato al palco di Sanremo sezione sedicenti big, o campioni che dir si voglia. Se il celere passaggio non lo brucia (come ha quasi bruciato due anni fa Chiara, stesso percorso, tornata quest’anno per recuperare la credibilità perduta) ha le carte in regola per diventare una popstar. La sua “Siamo uguali” è fresca e gradevole, il che gli permette di insidiare - secondo gli scommettitori - i finora favoriti alla vittoria finale del trio Il Volo (non amano essere chiamati “i tre tenorini”, e non solo perchè uno è in realtà un baritono...). Ma oggi siamo generosi, grati forse di essere miracolosamente sopravvissuti alla stucchevole “reunion di seconda mano” con Al Bano e Romina. E diciamo che, nella serata del secondo ospite italiano Biagio Antonacci, non ci sono dispiaciuti nemmeno Irene Grandi e Raf. E fra i giovani, finalmente non confinati dopo mezzanotte, gli eliminati Chanty e Kaligola. Da parte sua, l’abbronzato epigono di Baudo (che per il suo ottantesimo compleanno l’anno prossimo ha chiesto per regalo alla Rai l’ennesima conduzione del festival, ma probabilmente si accontenterà di un altarino plaudente...) prosegue nella sua missione normalizzatrice. Il suo è un meccanismo quasi perfetto, professionale, oliato da anni di programmi nazionalpopolari, capace di fagocitare opposti estremismi spettacolari e restituirli al pubblico in versione innocua e potabile. Il suo usato sicuro guarda al passato, si rivolge al pubblico delle famiglie e degli anziani di bocca buona, crede di poter intercettare l’attenzione e i gusti dei giovani infilando nel cast qualche avanzo di “talent show” e personaggi di dubbie qualità canore e musicali. L’Auditel lo sta premiando come spesso premia le proposte televisive più popolari. Ma il mondo va da un’altra parte. E i ragazzi da anni non guardano Sanremo.

mercoledì 11 febbraio 2015

SANREMO 2015, prima serata

Per il suo primo - e speriamo ultimo - Sanremo, Carlo Conti voleva quel poco che resta dei Pink Floyd. Si è dovuto accontentare della reunion di seconda mano (quella vera se la son ”magnata” gli oligarchi russi) di Al Bano e Romina. Tornati a cantare la loro “Felicità” sullo stesso palco in cui la proposero, giovani e belli, all’Italia del lontano 1982. Arrivarono secondi, dietro alle “Storie di tutti i giorni” di Riccardo Fogli, nell’edizione in cui Vasco Rossi arrivò ultimo con “Vado al massimo” (l’anno dopo, penultimo con “Vita spericolata”: dunque pronto per i trionfi). Nostalgia canaglia, verrebbe da dire, giusto per restare in tema. Sì, perchè qui invece di andare avanti sembra di fare il passo del gambero. Dopo l’ironia e i birignao “de sinistra” di Fabio Fazio, cui va riconosciuto almeno il merito di aver proposto sempre festival contemporanei, in sintonia con i tempi che viviamo, la scelta di questo “Pippo Baudo 2.0” - da quanto si è visto ieri sera - puzza di quella tradizione che fa rima con restaurazione e se volete anche normalizzazione. Un festivalone formato famiglia, senza eccessi e senza polemiche, in linea con lo stile da dj di provincia (toscana, che di questi tempi va di moda...) dei programmi che lo hanno eletto campione abbronzato dell’Auditel di Raiuno: da “I migliori anni” a “Tale e quale show”, senza dimenticare i fondamentali “L’eredità” e “Miss Italia”. Proposte musicali in linea con questi imprinting nazionalpopolari: una macedonia tuttifrutti da discount alimentare, con rari picchi di gusto e tante scelte senza senso né personalità. La ricetta? Più o meno quella di sempre, con tendenza al ribasso. Alcuni soliti noti, magari di ritorno (Nek, Grignani, Masini, Raf), perchè a Sanremo c’è sempre qualcuno che ritorna, il problema è capire dove cavolo era negli anni in cui non ne avevamo sentito la mancanza. Poi una pattuglia di ragazzotte e ragazzotti “da talent” (Chiara, Lorenzo Fragola), possibilmente della scuderia di Maria De Filippi (Dear Jack, Annalisa), che anni fa aveva lanciato una sorta di opa sul festival. Infine una spruzzata di personaggi televisivi (Platinette, Soliti idioti), ex rapper convertiti sulla via della melodia (Nesli, Moreno), illustri sconosciuti (Lara Fabian, Bianca Atzei) arrivati nella città dei fiori non si sa grazie a quale santo in paradiso. Anzi, in certi casi lo si sa benissimo, ma è sempre meglio soprassedere. Ieri sera, primo corposo assaggio dell’indigeribile sbobba. Unico tocco di autentica classe, Malika Ayane. Riascoltabile Alex Britti. In resto è noia. Stasera, seconda razione di sbobba, ma almeno ci sono anche i primi quattro degli otto giovani di quest’anno. Ci sarà anche il quarantenne comico triestino di origine sarde Angelo Pintus, quello lanciato in tv da “Colorado” e rilanciato a teatro da “50 sfumature di Pintus”. Umorismo tradizional-giovanilista. E innocuo.Dunque perfetto per questo Sanremo.

domenica 8 febbraio 2015

ADRIANA VASQUES, triestina a londra, album Tactus

Musicisti triestini partono, annusano le capitali europee, non sempre ritornano. Adriana Vasquez, pianista e cantante, è una di questi. Da cinque anni vive a Londra, “Tactus” è il suo primo album, registrato a Trieste, alla Casa della Musica, ma uscito in Inghilterra e in altri paesi europei. A Trieste lo trovate da Knulp, in via Madonna del mare. «Ho scritto musica per anni solo per me stessa - spiega l’artista -, poi con la chitarrista Sara Piran, il percussionista Goran Moskovski e il bassista Roberto Franceschini abbiamo cominciato a suonare assieme. Il lavoro di squadra nel dare forma al materiale è stato fondamentale. I miei brani contengono diversi “colori” stilistici, armonie modali associate a tempi dispari e poliritmie; molti vi ritrovano il “prog-rock”, altri una certa presenza brasiliana, il jazz, la classica da cui provengo. Il bello di nuotare in un mare aperto a tante suggestioni è di poter restituire almeno un po’ di quel che si è ricevuto». “Tactus”? «È il mio primo progetto originale. Ho scelto i dodici brani fra tante idee, abbozzi, pezzi finiti che ho scritto in circa un decennio. Il loro insieme può essere letto come una sorta di diario per immagini, una serie di istantanee che gelano il tempo e lo accomodano in piccoli riquadri, di volta in volta isolando e accostando gesti, incontri, svolte repentine e lunghe stasi, irrequietezza e distensione. Se si vuole, il paradigma di un decennio qualsiasi nella vita di un qualsiasi qualcuno». Questo titolo? «Fonde in un unico concetto la pulsazione cardiaca e quella ritmica musicale, implicitamente esalta il parallelo fra le emozioni e i gesti che ne conseguono. Spero che questo lavoro sia riuscito nell’intento e che, partendo dal cuore, al cuore alla fine arrivi». Chi pubblica il disco? «L’etichetta che mi ha accolto è Pathway Records, fondata da Paul Booth, un musicista che ho avuto la fortuna di conoscere qui a Londra: sassofonista talentuoso e polistrumentista versatile che orbita in diversi contesti, suona fra gli altri con Steve Winwood. È un’etichetta gestita da musicisti». Perchè Londra? «Sono partita per tante ragioni, personali e professionali. Lo stato della musica in Italia è conforme a tante altre questioni legate alla gestione della cultura nel nostro Paese. In Inghilterra c’è rispetto e considerazione per la musica, per la cultura. Londra per questo motivo si sta riempiendo di musicisti italiani». Come si è inserita nell’ambiente musicale? «Dire ambiente musicale è come parlare dell’oceano, è un ambito molto ampio ed eterogeneo, io stessa dopo cinque anni ne conosco solo una parte. Londra è un enorme calderone di culture, mescolate ma pur sempre definite e riconoscibili». Il primo ingaggio? «Appena arrivata con The Commitments, la cult band irlandese in cui ha militato per tanti anni un altro triestino, Stefano Muscovi, trombettista talentuoso e amico caro. Fra le altre cose, per citarne una particolarmente interessante, sono stata invitata a far parte di “Voices of nature”, che coinvolge in un progetto visionario e sfaccettato musicisti di provenienza varia: Croazia, Uruguay, Venezuela, Brasile, Macedonia, Italia...». Ora con chi suona? «Suono regolarmente con musicisti come Chris Frank (Smoke City) e Carl Smith (fra i fondatori di Stomp), ma in generale suono e canto accompagnata da professionisti preparatissimi e generosi. Sono fortunata perché sto imparando molto da tutti i musicisti con cui ho avuto il privilegio di condividere il palco qui a Londra». A Trieste insegnava pianoforte. «Lo faccio anche qui. E anche dal punto di vista didattico ho imparato un sistema nuovo, legato alla varietà dell'offerta didattica». La sua città le manca? «Certo. Meno di quanto vorrei, ma torno a Trieste sempre volentieri. Le mie radici sono lì. E naturalmente provo anche molta nostalgia...».

sabato 7 febbraio 2015

FARIAN SABAHI stasera a trieste, Iran, Teheran

Ieri pomeriggio era in una grande azienda vicino Udine, a spiegare ad alcuni manager il “suo” Iran, ottanta milioni di abitanti e dunque di potenziali consumatori. Oggi alle 17, terrà al Caffè San Marco di Trieste un reading dal suo ultimo libro “Noi donne di Teheran”, un racconto sulle origini della capitale iraniana e sulle sue contraddizioni, sui diritti delle delle minoranze religiose e delle donne. Con lei, la vicesindaca Fabiana Martini e la giornalista Viviana Valente. Lei è Farian Sabahi, nata nel ’67 ad Alessandria da padre iraniano (in Italia dal ’61) e da madre piemontese. Docente universitaria ed editorialista del Corriere della Sera, scrive di questioni islamiche per il Sole 24 Ore ed è autrice di vari volumi sull’Iran e lo Yemen. «È un testo nato per il teatro - spiega -, il che mi ha costretto a cambiare registro di scrittura rispetto all’abituale linguaggio giornalistico. È anche un testo autobiografico che leggo in prima persona femminile davanti al pubblico, pur non essendo un’attrice». Ancora Farian: «L’Iran è un paese multiculturale e mutireligioso, sospeso fra passato e presente, fra Oriente e Occidente. Da anni lo spiego agli italiani, molti mi ringraziano, ma alcuni iraniani mi hanno rimproverato il titolo. In effetti non ho mai vissuto a Teheran, dove sono andata tante volte e dove la mia famiglia ha una casa. Mi sento italiana e iraniana al tempo stesso». Il reading ha per sottofondo musiche di Ludovico Einaudi e per sfondo tante immagini che accompagnano il testo. «Metto in primo piano - prosegue la docente - i paradossi e le contraddizioni di Teheran, per esempio l’obbligo del foulard per le donne che però sono la maggioranza fra gli studenti universitari, soprattutto nelle materie scientifiche. Penso davvero che Teheran, così diversa da Istanbul e Il Cairo, le altre due megalopoli mediorientali, sia una città donna». «Nel libro, che è un pretesto per raccontarne la storia, ci sono molti versi poetici. La poesia è la seconda lingua madre per i persiani, è normale intercalare versi nel parlare quotidiano. E poi c’è sempre l’idea del viaggio, perchè viaggiare è vivere due volte. Mi piace infine trovare delle analogie fra Italia e Iran: si pensi che Teheran è sullo stesso parallelo di Lampedusa e che tanti riti religiosi dei due paesi si somigliano...». «Che cosa insegno ai manager? Tante piccole cose - conclude Farian Sabahi - che riguardano la cultura, la storia, il business, le usanze. Per esempio spiego che non bisogna mai far vedere la suola delle scarpe, nemmeno casualmente, magari quando uno è seduto in attesa all’aeroporto e appoggia il piede sul trolley: è considerato un gesto di grande offesa. Meglio evitare...».

mercoledì 4 febbraio 2015

VASCO BRONDI 20-3 TRIESTE

Partenza stasera da Lugano, prima tappa italiana venerdì al “New Age” di Roncade, Treviso, e dopo una decina di tappe in giro per lo Stivale approdo venerdì 20 marzo a Trieste, all’Etnoblog (accanto all’Ausonia). Stiamo parlando di Vasco Brondi, l’originale cantautore ferrarese che si fa chiamare Le luci della centrale elettrica. In onore del suo ultimo album, “Costellazioni”, questa serie di concerti s’intitola “Firmamento Tour 2015”. E potrebbe essere l’ultimo prima di una lunga pausa. «Penso che mi fermerò per un bel po’ - scrive infatti l’artista nella sua newsletter -, l’ultima volta mi sono fermato un paio di anni fino all’uscita di questo disco. Adesso non lo so, scriverò, viaggerò, suonerò ma senza fare concerti. “Costellazioni” è uscito a marzo scorso, praticamente un anno fa e da allora mi sono dedicato interamente a quelle canzoni. Una cosa strana, un disco che portava dei cambiamenti è stato difficile ed è stato facilissimo e indispensabile». Ancora Brondi: «Pensavo in questi giorni che le prime canzoni che ho scritto nella mia vita sono diventate direttamente quelle che ho inciso nel mio primo disco, quelle “canzoni da spiaggia deturpata” da dove è nata questa surreale (e inverosimile) avventura». L’artista sostiene poi che «quel primo disco è stato per me come quei razzi di segnalazione luminosi sparati in aria dai naufraghi sperando che qualcuno li veda e venga a salvarli. L’ho sparato mettendoci dentro tutto e qualcuno l’ha visto in lontananza e in qualche modo mi ha salvato. Mi ha salvato da una vita che non volevo e mi ha fatto entrare nella vita che volevo». «Sono passati quasi dieci anni da quelle prime “canzoni da spiaggia deturpata” e mi sono accorto che non mi interessava dover rispettare un’idea che gli altri si erano fatti di me. Mi sono accorto che in questi anni in realtà l’unica cosa che era davvero cambiata era la percezione degli altri nei miei confronti. E che un mio personalissimo e maldestro modo di prendermi cura di me, degli altri, del mio tempo e dei miei luoghi era scrivere questo ultimo disco e portarlo in giro per un anno creando ogni sera delle strane feste, senza più il bisogno di difendersi. Sono stati e saranno dei riti liberatori». Vasco Brondi, nato a Verona ma cresciuto a Ferrara, ha appena compiuto trentuno anni. Prima di “Costellazioni” ha pubblicato “Le luci della centrale elettrica” (2007/2008), “Canzoni da spiaggia deturpata” (2008), “Per ora noi la chiameremo felicità” (2010) e “C'eravamo abbastanza amati” (ep, 2011).

domenica 1 febbraio 2015

RESSEL BROTHERS presentano disco oggi (sab) a ts / di ritorno dal Light of day, New Jersey

Rockettari del Friuli Venezia Giulia al “Light of day”, nel New Jersey. Il chitarrista degli Wind Anthony Basso, il chitarrista dei Ressel Brothers Frank Get e il giornalista scrittore Daniele Benvenuti hanno infatti partecipato con successo alle serate finali della quindicesima edizione della manifestazione benefica itinerante per la lotta contro il Parkinson. Tutti protagonisti allo Stone Pony e poi spettatori al Paramount Theatre di Asbury Park, dove - a sorpresa ma in fondo non troppo... - alla fine è arrivato anche Bruce Springsteen, che dell’iniziativa è lo sponsor più importante. «Ho suonato venerdì - dice Frank Get, all’anagrafe Franco Ghietti -, la sera prima del gran finale con il Boss, ed è andato tutto alla grande. È stato molto gratificante poter contribuire anche negli States alla causa del “Light of Day”: quest’anno siamo infatti arrivati a tre milioni di dollari nella raccolta di fondi. Ho conosciuto Bob Benjamin, amico di Bruce, colpito duramente dal Parkinson e coordinatore della manifestazione. Ho suonato assieme a Willie Nile, Joe D’Urso, James Maddok, tanti altri, in un’atmosfera familiare e al tempo stesso altamente professionale». «Per me - aggiunge il musicista triestino, che alle 21 al Naima, l’ex Macaki di viale XX Settembre, presenta con i suoi Ressel Brothers il nuovo album “To milk a duck” - è stato il coronamento di un sogno. Ho ricevuto molti complimenti, fra cui quelli di Joe Grushecky, che il giorno dopo con la sua band ha accompagnato Springsteen durante il set finale del concerto al Paramount Theatre». Daniele Benvenuti, invitato dagli organizzatori, ha presentato il suo apprezzato libro su Springsteen. E dice: «È stata una grande festa del rock. Fra gli italiani c’erano anche il ferrarese John Strada, Daniele Tenca di Milano, il romano Antonio Zirilli, Cesare Carugi di Cecina, ma soprattutto i Fireplaces di Padova con i quali ho fatto suonare anche il friulano Anthony Basso...». «Ma voglio segnalare soprattutto - conclude Benvenuti - il gesto generoso e nobile di Willie Nile, che ha aperto il suo show con una dedica pubblica al povero Ruggero Prazio di “Trieste is rock”, morto a dicembre in un incidente stradale proprio dopo aver collaborato all’organizzazione della tappa di Muggia della manifestazione, quando stava andando a salutare gli artisti stranieri in partenza. Quando Willie mi ha visto nel backstage, mi ha abbracciato a lungo...».