giovedì 31 ottobre 2013

METALLICA al cinema, e a dicembre in antartide

Per i fan dei Metallica il momento è arrivato. Oggi, in contemporanea mondiale (a Trieste a The Space delle Torri, in Friuli al multiplex di Pradamano, Udine) arriva l’attesissimo “Metallica through the never”, il film in 3D che ha debuttato il mese scorso al Toronto International Film Festival. Il titolo del film è tratto da “Through the never”, brano presente nell’album “Metallica” del ’91. La pellicola è una sorta di “rock movie” che prende ispirazione, stando a quanto spiegato dal batterista della band Lars Ulrich, dallo storico film dei Led Zeppelin “The song remains the same”. «È un vero e proprio film e c’è una parte di storia che non si svolge sul palco - ha detto Ulrich -. La più grande differenza con il film degli Zeppelin è che la storia che non si dipana sul palco e non vede i Metallica come protagonisti. Sono due linee narrative separate». Il film vede infatti da una parte la band che suona dal vivo, mentre dall’altra si raccontano le avventure di Trip, un giovane membro dello staff organizzativo - interpretato dall’attore Dane DeHaan - che viene mandato in giro per la città per una commissione urgente (recuperare una tanica di benzina) durante il concerto. Da qui una serie di fatti e imprevisti surreali che, secondo le anticipazioni, cambieranno totalmente la vita del giovane. Che si trova coinvolto in scontri di strada e finisce nel mirino di un misterioso uomo mascherato. La colonna sonora di “Metallica through the never” - che comprende vari brani tratti dai due concerti che i Metallica hanno eseguito nell’agosto 2012 a Vancouver - è già un doppio cd. Con oltre cento milioni di dischi venduti in trentadue anni di carriera (sessanta nei soli Stati Uniti) e nove Grammy Awards, gli statunitensi Metallica sono considerati una delle formazioni di maggior successo nella storia dell’heavy metal e del rock contemporaneo. L’8 dicembre la band aggiungerà due nuovi record al suo curriculum: suonerà in una base militare nell'Antartide Argentina e lo farà senza amplificazione. Gli spettatori presenti ascolteranno infatti il concerto attraverso cuffie senza fili.

martedì 29 ottobre 2013

LA MORTE DI LOU REED

È morto Lou Reed. Aveva 71 anni, essendo nato a Brooklyn, New York, il 2 marzo 1942. Senza tema di smentite, è stato uno dei personaggi più importanti della storia del rock, che ha attraversato da protagonista di primissimo piano dagli anni Sessanta degli esordi fino a oggi. Dai Velvet Underground agli ultimi lavori solisti, Lewis Allan Reed (questo il suo vero nome, famiglia di origine ebraica) ha segnato quasi mezzo secolo di musica popolare contemporanea con una forza e un’originalità ineguagliabili. È stato al tempo stesso “poeta maledetto” dei bassifondi newyorkesi e sperimentatore sempre attratto dall’avanguardia, rocker elettrico e delicato “song writer”. Ha cambiato mille volte faccia, abiti e suoni, ma alla fin fine è rimasto sempre se stesso: genio iconoclasta e curioso del nuovo. Una storia, la sua, con un brutto prologo: da ragazzo, la passione per il rock ma soprattutto gli orientamenti sessuali non ortodossi per la morale americana dell’epoca spingono i suoi genitori a sottoporlo a cure psichiatriche, con tanto di elettroshock. Ovviamente un trauma difficile da superare, che molti anni dopo, nel ’74, ispirerà il brano “Kill your sons”. Prova con gli studi di letteratura, cinema e giornalismo alla Syracuse University. Ma la sua storia comincia musicalmente - dopo alcune esperienze non fondamentali, fra cui il gruppo The Shades e il singolo “The ostrich” - nel ’66, anno di nascita dei Velvet Underground, band dell’avanguardia artistica prim’ancora che musicale, che si fa strada sullo sfondo di una New York molto lontana dalle utopie hippie e “flower power” che andavano per la maggiore, negli stessi anni, sull’altra costa degli States, nell’assolata California. La Grande Mela celava realtà meno superficiali, tentazioni un tantino perverse, segreti forse scomodi, verità di certo più problematiche. Un panorama che produsse come sua massima manifestazione un genio indiscusso come Andy Warhol. E fu proprio il padre della “pop art” a notare quella band di belle speranze, producendone personalmente il primo album: “The Velvet Underground & Nico”. Un disco noto anche come il “Banana Album” per la celebre copertina disegnata dallo stesso Warhol, raffigurante una banana molto fallica che si poteva anche sbucciare rivelando sotto un’identica banana ma di color rosa. Quel lavoro divenne il manifesto del rifiuto della società dei consumi, la quintessenza della perversione applicata a un rock che - negli anni dei Beatles, dei Rolling Stones, di Bob Dylan - vestiva abiti e suoni estremi, alternativi e per certi versi minimalisti. Anticipando di una decina d’anni il movimento punk. Lou Reed e i suoi (fra cui il grande John Cale, cofondatore della band, oltre alla tedesca Nico) debuttarono dal vivo con l’Exploding Plastic Inevitable, sorta di happening multimediale itinerante, organizzato sempre da Warhol, che fu il primo a riconoscere il grande potenziale rock della band. Di più: il primo a trattare il rock come arte. E nella sua “Factory” anche Lou, Nico e gli altri della band trovarono l’habitat ideale per crescere. Il mondo della strada, dei sottofondi newyorkesi diventa lo scenario dei primi brani dei Velvet Underground. Fra eroina e spacciatori, prostitute e trans e perversioni sessuali. Nel ’67 Nico lascia, Reed di stacca da Warhol, i Velvet incidono “White Light/White Heat”. Nel ’68 finisce anche il feeling con John Cale ed esce un album intitolato semplicemente “The Velvet Underground”. Nel ’70 Lou Reed decide di proseguire da solo. Dall’Inghilterra arrivano il glam rock, l’ambiguità androgina, gli eccessi decadenti di un movimento che influenza molto il nostro. Che di colpo si trasforma in una specie di “fantasma del rock”, con tuta nera, trucco pesante, unghie laccate. L’incontro nel ’72 con David Bowie fa il resto. E produce l’album “Transformer”, suo primo grande successo solista. Nel disco, prodotto dallo stesso Bowie, “Vicious” apre le danze con un riff rimasto immortale, ”Perfect day” è un piccolo capolavoro di poesia rock urbana, “Satellite of love” appena esce diventa un classico, “Walk on the wild side” (molte versioni nel mondo, fra cui quella italiana di Patty Pravo) passa direttamente alla storia musicale degli anni Settanta. L’artista newyorkese diventa il poeta maledetto del rock, la sua vita sregolata e segnata dall’uso di droghe e alcol ne fanno un “cattivo maestro” per generazioni di ragazze e ragazzi che comunque pendono dalle corde della sua chitarra, da quella sua voce solo apparentemente apatica e monocorde. Come solista ha pubblicato dischi fino al 2007, ma l’ultima raccolta, “The essential Lou Reed”, risale a due anni fa. Dopo due matrimoni finiti, dal 2008 era sposato con Laurie Anderson, anch’ella artista e musicista d’avanguardia. A maggio aveva subito il trapianto del fegato. Lo ricordiamo anche per alcuni concerti nella nostra zona: nel luglio ’93 a Villa Manin, con i Velvet Underground ricostituiti in occasione di quel tour mondiale; nel luglio ’96 al Castello di Udine, con una sua band dell’epoca; nell’agosto 2000 nella vicina Lubiana.

domenica 27 ottobre 2013

PARTO DELLE NUVOLE PESANTI a trieste, teatro miela (sab 26)

Tornano a Trieste quelli del Parto delle Nuvole Pesanti, il gruppo nato come ”collettivo musicale” nella Bologna dei primi anni Novanta. Erano una dozzina di studenti calabresi fuorisede, cresciuti nell’orgoglio delle loro radici e del loro dialetto ma nel contempo aperti alle suggestioni sonore contemporanee. Famosi per il brano “Onda calabra” (rilanciato dal film di Albanese “Qualunquemente”), oggi come allora raccontano la vita della gente comune, non dimenticando la storia della loro terra e mescolando rock e tradizioni popolari. Stasera alle 21 suonano al Teatro Miela, a tre anni di distanza dal precedente concerto nella stessa sala. «Rimaniamo un gruppo aperto - dice Salvatore De Siena, componente originario del gruppo -, in questi anni c’è stato un certo turn over, ora siamo in cinque. Tutti animati dalla voglia di guardare in faccia la realtà. E di raccontarla in maniera diretta e onesta». Il nuovo album s’intitola “Che aria tira”. Il punto di domanda lo mettiamo noi... «Rispondo che tira una brutta aria. La gente sta male. Vengono messi in discussione bisogni primari: lavoro, casa, salute, istruzione. Devo dire che, quando un anno fa abbiamo cominciato a pensare al disco, che è uscito ad aprile, la situazione era ancora peggiore». Cos’è cambiato? «Avverto alcuni segnali di reazione. Segnali di speranza, di lotta per un futuro migliore. Penso che davanti all’immobilismo della politica ci sia sempre più bisogno di nuove forme di democrazia. Vera, reale, partecipata...». Il disco? «È musica civile, di forte impatto sociale, nel quale parliamo della vita, delle sofferenze della gente comune. Nel brano “La vita detenuta” parliamo di un tema di attualità: la vita nelle carceri, un’emergenza continua e ricorrente nel nostro paese». C’è anche Carlo Lucarelli. «Sì, è la voce recitante nel brano “La nave dei veleni”, ispirato al suo libro “Navi a perdere”. Libro e canzone parlano di una tragedia ecologica: i veleni che hanno inquinato pochi anni fa le coste della Calabria». Poi c’è il brano “Crotone”. «Nel quale fra l’altro abbiamo un altro importante ospite: Fabrizio Moro, che alcuni ricorderanno qualche anno fa a Sanremo, e che qui fa un godibilissimo intervento rap». Moro a parte? «Il brano è ispirato da un altro fatto di cronaca, un’altra tragedia ambientale. Parla infatti dei rifiuti tossici emessi da alcune fabbriche della zona, che hanno inquinato le terre circostanti l’antica città della Magna Grecia...». A proposito: “Magna Grecia” era un vostro precedente album. «È vero. In quel disco parlavamo della Calabria povera di oggi e della Magna Grecia ricca e fertilissima di duemila anni fa. Un titolo ironico e triste. Gli dei non ci sono più, cantavamo, sono stati sostituiti indegnamente dagli uomini. La Calabria di oggi è la Magna Grecia di ieri, una civiltà importantissima che è stata spazzata via. Ma ha lasciato un segno nella storia». A Trieste presentate anche un progetto. «Sì, una cosa a cui teniamo molto. Portare la nostra musica nei luoghi, nei terreni sequestrati alla mafia, a tutte le mafie. Siamo già stati in Sicilia a Corleone, in Calabria a Polistena e a Isola capo Rizzuto, in Campania a Castelvolturno e a Casal di Principe, in Puglia a Cerignola...». Impressioni? «Tutte positive. Siamo andati e continueremo ad andare in questi luoghi per capire se il lavoro nei luoghi sequestrati alla mafia è solo un simbolo, pur importantissimo, di riacquistata legalità, o se può diventare qualcosa di più». Per esempio? «Per esempio un modello di nuova economia sociale. Secondo noi queste esperienze hanno al loro interno delle grandi potenzialità, ma vanno aiutate maggiormente dallo Stato». Prosegua. «Possono nascere nuove forme di socialità, il Sud può ripartire da esperienze come queste, possono essere offerte nuove possibilità ai giovani, un nuovo senso di vita. Ma è necessario entrare nelle scuole, parlare con i bambini che sono ancora terreno vergine, portare esempi di legalità e di sviluppo. È un percorso lungo, ma va avviato». Anche con “Terre di musica”? «Lo speriamo. È il progetto a cui stiamo lavorando, uscirà a primavera: un cofanetto con libro e film, la cui colonna sonora è nostra. Dopo Trieste lo presenteremo a Milano, Venezia, Torino. E a marzo saremo a Bologna, in un grande concerto a Piazza Maggiore...». Oggi alle 18, sempre al Miela, dibattito su “Quale futuro per i beni confiscati”, con l’associazione Libera.

giovedì 24 ottobre 2013

SCOTT MATTHEW stasera ven al teatro miela, trieste

«Quand’ero ragazzo, in Australia, con la mia prima band suonavo un genere a metà strada fra pop e punk. Ci facevamo chiamare Nicotine. Mi è capitato di risentire recentemente, dopo tanti anni, quel primo disco che realizzammo. Lo ammetto: mi sono emozionato. Ma al tempo stesso ho avuto non poche difficoltà a riconoscermi in quella musica...». Parla Scott Matthew, musicista e cantautore australiano di nascita (è originario del Queensland) e newyorkese d’adozione, che venerdì alle 21.30 suona al Teatro Miela. Di lui le note per la stampa dicono: «voce personalissima, atmosfere malinconiche e suadenti, torna costantemente sul luogo del suo perenne soffrire, dona voce a pene d’amore, lontananza, desideri disattesi, inappagati sensi di appartenenza». Scott, New York fu una scelta obbligata? «Sono partito per amore e semplicemente perchè dovevo andar via dall’Australia. Lì non ero felice. Mi sono sentito e tuttora mi sento a casa più a New York, un luogo che appartiene a tutti e a nessuno». Anche se è sempre in giro per il mondo. «Sì, a New York sto bene ma sono anche felice di partire spesso. Sono cresciuto in campagna, fra il verde. La natura mi manca. Qualche volta realizzo che questo è un modo di vivere assolutamente innaturale. Anche per questo vengo spesso in Europa: per prendermi delle salutari pause dalla follia...». Elva Snow? «È passato tanto tempo. Era il ’97. A Brooklyn conobbi Spencer Cobrin, l’ex batterista di Morrissey. Formammo questo gruppo, Elva Snow, e realizzammo un disco. Sue le musiche, miei i testi e il canto. Non durammo molto, poi ognuno prese la sua strada. Ma con Spencer siamo ancora molto amici. Ha collaborato ai miei successivi quattro album solisti. Eravamo giovani, erano altri tempi...». Le sue musiche per il cinema? «Nel 2005 ho scritto la colonna sonora per il film “Shortbus”, di John Cameron. E ciò mi ha aperto molte porte, mi ha portato un notevole successo internazionale. Prima avevo già partecipato al film giapponese “Anime”, interpretando dei brani, ma non ne avevo scritto le musiche. Ora ho invece delle mie canzoni nel film “Five dances”, del regista newyorkese Alan Brown». In questo periodo lei che musica ascolta? «Ho sempre ascoltato tutti i generi. Tuttora metto spesso su un disco degli Smiths, o di altri artisti di tanti anni fa. Benchè io faccia un genere musicale molto specifico, come ascoltatore sono molto eclettico: ascolto davvero di tutto. Anche la musica pop. Infatti ho recentemente fatto delle cover di brani di Rihanna e anche di Kylie Minogue...». Scott Matthew, la cui fama internazionale nasce, oltre che dalla colonna sonora del citato film di John Cameron “Shortbus”, anche ai suoi album “Gallantry’s favorite son” e “There is an ocean that divides”, è attualmente in tour in Italia per presentare il nuovo lavoro “Unlearned”. Si tratta di una collezione di brani scritti da artisti come Neil Young (“Harvest moon”) e Radiohead (“No surprises”), Bee Gees (“To love somebody”) e John Denver (“Annie’s song”), Joy Division (“Love will tear us apart”) e Whitney Houston (“I wanna dance with somebody”), Jesus and Mary Chain (“Darklands”) e Kris Kristofferson (“Help me make it through the night”), persino Charlie Chaplin (“Smile”, originariamente interpretata da Nat King Cole). Nella “Deluxe edition” spiccano anche quattro bonus track, tra cui “Anarchy in the U.K.” dei Sex Pistols e “Territorial pissing” dei Nirvana. L’artista australiano rilegge questi brani, scelto ognuno per un significato particolare, con il suo stile malinconico e assolutamente originale. «Ho interpretato queste canzoni - conclude Scott Matthew, che dopo Trieste sarà il 28 a Bologna, il 29 a Graz, il 31 a Linz e il primo novembre a Vienna - così come mi è venuto naturale. Ho sentito un forte bisogno di mostrare quello che questi brani hanno significato per me...».

mercoledì 16 ottobre 2013

CASA della MUSICA, TRIESTE, missione a STOCCOLMA

Riflettori internazionali sulla Casa della musica triestina. Il sodalizio, conosciuto per la sua intensa attività didattica e perchè promuove ogni estate il festival TriesteLovesJazz, già gode di “buona stampa” anche all’estero grazie ai tanti jazzisti che vengono a incidere nell’attrezzato studio di registrazione sito all’ultimo piano della struttura di via dei Capitelli, due passi da piazza Cavana e dunque anche da piazza Unità. Ora l’attenzione di operatori lontani è stata attirata dall’attività di didattica musicale rivolta ai più piccoli che viene svolta a Trieste. «Sì - conferma Gabriele Centis, musicista e direttore della struttura -, siamo stati invitati a Stoccolma dall’International children music collaboration, un network europeo per la diffusione della musica per l’infanzia. I loro osservatori sono venuti a Trieste a maggio, a vedere il nostro Festival di musica per bambini e a partecipare al convegno organizzato assieme al ministero Istruzione università e ricerca. E hanno apprezzato il nostro lavoro». Ecco dunque l’invito a Stoccolma. Venerdì per partecipare al convegno internazionale “Innovative methods on children music learning”: un incontro rivolto ai docenti della scuola primaria svedesi e agli operatori culturali che si occupano di musica, teatro e linguaggi espressivi. «L’iniziativa - prosegue Centis - si svolge al Dieselverkaten della capitale svedese, un’ex fabbrica di motori diesel riconvertita nel più grande centro di arte e cultura del paese». In quell’occasione sarà proprio Vincenzo Stera, napoletano trapiantato da tanti anni a Trieste, docente di scienze motorie nella scuola pubblica e di musica per bambini nella struttura di via Capitelli, ad aprire i lavori con un intervento sul “linguaggio della musica e del movimento per l’espressività e la comunicazione”. «Stera - dice ancora Centis - presenterà i contenuti dell’esperienza realizzata in questi anni alla Casa della musica, attraverso un attento lavoro di ricerca, sperimentazione e formazione realizzato con i bambini, le famiglie e gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria, già riconosciuito in ambito nazionale». Ma la missione a Stoccolma non si esaurisce qui. Sabato, sempre al Dieselverkaten, i musicisti triestini parteciperanno all’International children music collaboration, giornata dedicata allo studio di un progetto europeo per la creazione di una rete per lo sviluppo e la diffusione della musica di qualità per i bambini. Stera e Centis incontreranno nell’occasione i referenti di Olanda, Belgio e Germania. E siamo alla giornata di domenica. Al Festival di musica per bambini svedese (promosso nell’ambito dello Stockholm jazz festival, 14-20 ottobre) ci sarà spazio anche per gli ospiti triestini. Tra i concerti in programma c’è infatti anche “Music boxes”, recente produzione presentata a maggio al festival triestino, con Gabriele Centis alla batteria, Angelo Comisso al pianoforte e Vincenzo Stera ai fiati e alle percussioni.

martedì 15 ottobre 2013

ELISA, tour a marzo

Esce oggi “L’anima vola” (Sugar), il nuovo album di Elisa. E oggi alle 18.30, alla Feltrinelli di Milano (piazza Piemonte 2), l’artista di Monfalcone torna a incontrare il pubblico. Bis martedì 22, alle 18, alla Feltrinelli di Roma (via Appia Nuova 427). “L’anima vola tour” partirà invece a marzo e toccherà molte città italiane. Si comincia il 7 marzo alla Zoppas Arena di Conegliano Veneto (Treviso), e poi l’8 marzo a Padova (Pala Fabris), 10 marzo a Torino (Pala Olimpico), 11 marzo a Genova (105 Stadium), 13 marzo a Firenze (Nelson Mandela Forum), 15 marzo a Roma (Palalottomatica), 18 marzo a Napoli (Pala Partenope), 19 marzo a Pescara (Pala Giovanni Paolo II), 21 marzo a Perugia (Pala Evangelisti), 22 marzo a Bologna (Unipol Arena), 24 marzo a Milano (Mediolanum Forum). Per ora non sono previste date nel Friuli Venezia Giulia.

intervista ELISA. esce oggi nuovo album, L'ANIMA VOLA, il primo in italiano

«La mia lingua creativa è sempre stata l’inglese. Ma non c’è stato mai un distacco con l’italiano. Doveva solo arrivare il momento giusto. Dovevo trovare il linguaggio, l’identità, senza forzature. Quando mi sono sentita pronta l’ho fatto». Parla Elisa, che presenta il nuovo album “L’anima vola” («...doveva intitolarsi “Io, Pinkie e l’impero delle volpi”, Pinkie è il mio cane: ma Caterina Caselli ha detto che era meglio questo, e aveva ragione...»), che esce oggi a distanza di quattro anni dal precedente disco di inediti “Heart”. «Il momento per un album tutto in italiano - prosegue Elisa Toffoli, monfalconese nata al Burlo di Trieste il 19 dicembre ’77 - è arrivato dopo sedici anni dai miei inizi. E dodici dopo “Luce (Tramonti a Nordest)”». Com’è nato? «È stato tutto molto sereno, spontaneo, quasi naturale. Fra l’altro è un disco ispirato, scritto velocemente, quasi getto. E comunque ciò non vuol dire che non scriverò più in inglese...». Disco della maturità? «Me lo state dicendo in tanti. Sì, forse è vero. Anch’io lo sto vivendo così. È un disco molto al femminile». Con ospiti prestigiosi. «Si tratta di artisti amici, con i quali si è stabilito da tempo un feeling particolare. Penso a Luciano (Ligabue - ndr), che aveva da parte questa canzone scritta per sua figlia Linda, “A modo tuo”, ma non la cantava perchè voleva che a farlo fosse una donna. E madre». A proposito: dopo Emma Cecile è arrivato Sebastian. «Sì, la piccola ha quattro anni. È nata venti giorni prima della presentazione di “Heart” che facemmo al Castello di Duino. Da pochi mesi ha un fratellino. La mia famiglia ha avuto un ruolo importante in questo lavoro, la maternità mi ha cambiato molto. Ogni opera è influenzata dalla propria vita personale». Ligabue si rivolge alla figlia. «Sì, il brano descrive bene il difficile ruolo del genitore che vede crescere i propri figli: vorrebbe proteggerli tutta la vita e tenerli lontani dal dolore e dai problemi, ma sa bene che un giorno dovrà lasciarli andare». Fra gli ospiti anche Tiziano Ferro. «Era da tempo che volevo collaborare con lui. Aspettavo di avere la musica giusta da proporgli. “E scopro cos’è la felicità” ha una melodia calda, soul, mi sembrava giusto per lui. Che ha scritto un testo sul rapporto fra me e mia figlia, di come sia cambiata la mia vita, dopo aver visto delle immagini di noi due e Andrea (Rigonat, compagno dell’artista e suo chitarrista - ndr) assieme in tour». Giuliano Sangiorgi? «Ha scritto le parole di “Ecco che”, rileggendo il personaggio principale del film “L’ultima ruota del carro”, di Giovanni Veronesi, che con il suo camion di traslochi rappresenta la classe operaia e il sogno di diventare qualcuno. Poi scopre che la ricchezza della vita è avere qualcuno da amare, una famiglia, qualcuno che ti ama...». Morricone: com’è nata questa storia incredibile? «Per me era più di un sogno, non ci speravo. Lo amo da sempre, da quando ero bambina. Avevo chiesto a Caterina Caselli, che è sua amica, di chiedergli se poteva arrangiare un mio brano. Lui le ha risposto che arrangia solo quel che compone. Ma era disponibile». Le sono tremati i polsi? «Praticamente. Avevo paura di comporre un testo sulla sua melodia. Lui mi ha detto di raccontare un fortissimo mio ricordo, impresso nella memoria. Ho pensato al mio miglior amico da bambina, che se n’è andato via molto giovane». “Ancora qui” è poi entrato nella colonna sonora di “Django Unchained”. «Altra storia incredibile. Quentin Tarantino è un fan di Morricone. Filippo Sugar, figlio di Caterina e presidente della casa discografica, che detiene il catalogo storico del maestro, era a Los Angeles per parlare con la produzione del regista americano. Volevano le musiche di Morricone per il film, ma cercavano anche un inedito. Evidentemente il mio brano è piaciuto a Quentin...». L’ha conosciuto? «Non personalmente. Quand’è venuto a Roma per la presentazione del film, io ero incinta di Sebastian...». Ci parli delle altre canzoni. “Lontano da qui”? «Parla di evasione, di come usiamo a volte dei pretesti per evadere. I conflitti che abbiamo, i controsensi, la complessità dell'animo umano che oscilla tra la forza e la fragilità. E subisce il fascino della fuga». “Pagina bianca”? «Racconta dell’incertezza ma anche della voglia di irrompere nel mondo adulto quando stai per uscire dal periodo dell’adolescenza, e non sai cosa succederà a te e alla tua vita. Penso ai giovani d’oggi, ai sentimenti che provano e che anch’io ho provato alla loro età, quando ero piena di speranze, ma avevo anche paura del futuro, di quello a cui andavo incontro». “Un filo di seta negli abissi”? «Un legame che si perde, le domande che ti fai, gli errori che hai l’occasione di ammettere, il sollievo che provi perlomeno nel ritrovare te stessa cercando altre risposte». “L’anima vola” la conoscevamo già. «La relazione di coppia, consolidata, dove scopri come si cambia e come si trasforma un sentimento. L’eterno sogno femminile di essere capite, comprese, accompagnate. E riconosciute». “Maledetto labirinto”? «È una dichiarazione di indipendenza e allo stesso tempo di un profondo sentimento di affetto. Che, dichiarato il tutto, lascia all'altro la scelta, il passo da compiere per ricostruire». “Specchio riflesso”? «Qui racconto del cambiamento quando ti stacchi dagli amici, dal gruppo e vieni assorbito dalla tua famiglia, quella che hai creato. All’inizio ti sembra di provare un senso di solitudine. L’amicizia vera è un dare e avere, uno specchio che riflette solo quello che c’è veramente, e quindi speri che le amicizie vere possano tornare». Rimane “Non fa niente ormai”. «È un ringraziamento a mia figlia, per essere arrivata e avermi resa migliore. Grazie a lei ho compreso molte più cose anche di me stessa. Mi sono resa conto che non sei più il centro della tua vita». Il tour parte a marzo. «Sì, sarà molto diverso dall’ultimo che ho fatto, che era acustico, pensato per la dimensione teatrale. Stavolta giriamo per i palasport, dunque sarà uno spettacolo più elettrico, con molto rock». Elisa, abbiamo un problema: il tour non passa dal Friuli Venezia Giulia. «Beh, c’è la tappa a Conegliano, che non è molto lontana. E poi c’è ancora speranza di rimediare. C’è sempre speranza...».

sabato 12 ottobre 2013

MALIKA AYANE chiude stasera a Trieste il Barcolana Festival

«Il tour è finito un mese fa. Ma quando ho saputo che c’era la possibilità di venire a Trieste, nella splendida piazza Unità, vicino al mare e allo spettacolo delle vele, ho insistito perchè la cosa si realizzasse. Per me sarà una data speciale, una festa a conclusione dell’anno straordinario che ho passato. Prima di partire per le vacanze...». Malika Ayane conclude stasera alle 21 il Barcolana Festival. Ma ieri pomeriggio era ancora nella sua casa di Milano, mezza influenzata, a imbottirsi di aspirine per poter essere oggi a Trieste. “Ricreazione”: un disco e un tour. Cosa hanno significato per lei? «Soprattutto l’album mi ha aggiunto un senso di responsabilità. Mi ha fatto capire di essere passata dalla giovinezza all’età adulta. Dicono che il disco difficile sia il secondo. Per me è stato questo, il terzo. Ho scelto di farlo seguendo solo i miei gusti, le mie ispirazioni. Mi sono assunta dei rischi nella scelta di non seguire un filone commerciale. Ed è andata bene. Il tour è stata una bella conseguenza». Sanremo? «Fondamentale per farmi conoscere al grande pubblico. In tv per la musica esistono solo i talent show. Le altre possibilità sono rare. E il festival è ancora uno spazio speciale. Se ci torno a febbraio? No, lì devi andarci quando hai il pezzo giusto. Come le volte che vi ho partecipato». Le voci bianche della Scala. Se le ricorda? «Come potrei dimenticarle, è cominciato tutto lì. Ho fatto parte del coro dagli undici ai diciotto anni, poi la mia voce è cambiata, io stessa sono cresciuta. Ma quell’esperienza è stata fondamentale, mi ha formato, mi ha insegnato cosa significa la disciplina, cantare quattro ore al giorno, quelle cose lì». L’incontro con la Caselli? «La svolta della mia vita artistica. Avevo collaborato ad alcuni spot pubblicitari come assistente di Ferdinando Arnò, che poi mi ha prodotto il primo disco. Ricordo in particolare il brano “Soul weaver”, che poi nel disco divenne “Sospesa”, per una pubblicità della Saab...». D’accordo, ma l’ex Casco d’oro? «Le portai queste cose che avevo fatto, lei mi mise subito sotto contratto. E l’anno dopo - era il 2008, appena cinque anni fa, ma mi sembra sia passato molto più tempo - uscì il primo album. Di Caterina mi hanno colpito il fiuto, la sensibilità, la lungimiranza...». Cosa le ha insegnato? «Che non basta avere una grande voce, non basta cantare bene. L’importante sono i progetti che hai, il mondo che riesci a costruire attorno a te partendo dalla voce, da una canzone». Nata a Milano nell’84, madre italiana e padre marocchino. «Alcuni credono che sia stato mio padre a venire in Italia e conoscere qui mia madre. È stato invece l’opposto. Mia madre all’epoca era una grande viaggiatrice, ha conosciuto mio padre in Marocco. Poi sono venuti in Italia». La musica nordafricana? «Fa parte della mia memoria, dei ricordi delle mie vacanze da bambina, a casa della nonna. Ogni ricordo ha una componente uditiva». Il dramma dei migranti? «Fatti per me dolorosissimi. Sono arrabbiata con la razza umana. Lampedusa dimostra che il mondo globalizzato, dove ogni luogo e ogni cosa sembrano a portata di mano, in realtà non distribuisce le risorse a beneficio di tutti». Diceva che ora va in vacanza. Dove? «Nord Europa. Al freddo. Voglio elaborare quel che mi è capitato quest’anno. Per poter ripartire».

giovedì 10 ottobre 2013

nuovo LUCA CARBONI, fisico & politico

LUCA CARBONI, “FISICO & POLITICO” (Sony) Sono passati quasi trent’anni da quel suo primo concerto fuori dalla natia Bologna, al Castello di San Giusto, a Trieste, davanti a una ventina di irriducibili che si erano lasciati affascinare dal suo album di debutto “Intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film”. Luca Carboni era all’epoca un ventenne di bellissime speranze, scuola bolognese dei cantautori, voce e scrittura ispirate. Su questo giornale - ci sia concessa per una volta l’autocitazione - fummo fra i primi a scrivere che il ragazzo andava tenuto d’occhio... Com’è come non è, son passati trent’anni. E il nostro ne approfitta per gettare uno sguardo, a tratti malinconico, a tratti ancora pulsante, su una bella carriera che è ancora lontana dalla conclusione. Una piccola grande festa, per la quale Luca ha voluto coinvolgere alcuni colleghi e amici. Fra questi, Fabri Fibra, che duetta nel singolo che dà il titolo all’album, Jovanotti per “Ci vuole un fisico bestiale”, Tiziano Ferro in “Persone silenziose”, Cesare Cremonini per “Mare mare”. E ancora Elisa in “Vieni a vivere con me”, Battiato in “Silvia lo sai”. Due inediti: “C’è sempre una canzone”, scritto da Ligabue, e “Dimentica”.

nuovo STING, the last ship

Era da “Sacred love”, dunque dal 2003, che Sting non sfornava un album di canzoni nuove. Non che in questi dieci anni sia rimasto con le mani in mano, fra album natalizi (“If on a winter’s night”), musiche per liuto (“Songs from the labyrinth”), album dal vivo con orchestra (“Symphonicities”), album dal vivo senza orchestra, antologie di grandi successi. Ma un disco in studio, tutto di inediti, quello no. Arriva ora, con questo raffinato “The last ship”, intreccio di ricordi della sua infanzia a Wallsand, periferia nord della sua Newcastle. Il sessantenne artista (cento milioni di dischi venduti fra Police e carriera solista, dieci Grammy, tre nomination all’Oscar...) racconta di un gruppo di disoccupati di un cantiere navale in declino, che ispirati da un prete decidono di costruirsi da soli una nave, “l’ultima nave”, come affermazione della loro identità. «È un invito - spiega - a fare qualcosa di pazzo, innovativo, creativo. Il disco tratta molti temi, come l’esilio. C’è una città, una comunità che ho lasciato giovanissimo per fare il musicista, mentre mio padre voleva che lavorassi in un cantiere navale, magari come tecnico, allora era la massima aspirazione. Io invece me ne sono andato a Londra a fare l’artista. Inconsciamente ho scritto di me. La nave è la metafora di tante cose. Quando salpa non sai mai se tornerà, c’è la vita e la paura della morte. Anche io me ne sono andato, non sono mai tornato. “The last ship” mi ha fatto tornare a casa». Riflessioni sulla crisi economica ma anche sul tempo che passa, sulla famiglia, la complessità delle relazioni, l’importanza del lavoro e dei legami. Il rapporto conflittuale fra un padre legato alla tradizione e un figlio in fuga dalle regole, sullo sfondo della crisi dei cantieri nell’Inghilterra degli anni Ottanta. Un concept album, dunque, frutto di quasi tre anni di lavoro, seguiti al tour per la reunion dei Police nel 2008. Anche se l’ispirazione pare sia nata dall’album “The soul cages”, uscito nel ’91, il primo nel quale l’irrequieto e poliedrico artista britannico ha parlato della sua “lotta” con il padre. In questi giorni Sting presenta dal vivo il disco a New York. E lavora al musical che porterà lo stesso titolo e debutterà a Broadway l’anno prossimo. «Ho composto quaranta canzoni - dice -, una parte le ho raccolte nell’album, quasi per metterle al sicuro. Realizzare un musical è la sfida più importante della mia vita, è come scalare il Monte Bianco. Posso fallire ma voglio provarci. Se un musical funziona ha una vita molto lunga». Nel disco brani perlopiù raffinati, atmosfere colte, clima classicheggiante. Spiccano una ballata senza tempo come “I love her but she loves someone else”, la jazzata “And yet” (scelta come singolo apripista), le atmosfere irlandesi di “Ballad of the great eastern”, l’elettrica “Language of birds”. E ovviamente il brano del titolo.

sabato 5 ottobre 2013

OMAR SOSA ven a Trieste, barcolana festival

«Cuba? Oggi è un paese sui generis: non più comunista, non ancora capitalista. Ma il suo popolo sta cercando la sua strada. La troverà, perchè la sua gente ha grande forza e grandi risorse...». Parla Omar Sosa, fra i massimi esponenti del “latin jazz”, che suonerà al Barcolana Festival, in piazza Unità, venerdì 11 ottobre. Al telefono da Buhl (città tedesca al confine con la Francia, a pochi chilometri da Strasburgo), dove ieri sera ha suonato a un festival jazz, il pianista e compositore cubano, classe ’65, alternando spagnolo e inglese, prima di tutto si informa sul capoluogo giuliano, di cui ha sentito parlare ma non conosce. E quando gli diciamo che suonerà in una grande piazza aperta sul mare, ha un moto quasi di entusiasmo... «Dell’Italia - dice - conosco Roma e Milano, ma anche la Toscana, la Puglia, la Sardegna. Luoghi meravigliosi, alcuni dei quali mi ricordano la mia Cuba». Dove lei ha cominciato a suonare da bambino. «Sì, avevo quattro anni quando ho cominciato a suonare le percussioni. Poi mi piacevano la marimba, lo xilofono, il vibrafono. Dunque melodia, oltre che ritmo. Il passaggio al pianoforte è stato dunque naturale». Come ha scoperto il jazz? «Quand’ero piccolo a Cuba c’era una grande cultura musicale. Anche l’educazione musicale non era mai trascurata. Il jazz si è sempre ascoltato, soprattutto quello tradizionale, delle big band americane. Eredità degli anni Quaranta e Cinquanta, prima che gli statunitensi venissero mandati via...». Come mai nel ’93 è andato a vivere in Ecuador? «Per lavoro. Ma fu proprio lì, a Quito, un paesino sulla costa occidentale, che trovai un’espressione musicale folklorica originale, molto legata alle radici africane. Per me è stata una scoperta molto importante». Perchè? «Fu lì, ascoltando quei suoni, quei racconti, che cominciai a concepire una musica sincretica, capace cioè di tenere assieme le tradizioni ma anche tutte le espressioni culturali e musicali della diaspora africana». L’Europa cosa ha aggiunto? «L’Europa è per me il simbolo della multiculturalità. A Roma, a Parigi incontri africani, arabi, americani, latini. L’Europa mi ha dato la possibilità di convivere con tante culture diverse, e ciò vale anche per la musica. Anche per questo io amo questo grande continente». Lei dove vive attualmente? «Mi divido fra Barcellona, dove vivono la mia famiglia, i miei figli, e la California. Luoghi splendidi, anche se è un po’ complicato e faticoso tenerli assieme...». Com’è nato il suo progetto “Eggun”? «Al Barcelona Jazz Festival del 2009 mi chiesero di scrivere un tributo al classico di Miles Davis “Kind of blue” per il suo cinquantesimo anniversario. All’inizio dissi di no. Poi mi lasciai convinvere. E nacque qualcosa, credo, di speciale. L’album è uscito quest’anno». Meglio Miles o Thelonius Monk? «Miles è stato un grandissimo, ma il mio vero maestro, il mio eroe è stato senz’altro Thelonius. Con il suo linguaggio personale e originalissimo mi ha fatto scoprire le grandi potenzialità della musica. Un vero rivoluzionario». Qual era la musica italiana per lei, da ragazzino? «Soprattutto Verdi, l’opera, Rigoletto. In anni più recenti ho avuto il piacere di lavorare con Paolo Fresu, con Stefano Bollani: un vero “loco” (matto in senso buono, ndr), mi piace molto. Come mi piacciono anche Zucchero e Pino Daniele». Dopo Trieste, Omar Sosa suonerà il 21 a Verona, il 23 a Torino e il 25 a Bologna.

venerdì 4 ottobre 2013

BANCO stasera deposito giordani Pordenone

«Con Battiato siamo amici e ci stimiamo reciprocamente da quarant’anni. E con lui è stato naturale ma anche emozionante scrivere “Imago mundi”, l’ultimo capitolo, quarant’anni dopo, di “Darwin”...». Parla Vittorio Nocenzi, con Francesco “Big” Di Giacomo anima di quel Banco (già “del mutuo soccorso”) che dagli inizi degli anni Settanta a oggi è sempre stato una delle colonne del “prog” italiano. E che stasera alle 21 torna al Deposito Giordani di Pordenone, nell’ambito di questo ”On the road Tour 2013” che è il seguito della tournèe del quarantennale già passata in regione. «Intanto - dice il musicista - voglio rendere omaggio al Deposito Giordani, un luogo dove torniamo sempre volentieri. Un posto ottimo per la musica, dove fra studio di registrazione, sala prove e sale concerto, c’è davvero un bel movimento creativo. Ce ne dovrebbero essere di più, di luoghi come questo». Anche nella vostra Roma? «La capitale Roma è sempre viva, ma diciamo che galleggia. Altre città, penso a Torino e Bologna, vivono una fase non buona. Milano è sempre Milano. Napoli fa eccezione: con New Orleans è la vera città della musica». Allarghiamo il discorso all’Italia. «Soffre nella produzione culturale, non c’è protezione. Penso sempre alla Francia, dove nella programmazione radiofonica è prevista la quota del 40% per gli artisti nazionali. È solo un esempio, ma fa capire la differenza». L’attualità di “Darwin”? «Nei concerti ci siamo accorti che un impianto narrativo così evocativo, pur avendo quarant’anni, funziona ancora. Nel disco la teoria scientifica è solo un pretesto per parlare dell’uomo, della sua storia, del suo percorso, delle sue lotte, della sua dignità». Negli Stati Uniti è ancora al primo posto nella speciale classifica dei migliori album progressive di sempre. «Certo, una grande soddisfazione. Che conferma il discorso appena fatto: quell’intuizione funziona ancora, a distanza di tanto tempo. All’estero hanno amato e amano la grande suggestione di un racconto così ampio, evocativo di riflessioni e immagini». Battiato? «Ci conosciamo da quando abbiamo cominciato, lui e noi, nei primi anni Settanta. I festival, le sperimentazioni, i dischi. Con lui abbiamo scritto l’ultimo capitolo, quarant’anni dopo, di “Darwin”. Ponendoci un quesito: ma è stata vera evoluzione? Oppure abbiamo vissuto, stiamo vivendo un’involuzione qualitativa?» Vi vedremo assieme dal vivo? «Lo spero, forse avverrà, anche se ancora non sappiamo dire quando. Per ora, anche stasera a Pordenone, suoniamo in versione “unplugged”: la voce di Francesco, il mio pianoforte, Filippo Marcheggiani e Nicola Di Già alle chitarre». Progetti? «Andiamo a suonare negli Stati Uniti e in Australia. E c’è un progetto per Cina e Giappone. Il Banco non molla».

giovedì 3 ottobre 2013

MASSIMO PRIVIERO stasera live da Radio Capodistria Koper

Millenovecentottantotto. La casa discografica Wea lancia due nuovi rocker: l’emiliano Ligabue e il veneto Massimo Priviero. Il primo canta “Bar Mario”, il secondo “San Valentino”. Ottimo inizio per entrambi. Sono passati venticinque anni. Uno è diventato l’unico rocker italiano, dopo Vasco, in grado di riempire gli stadi. L’altro ha fatto una carriera più defilata, ma non per questo meno dignitosa, scrivendo e cantando sempre cose di qualità. Stasera alle 20, Priviero propone in anteprima, in diretta dallo Studio Hendrix di Radio Capodistria, il suo nuovo album di inediti “Ali di libertà”, che verrà presentato al Blue Note di Milano il 27 ottobre. «Questo è forse l'album più importante della mia vita artistica - afferma l’artista -, che a novembre compie 25 anni. Il mio rock d’autore è il mio modo di stare al mondo. Per essere il più possibile me stesso, uguale alle canzoni che scrivo. L’album traduce soprattutto il bisogno di forza, che cerca di diventare musica o poesia. Forza di vivere. Sia questa più condivisa o più introspettiva. Perché è di forza da cercare in noi stessi che abbiamo ogni giorno sempre più bisogno». La storia di Priviero è la stessa di tanti ragazzi della sua generazione. L’amore per il rock e il folk, ma anche per la letteratura e la storia. I vagabondaggi europei da “menestrello di strada”, ma anche una laurea in filosofia politica. Poi il trasferimento dal Veneto a Milano, il debutto discografico di cui s’è detto (“San Valentino” fu un buon successo di critica e di pubblico), album di qualità come “Nessuna resa mai” e “Poetika”, collaborazioni di prestigio come quella con Little Steven (attraverso il quale ha “sfiorato” musicalmente il suo idolo Springsteen...). Ma il rocker ha all’attivo anche un vigoroso impegno sociale: è infatti testimonial di “Sos Racisme” e alcuni suoi album (soprattutto “Non mollare” del ’94 e “Dolce Resistenza” nel 2006) risentono in maniera più o meno esplicita di questo impegno. Stasera quest’anteprima nell’ambito del ciclo “Club 04” di Radio Capodistria. Sul web - http://youtu.be/M16t_LjdAnU -, per chi lo volesse, c’è il video di “Alzati”, singolo di lancio del nuovo album. .

mercoledì 2 ottobre 2013

SANREMO 2014: tutti confermati, anche la formula

Squadra - e formula - che vince non si cambia. Dunque confermatissima la coppia Fabio Fazio e Luciana Littizzetto anche per il Sanremo 2014 (si terrà dal 18 al 22 febbraio), dopo il buon successo di quest’anno. Ma questo già si sapeva. La novità è il regolamento, appena pubblicato “on line”. La formula ricalca quella inaugurata per la 63.a edizione. Quattordici campioni in gara, ognuno con due brani, dei quali solo uno resterà in competizione. Verranno evitate anche stavolta, dunque, le forche caudine dell’eliminazione dei cantanti. Non si vedrà il sangue che metaforicamente scorreva nelle edizioni degli anni passati. Il cosiddetto big in gara non rischierà l’onta della bocciatura da parte delle giurie o del voto popolare. Tutti in finale appassionatamente, a cadere saranno soltanto le canzoni. Confermate anche le otto nuove proposte (per loro rimane invece il meccanismo dell’eliminazione, i loro brani dovranno essere inediti fino alla pubblicazione sul sito Rai) e la serata evento “Sanremo Club” dedicata alla storia della musica italiana, con canzoni rilette dai campioni in gara, che avranno la possibilità - non l’obbligo - di invitare ospiti italiani e internazionali per dar vita a dei duetti. «L'organizzazione e la realizzazione della 64.a edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo - si legge in una nota della Rai - sono state affidate dal Comune alla Rai che proporrà una competizione tra 28 canzoni nuove, interpretate da 14 artisti campioni, individuati secondo criteri di contemporaneità, fama e valore riconosciuti». A Sanremo, intanto, in attesa del festivalone, da oggi a sabato va in scena il Premio Tenco, rassegna della canzone d’autore. Fra gli ospiti: Max Gazzè, James Senese & Napoli Centrale, Luca Barbarossa, Simona Molinari, Niccolò Fabi...