lunedì 31 dicembre 2007

Ma si può ancora parlare, l’ultimo giorno dell’anno, di un album che si intitola «Il regalo di Natale» (Universal)? Assolutamente sì, se gli autori sono Enrico Ruggeri, Andrea Mirò e «Quei bravi ragazzi», tutti fotografati in copertina attorno a una tavola imbandita, con un’aria da cattivoni che rimanda a qualche film di Scorsese. Se ne può e se ne deve parlare perchè il disco in questione - pur partendo dalla celebrazione in tutte le salse del tema natalizio - ha una ricchezza musicale che raramente si incontra fra le cose che escono nel nostro Paese. Il cantautore milanese e la sua versatile compagna di vita e di mestiere, ben supportati dal gruppo capitanato dallo storico socio di Ruggeri, Luigi Schiavone, hanno realizzato un lavoro destinato a durare, al di là delle scadenze del calendario.

Una dozzina di canzoni, con atmosfere estremamente varie. Si va da cover rivisitate in chiave punk (ebbene sì, punk...) come «Jingle Bells» e la «White Christmas» scelta per aprire la raccolta, a episodi di grande intensità come «Have yourself a merry little Christmas», in bilico tra rock e canzone d'autore.

Quattro inediti, di cui tre interpretati singolarmente («Stella» e «Il centro luminoso» da Ruggeri, «Regalo di Natale» da Andrea Mirò) e uno in duetto («C'era una volta Natale»). Ma anche rivisitazioni di brani precedentemente incisi dai due: da «Il Natale dei ricordi» (pubblicata nel ’99 e qui rimasterizzata) a «Piccola lettera di Natale» (nuova versione del brano che stava in un album degli anni Ottanta).

Spiega Ruggeri: «Avevo in mente questo progetto da almeno quindici anni. Il Natale è l’unica festa capace ancora di commuovermi. Mi riporta all’infanzia, a persone, colori e sapori che non ci sono più, con la voglia di riproporre ai miei figli quello scenario che per me fu così importante e formativo».

«Ho cominciato a scrivere canzoni sullo stesso argomento visto da varie angolazioni - dice ancora il cantautore, che sta lavorando anche al suo prossimo ”vero” album - rileggendo e registrando altri brani che avevo da sempre voglia di cantare. Andrea Mirò ha effettuato lo stesso percorso, naturalmente filtrato attraverso la sua sensibilità, molto diversa dalla mia...».




S’intitola invece «Rosalino Cellamare – Ron – In Concerto» (SonyBmg) il nuovo album dal vivo del cantautore di Garlasco, qui accompagnato dall’Orchestra Toscana Jazz. Quasi quarant’anni di carriera (debuttò sedicenne al Sanremo ’70, cantando «Pa’ diglielo a ma’» assieme a Nada) riassunti in un’ora di musica, fra classici come «Piazza grande», «Il gigante e la bambina», «Al centro della musica», «Joe Temerario», «Anima», «Attenti al lupo»... E la scelta simbolica di mettere vicini, sulla copertina il nome vero - quello degli esordi - e il nome d’arte adottato da quasi trent’anni. C’è anche un inedito, «Canzone dell’acqua».



Ultima segnalazione per Marco Armani, che qualcuno ricorderà in alcuni Sanremo di tanti anni fa. In «Parlami d’amore Mariù» (Delta Dischi) è andato a rivisitare canzoni della tradizione italiana degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta: da «Mamma» a «Portami tante rose», da «Violino tzigano» a quella scelta per il titolo, tutte firmate da Cesare Andrea Bixio, nato a Napoli nel 1896, che ha lasciato qualcosa come 500 canzoni e 150 colonne sonore. Operazione storica di un certo interesse. Fra gli ospiti, la cantante Rosalia De Souza e il rapper inglese Kevin Attienne.



 

Anticipazioni per il 2008. Una straniera, una italiana. Giusto per cominciare a farci la bocca, visto che nelle prossime settimane il calendario delle uscite verrà aggiornato continuamente. Buone notizie per chi ama i Rem: anche se manca l'ufficialità, la band americana dovrebbe pubblicare presto un nuovo disco di inediti. L'ultimo lavoro di Michael Stipe e compagni è datato 2004, era «Around the sun». Ad alimentare le speranze dei fan ci sono le parole che lo stesso Stipe si è lasciato scappare un paio di settimane fa durante un'asta di beneficenza tenutasi a New York: «Lasciate che vi dica un segreto: abbiamo nel cassetto un grande disco, un grande cambiamento per il sound della band. Lo faremo uscire il prossimo primo aprile...». Qualcuno ha notato che, visto il giorno, potrebbe anche trattarsi di uno scherzo... O forse è tutto vero, e allora non resta che aspettare la conferma ufficiale, per ascoltare il nuovo disco di una delle migliori band degli ultimi anni.



S’intitola invece «Pica!» il nuovo album di Davide Van De Sfroos che uscirà l’8 febbraio. La parola usata nel titolo in dialetto lombardo «laghée» (zona lago di Como...) significa «picchia», e rappresenta il suono, la parola e l'invocazione che accompagnava i minatori di Frontale (frazione di Sondalo, comune dell'Alta Valtellina). A tre anni di distanza da «Akuaduulza», dal cantautore lombardo arriva un nuovo album composto da quindici brani, tre dei quali con testo in italiano e ritornello in dialetto laghee. Davide Bernasconi, in arte Davide Van de Sfroos, ha vinto nel 2001 la Targa Tenco come «miglior album in dialetto» con «...E semm partii» mentre nel gennaio del 2003, con «Laiv», ha ottenuto un disco d'oro. Infine l'ultimo album di inediti - il citato «Akuaduulza» -, storie, leggende, tradizioni di «acqua dolce» racchiuse in quattordici brani, che hanno registrato consenso di pubblico e critica a livello ormai nazionale.

 

FIORELLO Dovrebbe essere l'ultimo estratto discografico dalla fortunata trasmissione radiofonica, ma in questo settore e di questi tempi... mai dire mai... Comunque, ecco 67 tracce per 66 minuti. La media è di un minuto a frammento, talvolta schegge di pochi secondi limitate a una battuta, un tormentone, anche una sola parola che però, trattandosi di loro due, a volte basta e avanza per sganasciarsi. A conferma che stiamo parlando della trasmissione radiofonica più amata dai tempi di «Alto Gradimento». Una galleria di 44 nomi: da Prodi a Ciampi, da Berlusconi a Napolitano, da Camilleri a Battiato, da Morandi alla Bellucci. Passando per La Russa, Costanzo, Califano, Moccia... Grande Fiorello, davvero.



ROSA BALISTRERI
Nuovo disco dell’interprete forse più rappresentativa della canzone popolare siciliana, scomparsa nel ’90. Nell’anno di quello che sarebbe stato il suo ottantesimo compleanno (era del ’27) arriva questa raccolta di inediti o versioni mai registrate di brani che ne hanno caratterizzato la carriera. Chi non comprende il dialetto siciliano può concentrarsi su elementi altrettanto fondamentali che spesso rimangono in ombra rispetto alle parole: la circolarità e la ripetitività dell’accompagnamento della chitarra, sempre pizzicata, e il timbro secco e asciutto della voce, che canta con le cadenze del canto tradizionale siciliano. Tre brani su tutti: «Vurria di lu tu sangue cincu stizzi», «Rosa canta e cunta» e «Tu si bedda».




TRIESTE È stato un anno davvero molto rock, almeno per Trieste e per tutto il nostro Friuli Venezia Giulia. Mai era avvenuto, infatti, che un anno solare, a queste latitudini e longitudini, fosse stato tanto ricco di nomi - italiani e stranieri, grandi e piccoli, belli e brutti, superstar ed emergenti - come lo è stato questo 2007 che ora va in archivio.

Fra capoluoghi e centri minori sono infatti arrivati signori più o meno arrabbiati come i Red Hot Chili Peppers (unica data italiana del tour) e i Placebo, grandi signore della musica come Bjork (anche qui unica data italiana) e Laurie Anderson, e poi in ordine più o meno sparso Robert Plant dei leggendari Led Zeppelin (che venti giorni fa si sono riuniti dopo tanti anni per un concerto col botto a Londra) e Steve Vai, Patti Smith e i Jethro Tull, i Fairport Convention e Noa, il duo Tuck & Patti e i Devo, Philip Glass e Richard Galliano, Robert Wyatt e Khaled, Gotan Project e Andreas Vollenweider, Goran Bregovic e tanti altri che sicuramente ora stiamo dimenticando ma non per questo sono risultati meno graditi e sono meno importanti.

Sul versante degli italiani, faremmo quasi prima a citare quelli che non sono venuti, in questo musicalissimo 2007, nel Friuli Venezia Giulia. Comunque ricordiamo Vasco Rossi (nel solito Stadio Friuli tutto esaurito, a settembre) e Laura Pausini, Zucchero (nemmeno un mese fa, in un gremito PalaTrieste) e Lucio Dalla, Claudio Baglioni e i Negramaro, Gianna Nannini e Tiziano Ferro, Luca Carboni e Ivano Fossati, la storica Pfm (in versione repertorio De Andrè) e Pino Daniele, Paolo Conte e Francesco De Gregori (che il 13 febbraio tornerà in regione, al Teatro Verdi di Pordenone, in esclusiva regionale, con il suo tour), Franco Battiato e la coppia Tozzi Masini, Enzo Jannacci e Milva.

E poi ancora Caparezza, Gianmaria Testa, gli Assalti Frontali, Gino Paoli, i Finley, gli Stadio, il vincitore dell’ultimo Sanremo Simone Cristicchi, i New Trolls (che a Trieste, in piazza Unità, l’estate scorsa hanno festeggiato una storica «reunion» e registrato un dvd che sta girando il mondo), Max Pezzali, i Negrita, Giovanni Allevi, Mario «Barry White» Biondi, gli Avion Travel, Fiorella Mannoia, Ornella Vanoni, Elio e le Storie Tese, gli Zero Assoluto, Giuliano Palma e i suoi Bluebeaters, gli Afterhours, l’Orchestra di Piazza Vittorio, ovviamente la nostra piccola grande Elisa...

Anche fra gli italiani dimentichiamo di certo qualcuno. Ma come si vede, la lista è comunque lunghissima. Ed è stata nel corso dei mesi ben distribuita fra Trieste e Udine, fra Grado e Lignano, fra Gorizia e Pordenone, fra Tarvisio e Villa Manin, fra Monfalcone e Spilimbergo... Riempiendo di volta in volta stadi, palasport, teatri, piazze, luoghi storici. Con una ricchezza e una varietà di nomi, ma anche una continuità di appuntamenti che davvero da queste parti non si erano mai registrate.

La cosa può forse sorprendere l’osservatore più distratto, quello che era abituato a una situazione da «periferia dell’impero», peraltro assai radicata in queste terre nei decenni scorsi.

Ma è una novità che non trova affatto impreparato chi da tempo ha notato l’inversione di tendenza, la svolta radicale, la felice congiuntura che è peraltro figlia di un nuovo clima di proficua collaborazione fra pubblico e privato (non possiamo non citare al proposito il fondamentale ruolo di Azalea Promotion), e che ha portato a trasformare il Friuli Venezia Giulia in una sorta di grande, ideale palcoscenico aperto quasi trecentosessantacinque giorni all’anno.

Insomma, possiamo dire che se ieri eravamo «periferia dell’impero», oggi siamo «al centro della musica».

E domani, con la storica e definitiva caduta del confine con la Slovenia ormai avvenuta e festeggiata, rischiamo di diventare una sorta di «euroregione della musica» ancora tutta da costruire ma di cui già si intravedono i contorni e le potenzialità.

Sì, perchè con Lubiana che adesso è anche psicologicamente più vicina a Trieste di Lignano o Pordenone, con Nova Gorica che diventa un’unica grande città con Gorizia (non dimentichiamo che il circuito nei casinò sloveno ospita spesso grandi nomi della musica), è chiaro che il 2008 diventa il primo anno in cui il pubblico di queste terre avrà a disposizione una scelta di spettacoli che può tranquillamente tener testa a zone in passato molto più frequentate della nostra dai circuiti della grande musica.

Il futuro è cominciato, allora. In tutti i settori. Anche quello degli spettacoli. Non rimane che contribuire a scriverlo. Si ricomincia il 5 gennaio al PalaTrieste con Nick and the Nightfly con la Montecarlo Orchestra e Sarah Jane Morris. Si prosegue il 15 gennaio al Rossetti con Dionne Warwick, il 14 febbraio al palasport di Udine con i Subsonica, il 22 febbraio al palasport di Pordenone con i Korn. E probabilmente è solo l’inizio di un’altra grande annata.

domenica 9 dicembre 2007

CELENTANO Il 6 gennaio compie settant’anni, essendo nato nel ’38 a Milano, in via Gluck, da genitori immigrati pugliesi. Sta sulle scene da oltre mezzo secolo, avendo debuttato alla fine del ’56, con uno spettacolo di rock’n’roll al Teatro Smeraldo. E nonostante ciò - o forse proprio per questo - oggi Adriano Celentano è ancora una figura di primissimo piano della scena musicale (e televisiva) di casa nostra. Tanto da ottenere da Raiuno uno show in prima serata ogni volta - guarda caso - che decide di pubblicare un disco. È successo anche stavolta, per «Dormi amore, la situazione non è buona» (Clan-SonyBmg), presentato in pompa magna la settimana scorsa, davanti a nove milioni e passa di telespettatori, sulla rete ammiraglia del malandato e scassatissimo servizio pubblico. E se il programma di quest’anno, «La situazione di mia sorella non è buona», una sola puntata, ha raccolto più perplessità che consensi, lo stesso non può dirsi per il disco, già schizzato ai vertici delle classifiche di vendita. I temi toccati dal nuovo lavoro - che arriva a tre anni di distanza dal precedente «C’è sempre un motivo» - sono l’amore, l’ambiente, l'emarginazione del Sud, la denuncia sociale, la difficoltà di essere sempre controcorrente. Tra gli autori dei dieci brani inediti, oltre alla supercoppia Mogol-Bella, che firma pure il brano di punta «Hai bucato la mia vita», ci sono anche Carmen Consoli, Domenico Modugno, Neffa, Tricarico e Jovanotti. «Ragazzo del Sud» è il titolo di un vecchio e attualissimo inedito di Modugno, risalente al ’74, mai inciso dal Mimmo nazionale. «Aria... non sei più tu» è stata scritta da Jovanotti. «Anna Magnani» - eseguita dal quintetto di Stefano Di Battista - è firmata da Vincenzo Cerami e ancora Carmen Consoli.

Il disco è uscito sia in cd che in vinile. Sulla copertina il pittore Wainer Vaccari raffigura l’ex Molleggiato nelle vesti di un aggressivo boxeur. Arrangiamenti di Celso Valli, Fio Zanotti e Michele Canova. Bel disco, da ascoltare. Di un grande interprete, oltre che un «combattente nato», con una buona squadra di autori e produttori alle spalle.

VENDITTI Un altro italiano che non si è arreso alla moda e all’imperativo delle antologie e dei cofanetti che sembra dominare questo finale di 2007 è <CF32>Antonello Venditti</CF>. Il suo «Dalla pelle al cuore» (Heinz-SonyBmg) arriva a quattro anni dal precedente «Che fantastica storia è la vita», che per la verità era un po’ deboluccio. La lunga pausa ha permesso al cantore di «Roma capoccia» di rifiatare, e queste nove canzoni nuove lo riprongono all’attenzione di pubblico e critica con le carte in regola per giocarsela. I temi, in bilico fra tradizione e novità, e con lo stile di sempre, sono quelli cari al cantautore romano: si viaggia fra l'amore e l'attualità, fra il tradimento e le riflessioni sul rapporto tra laicità e cristianesimo.

Da segnalare la canzone dedicata all'amico scomparso e calciatore della Roma Agostino Di Bartolomei («Indimenticabile»), la performance di Carlo Verdone alla batteria nella dissacrante «Comunisti al sole», e ancora il sax di Gato Barbieri in «Piove su Roma». Ma non si può non citare anche «Scatole vuote», «Giuda», «Tradimento e perdono», oltre ovviamente al brano che dà il titolo all’album e ne ha anticipato la pubblicazione. Dall’8 marzo Venditti sarà protagonista del «Dalla pelle al cuore tour 2008», con partenza dal palasport di Padova.

DE GREGORI Due cofanetti raccolti nel marasma di pubblicazioni antologiche che la discografia italiana manda sul mercato per Natale. Il primo si intitola «Left & Right - Documenti dal vivo» (Columbia-SonyBmg), comprende un cd e un dvd, ed è il nuovo lavoro di <CF32>Francesco De Gregori</CF>. Il disco è stato registrato dal vivo l’estate scorsa. Il titolo, sinistra e destra, non deve far pensare a coloriture politiche. Si riferisce infatti al suo esser stato registrato su due piste dai canali - quello di destra e di sinistra, per l’appunto - del mixer di sala. Fra le canzoni: «Numeri da scaricare», «Compagni di viaggio», «Un guanto», «Mayday», «La leva calcistica della classe '68», «L'agnello di Dio», «La donna cannone»... Il dvd, intitolato «Takes & Out Takes», contiene scene di backstage, versioni inedite e una lunga intervista realizzata da Renato Nicolini. Messo a confronto con quel che esce, e tenendo conto delle potenzialità del nostro, è decisamente poverello. Con De Gregori ci sono Stefano Parenti alla batteria, Alessandro Arianti alle tastiere, Alessandro Valle, Lucio Bardi e Paolo Giovenchi alle chitarre, Guido Guglielminetti al basso. Il tour è cominciato due settimane fa dal Malibran di Venezia, e sarà il 13 febbraio al Verdi di Pordenone.

CARBONI L’altro cofanetto è un triplo cd firmato da <CF32>Luca Carboni</CF> e si intitola «...Una rosa per te!» (Rca-SonyBmg). A un anno di distanza dal convincente «Le band si sciolgono» (il nono della sua ormai lunga carriera), il cantautore bolognese mette in fila trentasei canzoni d’amore, scritte e cantate con il suo caratteristico approccio minimalista alle cose della vita. Ognuno dei tre cd è aperto da un inedito: «C'è», che è anche il primo singolo, e poi «Dentro le scarpe» e «Canzoni alla radio». Si tratta in realtà di tre brani che Carboni aveva scritto per gli Stadio e non aveva mai inciso. Le altre canzoni sono quelle che lo hanno fatto amare dal pubblico italiano: da «Farfallina» a «Mi ami davvero», da «Fragole buone buone» a «Le ragazze», da «Ci sei perchè» a «Vieni a vivere con me»...


VASCO A settembre il mito Vasco era anche allo Stadio Friuli di Udine. A conclusione dell’ennesimo megatour che lo ha confermato sovrano incontrastato del rock italiano. Questo doppio dvd è stato registrato il 27 e 28 giugno scorsi, allo Stadio Olimpico di Roma, ovviamente tutto esaurito come le altre strutture toccate dalla tournèe. Il primo dvd è quello del concerto, con ventidue canzoni fra le più belle ed esaltanti ed emozionanti della sua carriera. Da «Basta poco» fino alla tradizionalmente conclusiva «Albachiara». Il secondo dvd comprende fra l’altro un divertente «road movie», con i protagonisti del tour immortalati dietro le quinte e durante i trasferimenti fra tappa e tappa, e le interviste ai componenti della band del Blasco.


DALIDA Ve la ricordate Iolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalida, francese nata nel ’33 al Cairo da genitori calabresi, morta suicida vent’anni fa, nel ventennale della morte in analoghe circostanze del «suo» Luigi Tenco? È stata una delle maggiori interpreti della canzone popolare degli anni Sessanta, ha venduto qualcosa come 125 milioni di dischi. In questa raccolta ci sono ventuno canzoni che ripropongono la sua grande voce. Dagli esordi all’insegna della canzone napoletana («Bambino», del ’56, versione francese di «Guaglione») passando per gemme come «Bang bang», «L’ultimo valzer», il sirtaki «La danza di Zorba», fino a «Ciao amore ciao» e «Vedrai vedrai» di Tenco. Brava e sfortunata.

sabato 8 dicembre 2007

di Carlo Muscatello 

TRIESTE Trionfo ieri sera al PalaTrieste per Zucchero, il cui Fly World Tour 2007 è atterrato finalmente anche qui da noi, dopo aver girato mezzo mondo.

Già, perchè dopo la partenza dall’Olympia di Parigi nel maggio scorso, in questi mesi il nostro ha scorrazzato in lungo e in largo, toccando Stati Uniti, Canada, America Latina e vari paesi europei. Il tour è arrivato quasi alla fine - sarà domani al Palaverde di Treviso e sabato a Padova - e dunque lo spettacolo è rodato al punto giusto.

Ore ventuno e quindici. Irene Fornaciari, che ha accompagnato papà in questo tour, stasera non è della partita. Allora il sipario argentato si alza giusto un pezzetto, per far apparire l’Adelmo, cappellaccio in testa, chitarra in braccio, assiso su una sorta di trono di velluto rosso, da vero re del blues. Comincia a cantare «Dune mosse» (da «Blue’s», dell’87), melodia sublime che fu capace di stregare persino Miles Davis. Si alza il resto del sipario e rivela una band coi controfiocchi nella quale spicca David Sancious, già membro della E Street Band di Springsteen, ma anche compagno d’avventure di Santana, Sting, Peter Gabriel, Eric Clapton...

In alto, al centro, fa bella mostra di sé un’enorme riproduzione del «moscone geneticamente modificato» che fa da logo al tour e al disco «Fly», uscito l’anno scorso, un milione e mezzo di copie vendute in tutto il mondo. Ai lati della struttura metallica che regge tutta la baracca, due schermi ovali incorniciati come quei vecchi specchi di una volta: un tocco di originalità in più, che ben si sposa con i lampadari di cristallo, il fondale con le canne d’organo, le lamiere ondulate, le divise da marchin’ band dei musicisti, il caos del palco che rimanda a una taverna sul Mississippi, o a una ballroom della New Orleans di tanti anni fa.

Dopo «Occhi» e «Quanti anni ho» (dal citato «Fly»), Zuccherone nostro si alza in piedi e attacca «Bacco perbacco»: sembra il segnale convenuto, il treno del blues sta partendo, la gente si alza in piedi e comincia a ballare. Danza che prosegue con «Un kilo» e «Cuba libre», ma si prende una pausa con «Il volo» (stava in «Spirito DiVino», del ’95) e con quell’altra perla che risponde al titolo di «Diamante». Qui, e sono ormai quasi le ventidue, ci scappa un «Ehi, Trieste...!» che manda in brodo di giuggiole quelli che aspettavano solo una sua parola.

Poco più tardi, dopo le atmosfere soft di «Così celeste», il treno riparte per non fermarsi quasi più: «Baila», «Overdose d’amore», «Il mare», «Senza una donna»... È un viaggio che profuma di blues, soul, gospel, di anni Sessanta e Settanta, l’epoca migliore per chi non ha smesso di amare questa musica. Da un passato lontano quarant’anni arriva anche «Nel così blu», versione italiana firmata da Zucchero e Pasquale Panella del classico dei Procol Harum «A salty dog». Il nostro avrebbe voluto scriverla lui - dice - ma per consolarsi l’ha inserita nell’antologia fresca di pubblicazione «All the best».

«Con le mani» e «Solo una sana e consapevole libidine» scivolano via senza soluzione di continuità. «Diavolo in me» ha il compito ingrato di fingere la chiusura della serata. Ciao, grazie Trieste, ma la gente non ne vuol sapere e stavolta ha proprio ragione. Stasera i bis non sono una consuetudine ma una necessità. Ecco allora «Hey man», che ci riporta ancora sulle rive del Mississippi. E poi arriva il momento di «un amico che non c’è più». Il duetto virtuale di «Miserere», con Pavarotti che ci sorride dai due schermi ovali, lassù, poteva essere una cosa di cattivo gusto, roba da rovinare una bella serata, e invece tutto sommato ci sta. La gente lo capisce e lo saluta con un’ovazione. Tanto da meritare poi altro blues, con «Per colpa di chi».

Gran concerto, davvero. Il migliore fra quelli portati in giro dal nostro bluesman da esportazione in tutti questi anni.

lunedì 3 dicembre 2007

Il titolo originale, «Playing for pizza», giocare per la pizza, forse è più azzeccato. E rende meglio l’idea ma anche l’atmosfera che si respira fra le pagine del nuovo romanzo di John Grisham, intitolato in italiano «Il professionista» (Mondadori, pagg. 286, euro 18), titolo che invece fa pensare magari a un killer prezzolato e che rimanda ai tanti precedenti best seller dello scrittore dell’Arkansas («Il socio», «Il cliente», «Il partner»...).

Il re del legal thriller molla il genere che l’ha reso ricco e famoso (non è la prima volta: l’aveva già fatto in «L’allenatore» e in «Fuga dal Natale») e ambienta per la seconda volta una sua storia in Italia: era già successo con «Il broker», ambientato soprattutto a Bologna, ma nel quale era citata anche la friulana Aviano.

La storia. Rick Dockery è ormai un’ex promessa del football americano, con tre commozioni cerebrali per mille incidenti in campo. Un quarterback cui è sempre mancato quel tocco (anche di fortuna) in più per diventare un grande giocatore. Una sera fa di peggio: entra in campo con la propria squadra in vantaggio e riesce a rovinare la partita con quella che sarà descritta come la peggior performance nella storia del football professionistico. Esce in barella, si sveglia in un letto d'ospedale, e scopre che la sua squadra lo ha licenziato e che è diventato lo zimbello dei tifosi inferociti, oltre che di giornalisti carogna come tale Charles Cray, che sul «Post» ha suggerito di nominarlo «il più grande cane di tutti i tempi».

La tentazione di mollare tutto è assai forte. Ma giocare a football è l'unica cosa che Rick sa fare. Chiede allora al suo agente di trovargli un ingaggio qualsiasi, giusto per andare avanti, per aspettare che passi la nottata. E l’unico posto disponibile è in Italia, dove il football americano si svolge a livello dilettantistico, nella squadra dei Panthers Parma.

C’è che il ragazzo non sa nemmeno dove si trovi Parma. Tuttavia parte, accetta un ingaggio misero rispetto agli standard americani, con la speranza di tornare negli States il più presto possibile. Trova una squadra dopolavoristica, dove «si gioca per la pizza» (e per la birra...), e dove lui è l’unico giocatore che viene pagato.

Subito scopre una città a misura d’uomo, la buona tavola, il parmigiano, il buon vino, i tempi rilassati, le piazze, i vicoli... Impara la lingua ma anche a parcheggiare auto piccolissime in parcheggi sul filo dei centimetri, va all’opera, visita palazzi e chiese e castelli, prende una sbandata per una cantante lirica ma poi s’innamora di una studentessa americana in fuga dagli Stati Uniti e dalla famiglia. E nel frattempo conduce la sua squadra in un’impresa che all’inizio sembrava disperata...

L'ispirazione per il libro è venuta a Grisham mentre si trovava a Bologna a fare ricerche per «Il broker». Un giorno, durante la visita della città, pare abbia fatto amicizia con la guida, un ragazzo di un metro e novanta, che gli ha raccontato di essere un giocatore di football americano. La sua squadra era quella dei Panthers di Parma e il compenso per ogni partita disputata era una pizza a fine partita.

Per documentarsi, Grisham è stato a Parma nell’aprile del 2006. Ha parlato con l’allenatore e i giocatori dei Panthers (che esistono per davvero), ha mangiato nelle trattorie e nei ristoranti della città, è andato al Teatro Regio, ospite del sindaco, a vedere l’opera...

Nel romanzo non c’è suspense, il finale - che pur rimane in sospeso - è facilmente intuibile, ma Grisham mantiene quella rara capacità di tenere in pugno il lettore fino all’ultima pagina. Di questi tempi, non è da tutti.
Il titolo originale, «Playing for pizza», giocare per la pizza, forse è più azzeccato. E rende meglio l’idea ma anche l’atmosfera che si respira fra le pagine del nuovo romanzo di John Grisham, intitolato in italiano «Il professionista» (Mondadori, pagg. 286, euro 18), titolo che invece fa pensare magari a un killer prezzolato e che rimanda ai tanti precedenti best seller dello scrittore dell’Arkansas («Il socio», «Il cliente», «Il partner»...).

Il re del legal thriller molla il genere che l’ha reso ricco e famoso (non è la prima volta: l’aveva già fatto in «L’allenatore» e in «Fuga dal Natale») e ambienta per la seconda volta una sua storia in Italia: era già successo con «Il broker», ambientato soprattutto a Bologna, ma nel quale era citata anche la friulana Aviano.

La storia. Rick Dockery è ormai un’ex promessa del football americano, con tre commozioni cerebrali per mille incidenti in campo. Un quarterback cui è sempre mancato quel tocco (anche di fortuna) in più per diventare un grande giocatore. Una sera fa di peggio: entra in campo con la propria squadra in vantaggio e riesce a rovinare la partita con quella che sarà descritta come la peggior performance nella storia del football professionistico. Esce in barella, si sveglia in un letto d'ospedale, e scopre che la sua squadra lo ha licenziato e che è diventato lo zimbello dei tifosi inferociti, oltre che di giornalisti carogna come tale Charles Cray, che sul «Post» ha suggerito di nominarlo «il più grande cane di tutti i tempi».

La tentazione di mollare tutto è assai forte. Ma giocare a football è l'unica cosa che Rick sa fare. Chiede allora al suo agente di trovargli un ingaggio qualsiasi, giusto per andare avanti, per aspettare che passi la nottata. E l’unico posto disponibile è in Italia, dove il football americano si svolge a livello dilettantistico, nella squadra dei Panthers Parma.

C’è che il ragazzo non sa nemmeno dove si trovi Parma. Tuttavia parte, accetta un ingaggio misero rispetto agli standard americani, con la speranza di tornare negli States il più presto possibile. Trova una squadra dopolavoristica, dove «si gioca per la pizza» (e per la birra...), e dove lui è l’unico giocatore che viene pagato.

Subito scopre una città a misura d’uomo, la buona tavola, il parmigiano, il buon vino, i tempi rilassati, le piazze, i vicoli... Impara la lingua ma anche a parcheggiare auto piccolissime in parcheggi sul filo dei centimetri, va all’opera, visita palazzi e chiese e castelli, prende una sbandata per una cantante lirica ma poi s’innamora di una studentessa americana in fuga dagli Stati Uniti e dalla famiglia. E nel frattempo conduce la sua squadra in un’impresa che all’inizio sembrava disperata...

L'ispirazione per il libro è venuta a Grisham mentre si trovava a Bologna a fare ricerche per «Il broker». Un giorno, durante la visita della città, pare abbia fatto amicizia con la guida, un ragazzo di un metro e novanta, che gli ha raccontato di essere un giocatore di football americano. La sua squadra era quella dei Panthers di Parma e il compenso per ogni partita disputata era una pizza a fine partita.

Per documentarsi, Grisham è stato a Parma nell’aprile del 2006. Ha parlato con l’allenatore e i giocatori dei Panthers (che esistono per davvero), ha mangiato nelle trattorie e nei ristoranti della città, è andato al Teatro Regio, ospite del sindaco, a vedere l’opera...

Nel romanzo non c’è suspense, il finale - che pur rimane in sospeso - è facilmente intuibile, ma Grisham mantiene quella rara capacità di tenere in pugno il lettore fino all’ultima pagina. Di questi tempi, non è da tutti.