giovedì 30 settembre 2010

RENATO ZERO 60
Per i sessant’anni che compie domani, Renato Fiacchini in arte Zero si regala - e regala al suo pubblico - ben otto concerti nella sua Roma. Da stasera fino al 9 ottobre, a piazza di Siena, l’ex ”re dei sorcini” (così chiamava tanti anni fa i suoi fan...) fa festa quasi ogni sera con lo spettacolo che ha voluto intitolare ”Sei Zero” perchè sei, inizialmente, dovevano essere le serate.
A festeggiarlo, oltre al suo pubblico di ieri e di oggi, arriveranno fra gli altri Andrea Bocelli, Raffaella Carrà, Cecilia Gasdia e Carla Fracci con la scuola di ballo del Teatro dell'Opera di Roma. Novantamila i biglietti già venduti per una platea che ospiterà dodicimila spettatori per sera.
A voler guardare il suo percorso personale e artistico, dagli esordi negli anni Sessanta a oggi, anche questo ”festeggiamento monstre” può essere considerato il completamento di un processo di ”normalizzazione” dell’artista romano, figlio di un poliziotto e di un’infermiera, cresciuto nel popolarissimo quartiere della Montagnola.
Partito come una sorta di un David Bowie ”de noantri”, entrato molti anni dopo nell’immaginario collettivo alla stregua di un Claudio Villa rivisto e corretto da qualche decennio di cultura pop, Renato comincia a cantare da bambino. Nel ’66, appena sedicenne, in pieno beat italiano, viene notato al Piper dal coreografo Don Lurio che lo porta in tv (assieme alla coetanea Loredana Bertè), nel gruppo di ballo di Rita Pavone ”Collettoni”.
Seguono la ”Bandiera gialla” radiofonica di Arbore e Boncompagni, le comparsate nei Caroselli televisivi, i primi dischi (”Non basta sai” è del ’67), una particina nel ”Satyricon” di Fellini (’70), l'edizione italiana del musical ”Hair”, la rock-opera di Tito Schipa jr. ”Orfeo 9”.
Il primo album come cantautore, ”No mamma no”, è del ’73. E la ”maschera Renato Zero” diventa protagonista della canzone italiana. Cipria, cerone, mascara, travestimenti e imbellettamenti vari servono all’artista per comunicare già con l’immagine, prim’ancora che con parole e musica. Per parlare a schiere di ”sorcini” di disagio, di emarginazione, di omosessualità, di droga, di tabù vecchi e nuovi.
Una volta, tanti anni fa, della sua maschera disse: «Non è assolutamente un fatto scenico. Ora sono completamente senza trucco, ma nulla vieta che tra un po' vada a casa e mi trucchi per poi andare a prendere un gelato. Mi si può dire che è puro infantilismo, io rispondo che è una dimensione di vita tutt'altro che lontana dalla realtà. Fuga? Mai. Schizofrenia? Neanche. Ridicolizzare le frustrazioni e le paranoie: questo sì».
Da stasera, a Roma, riproporrà dal vivo le sue canzoni più belle, con cui ha scandalizzato ma anche fatto sognare gli italiani: da ”Triangolo” a ”Il carrozzone”, da ”Cercami” a ”Mi vendo”, da ”Ancora qui” a ”Il cielo”, da ”Amico” a ”I migliori anni della nostra vita”, fino ai brani dell’ultimo album ”Presente”, trecentomila copie vendute, alle quali vanno aggiunte quelle del successivo dvd ”Presente Zeronovetour”.
Forse fra i tanti amici che andranno a trovarlo sul palco in queste sere romane ci sarà anche Loredana Bertè. Come si diceva, si conoscono da quand’erano ragazzi. Hanno cominciato assieme e assieme hanno ottenuto il successo. Hanno litigato mille volte. Ma quella volta che lei, anni fa, si era chiusa in una stanza d’albergo minacciando il suicidio, quelli che sono andati a prenderla e a riportarla a casa sono stati la sorella Leda e lui, l’amico di una vita.
Il cantante romano è stato forse più abile nell’amministrare se stesso e il successo, l’interprete calabrese ha pagato maggiormente la fragilità del proprio carattere. Ha compiuto sessant’anni anche lei, pochi giorni fa. Ma, a differenza del festeggiamento in pubblico di Renato Zero, lei ha dichiarato a un giornale che il giorno del suo compleanno si è chiusa in casa. Per non sentire né vedere nessuno.
WITZ ORCHESTRA
E adesso non resta che ”Striscia la notizia”. Dove prima o poi andranno a trovare il loro amico Enzo Iacchetti, che conoscono da oltre vent’anni ma solo in questo 2010 del loro venticinquennale li ha accompagnati quasi per mano al successo e alla visibilità nazionale.
Stiamo parlando ovviamente della Witz Orchestra. Niente ”sagre della sardella” quest’estate per Toni Soranno, Loretta Califra e il loro figlio Fabio Soranno, tornati ieri sera a Trieste dopo una lunga assenza e per un breve periodo di riposo.
«Abbiamo appena finito il programma ”Le Velone” - spiega Loretta -, ben sessantasei puntate su Canale 5 che ci hanno tenuti impegnati per tutta l’estate. Con Enzo Iacchetti, Nina Senicar e il Gabibbo abbiamo girato mezza Italia: da Ostuni a Chioggia, da Norcia a Lignano Sabbiadoro, con le semifinali a Riccione e le finali in studio, a Cologno Monzese».
Nel programma, il trio triestino affiancava Iacchetti nei suoi numeri e accompagnava le concorrenti.
«Il programma - dice ancora la Califra - ha avuto degli alti ascolti, peraltro differenziati per fasce d’età. I bambini lo guardavano per il Gabibbo, molti giovani per la bellezza della Senicar, gli anziani per le concorrenti loro coetanee. Alcune delle quali hanno dimostrato una vivacità e un’energia che ci hanno lasciato di stucco...».
Ma l’estate appena trascorsa non ha visto la Witz impegnata solo sul fronte televisivo. Sempre con Iacchetti i tre cantanti e musicisti triestini - oltre a partecipare al Festival Gaber a Viareggio - hanno anche proseguito il tour teatrale di ”Chiedo scusa al signor Gaber”, spettacolo seguito al disco omonimo realizzato con l’artista cremonese.
«Sì, è stato un anno davvero intenso - conferma Toni Soranno, chitarrista che ha suonato fra gli altri con Adriano Celentano e Fabrizio De Andrè -. Quella di rileggere le canzoni di Gaber è stata una mia idea, che è piaciuta a Iacchetti. Lo spettacolo teatrale è nato aggiungendo alle canzoni i monologhi, proprio nella miglior tradizione del teatro canzone di cui Giorgio Gaber è stato il maestro».
«Poi, si sa, una cosa tira l’altra. Una sera, a uno spettacolo con Iacchetti, ci ha visti Antonio Ricci, che ci ha voluti in tivù per Le Velone. E ora - butta lì Soranno - potrebbe anche darsi che, una sera o l’altra, andiamo a trovare Enzo a ”Striscia”...».
Per la Witz Orchestra, insomma, un 2010 da incorniciare. E un’ottima maniera per festeggiare i venticinque anni dalla formazione del gruppo. «Già, era il 1985 - ricorda Loretta Califra -, eravamo in tanti, e con noi c’era ovviamente Mario Giacaz (scomparso nel luglio 2006 - ndr). Nell’86 eravamo già su Raiuno, a ”Proffimamente no stop”, regia del compianto Enzo Trapani, con tanti di quelli che venivano chiamati nuovi comici. Fra loro, per l’appunto, Iacchetti. Nell’87, invece, lavorammo con due mostri sacri come Dario Fo ed Enzo Jannacci, a ”Trasmissione forzata”, su Raitre...».
In tutti questi anni, la formazione della Witz è cambiata mille volte, passando da un massimo di nove elementi (sono molti i musicisti triestini che ne hanno fatto parte), fino ad arrivare alla formazione in trio. Prima con Mario Giacaz, poi, dopo la scomparsa di quest’ultimo, con il figlio della coppia, Fabio Soranno. «Era il nostro fonico quando c’era Mario - ricorda ancora Loretta -, dunque conosceva già tutto il nostro repertorio. E poi, si sa, il frutto non cade mai troppo lontano dall’albero...».

martedì 21 settembre 2010

BARCOLANA FESTIVAL 2010
Vibrazioni, Velvet e Daniele Silvestri. È questo il tris del Barcolana Festival 2010. Sì, perchè si avvicina il week end della Barcolana e, come ogni anno, all’attesa per la grande regata velica si accompagna quella per i concerti che ormai da diversi anni la precedono.
Due le serate, come l’anno scorso. Venerdì 8 ottobre si parte allora con due gruppi molto amati dai giovani italiani: Vibrazioni e Velvet. Sabato 9 tocca al romano Silvestri; apriranno la serata finale The Charlestones, giovane band di Tolmezzo innamorata del brit pop.
Da notare che si tratta di ritorni. Silvestri era al Barcolana Festival nel 2002 e le Vibrazioni nel 2003 (quando le serate erano ancora tre e i cast ricchi quanto i budget a disposizione, con vari artisti per sera...), mentre i Velvet erano già stati in piazza Unità ma per il carrozzone del Tim Tour, nel 2005.
Ma vediamo i protagonisti nel dettaglio. Le Vibrazioni tornano in regione dopo la brutta accoglienza ricevuta a Udine nel maggio scorso per l’unico concerto italiano degli Ac/Dc. Francesco Sarcina e compagni erano stati chiamati allo Stadio Friuli per aprire il concerto della storica band rock, i cui fan però non hanno affatto gradito l’accoppiamento, per la verità abbastanza ardito. Andrà meglio sicuramente in piazza dell’Unità, dove il gruppo milanese presenterà i brani del nuovo album ”Le strade del tempo” e i successi della loro giovane carriera, da ”Dedicato a te” ad ”Angelica”.
Carriera altrettanto giovane è quella dei Velvet, gruppo romano passato anche dal Festival di Sanremo (nel 2001, fra le Nuove Proposte, e poi nel 2005, fra i presunti Big), che il grande pubblico conosce soprattutto per il brano ”Boyband”. Quest’anno hanno pubblicato il disco ”Il serpente”, un mini-cd che ha anticipato l’uscita di un ”Greatest hits” previsto entro l’anno.
E siamo a Daniele Silvestri. Per il quarantaduenne autore de ”La paranza” - ma anche di tante altre belle canzoni - quella ormai in chiusura è stata un’altra lunga estate di concerti. Domani sera è al Cous Cous Festival di San Vito Lo Capo (Trapani), sabato canta a Catanzaro, domenica parteciperà alla Woodstock organizzata dal movimento di Beppe Grillo a Cesena. E poi il 9 ottobre ritorna a Trieste.

domenica 19 settembre 2010

DISCHI - PHIL COLLINS
Alla vigilia dei sessant’anni (li compie il 30 gennaio), Phil Collins appende bacchette e microfono al chiodo. E lo fa con un disco che è un accorato omaggio a quella musica soul che è sempre stata la sua passione, che tanta influenza ha avuto nella sua formazione musicale, ma che in carriera non ha mai frequentato granchè, perlomeno in pubblico. Né con i Genesis, di cui è stato prima batterista e poi cantante (dopo l’uscita di Peter Gabriel), nè da solista.
L’album s’intitola ”Going back” (Warner Atlantic) e arriva dopo otto anni di silenzio discografico. Una sorta di commiato dai fan, da parte di un signore che ha venduto 250 milioni di dischi, vinto sette Grammy Awards e un Oscar per le musiche di ”Tarzan”. E che ora vive in un paese vicino a Ginevra, per poter star vicino ai due figli più piccoli (di cinque e nove anni), che vivono lì assieme alla madre, terza ex moglie della star. Quella che si dice ”una scelta di vita”.
Il disco si apre con ”Girl (why you wanna make me blue)” dei Temptations e si chiude con il brano che dà il titolo al disco, una versione arrangiata dallo stesso Collins del classico firmato da Gerry Goffin e Carole King e reso celebre da Dusty Springfield.
In mezzo, tante perle soul di Stevie Wonder - ”Uptight (Everything's alright)”, ”Blame it on the sun” e ”Never dreamed you’d leave in summer” -, ma anche dei Four Tops, di Martha and the Vandellas... Tutta roba degli anni Sessanta o giù di lì, del periodo cioè in cui Collins era ragazzo.
«Sono le mie canzoni preferite - dice infatti l’artista -, quelle che hanno costituito la colonna sonora dei miei anni giovanili. Lo ricordo come se fosse ieri, andavo al Marquee a Londra a sentire gli Who o gli Action o altri ancora interpretare quelle canzoni. E io, a mia volta, il giorno dopo andavo a comprare le versioni originali».
Ora quelle canzoni ritornano in questo tributo agli anni e agli artisti della Motown, con il mestiere, la classe e l’inconfondibile voce di Phil Collins. Che dei Genesis dice: «Credo che non esistano più. Non mi vedo a fare nuovi concerti con il gruppo. Non perché non mi piaccia o perché non voglia. Ma è una cosa che non rientra nella mia vita, adesso ho voglia di stare con i miei figli e occuparmi dei miei altri interessi e scrivere un libro su queste cose. E c'è un'altra cosa che ho voglia di fare: voglio anche non fare niente. E inoltre non sono fisicamente in grado di suonare la batteria (soffre da tempo di un serio problema alla mano sinistra - ndr). Non voglio dare l'impressione d'essere il classico ragazzino viziato, quello che ha ricevuto la sua parte e adesso non vuole più fare certe cose. Ma questa è una cosa che ho fatto per tutta la vita, e adesso voglio godermi anche un'altra parte della vita».
Vien da pensare alla sorte ben diversa di Steve Hackett, lo storico chitarrista dei Genesis visto quest’estate in concerto a Trieste. La sua uscita dal gruppo nel lontano ’77 e alcune sfortunate vicende personali lo costringono a non poter vivere di rendita...

LINKIN PARK
Voglia di cambiare, di non fermarsi sugli allori passati. Si pensa a questo ascoltando ”A thousand suns” (Warner), il nuovo album dei Linkin Park. Che sembrano voler abbandonare il ”nu metal” che li ha resi famosi, per proporre atmosfere e suoni più elettronici. Si sente insomma la mano del produttore Rick Rubin (U2, Johnny Cash...), che firma il disco assieme a Mike Shinoda, cantante e tastierista del gruppo, che già aveva partecipato anche alla produzione del precedente ”Minutes to midnight”, uscito tre anni fa.
«Questo nuovo lavoro - dicono i Linkin Park - è stato concepito come un tutt'uno, da godere nella sua totalità di album. Sappiamo che molti sono abituati a brevi raccolte di singole canzoni. Nonostante ciò, o forse proprio a causa di ciò, abbiamo voluto creare un album che faccia fare al pubblico un viaggio completo...».
«C'è un suono diverso rispetto al passato - aggiungono -. La ragione è perchè ci piace provare nuove cose e perchè nella musica alternativa moderna è venuto fuori un suono che stavamo aspettando da qualche tempo. Non sapevamo se le nostre idee, ben poco ortodosse, potessero essere incorporate in un album tradizionale, ma sapevamo per certo che non volevamo che il nuovo album fosse prevedibile».
Per l’impresa, i sei musicisti (Mike Shinoda e l’altro cantante Chester Bennington, il batterista Rob Bourdon, il chitarrista Brad Delson, il dj Joe Hahn ed il bassista Dave ”Phoenix” Farrell) sono tornati nello stesso studio in cui avevano registrato il loro primo album.
Il disco comprende quindici brani ed esce in due versioni: cd standard e cd+dvd in versione limitata. Il dvd contiene il documentario ”Meeting of thousand suns”, mezz’ora di immagini realizzate nel corso dell’incisione del disco.
”The Catalyst” è il brano che rimane in testa. Non a caso è stato scelto come primo singolo dell'album, che fra gli altri brani di punta propone ”Iridescent” e ”Waiting for the end”.
Dal 20 ottobre i Linkin Park sono in tour in Europa. Prima tappa a Berlino, chiusura l’11 novembre a Londra.

FABRI FIBRA
Col nuovo album, ”Controcultura”, Fabri Fibra è già in testa alle classifiche di vendita. Il rapper di Senigallia continua a sparare contro tutto e tutti. Ed evidentemente una parte consistente del pubblico è dalla sua parte. Diciotto nuovi brani, nei quali l’artista descrive il suo mondo, il nostro quotidiano, in una sorta di flusso di coscienza che spazia dalla televisione alla cronaca nera e rosa, dalla politica alla società, ma sempre «alla ricerca della verità».Dal disco emerge un Paese «messo male», l’Italia insomma dei «mille vizi», basato su «donne e pallone», dove la televisione la fa da padrona anche se «non è poi così un bel mondo». Dentro c’è di tutto: da Berlusconi a Santoro, da Noemi Letizia (che ha sognato «fatta a pezzi in una borsa di Krizia») a Patrizia D'Addario, da Marco Carta a Marrazzo, da Corona a Fabio Fazio, da Eluana Englaro ad Alberto Stasi, fino a Laura Chiatti. Gente che odia, o che rispetta, o con cui magari vorrebbe andare a letto. La casa discografica, in una nota, prende le distanze dai contenuti del disco...

KATY PERRY
Ci aveva provato già qualcuno a fare i dischi profumati. Katy Perry, la nuova diva del pop statunitense, reduce dal successo del tormentone estivo ”California gurls”, osa di più: apri il libretto del disco (quello in versione deluxe) e senti profumo di zucchero filato. Della serie: cosa non si fa pur di vendere... ”Teenage dream” è il titolo di quest’album facile facile, che sta bissando il successo del primo disco ”One of the boys”, uscito due anni fa (cinque milioni di copie), e sembra pensato apposta per orecchie e menti dai gusti facili, che comunque riesce perfettamente nel suo obbiettivo: vendere e far parlare di sé. I testi non risparmiamo riferimenti a passioni adolescenziali come i tatuaggi e le notti brave a base di alcol e sesso. Come in ”Last friday night” («C'è uno sconosciuto nel mio letto... odoro di mini-bar... poi abbiamo avuto un menage a trois...»). O in ”Peacock”, in cui la ragazza canta ”I wanna see your peacock, cock, cock...» (peacock vuol dire pavone, cock significa gallo ma indica volgarmente anche il sesso maschile). In copertina, la Perry - già nominata due volte ai Grammy - si propone in un'immagine da vera pin up. Insostenibile.

giovedì 16 settembre 2010

HENDRIX 40
Appena tre anni per rivelare il proprio genio al mondo. Tanti ne passarono fra la pubblicazione nel ’67 di ”Are you experienced” e la morte, avvenuta il 18 settembre 1970. Tre anni per entrare nella storia. Quaranta che Jimi Hendrix non c’è più.
Ma il ricordo di colui che molti considerano come il più grande chitarrista rock di tutti i tempi oggi sembra più vivo che mai. Fra inediti sbucati miracolosamente fuori dopo tutto questo tempo (”Valleys of Neptune”) e cofanetti antologici, fra collane discografiche (come quella proposta in queste settimane da ”Repubblica”) e mostre, fra libri e concerti, quest’anno il mondo della musica sembra voler celebrare l’anniversario con maggior forza rispetto a quelli precedenti.
James Marshall Hendrix era nato a Seattle, stato di Washington, il 27 novembre 1942. Madre di origini cheyenne, padre afroamericano, sangue gioiosamente bastardo nelle vene, infanzia difficile. La chitarra diventa la sua inseparabile compagna. Il blues e il rock’n’roll i suoi punti di riferimento. La gavetta americana è lunga e avara di soddisfazioni. Fino al ’66, anno della svolta, quando Chas Chandler degli Animals lo porta a Londra e gli procura un contratto discografico e un gruppo, con Noel Redding al basso e Mitch Mitchell alla batteria: è nata la Jimi Hendrix Experience.
Poi la storia, che fino a quel momento era andata avanti con il freno a mano tirato, comincia a viaggiare a mille. La pubblicazione del singolo ”Hey Joe” (cover sporca e aggressiva di un blues di Billy Roberts) e subito dopo del primo album, la partecipazione al Monterey Pop Festival e l’uscita del secondo ellepì ”Axis: Bold as Love”. In mezzo le chitarre incendiate sul palco e i tanti amori, l'alcol e le droghe, l’animo ribelle. E poi il doppio ”Electric Ladyland” e la partecipazione a Woodstock.
Hendrix fu il protagonista dell’epica chiusura del festival, che nelle intenzioni degli organizzatori doveva terminare domenica 17 agosto ’69. Il chitarrista insistette per essere l’ultimo a esibirsi e salì sul palco alle nove del mattino di lunedì 18 agosto. La maggior parte degli spettatori era già ripartita, e ”soltanto” ottantamila persone assistettero a quelle due ore di performance, con l’inno americano fatto a brandelli dalla chitarra elettrica. Una straziante, allucinata versione psichedelica si ”Star Spangled Banner”, volutamente distorta in una provocazione diventata il simbolo della protesta pacifista e antimilitarista. Fu l’apice, la vetta, il canto del cigno.
L’artista morì un anno e un mese dopo, in una stanza del Samarkand Hotel, a Londra, in circostanze tuttora avvolte dal mistero. La causa ufficiale è che sia stato soffocato dal suo stesso vomito, quello che avvenne in quei tragici minuti però non è chiaro. Alcuni dicono che fu ammazzato. Non aveva nemmeno ventotto anni.
Non fosse anche lui morto giovane in quei travolgenti mesi a cavallo fra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta (dopo Brian Jones, prima di Janis Joplin e Jim Morrison), ora Jimi sarebbe un signore vicino alla settantina. Nell’immaginario collettivo è rimasto quel ragazzo con lo sguardo trasognato e sofferto, le labbra grandi, la capigliatura afro.
Il mondo lo ricorda in tanti modi. A Londra, fino al 7 novembre, l'Handel House Museum propone ”Hendrix in Britain”: foto, abiti, memorabilia, testi autografi. Una mostra anche a Milano: alla galleria Photology, ”Hendrix Now” racconta la sua storia con immagini firmate Baron Wolman, Jorgen Angel, David Redfern e Gianfranco Gorgoni. Il primo Jimi Hendrix Day italiano si svolge domani a Brescia.
Poi, come si diceva, tanti dischi. E libri: ”Jimi santo subito!” di Enzo Gentile, ”Jimi Hendrix in Italia 1968” di Cesare Glebbeek e Roberto Crema, ”Scusami, sto baciando il cielo” di David Henderson, ”Una foschia rosso porpora” di Harry Shapiro e Caesar Glebbeek... E l’omaggio di Carlos Santana, che nel suo nuovo cd ”Guitar heaven: the greatest guitar classics of all time” ha incluso la cover di ”Little wing”. Anche quello un modo per dire: ciao Jimi. E grazie.

martedì 14 settembre 2010

NIENTE PAURA / TS
C'è anche un pezzetto di Trieste dentro ”Niente paura”, il film di Piergiorgio Gay presentato a Venezia che esce venerdì nelle sale. Un’immagine delle Rive sotto la pioggia, colta da un’auto in movimento. Giusto un flash, ma che gli spettatori triestini non mancheranno di riconoscere nel film, come già l’ha ricosciuta chi ha visto il trailer.
«Siamo venuti a Trieste nel novembre scorso - spiega il regista - per registrare la parte dedicata a Margherita Hack. Abbiamo girato a casa sua al mattino e, dopo una breve pausa pranzo da ”Pepi S’ciavo”, nel pomeriggio, sulla via del ritorno, abbiamo fatto anche quelle riprese dall’automobile. Tutto il film è una sorta di viaggio sentimentale nel nostro Paese. E uno scorcio triestino mi sembrava perfetto, accanto a Roma, Milano, Genova...».
«Fra l’altro quel giorno - aggiunge Gay - il tempo era brutto, tutto è stato fatto in fretta. Ma sono andato a colpo sicuro, visto che conosco la città per avervi girato nel 2002 ”La forza del passato”, con Sergio Rubini e Sandra Ceccarelli».
”Niente paura” è un documentario (meglio: un docu-film) che prende solo lo spunto dall’omonimo classico di Ligabue, presente nell’opera con le sue canzoni ma anche come voce che legge i primi dodici articoli della Costituzione.
«Volevamo raccontare l'Italia che ci piace, attraverso la musica, che è rimasto l'unico elemento, con lo sport, capace di creare un senso di coesione - spiega Gay -. Ci serviva un musicista popolare, nelle cui canzoni molti vedessero rispecchiate le proprie vite, le proprie emozioni».
Le facce e le voci sono quelle di tanti italiani che hanno fatto la storia di questo Paese: da Vittorio De Sica a Falcone e Borsellino, passando per Roberto Saviano, Peppino Englaro, Luigi Ciotti, Paolo Rossi, Stefano Rodotà, Carlo Verdone e Margherita Hack. Per rievocare «alcune tappe - dice ancora il regista - della storia italiana degli ultimi trent’anni, dalla strage di Bologna a quelle di Capaci e Via d'Amelio, attraverso le esperienze e i ricordi degli intervistati». Tenendo fuori i politici, perchè «volevamo raccontare l'Italia sociale, che non sventola nessuna bandiera».
Ligabue (che domani, venerdì e sabato conclude il tour estivo al PalaOlimpico di Torino) ci mette la faccia e alcune delle sue canzoni più famose, da ”Una vita da mediano” a ”L'amore conta”. E il caso vuole che, nel corso del racconto, il suo canto incroci di nuovo, anche se solo per pochi secondi, le immagini di Trieste. Dove nel 2002 il rocker di Correggio aveva girato il video di ”Eri bellissima”, con le splendide immagini di Paolo Monico sul tetto di una casa di via Valdirivo, sul Molo Audace, al Caffè San Marco.
Sì, perchè negli ultimi anni la città - grazie al lavoro di Friuli Venezia Giulia Film Commission - è stata set non solo per il cinema e la televisione, ma anche per la musica. Vi sono stati infatti girati video di Tiziano Ferro, Nek, Piero Pelù, Giuliano Palma, Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, ovviamente Elisa...

lunedì 13 settembre 2010

LADY GAGA
Otto statuette per un solo trionfo, di quelli ”senza se e senza ma”. E per poter dire a Madonna: signora si scansi, che sul trono della pop music ora ci salgo io.
Parola di Lady Gaga, che all’edizione 2010 degli Mtv Video Music Awards (il più prestigioso dei riconoscimenti della musica pop) l’altra notte a Los Angeles ha portato a casa tutti i premi più importanti: miglior video, miglior video femminile, miglior video pop, miglior dance video, più tre premi (miglior regia, editing e coreografia) per il video ”Bad romance”. Il totale è sette? Avete ragione, infatti l’ottavo premio è arrivato per la sua collaborazione con Beyoncè per ”Telephone”.
Il trionfo era previsto, da parte di colei che è davvero considerata la nuova regina della musica pop. Approfittando del fatto che Madonna ha appena compiuto cinquantadue anni, Stefani Joanne Angelina Germanotta - questo il suo vero nome, che ne rivela le radici italoamericane, proprio come l’ex ”material girl” - ormai non si nasconde più e si installa in vetta.
Nata a New York nel marzo ’86 da genitori palermitani, cresciuta nel Lower East Side di Manhattan, a quattro anni la bimba già studia pianoforte, a tredici scrive la prima canzone, a diciassette ottiene l’ammissione anticipata alla Tisch School of the Arts della New York University, dove ovviamente studia musica. Per mantenersi, la sera lavora come cameriera e spogliarellista.
Fan ovviamente di Madonna, ma anche di Michael Jackson, David Bowie e Queen. Ai quali si ispira per il nome d’arte, chiaro riferimento a ”Radio Ga Ga”, successo del gruppo di Freddie Mercury uscito nell’84. Dopo gli esordi nel 2007 come autrice di pezzi per Britney Spears e le Pussycat Dolls, nell’aprile 2008 Lady Gaga pubblica il primo album, ”The fame”, che la impone quasi subito come nuova protagonista di un genere a metà strada fra elettropop e dance. Nel disco c’è anche quella ”Poker face”, che raggiunge il primo posto in classifica in una ventina di paesi.
”Paparazzi”, ”Just dance” (primo singolo tratto dall’album d’esordio), ”Bad romance” e la recente ”Telephone” (interpretata in coppia con Beyoncè, secondo singolo tratto dall’album ”The fame monster”) sono gli altri titoli dell’artista noti al pubblico, soprattutto giovanile, di mezzo mondo.
Ora queste otto statuette, che vanno ad aggiungersi ai due Grammy Awards (per ”Poker face”, miglior brano dance, e per ”The fame”, disco elettropop dell'anno, che nel frattempo ha venduto oltre quattro milioni di copie) e ai tre Brit Awards (miglior artista internazionale femminile, miglior album internazionale, miglior artista emergente) vinti all’inizio del 2010. E sono più di una consacrazione.
L’altra sera, a Los Angeles, Lady Gaga si è cambiata d’abito a ogni premio. Il più stravagante lo ha sfoggiato quando Cher (a sua volta avvolta in una tuta trasparente e tempestata di paillettes) l’ha chiamata sul palco per consegnarle la statuetta per il miglior video: la ragazza si è presentata avvolta in stoffe rosse che sembravano fette di carne cruda. E con tanto di ”bistecca” in testa, a mo’ di copricapo.
Intanto la cantante - che l’altra sera ha annunciato il titolo del prossimo album: ”Born this way” - starebbe studiando da vicario per sposare coppie gay durante i suoi concerti. Lo rivela il tabloid inglese Daily Star, secondo il quale l'intenzione sarebbe quella di usare le nuove qualifiche nel corso del prossimo tour mondiale.

venerdì 10 settembre 2010

MLF A UDINE
Bianco e nero, con in mezzo le mille tonalità di grigio proprie della musica. E “Musica tra logos e mitos” è il titolo della conferenza spettacolo che Mario Luzzatto Fegiz terrà domani alle 21, a Udine, in piazza Matteotti (in caso di maltempo al Teatro San Giorgio), nell’ambito della rassegna ”Bianco e Nero 2010”. Una riflessione su mezzo secolo di musica popolare, proposta da uno dei massimi esperti italiani del settore. Con lui il chitarrista e cantante Roberto Santoro, regia di Giulio Nannini. Musica tra logos e mitos: cioè? «Nella musica - spiega Fegiz, triestino, classe 1947 - ci sono due forme di comunicazione: quella che si basa sulla parola e sulla dialettica tradizionale (logos) e quella che si basa sui segni, su elementi non verbali». Nella musica popolare e rock quale dei due aspetti è prevalente? «Senza dubbio il mitos, cioè il segno». Esempi? «B.B.King, Kiss, Ac/Dc, Bob Marley, lo stesso Ramazzotti sono mitos. Il blues di Robert Johnson, il rock’n’roll di Chuck Berry, i Police, gli Abba sono logos. Anche Elvis Presley era mitos, importante perchè mise in moto una rivoluzione nei corpi che avrebbe cambiato il mondo». La musica nera, la disco, il rap? «La musica nera è mitos, anche se i neri che giocano a fare i bianchi sono categoria a parte. La disco di Diana Ross è logos, la pop-dance di Madonna è mitos, il rap di Tupac è logos, quello di Eminem è mitos». Quanti concerti ha recensito? «Oltre tremila. Credo che il primo sia stato, circa quarant’anni fa, George Moustaki al Piper di Roma. Ma il primo grande concerto fu quello dei Jethro Tull al Teatro Brancaccio di Roma». E il primo Sanremo? «Quello lo ricordo perfettamente. Il primo che seguii per la Rai (Fegiz era una delle voci radiofoniche di ”Per voi giovani” - ndr) fu nel ’69, mentre per il Corriere fu quello del ’75, quando vinse Rosangela Scalabrino, in arte Gilda, con ”Ragazza del sud”. Era un festival autogestito dalla case discografiche minori. Una vera tristezza». La rockstar che l'ha colpita di più? «Mick Jagger, per la straordinaria lucidità e saggezza ma anche per la grande educazione, in netto contrasto con quel che è sul palco. Gli chiesi cosa pensava di Madonna, lui rispose: un bicchierino di talento in un mare di ambizioni. Geniale». Com'è cambiato il mercato discografico? «C'è stata una polverizzazione di generi, una iper-offerta su tutti i fronti. Le multinazionali abituate a guadagni facili hanno selezionato una classe dirigente debole e impreparata. Chi aveva qualità è emigrato verso la tv o il business dei concerti. Sono rimasti i peggiori. Ora è in corso un cambiamento epocale nelle forme del consumo. Alla fine la musica non morirà, ma produrrà meno miliardari di un tempo». Il pubblico? «È vario, curioso, ha i suoi canali di informazione. Risponde ancora ad alcuni richiami come Vasco, Ligabue, U2. Ma gente come i Gogol Bordello fa l'esaurito senza bisogno di stampa e pubblicità. E comunque gli artisti in grado di richiamare grandi masse sono sempre meno». Si diverte ancora ai concerti? «Mai negli stadi. Mi diverto quando vedo la follia creativa sul palco, come i citati Gogol Bordello. O quando assisto a collaborazioni come quella recente fra Riccardo Chailly e Stefano Bollani. Mi divertono i matti veri tipo Radiohead o Chemical Brothers, oppure i tradizionali come Pooh o Al Bano». Il rock ha ancora una carica rivoluzionaria? «Il rock aiuta le persone che non hanno un’identità a illudersi di averne una. Ma ogni rock è figlio del suo tempo. E questo non è tempo di rivoluzioni, almeno nel senso che abbiamo sempre dato a questo termine». Trieste le manca? «Mi manca l’anfiteatro naturale che si gode dal mare. Non mi manca quell’immobilismo che si respira un po’ ovunque. Ma comunque torno abbastanza spesso...».
DALLA e DE GREGORI A UDINE
Trentuno anni dopo, Lucio Dalla e Francesco De Gregori tornano a Udine. Ognuno per conto suo, in tutto questo tempo, ci sono venuti tante volte. Assieme, non capitava dal luglio ’79, quando il tour ”Banana Republic” fece tappa allo Stadio Friuli. Sabato alle 21, in piazza Primo Maggio, l’occasione è data da questo ”Work in progress 2010” che ha rimesso assieme due dei massimi protagonisti della canzone d’autore di casa nostra. ”Banana Republic” ebbe innanzitutto il merito di riaprire gli stadi alla musica dal vivo, dopo che per qualche anno ciò non era stato possibile per motivi di ordine pubblico. Attorno al ’77, anche i concerti erano infatti diventati teatro di guerriglie urbane (tristemente storica la molotov lanciata sul palco di Carlos Santana, durante il concerto milanese al Velodromo Vigorelli, forse l’ultimo di una star straniera per almeno un paio d’anni...). E a un certo punto organizzatori e artisti dissero basta. Musicalmente, il tour segnò la collaborazione dal vivo dell’allora ventottenne De Gregori con Dalla, all’epoca trentaseienne. Il primo aveva appena pubblicato ”Viva l’Italia” ed era alla vigilia del capolavoro ”Titanic”. Per il secondo, era l’anno dell’album omonimo che comprendeva gioiellini come ”Anna e Marco” e ”L’anno che verrà”. Indomma, due pezzi da novanta, nel pieno della loro creatività artistica. Che poi quella collaborazione, in concerto, si riduceva all’esecuzione a due voci di ”Ma come fanno i marinai”. Per il resto, ognuno faceva il suo concerto accompagnato dalla sua band. L’ulteriore collante era forse rappresentato dalla presenza sul palco di un Rosalino Cellamare appena diventato Ron, che cantava ”I ragazzi italiani”. Quel tour, da cui furono tratti un disco e un film, arrivò il 21 luglio del ’79 anche a Udine, che per l’occasione propose una delle giornate più piovose di quell’estate, con tanto di mezza tromba d’aria che nel pomeriggio mise a rischio tutta la baracca allestita al centro del campo, davanti alla tribuna centrale. Chi c’era ricorderà ancora i volonterosi addetti dell’organizzazione, artigianalmente armati di phon, che tentavano di asciugare le casse acustiche dell’impianto di amplificazione. Altri tempi... Trent’anni dopo, e stiamo parlando dell’anno scorso, Dalla e De Gregori si sono ritrovati in un momento delle rispettive carriere nel quale risalire assieme sullo stesso palco ci poteva anche stare. Nessuno dei due aveva qualcosa da perdere. Anzi. Il debutto è avvenuto il 22 gennaio di quest’anno, al Vox Club di Nonantola, provincia di Modena. Maggio è stato il mese delle dieci repliche tra Milano e Roma. L’estate non poteva che essere il tempo del tour vero e proprio. Che dopo aver attraversato mezza penisola, a settembre continua: dopo la tappa udinese, sono previste date a Brescia, Genova, Lucca, Bologna, di nuovo Milano, Rieti, Padova... E poi, magari a Natale, si sa già che arriveranno il disco dal vivo e forse il dvd, con dentro l'inedito "Non basta saper cantare" («ma dall'angolo della finestra la luna si è spostata, come la vita che passa, o che l'abbiamo passata, così tanto per vivere, senza farci del male, ma saper vivere non basta e non basta saper cantare...»). In questo concerto il brano è infilato verso il finale di una scaletta che di solito comincia con la versione strumentale di ”Over the rainbow”, classico della canzone americana, e poi prosegue con ”Tutta la vita”, ”Anna e Marco”, ”Titanic”, ”La leva calcistica della classe ’68”, ”Canzone”, ”Henna”. Non mancano abitualmente ”L’agnello di dio” e ”Piazza grande”, ”Gigolo” (versione italiana di ”Just a gigolo”, storico successo di Louis Prima) e ”Gran turismo”, ”Viva l’Italia” e ”Com’è profondo il mare”. Come abitualmente nel finale arrivano ”L’anno che verrà” e ”Rimmel”, ”La donna cannone” e ”Caruso”, ”I muscoli del capitano” e ”Buonanotte fiorellino”, ”4 marzo 1943” e ”Ma come fanno i marinai”. In mezzo a tutto questo bendiddio, non può certo mancare ”Santa Lucia”, la canzone che Dalla ha sempre invidiato a De Gregori, e dalla cui esecuzione a due voci, l’estate scorsa, sembra sia nata la voglia di ricominciare. Pare infatti che il primo passo verso la reunion sia avvenuto proprio nell’estate 2009, quando il musicista bolognese ha allestito, in veste di regista, uno spettacolo a Solferino, per ricordare la battaglia che il 24 giugno del 1859 chiuse la seconda Guerra d’indipendenza. Invitò allora anche il cantautore romano, che partecipò all’evento cantando alcune sue canzoni legate alla storia del nostro Paese, e poi sulle strofe di ”Santa Lucia” («per tutti quelli che hanno gli occhi e un cuore che non basta agli occhi e per la tranquillità di chi va per mare e per ogni lacrima sul tuo vestito, per chi non ha capito...») scattò galeotto il canto a due voci. Rispetto a trentuno anni fa, la novità sta nel fatto che i due, l’istrione e il principe, entrano ognuno nelle canzoni dell’altro, in un godibile scambio di ruoli che rende l’evento davvero unico. Due ore di musica, trenta brani, molti dei quali già entrati nella storia della canzone italiana.