martedì 30 settembre 2014

SPRITZ FOR FIVE e LES BABETTES, assalto triestino a X FACTOR (pubblicato il 20-9)

Aspettavamo Les Babettes, ci siamo gustati un ottimo Spritz for five. Risultato: due gruppi vocali triestini, triestinissimi già nei riferimenti contenuti nei nomi scelti, vanno quest'anno all'assalto di "X Factor". I cinque ragazzi che l'altra sera, al debutto del "talent" di SkyUno giunto all'ottava edizione con un cast rinnovato (confermati Morgan e Mika, Victoria Cabello e Fedez al posto di Simona Ventura ed Elio), hanno già passato il turno e puntano dritti verso la gara vera e propria, quella a squadre, grazie a un'eccellente interpretazione a cappella di "Hey brother", del dj svedese Avicii. Le tre ragazze - lanciate un anno fa dal Pupkin Kabarett, note fra l'altro per una sublime cover di "El can de Trieste" - erano state annunciate l'altra sera dal tam tam dei "social", ma la produzione le ha fatte slittare a giovedì prossimo (loro stesse non ne sapevano nulla). Possibilità di passare anche loro il turno: alte, molto alte, diciamo pure altissime... Ma torniamo all'autentica sorpresa rappresentata dagli Spritz for five, visti mesi fa in un video con Maxino. «Siamo un gruppo abbastanza nerd, facevamo tutti parte del coro della nostra scuola, il gruppo ha un anno di vita, ma siamo con questa formazione da domenica...», hanno detto l'altra sera, prima di lasciare pubblico e giuria a bocca aperta per la loro bella e ottimamente arrangiata interpretazione. Bravi e giovanissimi. Marco Obersnel non ha ancora compiuto diciotto anni, Piero Gherbaz ne ha venti, Rocco Pascale ventidue, Nicola Pisano ventitre, Giulio Bottecchia è "il più anziano", con i suoi ventisei anni. Nella spartizione dei ruoli vocali, Pascale è basso e Bottecchia baritono, gli altri tre sono tenori. Arrangiamenti firmati dal "baby" Obersnel e da Pisano, impegnati anche nelle cosiddette percussioni vocali, talmente efficaci da sostituire una vera e propria sezione ritmica. Contattati, fanno sapere che «le regole un po' stringenti del format non ci permettono di rilasciare interviste». Ma dai "social" si apprende che «il gruppo nasce nel febbraio del 2013 a Trieste. I giovani componenti, provenienti da un'esperienza corale comune, sono tutti appassionati del genere (con riferimenti come i Real Group, i Rajaton, i Club For Five o gli Swingle Singers, solo per citarne alcuni)». Ancora: «Lo scopo, oltre a quello di divertirsi ed eseguire bella musica, è quello di promuovere questo genere poco conosciuto soprattutto tra i loro coetanei, e di dimostrare che, senza alcun uso di strumenti, è possibile creare cose meravigliose...». Si definiscono «un gruppo vocale maschile pop/jazz/spritz». Hanno realizzato anche un video, firmato da Gherbaz. E le coreografie sono dell'amica Marta Keller. L'altra sera, dopo l'esibizione, platea e web si sono scatenati. Fiorello ha twittato un eloquente: "Fortissimissimi". E l'hashtag #spritzforfive è entrato al quarto posto nei "TT Italia" (traduzione: una delle parole più citate, l'altra sera su Twitter...). Qualcuno li ha definiti i "Neri per caso 2.0", altri li hanno indicati come gli eredi degli Aram Quartet (vincitori nel 2008 della prima edizione dell'X Factor italiano, scioltosi due anni dopo). Se entrano nella gara vera e propria, saranno nella squadra di Morgan, non il massimo della simpatia, ma autentico Re Mida del programma: i suoi protetti hanno vinto sei edizioni su otto. Nella stessa squadra, quella dei gruppi, potrebbero finire anche Les Babettes, che vedremo giovedì. Eleganti, frizzanti, ironiche e ovviamente "retrò", sono Eleonora Lana (Lulù), Anna De Giovanni (Nanà) e Chiara Gelmini (Cocò). Su queste colonne, a gennaio si erano presentate così: «Era da anni - aveva spiegato Eleonora, triestina, 28 anni, esperienze con la Compagnia della Rancia e in vari musical - che sognavo un trio vocale femminile. Ci pensavo almeno da quando vidi a Bologna un concerto delle inglesi Puppini Sisters. Ne parlai con Chiara, con cui eravamo "voci bianche" nei Piccoli cantori della città di Trieste. Poi è arrivata anche Anna...». Nelle selezioni di "X Factor" (Muggia, Roma, Bologna, Milano...) hanno presentato "Il giovanotto matto" di Lelio Luttazzi e "Crazy people" delle Boswell Sisters. Giovedì le vedremo in uno dei due pezzi. Quale, non lo sanno nemmeno loro.

SANREMO 2015, arrivano Dear Jack e Amoroso, ritorno alle eliminazioni

Basta con il buonismo ecumenico e “politically correct” griffato Fazio. Al prossimo Festival di Sanremo, che si svolgerà dal 10 al 14 febbraio, si torna al nazionalpopolare e alle eliminazioni. In gara sedici campioni e otto giovani, finisce l’usanza della doppia canzone e soprattutto la finale assicurata per i cosiddetti big: per loro un solo brano a testa, e la sera di venerdì saltano quattro teste, mentre fra quelle che un tempo si chiamavano “nuove proposte” sarà scontro diretto e duro, mors tua vita mea... Il 65.o Festival comincia insomma a prender forma nel segno del ritorno alla tradizione. Ieri Carlo Conti, nuovo deus ex machina della manifestazione, ha presentato il regolamento. Ma la cosa che interessa di più alla gente - anche se parlando di Sanremo, anno dopo anno, si tratta di un interesse sempre più relativo - è capire chi salirà sul palco dell’Ariston. Lo si saprà il 14 dicembre (il 9 la lista dei giovani), ma alcuni danno già per certa la presenza dei Dear Jack - gruppo molto amato dai giovanissimi, visto recentemente al Rossetti di Trieste alle “Cuffie d’oro” - e di Alessandra Amoroso. Trattandosi di due prodotti di “Amici”, il “talent” che ha già dato ben tre vincitori al Festival (Marco Carta, Valerio Scanu, Emma), saremmo in presenza di una nuova “opa” di Maria De Filippi sulla rassegna. Più che mai possibile e addirittura probabile, vista la presenza in tolda dell’abbronzatissimo e nazionalpopolare presentatore toscano. Ospiti. Gli organizzatori stanno trattando la presenza degli One Direction - altri beniamini dei giovanissimi, stavolta a livello planetario - e, fra gli ospiti non canori, di Gigi Proietti e Christian De Sica. Anche se il colpo grosso, che nessuno ha il coraggio nemmeno di nominare, sarebbe nuovamente e ovviamente Fiorello. Difficile, vista l’idiosincrasia che lo showman ha accumulato per il festivalone... Ma torniamo al regolamento. Una novità sarà il voto attraverso il web e una “App” creata per l’occasione. Previste, almeno per le prime due giornate, serate televisive più brevi che in passato. La terza serata sarà una festa della canzone, con i sedici big chiamati a interpretare altrettante cover, anche con il supporto di ospiti italiani o stranieri, e ci sarà un premio speciale per la cover più votata. Il vincitore andrà di diritto all'Eurovision Song Contest. Sanremo 2015 costerà un milione e mezzo meno dell’edizione dell’anno scorso, la cui spesa complessiva fu di 18 milioni. Roby Facchinetti dei Pooh presiederà la commissione di Area Sanremo, nella quale c’è anche Mogol, da cui verranno fuori alcuni giovani per il Festival.

lunedì 29 settembre 2014

NOA 30-10 a trieste, rossetti

Farà tappa anche a Trieste, giovedì 30 ottobre, al Rossetti, il “Love medicine tour” di Noa, che prende il titolo dall’album uscito due mesi fa. Achinoam Nini, in arte Noa, nata a Tel Aviv nel ’69, cantante israeliana con sangue yemenita nelle vene, è apprezzata in tutto il mondo non solo per il suo valore di interprete ma anche per aver prestato la sua popolarità di artista alla causa della pace. Questo impegno, unito alle sue origini, la porta da anni a essere oggetto di ostracismo nel suo paese ma spesso anche all’estero dagli oppositori dello stato di Israele. Non più tardi di una settimana fa, in occasione di un suo concerto a Torino, è stata oggetto di una contestazione davanti all’Auditorium della Rai (dove si è svolta la sua esibizione nell’ambito del Prix Italia), da parte del Collettivo Boycott Israel e dell’International Solidarity Movement Italia: alcuni issavano uno striscione con scritto «Free Palestine Boycott Israel», altri sventolavano bandiere palestinesi. Noa va avanti per la sua strada. «Il dialogo è l’unica via - dice -. In un momento di crisi e di guerra viene spontaneo chiudersi in noi stessi. Io penso invece che proprio questo è il momento in cui è necessario abbracciare il dialogo, aprirsi, provare empatia e sentirsi uniti nella disgrazia». Il suo nuovo album “Love medicine”, uscito a quattro anni dal precedente, è frutto della sua collaborazione con Gil Dor, da sempre al suo fianco come direttore musicale e chitarrista e brilla anche di collaborazioni importanti, fra cui quelle con Pat Metheny e Gilberto Gil. Il jazzista, che ha prodotto il primo album di Noa vent’anni fa, è presente nell’album con «Eternity and beauty». L’artista brasiliano duetta in “Shalom a paz”. Ma il disco comprende anche le canzoni scritte dalla stessa Noa per il musical su Giovanni Paolo II “Karol Wojtyla - La vera storia” con la partecipazione del Solis String Quartet, e due cover: “Eternal flame” delle Bangles e “Happy song” di Bobby McFerrin.

giovedì 25 settembre 2014

ROCKER CROATO GIBONNI CON DANILO SACCO, ex NOMADI

S’intitola “Non credere (She said)” il brano di Gibonni e Danilo Sacco che è stato uno dei maggiori successi estivi in Slovenia e Croazia. Ora il singolo esce anche in Italia, con il video diretto da Matko Petric (https://www.youtube.com/watch?v=n7tFBcUiXq8), girato fra Venezia e Spalato. L’incontro fra i due artisti è avvenuto all’insegna della comune passione per il rock. Il quarantaseienne rocker di Spalato (vero nome Zlatan Stipisic, considerato il “Vasco croato”)) aveva pubblicato lo scorso anno l’album “20th Century Man”. Canzoni in inglese, incisioni ai leggendari Abbey Road Studios dei Beatles e allo Sphere Studio, produzione affidata ad Andy Wright (uno che ha firmato i lavori di Simply Red, Eurythmics, Simple Minds...) e, quasi a festeggiare l’evento, la versione natalizia a 33 giri della traccia che dà il titolo al disco stampata su cioccolata e riproducibile su un normale giradischi. «È un singolo da suonare a 33 giri, ma dopo cinque ascolti devi mangiarlo...», aveva detto Gibonni, da oltre vent’anni ai vertici delle classifiche di vendita croate e di tutti i Balcani. Figlio d’arte (suo padre Ljubo Stipisic era un famoso compositore di klapa, stile musicale tradizionale della Dalmazia, nel quale non a caso il giovane Zlatan ha mosso i primi passi, prima di dedicarsi al rock) il “Vasco croato” è l’artista della vicina repubblica che in questi anni ha saputo mischiare meglio sonorità rock e pop, coniugando melodie e tematiche che hanno saputo coinvolgere i giovani del suo paese. Ora questa collaborazione con Danilo Sacco, rileggendo - con testo in italiano e in inglese - questa ballad era presente nella versione originale nell’album “20th Century Man”. Sacco, dopo gli anni come cantante dei Nomadi, dal 2012 ha abbracciato la carriera solista, con dischi come “Un altro me” e il recente “Minoranza rumorosa” (che comprende anche il brano con Gibonni). Ma anche con la band di Francesco Guccini, che dopo il ritiro di quest’ultimo suona dal vivo con Danilo nel ruolo che fu dello storico cantautore.

martedì 23 settembre 2014

JESUS CHRIST SUPERSTAR con interpreti originali a gennaio a trieste

L’altra sera ha debuttato al Teatro Sistina di Roma. Dal 21 al 25 gennaio arriva a Trieste, al Politeama Rossetti. Stiamo parlando di “Jesus Christ Superstar”, il musical dei musical, la celebratissima opera rock, che dopo il grande successo della scorsa stagione, quest’anno torna in scena con il cast originale dello storico film uscito nel 1973. Oltre al Gesù interpretato da Ted Neeley, già nel cast dello scorso anno, stavolta il regista Massimo Romeo Piparo è riuscito nell’impresa di affiancare anche la Maddalena di Yvonne Elliman e il Ponzio Pilato di Barry Dennen. Insomma, proprio i tre attori protagonisti della pellicola di Norman Jewison, vista e rivista da milioni di spettatori in tutto il mondo, che si ritrovano così per la prima volta dopo oltre quarant’anni negli stessi ruoli di allora. Ovviamente gli anni passano per tutti, dunque anche per loro, che non sono più i tre ragazzi diventati altrettante star dopo l’interpretazione di quel film: oggi sono tre signori di mezza età, che però sul palco pare abbiano riscoperto la stessa sintonia di un tempo. «È una reunion storica - ha spiegato il regista Piparo, che al Sistina ha festeggiato il ventesimo anniversario della prima edizione italiana dell’opera rock -, anche nel ricordo di Carl Anderson, il Giuda nero scomparso dieci anni fa. Ora c’è anche un interesse da Londra per lo spettacolo e si sta cominciando a parlare di un possibile tour europeo a fine 2015, con la produzione italiana». Ancora Piparo: «Tim Rice, che firmò il musical insieme a Andrew Lloyd Webber, sarà a Verona il 12 ottobre per vederlo. Questo dimostra che il teatro non ha età, come non hanno età i protagonisti e il titolo dello spettacolo, che ancora oggi risulta moderno con tanti spunti di attualità: uno su tutti è il messaggio pacifista, nel 1973 come nel 2014. Per me le trentanove frustate date a Gesù diventano trentanove immagini di martirio dei nostri tempi, dall’Olocausto alle Torri Gemelle, passando per Aldo Moro e Borsellino e Falcone. La cosa triste è che vanno aggiornate continuamente...». Per quanto riguarda i protagonisti, Neeley, Elliman e Dennen hanno detto di essere onorati di tornare a lavorare insieme e (ovviamente) di amare l'Italia. Yvonne Ellimn all’epoca del film aveva appena diciassette anni e pensava che Maddalena fosse la madre di Gesù e non una prostituta: «Quando l’ho capito ho dovuto rivedere un po’ la mia interpretazione». Ted Neeley, che con il film guadagnò una candidatura ai Golden Globes nel 1974: «Quando ci ritroviamo è come se riprendessimo qualcosa che abbiamo lasciato in sospeso il giorno prima. C’è sempre stata una connessione spirituale che va oltre il set. Siamo diventati una grande famiglia. E anche dal pubblico arriva una forte energia positiva». I tre sono affiancati da Feysal Bonciani (Giuda), Paride Acacia (Hannas), Emiliano Geppetti (Simone), Francesco Mastroianni (Caifa), Riccardo Sinisi (Pietro), Salvador Axel Torrisi (Erode). Sul palco anche l’Orchestra dal vivo di 12 elementi diretta dal Maestro Emanuele Friello e l’ensemble di 24 tra acrobati, trampolieri, mangiafuoco e ballerini coreografati da Roberto Croce, le scenografie di Giancarlo Muselli elaborate da Teresa Caruso e i costumi di Cecilia Betona. “Jesus Christ Superstar” continua a confermarsi il musical più famoso e amato di tutti i tempi. La versione italiana in lingua originale firmata da Massimo Romeo Piparo vanta grandi numeri che raccontano un enorme successo: quattro diverse edizioni prima di questa, undici anni consecutivi in cartellone nei teatri italiani dal 1995 al 2006, oltre un milione di spettatori, più di cento artisti che si sono alternati nel cast... «Leggendo i Vangeli – si legge nelle note di regia di Piparo - sembra quasi scontato che il sottofondo musicale debba essere rock. Che l’ambientazione più adatta sia un deserto con alcuni elementi architettonici statici e animati dalla sola potenza della musica. Che l’epoca più giusta per la loro rappresentazione siano gli anni Settanta. Eppure prima di “Jesus Christ Superstar” non era così. Ecco perché l’opera di Webber e Rice è entrata nel mito. E quel mito non va assolutamente dissacrato, re-interpretato, elaborato: va rispettato, omaggiato, celebrato...». Prima di arrivare a gennaio a Trieste, il musical sarà a Verona il 12 ottobre e poi al Teatro Arcimboldi di Milano dal 16 ottobre al 2 novembre.

lunedì 22 settembre 2014

GILBERTO GIL 1-11 a trieste

Quattro sole date in Italia, una a Trieste. Gilberto Gil, uno dei più grandi musicisti brasiliani, per alcuni anni anche ministro della cultura del suo Paese, arriva il primo novembre per un concerto al Politeama Rossetti. La sezione italiana del suo “Solo Tour 2014” comincia venerdì 24 ottobre da Roma, all’Auditorium della Conciliazione, prosegue martedì 28 ottobre a Fabriano, al Teatro Gentile, per la rassegna “Fabriano Musica”, arriva a Trieste sabato primo novembre, e si conclude giovedì 6 novembre a Padova, al Gran Teatro Geox. Un’occasione davvero unica per vedere e ascoltare uno dei grandi della musica del Novecento, che in questo tour celebra João Gilberto, l’inventore della bossa nova, oltre a ripercorrere la sua cinquantennale carriera. Era infatti il 1964, quando un giovanissimo Gilberto Gil (nato a Salvador nel 1942) partecipa allo show di bossa nova e di canzoni brasiliane tradizionali "Nós Por Exemplo", dove incontra anche Caetano Veloso, Maria Bethânia, Gal Costa. L’anno dopo, trasferitosi a San Paolo e dopo aver cantato in diversi show, si fa notare con il suo primo album, intitolato “Louvaçao”. Con Caetano Veloso crea il movimento del Tropicalismo, che avrà un ruolo importantissimo nella musica ma anche nel teatro, nel cinema e nella letteratura carioca. Movimento di protesta, sussulto di vitalità, sorta di Sessantotto brasiliano, cui la dittatura rispose con la repressione. Gil e Veloso sono costretti all’esilio, a Londra. La sua musica, partita dal folklore, diventa più metropolitana e si lascia contaminare dall’allora imperante beat, dal nascente pop. L’artista, che negli anni londinesi si è perfezionato come chitarrista e ha cominciato a cantare anche in inglese, torna in Brasile nel ’72 e registra “Expresso 2222”, album nel quale ritrova le radici samba della sua musica. Sono passati oltre quarant’anni. Quarant’anni di successi, a volte da solista e a volte condivisi con amici cantautori e musicisti, non soltanto brasiliani. Nel ’74 esce l’album “Ao vivo”, l’anno dopo “Gil & Jorge”, a quattro mani con il cantante e compositore Jorge Ben, ma anche “Refazenda”, omaggio alle sue origini musicali “sartaneja”. Ormai la sua carriera è un successo dietro l’altro. Nel ’76 è in tour in Brasile con Veloso, Gal Costa e Maria Bethânia, ovvero i “Doces Barbaros”, titolo anche di un disco e un film. Nel ’77 esce “Refavela”, in cui mescola i ritmi africani della Nigeria, con quelli giamaicani e quelli di Rio e Bahia. Il ’78 è un anno ricchissimo: pubblica “Refestança”, con Rita Lee, dopo un viaggio negli Stati Uniti registra “Nightigale”, album realizzato appositamente per il mercato americano, ed esce il doppio dal vivo “Gil in Montreaux”, registrato durante la sua partecipazione al festival jazz svizzero. Nell’80 tour in Brasile con Jimmy Cliff e cover di “No woman no cry” (700mila copie vendute, prima in classifica per mesi). Nell’81 tocca all’album “Luar (A gente precisa ver o luar)”, in cui mescola pop internazionale e musica brasiliana. L’85 è l’anno del concerto-evento a Rio, con Chico Barque, Roberto Carlos, Caetano Veloso, Gal Costa e Maria Bethânia, da cui viene tratto l’album “Dia Dorim Noite Neon”. Nel ’91 è a New York, con Tom Jobim, Caetano Veloso, Elton John e Sting, al un concerto di beneficenza a favore della foresta amazzonica. Dopo una carriera straordinaria (oltre cinque milioni di dischi venduti, due Grammy, due Latin Grammy Award), nel 2003 il presidente Lula da Silva lo chiama nel suo governo come ministro della Cultura. Lascia cinque anni dopo, quando pubblica l’album “Banda Larga Cordel”. Quest’anno Gil ha partecipato all'album “Canzoni”, della cantautrice jazz Chiara Civello, con la quale duetta nel brano “Io che non vivo senza te”. “Solo Tour” segue l’uscita dell’album “Gilberto’s sambas”, uscito nel maggio scorso, nel quale l’artista rende omaggio al maestro João Gilberto, assieme al figlio Bem e a Moreno Veloso, figlio di Caetano. «Ascoltare Gil che suona João – scrive nelle note di copertina Caetano Veloso - significa entrare in contatto con l’avventura stessa della nostra musica e della nostra vita». «Gilberto Gil solo sul palco alla Carnegie Hall – ha scritto il critico americano Jon Pareles, dopo la presentazione del “Solo Tour” - sembrava che avesse una band fantasma nella sua voce e nelle sue dita...».

domenica 14 settembre 2014

VANONI e PAOLI, 80 x 2

Lei compie ottant’anni il 22 settembre. Lui il giorno dopo. Entrambi festeggiano con un disco: lei il triplo cofanetto antologico “Più di me, più di te, più di tutto”, lui tre album registrati dal vivo all’Auditorium Parco della Musica di Roma (in edicola dalla settimana scorsa con Repubblica e L’Espresso). Stiamo parlando di Ornella Vanoni (Milano, 22 settembre 1934) e Gino Paoli (Monfalcone, 23 settembre 1934): due autentiche colonne della musica italiana, protagonisti negli anni Sessanta anche di una intensa storia d’amore. Erano gli anni in cui lei veniva dalla relazione artistica e sentimentale col “triestìn de Barcola” Giorgio Strehler, gli anni anticonformisti del Piccolo Teatro di Milano, delle canzoni della mala. Per lui erano gli anni de “La gatta”, che si chiamava Ciacola e condivideva con l’artista una soffitta. «Quelli furono anni - confessò Paoli tempo fa - bruttissimi da vivere e bellissimi da ricordare. Ci sono dei periodi della vita in cui hai fame e non hai da mangiare...». Ricordando che un discografico, dopo aver ascoltato “Il cielo in una stanza” e «Sassi», lo stroncò così: «Senta, mi dispiace dirglielo, ma queste non sono canzoni. Secondo me è meglio che lei faccia un altro mestiere...». Le cose poi andarono diversamente. In tempi più recenti i due artisti sono stati protagonisti anche di una riuscita reunion artistica: un tour nell’85 nei maggiori teatri italiani (fecero tappa anche al Rossetti di Trieste), da cui fu anche tratto un album, intitolato “Insieme”. L’avventura fu replicata nei primi mesi del 2005, quando - in contemporanea al tour - vennero pubblicati il disco di duetti “Ti ricordi? No, non mi ricordo” e il libro “Noi due, una lunga storia”, scritto con Enrico de Angelis per Mondadori. Disco e libro rimangono, a distanza di parecchi anni, una bella testimonianza del loro sodalizio umano e artistico. Nella canzone “Boccadasse” (dal nome dell’antico borgo di pescatori ligure che fu uno degli scenari del loro amore), lui cantava: «Non ricordo niente di quello che è stato, mi ricordo solo che ero innamorato». E lei: «Quel che c’era intorno non contava niente, c’era solo amore, c’eri solo tu». Nel libro, invece, il cantautore monfalconese di nascita ma genovese d’adozione e a tutti gli effetti confessava: «Ornella mi attirava soprattutto come donna, ma è difficile scindere, in una come lei, la donna dall’artista: le due facce sono molto simili. Lei ha una carica espressiva viscerale che esprime con quello che realmente è. Ha un carattere esagerato qualunque cosa faccia». E lei: «Quello con Gino è un legame che non si è mai sciolto. Di me lui ha sempre detto che sembro un setter ma sono un boxer. In realtà i grandi amori non finiscono mai. Se non li vivi fino all'esaurimento, come fanno a finire?» Ancora lui: «La vulnerabilità è la sua dote che preferisco. Quando la guardo mi viene voglia di proteggerla. La gente non lo intuisce, fortunatamente. Ma io posso dirlo perché ho vissuto con lei, l'ho amata intimamente...». Ora questo nuovo compleanno incrociato. Ornella lo festeggia, oltre che con il triplo album citato, ripartendo il 31 ottobre da Conegliano Veneto con il suo ultimo tour “Un filo di trucco, un filo di tacco”, titolo mutuato dalla raccomandazione che sua madre le faceva, da ragazza, prima di uscire. Il tour - che proseguirà fino alla primavera 2015 - dovrebbe essere l’ultimo della sua lunga carriera, secondo quanto detto dalla stessa artista. Il cofanetto antologico, con il meglio della sua lunga discografia, conterrà i due album editi “Più di me” (brani del repertorio e due inediti, cantati in duetto con alcuni big) e “Più di te” (grandi brani della nostra canzone da lei reinterpretati, con qualche duetto), arricchiti da “Più di tutto”, una nuova raccolta di successi. Che arriva dopo il recente album “Meticci (Io mi fermo qui)”, anche quello ricco di classici e cover. Gino, che da qualche anno è anche presidente della Siae, viene invece “celebrato” da Repubblica e L’Espresso con questi tre album. Il primo s’intitola “Incontro in jazz” e lo vede esibirsi con un quartetto formato dal pianista Danilo Rea, dal batterista Roberto Gatto, dal trombettista Flavio Boltro e dal contrabbassista Rosario Bonaccorso. Con loro rilegge i suoi classici con arrangiamenti jazz. Il secondo album è “Due come noi che...”, testimonianza del concerto all’Auditorium di Roma con il pianista Danilo Rea, con cui è andato recentemente anche il tour. Il terzo è “Napoli con amore”, viaggio fra i classici della canzone napoletana, sempre al fianco del pianista Rea.

lunedì 8 settembre 2014

LIGABUE ha concluso buona estate rock triestina

E quando l’altra sera Ligabue verso la fine ha attaccato anche “Certe notti”, beh, allora il trionfo è stato completo. I quindicimila dello Stadio Rocco si sono ulteriormente e idealmente stretti al loro idolo, dopo aver ballato e cantato con lui per oltre due ore. Grande spettacolo, molto rock e tutto sommato con poche ballate, privato e al tempo stesso politico, quello del cinquantaquattrenne rocker di Correggio, in apertura della tranche settembrina del “Mondovisione Tour - Stadi 2014”. Show molto tecnologico, con palco mastodontico (montato in posizione inedita: spalle alla tribuna centrale, pubblico concentrato sul prato e nella tribuna opposta, curve chiuse) completo di lunga passerella, ma soprattutto con un megaschermo convesso su 180 gradi che offre alla folla uno spettacolo nello spettacolo: dodici telecamere e una sapiente regia fanno il resto, creando un emozionante racconto per immagini delle canzoni che arrivano una dietro l’altra, prima concentrandosi sui brani dell’ultimo album, poi inserendo via via i suoi classici. Per quanto riguarda l’affluenza di pubblico, i quindicimila e poco più che hanno pacificamente invaso lo Stadio Rocco erano ovviamente soprattutto triestini e regionali ma arrivavano un po’ da tutta Italia: il popolo dei fan del Liga è infatti molto fedele, e spesso non si accontenta di assistere a una sola tappa del tour. Qualcuno forse si aspettava un’affluenza maggiore, ma - come si diceva alla vigilia - vanno al proposito valutati vari elementi. Il rocker ha già suonato in regione ad aprile, al palasport di Latisana, in quella sorta di anteprima della tournèe negli stadi che è stato il “Mondovisione Tour - Piccole città 2014”. Stiamo comunque parlando di un artista che, a quattro anni di distanza dal precedente tour, quest’anno ha girato parecchio. Aggiungi l’incognita meteo di questa “non estate” che, pur avendo risparmiato la serata di sabato, può aver penalizzato le prevendite soprattutto per chi arrivava da più lontano. E magari anche l’onnipresente crisi economica che picchia soprattutto fra le fasce giovanili (i biglietti dei concerti costano cari, e chi aveva un piccolo budget a disposizione per la musica dal vivo a settembre lo ha ben che terminato...). Tutto è bene quel che finisce bene, dicono comunque i saggi. E va rimarcato che il concerto di Ligabue ha concluso un’estate pop/rock/jazz coi fiocchi, come a queste latitudini forse non si era mai visto. C’è stato infatti il megaconcerto dei Pearl Jam a giugno (una delle due date italiane del loro tour, oltre trentamila presenze), il grande concerto di Manu Chao sull’altipiano carsico (altre quattordicimila presenze), lo sfortunato show di John Fogerty in piazza Unità (interrotto dalla pioggia dopo appena una quarantina di minuti). In definitiva un buon cast, al quale vanno aggiunti i tanti artisti di qualità portati nelle piazze Verdi e Hortis dall’ottava edizione di TriesteLovesJazz (tre nomi su tutti: Dobet Gnahorè, Kyle Eastwood e John Scofield) e dall’undicesima annata del Trieste Summer Rock Festival (l’ex Van der Graaf Generator David Jackson, i Rhapsody of fire), quelli di Muggia Jazz (vedi articolo qui sotto), alcuni altri... Insomma, per una volta non c’è stato proprio di che lamentarsi.

giovedì 4 settembre 2014

ATTESA PER LIGABUE sabato a Trieste, stadio Rocco

Conto alla rovescia per Ligabue sabato sera allo Stadio Rocco di Trieste, da dove riparte il “Mondovisione Tour - Stadi 2014” dopo la pausa agostana. Prevendite dei biglietti a quota 14mila, gli organizzatori puntano a superare le 16/18 mila presenze, “sognano” il tetto delle 20 mila ma solo in caso di condizioni meteo ottimali, al momento difficilmente pronosticabili. Qualcuno poteva forse sperare in qualcosa di più, ma al proposito vanno considerati almeno un paio di fattori. Innanzitutto il cinquantaquattrenne rocker di Correggio, Reggio Emilia, ha già suonato in regione ad aprile, al palasport di Latisana, in quella sorta di anteprima che è stato il “Mondovisione Tour - Piccole città 2014”. Secondo aspetto: fra anteprima, prima parte del tour e seconda parte che comincia sabato a Trieste (poi sarà a Torino il 9, Bologna il 13, Bari il 20...), stiamo parlando di un artista che quest’anno, a quattro di distanza dal precedente tour, ha girato la penisola in lungo e in largo. E comunque, con tutta la stima e il rispetto, non stiamo parlando di Springsteen o dei Pearl Jam, gli ultimi due mostri sacri che hanno attirato al “Rocco” trentamila persone da ogni dove... Terminato il tour italiano, il “Liga” punta oltreoceano per la prima volta nella sua ormai lunga carriera (primo album pubblicato nel ’90). Che per uno come lui, cresciuto a “lambrusco e popcorn”, oltre che col faro del rock a stelle e strisce (“Buon compleanno Elvis” è del ’95), non è un appuntamento da poco. Primo tour americano, dunque, che lo vedrà impegnato a ottobre in cinque tappe tra il Canada e Miami, attraversando in pratica gli States da Est a Ovest. Le date: il 18 ottobre a Toronto (Casino Rama), il 19 ottobre a New York (Terminal 5), il 22 ottobre Los Angeles, il 24 ottobre a San Francisco, il 26 ottobre a Miami (Grand Central). Con lui il fedele gruppo formato da Federico “Fede” Poggipollini (chitarra), Niccolò Bossini (chitarra), Luciano Luisi (tastiere e programmazioni), Michael Urbano (batteria) e Davide Pezzin (basso). Gli stessi che lo affiancheranno a Trieste. L’altra sera i tanti fan del rocker - che ha appena pubblicato il nuovo singolo “Siamo chi siamo”, quinto estratto dal suo ultimo e decimo album di inediti “Mondovisione”, dopo “Il sale della terra”, “Tu sei lei”, “Per sempre” e “Il muro del suono” - hanno potuto godere di uno speciale su Raiuno dedicato proprio all’attuale esperienza “live”, raccontata in prima persona e con l’aiuto e le testimonianze di amici e colleghi (Fabio Fazio, Stefano Accorsi, Piero Pelù e Esteban Cambiasso...) che sono andati a trovarlo nella doppia data di San Siro, a giugno. Nel corso di “Luciano Ligabue: Questo è il mio mondo - Siamo chi siamo”, si è visto anche l’artista in sala di registrazione con Francesco De Gregori, con il quale ha duettato in una inedita versione acustica di “Alice”, chitarre e voci, che sarà inserita nel prossimo album del cantautore romano, “Vivavoce”, atteso a novembre. Gli spettatori che sabato faranno rotta su Valmaura assisteranno a un autentico “rock show”, caratterizzato da un palco fortemente innovativo a 180 gradi, che consente una migliore visuale anche agli spettatori laterali. «Mi piaceva l’idea - ha detto Ligabue nella recente intervista pubblicata il mese scorso su queste colonne - di un palco in cui io fossi “esposto” verso il pubblico invece che “ritirato” in una specie di caveau, come di solito sono i palchi dei concerti. Mi proposero una struttura a centoventi gradi. Ne ho chiesta una a centottanta facendo svenire progettisti e ingegneri. Che dicevano: non è mai stato fatto, se non è mai stato fatto un motivo ci sarà... Poi, però, hanno realizzato egregiamente questa struttura». Ancora l’artista: «Tornare negli stadi vuol dire girare con una produzione enorme per cercare di rendere felici decine di migliaia di persone ogni sera. La sensazione di avere una fuoriserie a disposizione. A metà concerto mi fermo e faccio cantare il pubblico perchè amo vedere l’effetto che producono le mie canzoni. L’entusiasmo con cui la gente le canta rende quel momento uno dei miei preferiti dello show. Ormai si ascolta musica ovunque, ma le canzoni hanno ancora potere. Quando vado ai concerti, non solo ai miei, e vedo la gente cantare tutte le canzoni per me è un miracolo. Mi piace pensare che ci sia ancora la possibilità di produrre tanta emozione da condividerla e di avere come collante le canzoni». Sulla radio: «Ho fatto alcune puntate sulla musica prodotta negli anni “sette” di ogni decennio: 1967, 1977, 1987, 1997. Il sette è il mio numero preferito ed è risultato che, fortunosamente, in ognuno di quegli anni è stata prodotta grande musica. Sono cresciuto con la radio, ma sinceramente non saprei come paragonare la radio con internet. Sono due mezzi molto lontani fra di loro. Diciamo che a volte mi sono servito di internet per diffondere alcune trasmissioni radio che avevo fatto». Sull’Italia di oggi: «C’è, credo, soprattutto un senso di indignazione. Però non c’è rassegnazione e continuo a parlare di speranza. Gli impuniti sono tanti. Per esempio gli artefici della bolla finanziaria che ha prodotto i guasti economici in cui stiamo versando. Nel concerto facciamo vedere degli aforismi sul potere. “Il sale della terra” è un brano in cui l’ironia è molto amara, non sembra quasi ironia, c’è un’indignazione che va oltre questa ironia, nel vedere quanto la politica abbia il potere di corrompere chi si ritrova ad averlo fra le mani e la cui prima paura è sempre quella di perderlo». Su Trieste: «Abbiamo fatto altri concerti in questa città, ma il primo ricordo che si affaccia nella mia memoria è per il video di “Eri bellissima”. L’abbiamo girato sul terrazzo di un edificio, in centro città. La luce era perfetta. Da lì sopra vedevamo il mare, bellissimo. C’era un’atmosfera davvero magica, tramonto compreso, che è finita nelle riprese di questo videoclip che resta uno dei più belli fatti su una mia canzone...». Sabato si parte alle 21.30, probabilmente con il brano “Il muro del suono”. Biglietti ancora disponibili online sul circuito Ticketone.it e nei punti autorizzati Ticketone e Azalea Promotion. #LigabueTrieste è l’hashtag ufficiale dell’evento. Per tutte le informazioni sul concerto ci sono i siti www.azalea.it e www.ligachannel.com

mercoledì 3 settembre 2014

DE GREGORI, oggi il libro e a novembre il disco

Lui nemmeno ventenne, senza barba e pieno di capelli, faccia scavata e sguardo ispirato. E oggi, sessant’anni passati, cappello d’ordinanza e occhiali scuri, ad accrescerne fascino e “sintomatico mistero”. Poi c’è sempre lui agli esordi in sala di registrazione nel ’71 a Roma, a New York nel ’76 al Chelsea Hotel e nel 2014 in un negozio di chitarre, nel tour del “Titanic” dell’82, con Lucio Dalla, con Ivano Fossati, con Vasco Rossi, con Zucchero, con Ennio Morricone e Francesco Totti, con il figlio Federico e con il fratello Luigi, con le sue tante band e nelle sue tante tournèe, in tanti scatti “privati” e nei backstage... Francesco De Gregori, proverbialmente riservato, al punto di esser chiamato in passato “il principe”, stavolta si è lasciato andare e addirittura coinvolgere. E “Guarda che non sono io” (editore Svpress, pagg 240, euro 29,50), racconto fotografico a cura di Silvia Viglietti e di Alessandro Arianti, pianista dell’artista ma anche fotografo, è davvero un viaggio per parole e immagini, molte inedite, che racconta la storia di un ragazzo oggi uomo, innamorato da sempre delle canzoni e della musica, tanto da diventarne uno dei massimi protagonisti della scena di casa nostra. Il volume - che esce oggi nelle librerie e verrà presentato venerdì al Festival della Letteratura di Mantova, presente l’artista e gli autori - ha la forza di «non voler essere conclusivo». Anche perchè si tratta di una storia «ancora in movimento», come sottolinea l’artista nell’introduzione. Scrive: «La maggior parte dei libri che sono stati scritti su di me - non molti per la verità - li ho visti solo quando erano già in libreria. Alcuni degli autori mi avevano a suo tempo gentilmente cercato per qualche forma di collaborazione o di approvazione, ma mi ero sempre tirato indietro per non influenzare in nessun modo il lavoro altrui...». Stavolta invece la scelta è stata diversa, «lasciandomi fotografare, tirando fuori molte vecchie foto e altri materiali d’epoca dal fondo dei cassetti...» Il titolo («Guarda che non sono io quello che stai cercando, quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo...», canta nel brano omonimo)? «Potrà sembrare irriverente - scrive ancora De Gregori - per quelli che cercheranno in queste pagine qualcosa che somigli a una biografia in senso stretto. Potrà invece essere apprezzata da tutti coloro che attraverso le immagini e le parole si troveranno semplicemente davanti a una storia - ancora in svolgimento - cominciata più di quarant’anni fa». Dunque cassetti di famiglia aperti, dai quali sono uscite le foto da ragazzo quando girava «sempre con la chitarra» e «ogni occasione era buona per mettersi a suonare». Ci sono anche fogli e appunti manoscritti, compreso quello di lavorazione del nuovo album in uscita a novembre: dovrebbe intitolarsi “Vivacoce” e sembra si tratterà di un ritorno alle vecchie canzoni, da “Alice” ad “Atlantide”, rilette con la voce e la sensibilità di oggi. Fra le curiosità, la riproduzione del libretto d’iscrizione all'Università di Roma, corso di laurea in filosofia, anno accademico 1969-70. Fra gli approfondimenti, quelli con le schede di tutti i suoi album: “Alice non lo sa” e “Rimmel”, “Buffalo Bill” e “Viva l'Italia”, “Banana Republic” e “La donna cannone”, fino ai più recenti “Pezzi”, “Calypsos”, “Per brevità chiamato artista”, “Sulla strada”... De Gregori ragazzo? «C’è sempre stata musica nella mia famiglia - ricorda -. Una sorella di mia madre, zia Rina, era diplomata in pianoforte e suonava l’organo in chiesa. Quando da piccolo andavo a trovarla, a Firenze, sentivo Chopin e Beethoven da dietro la porta della stanza in cui lei dava lezioni ai suoi allievi. Mio nonno Luigi, bibliotecario di grande fascino e cultura (stesso nome di battesimo e stesso lavoro del fratello maggiore di Francesco, anche lui cantautore seppur di minor successo con la firma Luigi Grechi, il cognome della madre - ndr), suonava violino, chitarra, mandolino, pianoforte e fisarmonica». Ancora l’artista: «Mia madre amava la musica lirica, sentivamo insieme le grandi opere alla radio, le romanze famose, Puccini, Verdi. Musica seria. Il contributo di mio padre è stato altrettanto importante, è con lui che ho cominciato a cantare le canzoni degli Alpini durante le gite in montagna...». Il volume comprende anche due interviste esclusive, una a Steve Della Casa in cui racconta la recente e rinnovata passione nel suonare dal vivo, l'altra di Gabriele Ferraris a Guido Guglielminetti, produttore e bassista di De Gregori da oltre vent’anni. Lì si parla del citato prossimo album “Vivavoce”, con «brani vecchi di decenni sembrano appena scritti e acquistano lo smalto che meritano». «Un disco di cover di me stesso», come lo ha battezzato lo stesso De Gregori.

martedì 2 settembre 2014

LEONARD COHEN, nuovo disco per gli 80 anni

Leonard Cohen compie ottant’anni il 21 settembre. E festeggia il compleanno pubblicando - due giorni dopo - il tredicesimo album della sua straordinaria carriera: “Popular problems”, che uscirà su etichetta Sony/Columbia, ed è stato anticipato nei giorni scorsi sul web dalla diffusione del brano “Almost like the blues”, le cui atmosfere “bluesy” richiamano lo stile del precedente album, quel “Old ideas”, pubblicato due anni fa. Il nuovo disco - che comprende nove brani: “Slow”, “Samson in New Orleans”, “A street”, “Did I ever love you”, “My oh my”, “Nevermind”, “Born in chains”, “You got me singing”, oltre alla citata “Almost like the blues” - prosegue sulla strada poetica dell’artista, che si inoltra con un tocco quasi ipnotico lungo le strade del sogno, stabilendo «un nuovo equilibrio tra speranza e disperazione, dolore e gioia», secondo le note della casa discografica. Cohen, con la sua caratteristica voce bassa e profonda, mostra nei nuovi brani l’approccio di un amante stupito che si rivolge in modo appassionato alla condizione umana mentre «l’anima si dispiega nelle stanze del suo desiderio». Il disco - cofirmato con Patrick Leonard, che aveva prodotto anche il precedente lavoro - solca ancora il terreno dell’immaginazione, mostrando un’inesauribile energia poetica. Un’energia, una forza che innerva da oltre mezzo secolo il panorama della musica, della poesia, in definitiva dell’arte e della cultura contemporanea. Era infatti il 1961, quando Leonard Norman Cohen - nato a Montreal il 21 settembre 1934 da una famiglia di origini ebraiche -, dopo alcune esperienze musicali in un trio country & western, i Buckskin boys, formato con due compagni di scuola, debutta con l’antologia poetica “The spice box of earth”. Riconoscimenti, viaggi in Europa con la compagna di allora Marianne Jensen, la decisione di vivere nell’isola greca di Idra. Pubblica i primi racconti, l’autobiografico “The favorite game” (1963) e “Beautiful losers” (1966), nel ’67 torna nel suo Nord America, debutta nel mondo della canzone al Festival Folk di Newport. Lì lo nota il leggendario produttore John Hammond (Billie Holiday, Aretha Franklin, Bob Dylan, più avanti lo stesso Bruce Springsteen...), che lo mette sotto contratto con la Columbia. Esce “The songs of Leonard Cohen”, con brani poi diventati classici come “So long, Marianne”, “Sisters of mercy” e “Suzanne” (già nota nell’interpretazione di vari artisti, tra cui Judy Collins, poi tradotta in Italia da Fabrizio De André). Il primo di una lunga serie, evidentemente non ancora terminata, di album che hanno accompagnato la vita di milioni di persone in tutto il mondo. Ma una carriera è fatta anche - per alcuni soprattutto - di numeri. Quelli di Leonard Cohen: oltre ventitre milioni di album venduti in tutto il mondo, dodici libri pubblicati, il più recente dei quali è “Book of longing”, una raccolta di poesie, prose e disegni pubblicata nel 2006. Numeri che però non dicono nulla dell’enorme influenza che l’opera di Cohen ha avuto su generazioni di altri artisti. Quando fu introdotto - lui, che rockettaro non è mai stato... - nella Rock & Roll Hall Of Fame nel marzo 2008, Lou Reed lo descrisse come uno dei “songwriter del rango più elevato e influente”. Basti pensare che le sue canzoni sono state reinterpretate da centinaia di artisti tra cui Jeff Buckley, Bob Dylan, Nina Simone, Johnny Cash. E ancora lo stesso Lou Reed, Tori Amos, Nick Cave, Joan Baez, Harry Belafonte, Rufus Wainwright, i Civil Wars... E vari album-tributo gli sono stati dedicati in Francia, Norvegia, Spagna, Svezia, Repubblica Ceca, Sudafrica, oltre che ovviamente nel suo Canada e negli Stati Uniti. Per tacere delle decine di libri scritti su di lui, sulla sua produzione. Una curiosità. Nel 2008 la sua “Hallelujah” è divenuta il singolo che ha venduto più rapidamente nella storia europea quando tre diverse versioni del classico - l’originale di Cohen, la versione di Jeff Buckley e quella della vincitrice dell’X Factor inglese Alexandra Burke - sono apparse contemporaneamente nella classifica dei singoli nel Regno Unito. Dopo la pubblicazione di “Popular problems”, non sono per ora previsti tour dell’artista.

PINO DANIELE oggi (1-9) Arena Verona, NERO A META'

Pino Daniele torna stasera all’Arena di Verona, esattamente trent’anni dopo il suo primo concerto nell’anfiteatro scaligero. Per l’occasione riproporrà dal vivo l’intero album “Nero a metà”, il suo disco forse più importante, uscito nel 1980 e ripubblicato quest’anno in versione rimasterizzata. Lo farà assieme ai suoi musicisti di allora - James Senese al sax (il vero e originale “nero a metà”, figlio di una donna napoletana e di un soldato statunitense di colore), Gigi De Rienzo al basso, Agostino Marangolo alla batteria, Ernesto Vitolo alle tastiere, Rosario Jermano e Tony Cercola alle percussioni - con l’aggiunta di Rino Zurzolo al contrabbasso, Daniele Bonaviri alla chitarra classica, Elisabetta Serio al pianoforte e Alfredo Golino alle percussioni. E con l’orchestra sinfonica di cinquanta elementi Roma Sinfonietta, diretta da Gianluca Podio. Ma ci saranno anche dei prestigiosi ospiti-amici: dalla nostra Elisa a Mario Biondi, da Fiorella Mannoia a Emma, da Francesco Renga al conterraneo Massimo Ranieri. Insomma, un concerto-evento che somiglia tanto a una grande festa, per celebrare uno dei maggiori artisti della musica italiana contemporanea e il suo disco, come si diceva, forse più importante. Sì, perchè “Nero a metà”, terzo album dell’artista allora venticinquenne, inserito da Rolling Stone Italia fra i “cento album più belli di sempre”, in quell’ormai lontano 1980 somigliò quasi a un’epifania per la nostra musica di allora, stretta fra una canzone d’autore spesso tristanzuola e autoreferenziale, un pop che ormai aveva sparato le sue carte migliori, un rock sempre troppo in debito con la scena anglo-americana, e una “world music” che doveva ancora arrivare (lo stesso “Creuza de ma”, di De Andrè, sarebbe arrivato solo quattro anni dopo). Quella manciata di canzoni, da “Quanno chiove” a “A me me piace ’o blues”, da “I say I’ sto ccà” a “Voglio di più”, mischiando sonorità mediterranee e blues-rock, con il dialetto napoletano mischiato all’inglese a fare da collante, furono invece una vera boccata di aria pulita, un tocco di novità, una svolta. Contaminazione ante litteram, insomma. «”Nero a metà” è come una vecchia foto, da tirar fuori e mettere in mostra - ha detto Pino Daniele, classe 1955 -. Quel disco ha rappresentato la fusione di diverse culture e in questo senso ha cambiato la musica. Un po’ come Carosone con la musica napoletana. Io ho continuato la sua opera. Queste canzoni hanno vissuto attraverso le generazioni. Come Tenco o Battisti che continuano a vivere nella storia di questo Paese». Ancora il musicista napoletano: «È una testimonianza di quello che è stata la discografia italiana. Oggi quel mondo è finito, non esiste più. Con il digitale è venuto meno l’interesse per “l’oggetto disco”. Forse si tornerà come una volta a suonare opere in teatro, si ritornerà a commissionare messe. Perchè il mercato è in crisi, ma non la musica, che c’è sempre stata ed è parte della storia del mondo». Nella sua “special extended edition”, il nuovo “Nero a metà” comprende, oltre alle dodici canzoni dell’album originale, due inediti scartati all’epoca (“Tira a carretta” e lo strumentale “Hotel Regina”), nove brani in versioni alternative e “demo”. Sul “doppio tour” di quest’estate - “Acustico” e “Sinfonico a metà”, rispettivamente solo con la band e con l’orchestra -, passato un mese fa anche dal Friuli Venezia Giulia, con un concerto a Lignano - Pino Daniele ha spiegato: «È la scelta di un musicista che vuole proporre quello che sa fare, e niente di diverso: suonare. Proporre due versioni diverse del tour dipende dal fatto che in alcuni luoghi il budget per portare un’orchestra è troppo alto. Ma le opportunità nella musica non sono tante e per fare cose belle bisogna adattarsi». Il concerto di stasera verrà trasmesso in diretta da Radio Italia Solomusicaitaliana. Per quanto riguarda Elisa (che Pino Daniele definisce «un’artista con il senso della sintesi della musica, sa cosa vuole fare e come...»), c’è molta attesa nel popolo dei fan per il suo duetto con l’artista napoletano. Per la popstar monfalconese è già previsto un grande ritorno all’Arena di Verona. Sabato 27 settembre è infatti in programma un suo concerto-evento per festeggiare il doppio disco di platino per le vendite dell’album “L’anima vola” (tuttora ai vertici delle classifiche) e il successo del tour invernale ed estivo. Con lei, sul palco, ci sarà come ospite l’artista belga Ozark Henry, con il quale Elisa ha collaborato per il duetto nel brano “We are incurable romantics”.