domenica 26 ottobre 2008

FOSSATI


In copertina una Cadillac del ’58 che sembra quasi un’astronave. Dentro una manciata di canzoni di qualità, con modalità di registrazione assolutamente all’avanguardia. Ivano Fossati ritorna a tre anni da «L’Arcangelo» e mette ancora una volta d’accordo tutti. Bastano poche note di questo suo nuovo «Musica moderna» (Sony Capitol), una manciata di secondi e riconosci subito la sua eleganza, la sua sobrietà, il suo marchio di fabbrica, le sue storie di vita vissuta.

Il cinquantasettenne artista genovese, indimenticato cantante e flautista dei Delirium, oggi si chiede: come vedevano il futuro mezzo secolo fa, ai tempi di quel macchinone in copertina? E si risponde con saggezza antica: l’idea del domani non può che nascere dalle nostre conoscenze del passato. E la realtà sarà sempre diversa, sorprendente nel bene e nel male, da come l’avevamo immaginata.

Questo concetto, applicato alla società ma anche al privato delle persone, permea tutto il disco. Che è una sorta di tuffo nel futuro, con molti riferimenti che arrivano dal passato. Ma Fossati guarda al presente e al futuro con l'occhio lucido del libero pensatore, del cantautore di razza.

Si parte con «Il rimedio» («una canzone - spiega - di un amore adulto, probabilmente tra due separati, magari con figli. In quel caso la saggezza può essere qualcosa di troppo...»), che ci mette un attimo a metterci in sintonia con l’universo fossatiano. Si prosegue con «Miss America», un reggae dolce e grintoso che racconta la storia d’amore di Luigi: una scusa per parlare della scoperta delle emozioni, degli stati d’animo che può provare una persona quando s’innamora.

«Cantare a memoria» è la tipica ballata alla Fossati, ricca di quei suoni e colori che da sempre caratterizzano i suoi brani migliori. «Il paese dei testimoni» mette a nudo un personaggio «senza memoria, senza vergogna, senza pudore» (e invita a guardare la tivù con senso critico). «La guerra dell’acqua», grido d’allarme sull’incetta delle risorse idriche, affronta uno di quei problemi sociali ai quali l’artista non si è mai sottratto.

«D’amore non parliamo più» è destinata a entrare nel novero delle sue canzoni più belle: una canzone d’amore, una delicata poesia che il nostro interpreta da par suo, quasi un classico del suo universo poetico. «Last minute» scandaglia ancora il tema dell’amore: racconta di un uomo d'affari impegnato nel sud-est asiatico, che ogni giorno sogna una donna lontana ma soprattutto l'Europa. «Musica moderna» ironizza un po’ sui cosiddetti intellettuali della musica: quelli che si riempiono la bocca di paroloni sulle nuove tendenze musicali, senza accorgersi che da mezzo secono la musica che gira attorno è più o meno sempre quella.

«Parole che si dicono», «Illusione» e «L’amore trasparente» (dalla colonna sonora del film «Caos calmo») completano un disco di qualità, apparentemente facile ma ricco di testi di spessore e livello letterario.

Dal 3 novembre Ivano Fossati è in tour: partenza da Verona.


AC/ DC


Dopo otto anni sono tornati. Gli australiani AC/DC si rimettono in pista con «Black Ice»(SonyBmg), il nuovo album che prelude a un tour mondiale che il 19 marzo toccherà Milano. E che suona come se fosse stato inciso ai tempi di «Back in black», disco del 1980, il primo inciso dopo la morte per abusi alcolici del cantante Bon Scott, che ancor oggi è tra i cinque più venduti della storia del rock (oltre quaranta milioni di copie).

Angus Young ha più di sessant’anni ma è ancora vestito con la sua divisa da scolaretto e i pantaloni corti e assieme al fratello Malcom, poco più vecchio di lui, continua a formare una coppia di chitarristi che attorno a tre-quattro accordi manda in visibilio vecchi e nuovi metallari.

Con duecento milioni di dischi venduti gli AC/DC sono da più di trent'anni un'istituzione del rock, sospesi tra power e metal, una sorta di via di mezzo tra una versione senza blues, black music e fascino satanico dei Rolling Stones e un derivato dei Led Zeppelin.

Al sound delle chitarre dei fratelli Young si aggiunge la vocalità roca e graffiante di Brian Johnson, che ha educato le corde vocali con il whisky e le pinte di birra e che sta con la band dai tempi di «Back in black». La ritmica, Cliff Williams al basso e Phil Rudd alla batteria, è inchiodata al suo ruolo di metronomo chiamato a sostenere voce e chitarra.

«Black ice» è stato registrato a Vancouver e prodotto da Brendan O’Brian, che ha firmato i dischi dei Rage against the machine, Stone temple pilots, Pearl Jam e gli ultimi tre di Bruce Springsteen. O’Brian è diventato famoso per la sua capacità di dare un proprio suono ai suoi lavori, ma in questo caso non ha fatto altro che rispettare il passato di questa band di anglo scozzesi cresciuti in Australia.

I pezzi sono quindici, un insieme di canzoni che non danno tregua, proprio come piace ai vecchi fan. Anche per quanto riguarda i testi, i fratelli Young sono rimasti fedeli alla linea di un immaginario godereccio che va dai party alle ragazze disponibili. Con tutte le varianti del caso. «Rock’n’roll train» è il primo singolo.


VANONI Ornella più Ramazzotti, più Jovanotti, più Morandi, più Baglioni, più Carmen Consoli. E Ornella più Mina. La sintesi di tutto questo l'ha scritta lei stessa, quando ha deciso che quel disco celebrativo di cinquant’anni di carriera dovesse intitolarsi «Più di me». E oltre lei ci sono gli amici, i cantanti scelti per segnare un traguardo sospeso tra ieri e oggi. Undici tracce scelte dagli artisti coinvolti in una lista dei maggiori successi della Vanoni, «completamente reinterpretati - precisa - anche musicalmente», e questo «spiega il valore del disco». Jovanotti duetta in «Più» e in «Io so che ti amerò», i Pooh in «Eternità», Dalla in «Senza Fine», Giusy Ferreri in «Una ragione di più», Mannoia in «Senza Paura». Dei due inediti uno va forte nelle radio: c'è Ornella che racconta la vita, quel «Solo un volo», assieme a Ramazzotti. L'altro è atteso da tempo e vede due voci incontrarsi laddove la leggenda ha voluto dissapori e incomprensioni: Ornella e Mina in un ironico «Amiche mai», in cui la lite avviene davvero e per colpa di un uomo. Brano registrato però separatamente.


CAPOSSELA La nostalgia dell'inverno, di quel «momento di grande intimità» dove si pensa «ai racconti di Natale di Dickens e di quell'atmosfera ovattata di stagione silenziosa, di tempo remoto». C'è chi, come Vinicio Capossela, per questa mancanza, «per protestare contro la sparizione dell'inverno, di cui rimane soltanto la foschia», arriva a incidere un disco. «Da solo», titolo scelto perchè composto in totale solitudine: poche settimane a cavallo tra 2007 e 2008 sono bastate per scrivere undici tracce, concepire l'aggiunta di una dodicesima (che si serve di una melodia di un vecchio inno composto nel '14 da Frederick Martin Lehman), evocare immagini, ascoltare il silenzio, raccontare drammi, mostrare evidenze e dimostrare intuizioni al modo di Capossela. È un album festoso e fatato, a detta dell'artista «un disco per pianoforte e strumenti inconsistenti», dove, se la voce e il piano la fanno da padrone, il caleidoscopio di suoni che li circondano fanno «a volte da coro, a volte da ombre, da tintinnio, da ambiente, da aria e da cappotto». E gli strumenti diventano giocattoli, nel mondo di Capossela.

sabato 18 ottobre 2008

GRILLO 4


Dai palasport alle piazze e ritorno. Ovvero: forse il momento d’oro di Beppe Grillo volge al tramonto. È questa la sensazione dopo le tappe regionali (Trieste, ma anche Udine e Pordenone) del suo nuovo spettacolo «Delirio», di cui ieri abbiamo già riferito a caldo.

Innanzitutto i numeri. Un anno e mezzo fa il comico/fustigatore genovese richiamava seimila spettatori al PalaTrieste e praticamente altrettanti, divisi in due sere, nel più piccolo palasport udinese. L’altra sera, quattromila biglietti staccati - e molti spazi vuoti - nella moderna struttura di Valmaura e una sola serata sufficiente per accontentare il pubblico friulano al Carnera. Mancano dunque all’appello diverse migliaia di persone. E i dati che arrivano dalle altre città toccate dal tour vanno nella stessa direzione.

Ma non è solo una questione di numeri. In passato gli show di Grillo erano un esilarante fuoco di fila di battute, gag, sfottò. Si rideva a crepapelle. L’uomo poteva esserti simpatico o meno, potevi anche essere convinto che fosse uno di quelli che predicano bene e razzolano male, con le sue dichiarazioni dei redditi multimilionarie e le sue tante contraddizioni (oggi magnifica la Rete, in uno spettacolo di pochi anni fa distruggeva sul palco lo schermo di un computer, dicendone peste e corna...), ma non potevi fare a meno di apprezzarne l’esplosiva capacità di mettere alla berlina i potenti e questo mondo che non funziona.

Poi è cambiato qualcosa. Con le piazze del «Vaffa», con i referendum, con il ruolo di fatto politico che il nostro ha assunto nel disastrato panorama italiano degli ultimi dodici/ventiquattro mesi. Il risultato è che oggi, e ormai da tempo, Beppe Grillo non è più un comico ma non sarà mai - né vuole essere - un politico. Anche se sponsorizza le liste civiche per le prossime amministrative, anche se elogia pubblicamente Di Pietro («l’unico che fa opposizione, anche se non sa parlare e mette ansia...»), anche se ospita nel foyer dei palasport i banchetti per la raccolta delle firme contro il Lodo Alfano.

Oggi Grillo è approdato in una sorta di zona grigia, fra spettacolo e politica, in qualche modo respinto dall’uno e dall’altra. E il suo nuovo show, sempre meno spettacolo e sempre più comizio, mostra un po’ la corda. Nelle due ore abbondanti dell’altra sera al PalaTrieste, i momenti di stanchezza sono stati parecchi. Le battute sono le solite. E le testimonianze dell’Associazione Esposti Amianto di Monfalcone sono commoventi e toccanti, a tratti persino strazianti, ma non contribuiscono certo ad alzare il tono della serata. Che si conclude con un dubbio: il fenomeno Grillo ha già imboccato la parabola discendente? Lo sapremo presto.

GRILLO 3


Fuori dal PalaTrieste l’infreddolita protesta bilingue contro l’Alta Velocità sul Carso, nel foyer l’accaldata raccolta di firme dipietrista contro il Lodo Alfano. Preceduto da un breve filmato vecchio di quarant’anni, con Bob Kennedy che ammoniva già allora sui rischi della finanza facile, eccolo, il fustigatore genovese. L’uomo del «Vaffa day». L’ex comico che da anni racconta le ingiustizie e le stupidità del nostro Paese. Tanto da essere diventato un opinion leader. Ventuno e quindici di ieri sera, Beppe Grillo fa capolino sul palcoscenico e gli oltre quattromila del PalaTrieste esplodono in un applauso liberatorio.

È tornato con il nuovo spettacolo, intitolato «Delirio». Ma al solito attacca con Trieste, la bora, la piazza con i lumini, il rigassificatore che arriverà, la Ferriera. «Avete sempre lo stesso sindaco, no?, quello che ride sempre, ma che cosa c’avrà mai da ridere. E Illy si è messo a fare la cioccolata...».

Poi allarga il tiro. «Qui non falliscono più le banche, ma sono già fallite le famiglie. Lo psiconano vuole l’aiuto di stato, dice che siamo a rischio, a rischio Opa. Ma ora l’ho fatta io un’Opa alla genovese, su Mediaset...». È la sua ultima provocazione, lanciata sul suo cliccatissimo blog e rilanciata dal vivo. «Da inizio 2007 Mediaset è scesa da 9,5 euro a 3,9. Se un anno fa per comprarla bisognava pagare 100, oggi costa circa 40. Un affarone. Un'Opa su Mediaset porterebbe numerosi vantaggi».

Il sogno? «Togliersi dalle balle Emilio Fede e Paolo Liguori e Clemente Mimun. Guadagnare un patrimonio grazie alla pubblicità incassata da Publitalia. Veline senza limiti. E ci sarebbe vera informazione. Travaglio direttore del telegiornale. Saviano inviato speciale e non emigrato all'estero. Dario Fo responsabile della cultura».

Poi torna sulle testate nucleari ad Aviano, su «Obama, finto-negro, che cambierà il mondo, lui non è come Bush». Parte un filmato. Ma torna subito alle cose italiane. «Ve lo vedete Pertini che firma il Lodo Alfano?» Seguono gli attacchi a Napolitano, «che stava all’opera con Bassolino e la Mastella, due inquisiti, mentre c’era l’immondizia nelle strade...».

Strali sull’informazione, sui «giornalisti pezzenti che non fanno le domande. La causa di quello che è successo è che non sappiamo, non veniamo informati, dov’è la stampa? Ecco che tipo di informazione abbiamo in Italia. Siamo noi che dobbiamo diventare i giornalisti di noi stessi, andate sul mio sito, troverete tutto...».

Sì, perché «il Paese è in pieno delirio. La scuola oggi è fallita, come cultura, come formazione. Ma non si comincia da lì a tagliare i soldi. Tagliare gli investimenti nella scuola - dice Grillo - equivale a segare il tronco di un albero stando seduti sul ramo più alto. Il futuro dell’Italia nasce nelle università, nei licei, negli asili. Se ne uscirà spazzatura, il Paese rimarrà una discarica. Quando si parla di scuola si discute di occupazione, di ricercatori licenziati, di 50 mila insegnanti precari che rimarranno a casa».

Tira il fiato e riparte. «Lo psiconano taglia perché non ha più soldi per la scuola. Per altre spese invece il problema non sussiste. Catania, città fallita dell' ex sindaco Scapagnini, riceverà 150 milioni di euro. Non sarà neppure commissariata. Il Comune di Roma dissestato da Topo Gigio Veltroni ha ottenuto 500 milioni di euro per ripianare parte del deficit...».

Una sola piccola speranza: «L’unico che fa l’opposizione è il povero Dipietro, che non sa parlare, mette l’ansia. La sinistra è andata al governo e per prima cosa ha fatto l’indulto e Mastella ministro. Mastella...!»

Che fare? «Mettersi l’elmetto, scendere per la strada e difendersi, cominciare a fare noi le scelte politiche che dovrebbero fare i nostri rappresentanti...». Presenta i ragazzi di Trieste e Gorizia del suo gruppo. Cominciano a parlare dei problemi locali, mostrano un filmato girato nel consiglio comunale triestino, poi arrivano i consigli per sopravvivere: il latte sfuso, i pannolini lavabili, il bucato ecologico, la pipì da riciclare, persino la bara economica che fa provare a un malcapitato. Un momento di commozione per la testimonianza di una rappresentante del Comitato Esposti Amianto di Monfalcone, che racconta com’è morto suo marito. «Ormai non abbiamo alternative alla democrazia fai da te, all'autogoverno, al presidio del territorio, alla partecipazione a ogni decisione che riguarda la collettività. Fuori dal delirio, dentro la realtà».

Grillo macina chilometri, fra il palco e le poltroncine del palasport. Sembra un po’ stanco. Parla, suda, ride e fa ridere. Il suo è un lungo monologo basato su un canovaccio che è uguale nelle varie repliche, più alcune modifiche legate all’attualità stretta e alle città dove il tour fa tappa. Rispetto al passato la formula dello spettacolo/comizio mostra un po’ la corda. Fra politica, sociale, economia, ambiente, scuola. Un delirio. Che a Trieste gli vale comunque l’ennesimo trionfo. Fino alla classica tentazione: «Italiani...!» Ma è solo un attimo. Meglio il «vaffa» finale fatto pronunciare ai quattromila del PalaTrieste all’indirizzo del nostro ceto politico.

mercoledì 15 ottobre 2008

GRILLO 2


A Udine l’altra sera ha detto: «Avete un sindaco genovese, che quindi dovrebbe avere un quoziente intellettivo più alto della media. Sicuramente meglio dei triestini...». Boato di risate da parte dei tremila friulani che affollavano il palasport Carnera. Troppo facile immaginare che domani sera, al PalaTrieste, l’obbiettivo di questa o altre battute avrà un bersaglio ben diverso.

Beppe Grillo è così: sa perfettamente come mettersi in sintonia con il pubblico delle varie città dove porta i suoi spettacoli/comizi. Doveva arrivare a Trieste due settimane fa, ma un’infreddatura di stagione ha portato allo spostamento di quella e delle altre date previste nel Triveneto.

Ora tutto è finalmente pronto per assistere anche nel capoluogo regionale a «Delirio», il nuovo spettacolo del comico/fustigatore genovese, che da almeno un anno può essere considerato anche un protagonista della scena politica di casa nostra, con le sue piazze del «vaffa», i suoi seguaci organizzati in «Grillo boys» e con la promessa/minaccia di liste civiche alle prossime elezioni amministrative.

Proprio di questo, aveva parlato nell’intervista al «Piccolo» pubblicata prima del rinvio dello spettacolo. «Non mi candiderò mai - aveva detto Grillo - ma a primavera, alle prossime amministrative, partiremo nelle varie città con una moltitudine di liste civiche che avranno una sorta di stemma, di bollino di riconoscimento. Candideremo ragazzi che lavorano nelle varie realtà da anni, gente seria, onesta, che si muove su cose concrete».

«Ciò per riprendere il controllo sui Comuni. È l’operazione che abbiamo denominato ”Fiato sul collo”. Ogni nostro consigliere eletto andrà alle sedute dei consigli con una piccola telecamera. Metteremo tutto in Rete. Non c’è nessuna legge che ce lo impedisce. Manderemo tutti in galera...».

Ancora Grillo: «L’operazione fa già proseliti. Di Pietro ha aderito, mettendo a disposizione i sindaci, assessori e consiglieri comunali del suo partito. Nel mio blog c’è già un’area dove pubblicheremo l'elenco dei comuni trasparenti che, in modo autonomo, rendono disponibili i filmati delle sedute comunali...».

Secondo Beppe Grillo il Paese è ormai al delirio: delirio politico, sociale, economico. Da cui il titolo dello spettacolo che ora sta girando i palasport italiani. «Sì, il Paese è in pieno delirio. I nostri dipendenti in Parlamento sono dentro un manicomio. Tra di loro si capiscono, ma non sanno più cos'è la realtà. La confondono con i loro interessi privati o di partito. Il futuro sono le centrali nucleari, gli inceneritori, i parcheggi, i ponti sugli stretti, il tunnel in Val di Susa, il digitale terrestre e la magistratura al guinzaglio. Sono deliri alla Veltrusconi. Le chiamano posizioni dialoganti. Dipendiamo dall'estero per l'energia e non sfruttiamo le rinnovabili. Dipendiamo dall'estero per i beni alimentari e asfaltiamo i campi di grano...».

domenica 12 ottobre 2008

ORNETTE COLEMAN ALL'OPP NEL MAGGIO '74


di Carlo Muscatello


La libertà entrò nel manicomio di San Giovanni il 15 maggio 1974 vestita di una splendida giacca patchwork. Pezzetti di velluto cuciti l'uno con l'altro. Di tutti i colori: rosso, giallo, verde, marrone, blu, viola... Quasi la rappresentazione visiva della musica che usciva a scatti nervosi dal sax di quel signore che vestiva la giacca in questione.

Lui era Ornette Coleman, classe 1930, americano del Texas, nero, uno dei maggiori innovatori della musica jazz degli anni Sessanta e Settanta. Il profeta del "free", quella forma di jazz che era nata fra New York e Chicago, quasi parallelamente alle grandi battaglie razziali di Martin Luther King e di Malcom X.

E in quel maggio del '74, in una Trieste che viveva un'altra grande battaglia di libertà e di dignità delle persone, e che negli anni precedenti aveva al massimo assistito ai primi vagiti del nascente pop italiano (la Premiata Forneria Marconi, le Orme, il Banco del Mutuo Soccorso...), il concerto di Coleman fu il primo di una serie abbastanza lunga che contribuì non poco ad abbattere il cancello che separava il vecchio frenocomio aperto nel 1908 dal rione di San Giovanni e dalla città di Trieste. E a dar corpo all'unica rivoluzione, quella basagliana, che la città ha visto nascere e compiersi.

In quella calda sera di maggio il jazzista statunitense propose con il suo quartetto una musica assolutamente libera, fuori dagli schemi conosciuti, basata quasi interamente sull'improvvisazione. Seguiva l'estro del momento. Ispirato da una situazione circostante che vedeva diverse centinaia di giovani appassionati di musica, attirati dal grande nome, mischiati a qualche decina di pazienti. I cosiddetti matti, a tratti divertiti ma forse più spesso spaesati dinanzi a quel che stava accadendo attorno a loro. In quel campetto di calcio che anni dopo lasciò il posto a una brutta costruzione ma quella sera era un luogo di libertà. Dove i presunti normali stavano fianco a fianco ai presunti matti.

Di più. Nei momenti in cui la frammentazione e l'irregolarità del ritmo e della metrica venivano portate alle estreme conseguenze, in una cavalcata musicale condotta da un sax quasi impazzito e supportata da una solida sezione ritmica, alcuni di quei matti ridevano, altri si chiudevano le orecchie con le mani. Rimpiangendo probabilmente il silenzio e la tranquillità che in quel parco, fino a quella sera, l'avevano fatta da padrone.

Sì, perchè dopo quella sera, nel parco e nel piccolo teatrino del grande ospedale psichiatrico, nulla fu più come prima. Poco meno di un mese dopo, il 12 giugno, arrivano gli Area del compianto Demetrio Stratos. Dopo l'album d'esordio,"Arbeit macht frei", ovvero "il lavoro rende liberi" (frase che stava scritta all'ingresso dei campi di sterminio nazisti...), era appena uscito il disco "Caution Radiation Area". Con dentro un brano intitolato "Lobotomia", dedicato a Ulrike Meinhof e caratterizzato da suoni ossessivi e lancinanti. Praticamente l'ideale per un concerto dentro a un manicomio...

Passa l'estate. E a settembre a San Giovanni arrivano prima il quartetto di Giorgio Gaslini (con il friulano Andrea Centazzo alla batteria) e poi Gino Paoli. Il jazzista milanese era l'inventore della "musica totale", l'utopia che diventava realtà di un genere in grado di abbattere barriere, schemi, luoghi comuni. Jazz che flirtava con la musica popolare e contemporanea, che si mischiava con generi "altri" per poi uscirne rigenerato.

Paoli, invece, monfalconese di nascita ma genovese d'adozione, era in quel periodo in una fase di mezzo, stretto fra i grandi successi degli anni Sessanta e la stagione che di lì a poco lo avrebbe riavvicinato al grande pubblico. A Trieste strinse rapporti anche di amicizia, con Peppe Dell'Acqua e altri, che lo avrebbero riportato tante volte, in questi trent'anni, a testimoniare la propria vicinanza alla rivoluzione basagliana.

Ma torniamo a quel 1974. A ottobre, nel teatrino dell'Opp, arrivano i napoletani Saint Just, trio capitanato da Jane Sorrenti, sorella dell'allora più famoso Alan Sorrenti. Nella stessa sera c'è anche Dodi Moscati, ricercatrice e cantante toscana appassionata di musica popolare (scomparsa pochi anni fa). A dicembre, la sera dopo il giorno di Natale, il palco del teatrino viene diviso da Franco Battiato e Juri Camisasca. Il primo non è ancora il cantante pop di successo che sarebbe diventato a partire dal '79 con album come "L'era del cinghiale bianco", "Patriots" e "La voce del padrone". Il secondo non è stato ancora colpito dalla crisi mistica che lo avrebbe poi portato a chiudersi per tanti anni in un monastero. All'epoca sono due artisti di nicchia, quasi d'avanguardia, amati solo da un pubblico di appassionati.

Li ritroviamo assieme, Battiato e Camisasca, nel parco dell'ospedale psichiatrico, poco più di due anni dopo. Nell'aprile del '77, assieme ad Alfredo Cohen e Alberto Camerini, in una "due giorni" che è una sorta di anteprima di quello che a settembre sarebbe stato il grande Reseau internazionale. Due giorni di musica e buone sensazioni, organizzati dai ragazzi di Canale 89, l'emittente radiofonica che in quei mesi era diventata un punto di riferimento per la parte più politicizzata della gioventù triestina.

Tanti altri musicisti, noti e meno noti, hanno suonato in tutti questi anni nel grande comprensorio di quello che poi sarebbe diventato l'ex ospedale psichiatrico di San Giovanni. Anche grazie a loro, e ai tanti giovani accorsi per vederli e sentirli, il processo di chiusura del manicomio - e di restituzione della grande area verde alla città - è stato portato a termine. Con la musica, con le parole, con il linguaggio universale dei suoni: forma d'arte popolare dinanzi alla quale siamo tutti uguali, senza distinzioni di alcun tipo.

«Sì, la musica è stata una costante nel nostro lavoro - ammette oggi Peppe Dell’Acqua, direttore del Dipartimento di salute di mentale di Trieste ed erede, assieme a Franco Rotelli, di Basaglia -, quei giovani che negli anni Settanta entravano per la prima volta a San Giovanni per seguire i concerti ci permisero di entrare in contatto con la città. E non a caso quel primo contatto avvenne con la parte più giovane della popolazione, quella priva di pregiudizi, aperta al confronto con l’altro. Ricordo i grandi concerti, ma anche le esperienze dei laboratori teatrali, il cinema...». La storia della rivoluzione basagliana è passata anche da lì.


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dallo spettacolo di Lella Costa e Paolo Fresu:


C'è stata molta musica nel parco dell’ospedale psichiatrico di Trieste negli anni del grande cambiamento. Molti concerti: gli Area, Gino Paoli che suonò nel teatrino del manicomio il giorno del suo 40esimo compleanno e da allora è tornato molte volte, Giorgio Gaslini una sera di settembre, poi Franco Battiato, poi a novembre il primo spettacolo di Dario Fo.

Ma il primo concerto importante fu a fine maggio del ’74, quando nel parco di San Giovanni, manicomio di Trieste, suonò Ornette Coleman. Lui se lo ricorda ancora benissimo. «It was really very unique, molto speciale. Non mi ero mai trovato in un ambiente così particolare. Non avevamo la minima idea di chi potesse esserci in quell’ospedale, ci siamo trovati fra tanta gente di tutti i tipi e certo non avresti potuto dire, guardandoli in faccia, questo è malato e questo no».

Coleman in quartetto, in manicomio: un’idea nata con il Club triestino degli Amici del jazz. Il tramite un personaggio straordinario, un pittore olandese che Coleman ricorda come «un uomo grande e grosso che viveva in barca, un artista molto bravo che faceva quadri sempre non più grandi di un foglio A4». L’Olandese grande e grosso, forse volante, racconta a Coleman di aver incontrato in manicomio artisti di valore e persone interessanti, sono quelli del «Laboratorio P». È un reparto appena svuotato dove operatori, ricoverati, teatranti, pittori e scultori guidati da Giuliano Scabia e Vittorio Basaglia «fanno cose». Oggi si direbbe «creano eventi». Ma allora era diverso.

«Quando l’olandese mi ha proposto di andare a suonare lì, mi sono detto: ”Si può fare! Magari si può fare qualcosa di buono, perché la musica fa sentire meglio. E ho accettato».

«In realtà non immaginavo affatto la situazione in cui poi ci siamo trovati». Nel prato del campo sportivo, circondato dai reparti «non c’era un vero palco, solo una pedana e noi suonavamo con la gente che andava e veniva intorno e vicino a noi, con l’aria di pensare vediamo chi sono questi artisti, cosa fanno. Era davvero molto bello, era real audience, un vero pubblico che si muoveva in modo consapevole, attento, coinvolto. Poi è venuta fuori quella signora, di lato rispetto a noi, dall’ombra, senza che nessuno la controllasse, suonando la fisarmonica. Si muoveva in modo molto tranquillo, convinta che non ci fosse nulla di sbagliato in quello che stava facendo, quasi professionale, suonava qualcosa che mi sembrò una canzone popolare. Mi ricordo che ho pensato questa è musica, let’s join her, andiamole dietro, e così abbiamo cominciato a suonare ciò che suonava lei».

Quella signora che è salita sul palco con la fisarmonica si chiama Rosetta. Ha una cinquantina d’anni, più di 20 passati in manicomio. Cantava con una bella voce da soprano e la si vedeva spesso passeggiare nei viali del manicomio e per il quartiere suonando la fisarmonica o l’armonica a bocca. Nei mesi del laboratorio «P», Rosetta, era stata una protagonista: aveva raccontato lei la storia del cavallo Marco che tirava il carretto con la biancheria sporca dei reparti, e da lì era nato il cavallo azzurro che poi ha girato il mondo, con una canzone composta da Rosetta insieme con Giuliano Scabia.

Gli operatori dell’ospedale sono un po’ preoccupati. Racconta Maria Grazia Giannichedda: «Noi che volevamo creare “incontri ravvicinati” tememmo di aver osato troppo nel non volere nessuna mediazione, nessun controllo psichiatrico in quello spazio dentro il manicomio che volevamo fuori dalle sue regole».

Ornette Coleman è meno preoccupato. «Io mi sentivo molto bene, molto normale in quella situazione un po’ da fantascienza, e così la cosa ha funzionato. Ricordo che abbiamo suonato almeno un’ora e mezzo, più del solito, mi piaceva quel clima di libertà, questo essere liberi, tutti, in qualunque condizione si fosse. Lo so che all’indomani ognuno sarebbe ritornato al suo posto, ma in quel particolare momento era evidente che eravamo tutti normali in quella situazione così speciale. Questo la musica può farlo, io credo che sound is the science of feeling, la scienza del sentire. Credo davvero che ho capito delle cose di me stesso quella volta. All’epoca, ero anch’io molto matto, poi sono diventato più maturo, ho capito anche su di me che la musica fa bene. Mi pare che proprio poco dopo Trieste sono stato in Marocco, dove ho incontrato i musicisti Joujouka, un gruppo che mi ha impressionato molto, che usava una musica antica che cura la follia, e io credo che questo sia possibile». Coleman ricorda anche un concerto al Paolo Pini, il grande manicomio di Milano. «Credo che quel concerto fu prima di Trieste, ma era un’altra cosa, lì io ho suonato per i medici, c’erano file di medici e file di malati, composti e seduti, tutto molto controllato e usuale, un concerto di beneficenza come mi è capitato altre volte».

Ornette Coleman, oggi ha 78 anni ed è un musicista celebrato che non smette di sperimentare. La signora Rosetta vive in un appartamento nel parco di San Giovanni con alcune signore sue coetanee.

L’ingresso a quel concerto con Orette Colemann, Norris «Sirone» Jones al contrabbasso, James Ulmer alla chitarra elettrica, Billy Higgins, alla batteria e l’intervento straordinario di Rosetta Loiacono alla fisarmonica era a offerta libera. Fu un grande successo di pubblico ma non si riuscì a tirare su la cifra che serviva a pagare le spese, 180 mila lire.


 

ELIO / BARCOLANA FESTIVAL


Gli Elii salgono sul grande palco di piazza Unità alle 23 e un’ondata di ironia, autoironia e buona musica sommerge la folla. Come sempre avviene alla vigilia della Barcolana, Trieste ieri sera sembrava il Carnevale di Rio. La piazza, le rive, la distesa di barche. Spettacolo unico.

E per coronare degnamente questo spettacolo, al festival - a conclusione di una lunga serata di musica, nobilitata anche dal rap rivoluzionario di Frankie Hi Nrg, di cui riferiamo a parte - sono tornati per la terza volta in dieci anni Elio e le Storie Tese. Nel 2003 lo avevano promesso: «Torneremo, statene certi, perchè abbiamo ancora in bocca il gusto del prosciutto e del vino che abbiamo gustato a bordo...», ricordando la precedente incursione barcolanesca, quando avevano regatato nientemeno che con Giovanni Soldini.

Grande Elio, e grandissimi i suoi soci, Rocco Tanica/Sergio Conforti, Faso, l’architetto Mangoni/Supergiovane e tutti gli altri. Si definiscono «Studentessi» (titolo del loro ultimo disco), ma in realtà sono dei maestri. Maestri di musica, per la tecnica eccellente messa in mostra in vent’anni di carriera e pure all’ultimo Dopofestival, quando parodiavano sul momento le canzoni in gara a Sanremo, tanto da risultarne gli unici, veri trionfatori. Ma anche e forse soprattutto maestri di intelligenza, di ironia e autoironia, come si diceva. Una risata vi seppellirà, pronosticava la parte migliore del Sessantotto. Ebbene, gli Elii sono figli di quella ottimistica previsione. Rimasta perlopiù lettera morta.

Ma loro hanno portato lo spirito zappiano nel mondo della musica leggera italiana, serioso e autoreferenziale quasi per definizione, popolato di mezze calzette che si prendono troppo sul serio. Proprio come avviene nel mondo reale. Elio e i suoi stanno agli antipodi. E ieri sera ne hanno dato l’ennesima conferma, infiammando un pubblico che conosce a memoria i loro successi vecchi e nuovi.

Spettacolo effervescente, pirotecnico quanto i fuochi che lo hanno preceduto, ben calibrato fra passato e presente, fra i brani del nuovo album e i classici di una carriera. Qualche perla nel mucchio: «Plafone» («C’è già una macchia sul plafone, che l'ho pagato due milioni delle vecchie lire, ma nella prossima assemblea di condominio, io farò valere tutti i miei millesimi...»), «Ignudi fra i nudisti» (versione aggiornata delle discussioni di coppia di «Cara ti amo»: «Mare o montagna? Lago o campagna? Quanto è difficile la vacanza di coppia...»), «Gargaroz» («Così piccolo, così fragile, mentre la tua mamma ti portava in ospedale ti diceva sorridendo "Lì c'è un dottore, sai, simpaticissimo". Si, però alla fine m'ha narcotizzato e le tonsille s'è fregato...»).

E poi «Parco Sempione», ispirata ai suonatori di bongo del grande parco milanese, per raccontare la Milano di oggi, che cancella prati e progetta altri grattacieli, «una città depredata da amministratori che da anni fanno cose allucinanti sotto gli occhi di tutti, ma i cittadini se ne fregano...». Fino alle classicissime «Mio cugino», «Fossi figo», «Pippero», «Born to be Abramo», «Tapparella»...

Canzoni dissacranti, piccoli quadretti nonsense intrisi di citazioni - musicali e non - più o meno colte, nei quali si alternano generi e stili diversissimi fra loro. Fra una bossanova che vira in rock, marcette in stile ventennio e digressioni in salsa francese, suggestioni progressive e tentazioni metal, la lezione di Buscaglione incrociata con quella della canzone d’autore. Con sublimi giochi verbali che mettono alla berlina la cultura nazionale: luoghi comuni e sedicenti artisti, stili letterari e linguaggi televisivi.

Concerto di una ricchezza musicale sontuosa, che il pubblico triestino ha apprezzato e poi ha potuto letteralmente portarsi a casa. Lo staff degli Elii ha infatti realizzato anche ieri sera - come da tempo avviene nei loro concerti - un «Cd Brullè», ovvero l’«instant cd» registrato e realizzato in diretta nella prima parte dello show e poi venduto (a dodici euro) alla fine, nel banchetto dietro il mixer. E poi via, mezzanotte è passata da un pezzo, tutti a dormire, che stamattina a Trieste va in scena la Barcolana più estiva di sempre.


 

venerdì 10 ottobre 2008

ALL FRONTIERS


Ritorna «All Frontiers». E compie vent’anni. La piccola ma prestigiosa rassegna di Gradisca (sottotitolo «Indagini sulle musiche d’arte contemporanee») propone una nuova edizione, che si svolgerà dal 14 al 16 novembre alla Sala Bergamas della cittadina sul fiume Isonzo.

«Sì, ci siamo ancora - dice con una punta di giustificato orgoglio Tullio Angelini, organizzatore e anima della manifestazione, con la sua ”Moremusic” - e abbiamo ancora voglia di portare in regione i protagonisti più originali e intelligenti della scena musicale internazionale. Sperimentazione e avanguardia rimangono le nostre direttrici specifiche...».

«Siamo nati proprio vent’anni fa, nel luglio dell’88, col concerto goriziano di Nico, l’ex cantante dei Velvet Underground. Fu lei che in quella sera d’estate ci disse: bello qui, mi piacerebbe tornare l’anno prossimo, magari con John Cale, mio amico e produttore. Anzi, perchè non organizzate una rassegna vera e propria. Vi regalo anche il titolo...».

Pochi lo sanno, ma fu così che nacque «All Frontiers». L’anno dopo era quasi tutto pronto, Angelini e un piccolo gruppo di appassionati stavano preparando tutto per bene ma a luglio arrivò quella telefonata che nessuno voleva ricevere, con la notizia della morte, a Ibiza, della leggendaria cantante.

«In tutti questi anni - prosegue Angelini con un po’ di commozione nella voce - abbiamo continuato anche in suo onore. Con le nostre ”indagini musicali” volte a intercettare uno o più ambienti capaci di innovare i nostri modi di vita, le nostre azioni quotidiane, le musiche del nostro tempo. Proponiamo sempre e comunque una visione per così dire al plurale, costituita da eventi o semplici situazioni che nascono dal'incontro tra i musicisti. Quindi la nostra è una scommessa sulla possibilità e sull'apertura a quello che dovrà cambiare: vogliamo offrire una chance alla magia del nuovo, in un territorio/festival che per tre giorni è in divenire...».

Ma veniamo al programma di questa quarta edizione dopo l’interruzione («siamo nella nostra seconda vita...», dice scherzando Angelini) del decennio scorso. Venerdì 14 novembre si parte con Larry Ochs con il progetto Kihnoua (con Dohee Lee) in prima mondiale), il trio regionale Valeria Anzil, Agnese Toniutti e Silvia Tulli Altan con l'opera «Le Bœuf Sur Le Toit» (musica di Darius Milhaud) definita dagli stessi autori «una cinéma-symponie», il trio tutto al femminile Queen Mab Trio, e dal Giappone Merzbow.

Sabato 15 tocca a Werner Durand e Victor Meertens, la talentuosa violinista Barbara Lüneburg, Lol Coxhill con Enzo Rocco, Scanner con David Shea. Domenica 16 gran finale con My cat in an alien, Enore Zaffiri, Jöelle Léandre, il duo Anthony Braxton (sassofoni) e Richard Teitelbaum (tastiere), e ancora David Shea, vecchio amico della rassegna. I concerti sono tutti eventi unici in Italia. E a ingresso libero fino a esaurimento dei posti.


 

domenica 5 ottobre 2008

DYLAN Con quella sua voce roca e nasale e cantilenante che sembra in grado di scolpire la roccia, Bob Dylan continua da quasi mezzo secolo a indicare la strada, la rotta, a cantare le nostre contraddizioni, la confusione e il disincanto del mondo moderno. Lo fa con leggerezza e classe, con stile e genialità.

A due anni di distanza dal capolavoro «Modern times» (due milioni e mezzo di copie vendute), l’eterno e forse inarrivabile cantore ritorna con «Tell Tales Signs - The Bootleg Series Vol. 8» (SonyBmg). Si tratta di registrazioni inedite da studio che abbracciano il periodo ’89-2006, con l’aggiunta di registrazioni quasi casalinghe, nuove versioni di brani già pubblicati, registrazioni dal vivo e rarità tratte da colonne sonore. Perlopiù materiale recuperato dalle sessioni che hanno dato vita ad alcuni dei suoi album degli ultimi vent’anni: «Time out of mind», «Love and theft», «Oh Mercy» e appunto «Modern times».

Insomma, roba per buongustai, canzoni insofferenti alle mode e ai modi, piccole perle di genialità e buon gusto in un mondo - anche e forse soprattutto della musica - che si è ormai dato altre regole. Tra gli inediti: «Red river shore», «Dreamin' of you» e «Marchin' to the city» (dalle sessioni di «Time out of mind»), «I can't escape from you», «Duncan & Brady», «Miss the Mississippi» e «32-20 Blues», prima pubblicazione di Dylan di un brano di Robert Johnson.

Il disco si apre con «Mississippi», che ha anticipato di qualche giorno la pubblicazione, in Italia offerto gratis in download dal sito di Repubblica. E comprende anche un demo al pianoforte di «Dignity» e due versioni alternative di «Most of the time».

Poi il cercatore di perle inciampa in registrazioni create per le colonne sonore di colossi cinematografici come «Lucky you» («Huck's tune»), «Gods & Generals» («'Cross the green mountain») e «North country» (versione alternativa di «Tell ol' Bill»). Completano il menù alcune performance dal vivo, fra cui «Girl from the Greenbriar Shore» del 1991, «High water (for Charley Patton)» del 2003 e «Cold irons bound» suonata nel 2004 al Bonnaroo Festival nel Tennessee.

L’ottavo capitolo delle «Bootleg Series», inaugurate nel ’91, è disponibile in più versioni (cosa che manda in bestia i collezionisti...). Quella per noi poveracci, per così dire «basic»: cd doppio con ventisette canzoni e un libretto ricco di testi, fotografie rare e un lungo scritto di Larry «Ratso» Sloman. Poi c’è il cofanetto deluxe in edizione limitata, contenente i due cd e il libretto della versione doppia, ma anche un «bonus disc» con altri dodici brani, un libro di 150 pagine con le copertine di tutti i singoli pubblicati in carriera. E infine il box, anche questo in edizione limitata, con quattro lp in vinile (con tutte le trentanove canzoni del triplo) e il libretto.

Con quasi mezzo secolo di carriera alle spalle, oltre centodieci milioni di dischi venduti e un «Never Ending Tour» tuttora in corso (a botte di cento concerti all’anno...), il sessantasettenne Bob Dylan aspetta ancora il Nobel per la letteratura che merita ma non riposa certo sugli allori. Chapeau.


CREMONINI Nell’imminente decennale di quei Lunapop mai abbastanza rimpianti (do you remember «50 Special»? era il giugno ’99...), Cesare Cremonini - sempre affiancato dal fido Ballo - esce con il suo quarto album solista, intitolato «Il primo bacio sulla luna» (Warner), anticipato quest’estate dal singolo «Dicono di me». Un cd ricercato, sia nei testi che nei suoni, in equilibrio tra nuove prospettive musicali e gusto retrò, fra melodia e carica esplosiva, dal quale è già stato tratto anche il secondo singolo, «Le sei e ventisei», completo di video parigino.

Il cantante bolognese dice che oggi il problema fondamentale è la solitudine, e che una delle sue cause maggiori è il pregiudizio della gente. «La cura che io posso offrire - spiega Cremonini - consiste nella fantasia. Le persone fanno fatica a immaginare, a essere creative, hanno poche idee, per cui devono essere stimolate dall'esterno in qualsiasi modo. È fantasia che regalo a chi mi ascolta, un appiglio per ritornare a immaginare, creare».

"Il titolo del cd guarda al passato ma rimane ottimista, vede nell'amore uno spiraglio di speranza che possa salvare il pianeta - aggiunge l’artista. Anche quando un giorno dovremo abbandonare la Terra per trasferirci su un altro pianeta, saremo sicuri che anche lì potremo trovare i punti saldi dell'esistenza, proprio come l'amore delle persone amate, un bacio o una carezza. Tutto l'album ha un grande rispetto verso la storia della musica, ma è un lavoro che tende a parlare a chi lo ascolta, vuole essere ascoltato, ma non con superficialità».

Del nuovo singolo, l’ex Lunapop spiega che «è un pezzo rappresentativo di tutto l'album», anche se tra i pezzi nuovi che gli stanno più a cuore c'è «Qualsiasi cosa», vale a dire «la prima volta in cui, in una vita passata generosamente a dedicare canzoni, me ne è stata regalata una da una poetessa bolognese, Patricia Binazzi, una mia cara amica.

Musica leggera ben scritta e ben suonata e cantata. Ed è già qualcosa.


MORANDI «Grazie a tutti», la raccolta uscita l'anno scorso, ha venduto oltre 300 mila copie. Dunque perchè non battere il ferro finchè è caldo, soprattutto quando si può pescare in un repertorio ricco - è proprio il caso di dirlo - di oltre quattrocento canzoni... Stavolta il Gianni nazionale tira fuori dal cilindro quarantotto brani («Al bar si muore», «Belinda», «Si fa sera», «Come fa bene l’amore»...), di cui quattro inediti. Il primo è «Un altro mondo»,scritto da Francesco Tricarico, quello di «Una vita tranquilla». Gli altri tre sono indimenticabili successi interpretati da Morandi finora solo dal vivo ma mai incisi prima: «Che sarà» composta da Migliacci e Fontana negli anni Settanta, portata al successo dai Ricchi e Poveri; «Nel blu dipinto di blu» di Domenico Modugno, già proposta all’ultimo Sanremo e nell’ultimo tour; e una re-interpretazione di «Non ti dimenticherò» di Eros Ramazzotti. Gianni Morandi ripartirà in tour con il «Teatro Tenda Lotto» il 14 novembre da Perugia.


MALIKA AYANE Lei è la ragazza di 24 anni, nata a Milano, padre marocchino e madre italiana, che cantava «Soul weaver» nella pubblicità di un’automobile. Voce da brividi. L'album, progetto di Caterina Caselli Sugar, vede la partecipazione straordinaria di Paolo Conte (che firma «Fandango» e suona anche il kazoo), Giuliano Sangiorgi dei Negramaro («Perfetta») e Pacifico («Sospesa» e «Contro vento»). Disco prodotto e arrangiato da Ferdinando Andò, che ha co-firmato alcuni brani con Malika, la cui formazione musicale ha avuto inizio al Conservatorio Verdi di Milano, dove ha studiato violoncello. Parallelamente, ha fatto parte dell'ensemble del Coro di Voci Bianche della Scala. Nel 2007 l'incontro con Caterina Caselli, con la quale ha lavorato al suo primo progetto discografico. Il disco si avvale di alcuni nomi dell'ambiente musicale internazionale: missaggi di Tom Elmhirst (Amy Winehouse, Adele, Moby...),  masterizzazione di Tony Cousins (Massive Attack, Peter Gabriel, Robbie Williams), un paio di arrangiamenti di Vincent Mendoza (Bjork, Joni Mitchell).




mercoledì 1 ottobre 2008

GRILLO


Beppe Grillo mette per qualche attimo tra parentesi le piazze del «vaffa» e riparte per un tour nei palasport. Il suo nuovo spettacolo - a due anni dal precedente, «Reset» - s’intitola «Delirio». Partito nello scorso fine settimana dalle Marche il tour approda nel Nordest domani a Padova, domenica al PalaTrieste, martedì 7 a Treviso, venerdì 10 a Pordenone e lunedì 13 a Udine.

Allora Grillo, dov’eravamo rimasti...?

«Non me lo ricordo. Sono successe troppe cose. Ah sì, all’esigenza di ”resettare” tutto, di fare punto e a capo, di ricominciare da zero. Ma abbiamo ”resettato” tutto tre volte, e non è servito a nulla. Ormai è troppo tardi. Siamo al delirio, appunto: il delirio politico, il delirio sociale, il delirio economico...».

Dunque?

«Dunque bisogna ricominciare ad avere qualche punto fisso, qualche riferimento concreto, qualche elemento di difesa. È quello che propongo nello spettacolo. Dove porterò sul palco una lavatrice che non consuma e non inquina. E spiegherò come si può fare un funerale da novanta euro. Cose così, per dare alla gente idee di sopravvivenza».

Intanto la finanza va a picco.

«Fallisce il capitalismo di rapina, quello senza capitali, fondato sulla truffa e sull’inganno. È un sistema che sta portando la gente alla fame, che fa fallire le banche e porta via i risparmi alla povera gente».

Contromisure?

«I soldi sotto il materasso. O fare come i musulmani, che hanno già da tempo preso le loro contromisure: hanno messo la sharia direttamente nelle banche. Non hanno i future, non conoscono i derivati».

Da noi?

«Da noi è diverso. Siamo nel delirio dell’azzardo, dove tutto è a debito. La prossima mossa sarà il congelamento dei bot, dei titoli di stato. Finiremo come in Argentina. Anzi, siamo già in Argentina e non ce siamo ancora accorti. Voi giornalisti dovreste far sapere alla gente che...».

Alt. Lei ha detto che siamo dei camerieri, ci ha accomunati alle varie caste, dunque non possiamo fare granchè...

(Un momento di pausa e poi il nostro fustigatore riparte più deciso di prima).

«Non è vero. Lo so che non dipende da voi, ma dai vostri direttori, dai vostri editori. Che sono banche, partiti, imprenditori che hanno interessi dappertutto e usano la stampa per i loro comodi. Dunque la colpa non è tutta vostra, ma resta il fatto che anche voi giornalisti siete post-datati, e invece dovete dare informazioni. Informazioni preziose per la gente che è sempre più sola, delusa, stanca, demoralizzata: non ha più nulla, soprattutto non ha nessuno che la difende».

Ma da un po’ di tempo c’è lei, con i suoi consigli.

«Non faccia tanto lo spiritoso. Io sono convinto che ormai siamo alla frutta, e che bisogna passare alla democrazia fai da te. Esempio: mi stacco dall’Enel e l’energia me la produco da solo, con i pannelli solari. Poi esco per strada con l’elmetto e incito i cittadini a fare le loro scelte. Scelte quotidiane, che magari possono sembrare piccole, ma che sono sempre e comunque scelte politiche».

Lei in qualche modo è già sceso in politica.

«Sì, ma non mio candiderò mai. Invece le dò una notizia: a primavera, alle prossime amministrative, partiremo nelle varie città con una moltitudine di liste civiche che avranno una sorta di stemma, di bollino di riconoscimento. Candideremo ragazzi che lavorano nelle varie realtà da anni, gente seria, onesta, che si muove su cose concrete».

L’obiettivo?

«Riprendere il controllo sui Comuni. È l’operazione che abbiamo denominato ”Fiato sul collo”. Ogni nostro consigliere eletto andrà alle sedute dei consigli con una piccola telecamera. Metteremo tutto in Rete. Non c’è nessuna legge che ce lo impedisce. Manderemo tutti in galera...».

Dai, non esageri...

«Non ci crede. Aspetti qualche mese e poi ne riparliamo. L’operazione fa già proseliti. Di Pietro ha aderito, mettendo a disposizione i sindaci, assessori e consiglieri comunali del suo partito. Nel mio blog c’è già un’area dove pubblicheremo l'elenco dei comuni trasparenti che, in modo autonomo, rendono disponibili i filmati delle sedute comunali».

L’11 ottobre sarà in piazza con Di Pietro?

«Certo. Il Lodo Alfano è incostituzionale, va abrogato. E visto che da questa classe politica non c’è nulla di buono da aspettarsi, ci penseranno i cittadini, con il referendum promosso dal leader dell’Italia dei Valori».

E i suoi, di referendum, che fine hanno fatto?

«Abbiamo raccolto un milione e mezzo di firme. Saranno finite a prendere polvere in qualche scantinato della Corte di Cassazione, magari gli avranno messo un po’ di antitarme. Lei che ne dice: ce l’avranno messo l’antitarme?»

Speriamo. Almeno l’Alitalia intanto sembra sia salva.

«A quel prezzo sarei capace anch’io. Il nano ha fatto scappare Air France e ora ci ha propinato con i suoi amici un piano di salvataggio che costa di più, in termini di sacrifici e di posti di lavoro. Sa che cosa? Farò anch’io la stessa cosa con la mia famiglia. La divido in ”bad family” e ”good family”. Nella prima ci metto la suocera, le spese, i problemi. Nella seconda mia moglie».

Nemmeno i figli?

«Quelli li sistemo nella ”family così così”...».

Di Veltrusconi non parla più?

«Ma cosa vuole, sono tutti e due che delirano ormai da tempo. Fanno finta di dirsi delle cose, un po’ si fanno l’occhiolino, un po’ si insultano. Veltroni a volte sembra un bambino, più che un uomo è un aggettivo, parla bene ma non dice mai nulla, non prende una posizione, è tutto un ”ma anche”, la sconfitta elettorale lo ha distrutto. Berlusconi è un pensionato di settantadue anni, che colleziona ville, ormai con il terrore negli occhi».

Dice che il sessanta per cento del Paese è con lui.

«E invece è un abusivo, le ultime elezioni sono state illegali, una piccola casta ha nominato i suoi rappresentanti e portaborse in Parlamento».

Le sue piazze non sono riuscite a fermarli.

«La gente è quasi ipnotizzata da una patina di indifferenza e rassegnazione, ma ha ancora voglia di combattere. Peccato che giornali e media, mi scusi, ma torniamo sempre lì, la soffocano facendo apparire il Paese favorevole alla deriva dittatoriale imposta da una classe politica al tramonto. In giro si respira aria di nazismo inconsapevole: questi non hanno vergogna, ma noi non molleremo, la forza della Rete non può essere fermata».

Grillo, ma oggi lei cos’è?

(Un altro momento di pausa. Poi parte l’ultima scarica).

«Ma perchè devo identificarmi. Ormai neanche a casa mia lo sanno. E poi perchè dovrei dirlo a lei. Lei chi è, che cos’è?»

Un operaio dell’informazione. E lei?

«Sono tutti e nessuno. Comico, politico, fustigatore, cittadino con l’elmetto pronto a scendere in strada e resistere. Io ho sessant’anni e sei figli. Comincio a essere anche un po’ stanco. Fra un po’ sarò solo spirito, milioni di particelle che si diffonderanno nell’universo. Pensi che bello: molecole nello spazio, per contaminare tutto l’universo...».

Le note dello spettacolo ci informano che «il Paese è in pieno delirio. I nostri dipendenti in Parlamento sono dentro un manicomio. Tra di loro si capiscono, ma non sanno più cos'è la realtà. La confondono con i loro interessi privati o di partito. Il futuro sono le centrali nucleari, gli inceneritori, i parcheggi, i ponti sugli stretti, il tunnel in Val di Susa, il digitale terrestre e la magistratura al guinzaglio. Sono deliri alla Veltrusconi. Le chiamano posizioni dialoganti. Dipendiamo dall'estero per l'energia e non sfruttiamo le rinnovabili. Dipendiamo dall'estero per i beni alimentari e asfaltiamo i campi di grano».

Ancora: «Abbiamo uno dei più grandi debiti pubblici del mondo e regaliamo cinque miliardi di euro alla Libia. L'Egitto importa dall'Ucraina il pane e noi Chernobyl. La Russia minaccia ritorsioni nucleari per la Georgia e le basi atomiche americane con 90 testate nucleari le abbiamo noi, a Ghedi Torre e ad Aviano. I pazzi non sanno di esserlo e credono che i veri pazzi siano i sani di mente. Non abbiamo alternative alla democrazia fai da te, all'autogoverno, al presidio del territorio, alla partecipazione a ogni decisione che riguarda la collettività. Fuori dal delirio, dentro la realtà».

E se ne volete sapere di più, c’è sempre il sito www.beppegrillo.it