giovedì 28 febbraio 2013

libro lucia visca su DIMISSIONI PAPA

Ancora poche ore. Stasera alle 20 termina il pontificato di Benedetto XVI. Poi comincia il rito antico del conclave. E senza nessun funerale da celebrare. Sembrava impossibile. Per la prima volta nell’era moderna un papa si dimette. L’annuncio due settimane fa, lunedì 11 febbraio. Alle 11.46 l’Ansa fa sapere al mondo che Papa Benedetto XVI ha deciso di lasciare. Decisione storica, che in pochi minuti fa il giro del pianeta. Lucia Visca, giornalista e saggista romana, quella mattina ha un motivo in più per essere sorpresa. Da due anni sta lavorando a un libro proprio sul papa tedesco. Non c’è ancora una data per la pubblicazione. Ma... Parla subito con il suo editore, decidono assieme che l’occasione non permette temporeggiamenti. Un’ampia base da cui partire, una settimana di duro lavoro e oggi, giorno in cui la Cattedra di Pietro rimarrà vacante, esce “Benedetto XVI, missione compiuta”, sottotitolo “L’addio del papa che ha disegnato il futuro della chiesa cattolica fra scandali e congiure” (Castelvecchi Rx editore, pagg. 128, euro 9,50). Visca, allora è un “istant book”? «Certo, nel senso che esce pochi giorni dopo l’annuncio delle dimissioni. Da un lato sono soddisfatta di “essere sulla notizia”, dall’altro un po’ mi dispiace perchè un papa come questo avrebbe di sicuro meritato maggiore e ulteriore approfondimento». Com’è nato il libro? «Sulla notizia. Stavo lavorando da due anni su questo papa. Quando però è stato dato l’annuncio delle dimissioni, d’accordo con il mio editore, ho buttato tutto (quasi tutto...) e ho ricominciato da capo». Come ha aggiornato il lavoro? «Non lo so. Posso dire solo in quanto tempo: una settimana di lavoro intenso, giorno e notte, correndo dietro alle decisioni clamorose che il papa ha continuato a prendere a raffica». Che papa è stato Benedetto XVI? «A mio modestissimo parere di cronista, è stato un papa molto innovativo. Non per le dimissioni, che comunque restano una rottura dirompente rispetto al ventre molle della curia romana. Lo è stato per molte cose che ha detto, a cominciare dal suo pensiero sull’amore». Che peso hanno queste dimissioni? «Valgono più di un giubileo, sul piano simbolico forse più del Concilio Vaticano II celebrato quest’anno per il suo cinquantesimo anniversario. Ricorrenza non senza significato nella storia personale di Benedetto XVI, perché proprio con il Concilio il giovane professore di teologia Joseph Ratzinger mosse i primi passi fra le mura leonine. Cinquant’anni sono tanti nella vita di un uomo e il papa ha dichiarato di sentirne tutto il peso». Lascia perché stanco o perché ha compiuto la sua missione? «Di certo è stanco, ma penso anche che abbia anche compiuto la sua missione. Nel senso che oltre quello che ha fatto non poteva fare, visti i limiti oggettivi di un’età avanzata e una salute malferma». Qual era la sua missione? «Quella che lui stesso ha dichiarato prima ancora di diventare papa. Fare piazza pulita della sporcizia nella Chiesa cattolica». Ci è riuscito? «Benedetto XVI, chiuse molte partite dello scandalo della pedofilia, riportata la sua idea di ordine nei movimenti ecclesiali, creati i nuovi cardinali e messo mano, almeno nei princìpi, a rendere più trasparente la finanza vaticana, deve aver concluso che la sua missione era compiuta, che il vincolo di mandato poteva essere sciolto». Dunque gli scandali hanno avuto un peso? «In qualche modo si, nel senso che hanno svelato al mondo quanto in curia molti già sapevano e hanno rivelato le divisioni della curia e le lotte intestine fra le varie cordate». C’erano stati segnali, avvisaglie delle dimissioni? «Certo. Da qualche mese non faceva altro che chiedere scusa per i suoi malanni. Il primo novembre 2012 interruppe l’Angelus di Ognissanti per confessare ai fedeli: “Oggi non leggo molto bene”. E poi della possibilità di dimissioni, introdotta nel codice di diritto canonica da Paolo VI, il papa ha parlato già due anni fa nel libro “Luce del mondo”». Continui. «Quel libro uscì a novembre 2010. Era una lunga intervista a Ratzinger di Peter Seewald. I due si parlano, ovviamente, in tedesco. Dunque nessun equivoco sul significato semplice e definitivo di certe domande e certe risposte. Chiede Seewald: ha mai pensato di dimettersi? Risponde Ratzinger: quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo non è il momento di dimettersi. È proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Questo è il mio pensiero, ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire: se ne occupi un altro». Nel suo libro lei fa riferimento a un film del '76... «Ho tentato di fare un libro popolare. Ricordare un film minore di Luigi Magni, “Signore e signori buonanotte”, sulla ricerca del papa di transizione mi è sembrato il modo più diretto per rendere comprensibile quanto sta succedendo nella chiesa cattolica». Nanni Moretti aveva previsto (quasi) tutto... «Moretti è un raffinato intellettuale romano. Il secondo aggettivo è utile per rispondere alla sua domanda. I romani percepiscono a pelle che cosa non funziona oltre le mura leonine. In più “Habemus papam” è del 2011 e “Luce del mondo” è stato pubblicato nel 2010. Sicuramente Nanni Moretti aveva letto il libro del papa». Dopo le dimissioni il papa sembra più amato, più “simpatico” ai laici. «Senz’altro Ratzinger è un papa simpatico, come dice lei, agli intellettuali. Le sue dimissioni lo hanno reso quanto più umano possibile, il che di solito non guasta per attirare simpatie». Chi sarà il prossimo papa? «Ah, saperlo. Posso dire a chi vanno le simpatie della chiesa meno paludata e forse in cuor suo dello stesso Benedetto XVI: Luis Anton Tagle, giovane cardinale filippino, cinquantasei anni, che predica su youtube e che Reuters ha descritto come uno “con il carisma di Woytjla e la profondità teologica di Ratzinger”. Chissà che non sia proprio lui, il prossimo papa...».

mercoledì 27 febbraio 2013

Un anno senza LUCIO DALLA

Un anno senza Lucio Dalla, un anno con le canzoni del piccolo grande uomo. Era la mattina del primo marzo. L’artista bolognese era all’hotel Ritz di Montreux, dove si era esibito la sera prima. Un infarto. Il primo a trovarlo è Marco Alemanno, da qualche anno suo compagno di vita nonchè collaboratore sul palcoscenico. Nel libro “Dalla Luce alla notte”, appena edito da Bompiani, il giovane attore pugliese scrive: «Il giorno prima che morisse arrivammo a Montreaux nel pomeriggio. La sera avevamo il terzo concerto della tournèe europea. Prendemmo la nostra stanza, una suite con una vista meravigliosa sul lago. Finito di cantare, mi portò a vedere la statua di Freddie Mercury, lì vicino. Mi inginocchiai per accendere una candela. Lucio disse una preghiera in silenzio». Ancora Alemanno: «Poi diede una gran pacca sul braccio della statua e disse: ci vediamo domani, vecchio Freddie! Il giorno dopo, in effetti, credo che si siano visti davvero...». La mattina dopo, la notizia rimbalza prima su Twitter e poi fra le varie agenzie e i siti. Il feretro viaggia verso la residenza bolognese dell’artista, in via D’Azeglio. La camera ardente viene allestita in municipio, a Palazzo d’Accursio. La città proclama il lutto cittadino. E il 4 marzo, giorno in cui Dalla avrebbe compiuto sessantanove anni, si svolgono i funerali nella basilica di San Petronio. Cinquantamila persone in piazza. Nei giorni successivi, polemiche per il ricordo di Alemanno in lacrime sull’altare. Alcuni lamentano che l’omosessualità dell’artista - che in vita non aveva mai fatto mistero delle sue scelte ma nemmeno le aveva ostentate - sia stata in qualche modo “sdoganata” in chiesa. Tutte occasioni mancate per un rispettoso silenzio. Passano le settimane e le polemiche si spostano sull’eredità. L’artista non ha lasciato testamento, dunque il suo enorme patrimonio (oltre cento milioni di euro fra immobili, opere d’arte, diritti d’autore, royalties discografiche...) viene diviso tra i suoi cinque cugini di primo grado, che avranno anche l’ultima parola sulla fondazione a lui intitolata e che finora è rimasta sulla carta. Alemanno, in mancanza di una precisa volontà testamentaria, non ha alcun diritto ed esce dalla sontuosa abitazione bolognese (duemilacinquecento metri quadrati a due passi da piazza Maggiore, soffitti affrescati, opere d’arte, cinema privato...) che aveva condiviso con l’artista. Resta la musica. Restano le canzoni. Lasciate al mondo in quarant’anni di carriera da quell’uomo innamorato del futuro. Che vita, che carriera quella del piccolo grande Lucio. Esordi come clarinettista e sassofonista jazz, nella Bologna povera ma pulita del dopoguerra. Incrocia Chet Baker, suona con la Rheno Dixieland Band, di cui fa parte anche il futuro regista Pupi Avati. Approda a Roma, fa parte dei Flippers e degli Idoli, nel ’64 esce il primo 45 giri: “Lei (non è per me)” - scritta da Gino Paoli e portata senza successo al Cantagiro - e “Ma questa sera” (cover di “Hey little girl” di Curtis Mayfield). Nel ’66 esce il suo primo album. Nello stesso anno lo mandano a Sanremo. Canta “Paff bum”, in coppia nientemeno che con gli Yardbirds. Torna al Festival nel ’67, l’anno del suicidio di Luigi Tenco: lui canta con i Rokes “Bisogna saper perdere”. Al cinema in quegli anni lo vediamo nei cosiddetti “musicarelli” ma anche in un film dei fratelli Taviani, “I sovversivi”, candidatura come miglior attore alla Mostra di Venezia. Il secondo album s’intitola “Terra di Gaibola” (un sobborgo di Bologna), il terzo Sanremo è quello di “4 marzo ’43”. Nel ’71, basco in testa e barba nera, ad affrontare le censure dell’epoca. Il verso “per i ladri e le puttane” diventa “per la gente del porto”, il titolo originario “Gesù bambino” (titolo originario, titolo da lui sempre mantenuto nei concerti...) è considerato irrispettoso, cambiare cambiare, altrimenti la Rai non l’avrebbe mandato in onda. Ma la gente era già allora più avanti dei suoi governanti: la canzone, testo della poetessa Paola Pallottino, arrivò terza. Anni Settanta, anni di cambiamento. Dalla comincia a collaborare con il poeta bolognese Roberto Roversi (scomparso anche lui nel 2012). Con lui scrive, fra il ’73 e il ’76, tre album: “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride solforosa” e “Automobili” (con il brano “Nuvolari”), da cui poi viene tratto lo spettacolo “Il futuro delle automobili e altre storie”. Fino a quel momento era stato musicista e interprete. Poi diventa cantautore. Gli album “Com’è profondo il mare” (’77) e “Lucio Dalla” (’78) consegnano alla scena italiana un nuovo, grande protagonista. Collabora con Ron e con gli Stadio. L’accoppiata con Francesco De Gregori, nel tour del ’79 dal titolo “Banana Republic”, fa il resto. I trent’anni successivi lasciano a referto dischi e tour di successo (uno con l’amico Gianni Morandi), punteggiati da piccoli grandi capolavori: “Anna e Marco”, “Balla balla ballerino”, “Cara”, “La sera dei miracoli”, “Washington”, “Ayrton”, mille altri, fino all’inarrivabile “Caruso”. Altri dischi, altri tour, altre collaborazioni. L’ultima, con il giovane Pierdavide Carone, accompagnato come umile spalla (da corista e direttore d’orchestra) hanno accompagnato due intere generazioni.al Sanremo 2012. La sua ultima apparizione in tivù. Pochi giorni prima di quel maledetto primo marzo. Lunedì 4 marzo Bologna ricorda il suo figlio che se n’è andato troppo presto. Evento in piazza Maggiore, tanti artisti ospiti, diretta televisiva. Il minimo, per il piccolo grande Lucio Dalla.

giovedì 21 febbraio 2013

Video CRISTICCHI Magazzino 18

Passata la sbornia sanremese, ecco il video di “Magazzino 18”. Al festival Simone Cristicchi se l’è cavata dignitosamente. Avrebbe preferito portare in finale “Mi manchi”, canzone giocata sui tasti della semplicità, della fanciullezza. La giuria ha preferito il brano più “cristicchiano” sin dal titolo, “La prima volta (che sono morto)”. Poi relegato nelle zone basse della classifica finale, all’undicesimo posto su quattordici big. Ma Sanremo era la scusa per lanciare il nuovo lavoro, “Album di famiglia”, nel quale si parla anche di Trieste, di esuli istriani e dalmati, di terre italiane perse nella guerra voluta dal fascismo. Ora arriva il video del brano “Magazzino 18”, realizzato da Vincenzo Chiera. Immagini in bianco e nero, che ci riportano all’esodo, che parlano ai tanti italiani che di quelle tragiche vicende non sanno tuttora o non sapevano nulla fino a poco tempo fa. «Siamo partiti in un giorno di pioggia, cacciati via dalla nostra terra che un tempo si chiamava Italia, e uscì sconfitta dalla guerra. Hanno scambiato le nostre radici con un futuro di scarpe strette, e mi ricordo, faceva freddo nel’inverno del ’47...». Sono i primi versi della canzone. Nel video scorrono immagini del Magazzino 18, quel luogo della memoria che c’è nel porto vecchio di Trieste, dove gli italiani che scappavano dalla Jugoslavia lasciarono le loro povere cose pensando magari di poter tornare un giorno a riprenderle. La nave Toscana, il porto di Pola, le scritte “W l’Italia”, valigie, povere cose, volti di bambini impauriti, di donne e uomini disperati. «Ci chiamavano fascisti, eravamo solo italiani...». “Magazzino 18” sarà anche il titolo dello spettacolo di Cristicchi che aprirà a ottobre la prossima stagione dello Stabile Fvg.

Libro FEGIZ

A novembre lo abbiamo visto anche a Trieste, al Rossetti. E mentre il tour dello spettacolo va avanti (dal 5 al 7 aprile torna a Milano, al Teatro Nuovo), “Io odio i talent show” è diventato anche un libro. L’avventura di Mario Luzzatto Fegiz, il giornalista e critico musicale triestino “prestato” al palcoscenico, prosegue dunque a tutto campo, allargando il raggio d’azione. Tranquilli: il volume (Gve, pagg. 160, euro 12,90) non è solo il testo dello spettacolo, ma comprende anche molte parti - aneddoti, curiosità, ricordi, articoli - che non trovano spazio in scena, dove il nostro è affiancato dal chitarrista e cantante calabrese Roberto Santoro e dal fisarmonicista ucraino Vladimir Denissenkov. Show e libro, entrambi realizzati con la collaborazione di Giulio Nannini e Maurizio Colombi, nascono comunque dall’autoironica riflessione di un critico che vede il suo ruolo, la sua potenza spazzati via nell’epoca dei talent show, dei social network, dei televoti, degli sms. Fegiz odia i talent show perchè hanno posto fine alla dittatura della (sua) critica. Un critico musicale in pieno psicodramma, un tempo temuto e rispettato, che si deve confrontare con una nuova realtà. Abituato dagli anni Settanta a fare il bello e il cattivo tempo, si scopre esautorato da una contestazione che agisce in tempo reale, con i fan degli artisti pronti a coglierlo in fallo fra lazzi e insulti. Addestrato a operare con certezze come Beatles o Elton John, o con artisti italiani di grande caratura, scopre che cantanti da lui detestati o ignorati hanno successo ugualmente. Nel suo delirio-vendetta-sfogo, il critico si descrive così: «Di mestiere faccio quello che vi dice se vale la pena di spendere cinquanta euro per un concerto o quindici per un cd. Per misteriose ragioni da quarant’anni costringo pubblico e artisti a confrontarsi con la mia incompetenza. E ho visto cose che voi umani neanche potete immaginare...». Fegiz squaderna decine di aneddoti su Tenco e Mogol-Battisti, su De Gregori e Madonna, su Sanremo e i personaggi emersi dai “talent”. E ancora i ricordi degli incontri con Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber, Adriano Celentano, Mick Jagger, Bruce Springsteen, David Bowie, Mike Bongiorno... Fra gli aneddoti più gustosi, l’episodio - assente nello spettacolo - di un’antica avventura con una giovane fan di Gianna Nannini, incrociata nella hall di un grande albergo di Montreaux, perdutamente innamorata della rocker toscana ma disposta a tutto a patto di sentirsi raccontare storie, vere o false non importa, riguardanti l’oggetto del suo desiderio... Un piccolo grande viaggio che parte da un’autoironica confessione. Ma che diventa ben presto lo spunto per raccontare - oltre a parte della sua vita - fatti e misfatti di mezzo secolo di musica popolare. Ammonisce l’autore: ogni tempo ha la sua musica, e ogni musica ha il suo tempo, Oltre che la sua dignità. Ma chissà se in questo mondo che va veloce la critica ha ancora un ruolo, un peso, un senso...

martedì 19 febbraio 2013

Rai, a marzo torna CAROSELLO

A metà marzo torna Carosello. Dev’essere vero, perchè l’hanno detto i vertici della Sipra, concessionaria della pubblicità della Rai. Che hanno annunciato anche il ritorno dell’antico Intervallo, in versione “Intervallo 2.0”. Il servizio pubblico guarda insomma al futuro, rispolverando i gioielli di famiglia. Perchè il vecchio Carosello, al pari di pochi altri programmi, è sicuramente fra questi. Debuttò il 3 febbraio 1957, su quello che era il primo - all’epoca unico - canale della Rai tv. Una decina di minuti, sketch comici o filmati da teatro leggero, che erano la scusa per veicolare un messaggio pubblicitario. Si finiva ogni sera alle 21. Tanto che nelle famiglie italiane - altri tempi, altra disciplina - per i bambini degli anni Sessanta vigeva la regola “A letto dopo Carosello...”. Alla realizzazione di quello che non era solo un contenitore pubblicitario (quelli che anni dopo sarebbero stati chiamati i “consigli per gli acquisti” arrivavano solo alla fine del filmato), parteciparono fior di registi e di attori. Fra i primi: Luciano Emmer (che del Carosello era considerato l’ideatore), Age e Scarpelli, Luigi Magni, Gillo Pontecorvo, Ermanno Olmi, Sergio Leone, Ugo Gregoretti, Pupi Avati. Persino Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini. Fra i secondi: Erminio Macario, Gilberto Govi, Vittorio Gassman, Dario Fo, Mina, Nino Manfredi, Virna Lisi, Raimondo Vianello, Gino Cervi. Persino Totò, Fernandel, Eduardo De Filippo, Jerry Lewis. Di “Carosello”, che andò in onda per l’ultima volta il primo gennaio 1977, furono trasmessi la bellezza di 7.261 episodi. E alla storia, e alla memoria collettiva, ne sono passati diversi. Tanti cartoni animati, innanzitutto. Topo Gigio con i biscotti Pavesini. Carmencita e Caballero per la Lavazza, firmato da Armando Testa. L’omino coi baffi della caffettiera Bialetti. Calimero (“tu non sei nero, sei solo sporco...”) per il sapone Mira Lanza. E poi il Cynar “contro il logorio della vita moderna”, con Ernesto Calindri comodamente seduto in mezzo al traffico (spot riletto recentemente da Elio e le storie tese). Il jazzista Franco Cerri, “uomo in ammollo” per il detersivo Biopresto (una volta ci confessò che in tutta la sua vita ha guadagnato più con quella pubblicità che con la musica...). Un altro jazzista, il cantante Nicola Arigliano, per il digestivo Antonetto (“si può prendere anche in tram...”). Il grassone Mimmo Craig per l’Olio Sasso. Paolo Ferrari per il detersivo Dixan. Gino Bramieri per il moplèn. E ancora l’infallibile ispettore Rock (l’attore Cesare Polacco) alle prese con brevi thriller che si concludevano tutti alla stessa maniera: l’ispettore che si toglieva il cappello, mostrava la pelata e diceva “anch’io ho fatto un errore: non ho mai usato la brillantina Linetti” (lasciando quasi intendere chee l’unguento allora in uso fra gli uomini avesse la possibilità di bloccare la caduta dei capelli...). Anche la sigla aveva una sua importanza. La più celebre rimane quella trasmessa a partire dal ’62: quattro panorami di città italiane (Venezia, Siena, Napoli e Roma), ognuna affiancata da un musicante. E la colonna sonora rimase immutata fino all’ultima puntata: si trattava di “Pagliaccio”, una tarantella napoletana risalente agli anni Venti, in versione solo strumentale. Stop, come si diceva, il primo gennaio del 1977. Anni bui, di terrorismo e di morti ammazzati per le strade. Anni nei quali la leggerezza, la naiveté del Carosello sembrarono quasi di colpo fuori posto. Anche la televisione stava cambiando rapidamente. La Rai stava perdendo il monopolio, nascevano le private, il futuro impero berlusconiano. Il servizio pubblico era costretto a inseguire la concorrenza - che prima non c’era - su un terreno che non era e non doveva essere il suo. La pubblicità, sempre più presente e invasiva, diventava la protagonista della televisione. Con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. All’alba del 2013 Rai e Sipra puntano a fermare la perdita di pubblicità, che quest’anno dovrebbe segnare un meno 5 per cento, ma è reduce da un’annata nella quale la raccolta si è fermata a 744 milioni di euro contro i 965 dell’anno precedente. Per l’impresa vanno in campo i migliori. Chissà se basterà Carosello.

lunedì 18 febbraio 2013

SANREMO bilancio

È stato il miglior Sanremo da tanti anni a questa parte. Un festival senza troppi fronzoli, svestito da quella sacralità baudiana (ma anche gli altri conduttori e direttori artistici delle ultime edizioni si erano mossi sullo stesso solco...) ormai insostenibile. Un festival che ha smesso di essere “un mondo a parte” rispetto alla scena musicale di casa nostra, ma anche agli stessi show televisivi imperanti. Un festival all’insegna di normalità, leggerezza, contemporaneità. La vittoria ha diversi genitori. In primis Fabio Fazio, tornato in sella dopo le edizioni del ’99 e del 2000, bissandone i successi in termini di ascolti e di gradimento. Con quell’aria da pretino di campagna, con quel tono ecumenico e curiale, il savonese è uno che la sa lunga. Quando Crozza è andato nel panico per le contestazioni, è lui che ha salvato la situazione. E il comico genovese lì ha dimostrato i suoi limiti: esilarante fino all’incidente, timido e insicuro dopo i “buuh”. Ha ragione chi dice che ha sbagliato la scaletta: l’imitazione del Berlusca (sublime) andava fatta alla fine. Luciana Littizzetto è stata perfetta nel ruolo di brutto anatroccolo che diventa principessa. Ha mandato in soffitta le bellone senza cervello, le vallette “una-bionda-una-bruna” vestite come lampadari, di cui avevamo le tasche piene. Il suo credo: non prendere nessuno sul serio, a cominciare da se stessa. Bene anche gli autori, fra i quali spiccava il nome di Michele Serra. Almeno per un anno ci hanno risparmiato quella caterva di sciocchezze di cui la settimana sanremese è stata sempre piena. Testi normali come le canzoni, scritti da gente che vive in questa Italia per spettatori non arrivati da Marte. Ma se interpreti, autori e canzoni di questo festival sono stati dignitosi, il merito va soprattutto a Mauro Pagani, che il grande pubblico ha visto finalmente in faccia tutte le volte che ha diretto l’orchestra. Ex della Pfm, già autore e produttore con Fabrizio De Andrè (“Creuza de mä”, l’album capolavoro dell’84, lo hanno realizzato a quattro mani) e per tantissimi altri interpreti, ha il merito di aver assemblato un buon cast. Nel quale, gli “Elii” (Ollio e le storie tese, nella versione oversize dell’ultima sera...) viaggiano almeno un gradino sopra tutti gli altri. Il loro mix di genialità e follia, condite da cultura musicale assoluta, lascia piacevolmente a bocca aperta. Il secondo posto (ottenuto grazie alla giuria di qualità) e il premio della critica sono il giusto riconoscimento della loro qualità e verve. Bene anche Malika Ayane: elegante, fascinosa, insinuante, con quella voce che sa di paesaggi esotici. Belle le canzoni scritte per lei da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, ma il suo piccolo capolavoro è stata la rilettura per Sanremo Story di “Cos’hai messo nel caffè” (Riccardo Del Turco, Sanremo ’69). Partita fra le favorite, è stata punita dal peso del televoto. Televoto che ha premiato il vincitore, Marco Mengoni, un altro ragazzo proveniente dai “talent”. Con la parentesi Vecchioni, è la quarta volta in cinque anni che Sanremo viene vinto da chi arriva da “Amici” o “X Factor”. Mengoni è cresciuto come interprete, ha ancora qualche scatto un po’ isterico, ma ai giovanissimi piace. E va detto che la sua rilettura di “Ciao amore ciao”, di Luigi Tenco, è stata dignitosa. Il gradimento dei giovanissimi, espresso attraverso il televoto, ha portato sul podio anche i Modà. Che sembrano cantare sempre la stessa canzone e sfoggiano testi da dimenticare. Ci scusino i fan, ma ne avremmo fatto volentieri a meno. Meglio di loro altre due ragazze da “talent”: Chiara (favorita della vigilia, poi scivolata in classifica) e la stessa Annalisa, che ha ampi margini di miglioramento. E meglio anche Raphael Gualazzi, una ventata di swing che animerà la primavera radiofonica. Cosa manca? Che è stato anche il Sanremo dei diritti civili, con la coppia gay sul palco la prima sera e con la poetica canzone di Renzo Rubino fra i Giovani. Dove ha vinto Antonio Maggio, altro ragazzo che si è fatto le ossa nei “talent” (era nell’Aram Quartet vincitore del primissimo “X Factor”). Ed è stato anche il primo, vero Sanremo di Twitter: il social network delle 140 battute l’ha fatta da padrone nei commenti in tempo reale: migliaia e migliaia al minuto. Il mondo è cambiato. La cronaca e la critica anche.

sabato 16 febbraio 2013

SANREMO giov

Ieri sera spigliato ripasso delle quattordici canzoni finaliste e secondo round per i giovani, per i quali stasera è già tempo di finale. Ma il gran finale, quello vero, va in scena domani. E il 63.o Festival di Sanremo, come ogni anno, a questo punto s’interroga sul favorito per la vittoria. Chi salirà sul podio? Chi iscriverà il proprio nome nell’albo d’oro? Diciamo subito che la trionfale esibizione di Elio e le storie tese, bissata ieri sera, ha dato una scossa al festival. Gli “Elii”, con “La canzone mononota” spedita in finale dalla giuria, ma anche con quella “Dannati forever” che ha dovuto cederle il passo, sono un mix di genialità e follia, condite da gran cultura musicale. Siedono almeno un gradino più in alto di tutti gli altri. Che pure non sono complessivamente malaccio, rispetto a tanta sbobba degli anni passati. La vittoria di Elio sarebbe ossigeno, un premio al coraggio di Fabio Fazio, che ha donato qualità alla rassegna grazie anche al lavoro del direttore artistico Mauro Pagani. E leggerezza, spensierata aria di normalità, grazie anche alla presenza di Lucianina Littizzetto (ieri serissima nel dire, per San Valentino, parole di verità: «Un uomo che ti picchia è un stronzo»). Ma il peso dei meccanismi del televoto favorisce altri. Chiara, fresca vincitrice di “X Factor”, potrebbe dirottare i suoi fan televotanti a favore di “Il futuro che sarà”, firmata Francesco Bianconi dei Baustelle. E anche Malika Ayane, nonostante la schiena orrendamente tatuata, cantando da par suo l’insinuante e fascinosa “E se poi”, di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, può puntare in alto. Salvo sorprese, sempre possibili a Sanremo, il podio dovrebbero giocarselo questi tre. Quarti incomodi i trascurabili Modà, amati da giovanissimi di bocca buona, che potrebbero regalar loro molti sms. Che sarebbero più meritati, chessò, dal trascinante e al tempo stesso raffinato Raphael Gualazzi. O magari dallo stralunato Simone Cristicchi. O dai rockettari Marta sui tubi. Stasera finale dei Giovani ma anche Sanremo Story. Ogni big rileggerà un successo della storia del festival. Marco Mengoni proporrà “Ciao amore ciao”, Simona Molinari e Peter Cincotti “Tua”, Maria Nazionale “Perdere l’amore”, Daniele Silvestri “Piazza grande”, i Modà “Io che non vivo”, Max Gazzè “Ma che freddo fa”, Elio e le storie tese “Un bacio piccolissimo”, Simone Cristicchi “Canzone per te” di Sergio Endrigo, Marta sui tubi “Nessuno”, Annalisa “Per Elisa”, Malika Ayane “Cosa hai messo nel caffè”, Chiara “Almeno tu nell’universo”, Almamegretta “Il ragazzo della via Gluck”. Raphael Gualazzi, vincitore fra i Giovani nel 2011, nonchè una delle più convincenti presenze di quest’anno, pesca dalle nostre parti. Rileggerà infatti “Luce (Tramonti a nord est)”, con cui la monfalconese Elisa vinse Sanremo nel 2001. L’altro legame del festival con le nostre terre è rappresentato dalla coppia swing Simona Molinari e Peter Cincotti, domani in finale con “La felicità”, preferita dalla giuria a quel gioiellino dal titolo “Dr. Jekyll Mr. Hyde”, inedito del compianto Lelio Luttazzi. Il testo di “Dr. Jekyll Mr. Hyde” è firmato anche dal produttore e autore udinese Alberto Zeppieri. Che spiega così la genesi del brano: «Ho avuto la fortuna di conoscere Luttazzi, di cui sono da sempre un grande ammiratore. Fra gli inediti che ha lasciato c’era questa canzone, scritta nel 2002, a cui mancava solo un titolo, una strofa e un ritornello. Ho provato a completarla come avrebbe fatto lui. Spero di esserci riuscito». Il brano farà parte del cd-tributo che uscirà a marzo, con la partecipazione di molti jazzisti italiani. Ventidue brani, cui verranno aggiunti alcuni contenuti extra nella versione digitale che sarà diffusa il 27 aprile, in occasione del novantesimo anniversario della nascita di Luttazzi. Auguri Lelio, ci manchi...

venerdì 15 febbraio 2013

BRIGNANO stasera a Trieste

«Metto alla berlina vizi, difetti e pregi delle persone vicine senza risparmiare nessuno, ma soprattutto me stesso...». Parla Enrico Brignano, che stasera alle 21 porta al PalaTrieste il suo nuovo spettacolo “Tutto suo padre... e un po’ sua madre!”, versione più ricca e rivisitata del precedente “Tutto suo padre”, che arriva dopo il successo di “Sono romano ma non è colpa mia”. Brignano, come nasce questa “seconda versione”? «“Tutto suo padre... e un po’ sua madre!” - spiega il comico romano, classe ’66 - è anche e soprattutto un omaggio alla mia famiglia e alla memoria di mio padre, scomparso la scorsa estate. È uno show nel quale cerco di rispondere alle domande senza risposta. Quelle sulla vita, sulle amicizie, sui rapporti umani. Racconto i rapporti con le persone più vicine a me, gli amici veri e i miei familiari, metto in piazza le difficoltà, gli scontri, la paura di rovinarli e soprattutto di perderli, in un “viaggio” sempre in bilico tra comicità ed emozioni». E il titolo? Lei a chi somiglia di più...? «Alla fine a entrambi. Le cose buone in cui assomiglio ai miei genitori sono l’onestà, il valore dei soldi e la competenza in ogni piccola cosa che fai». Nella sua famiglia si rideva, si scherzava? «Mio padre era uno che parlava poco ma si faceva capire e sentire. Era capace di grande tenerezza ma quando era il momento sapeva anche essere serissimo». Il teatro è stato il suo primo amore, ma la popolarità gliel’ha data la tv... «Sì, in questo momento non ho progetti in tv a breve termine. Per ora teatro e cinema, quest’anno preferisco dedicarmi ad altro». È diverso far ridere a teatro o in tv? «Il teatro è ovviamente la mia passione, il contatto diretto con il pubblico premia la tua fatica tutte le sere ed è un’emozione grandissima e senza prezzo. Amo molto anche il cinema e la televisione, sono un uomo fortunato che con impegno ma anche con tanta fortuna è riuscito a fare un lavoro che non sembra neanche un lavoro. Quindi se dovessi scegliere la classifica vedrebbe sempre primo il teatro ma soprattutto il poter fare il mio mestiere incontrando tanti favori». Chi è stato il suo maestro? «Mi piace Petrolini e come molti sanno il mio grande Maestro è stato Gigi Proietti, è lui che ha permesso che io potessi fare tutto questo e arrivare fino a qui. E ovviamente è stato il mio primo grande ispiratore». Il suo programma tv a cui è più legato? «L’anno scorso con “Le Iene” ho fatto un bellissimo percorso in tv e ringrazio ancora Davide Parenti per avermi concesso questo onore, e quest’anno preferisco dedicarmi ad altro». Nello show, Brignano è affiancato da un’orchestra e un corpo di ballo con dieci ballerine. Le coreografie sono firmate da Bill Goodson (che ha curato gli spettacoli di Michael Jackson, Renato Zero, Paula Abdul, Diana Ross, Steve Winwood, Gloria Estefan...). In scaletta canzoni originali e classici. Nel racconto fatto di ricordi l’attore mette alla berlina con lucida determinazione e con l’ironia che lo contraddistingue vizi, difetti e pregi di noi tutti. Puntando il dito - si legge nelle note di scena - su questa società che ha fatto diventare tabù parole come serenità e spensieratezza, mettendo l’accento sulla paura di apparire deboli in una società in cui giganteggia l’eroe.

mercoledì 13 febbraio 2013

SANREMO martedí

Va bene Crozza, ma le canzoni, interessano ancora a qualcuno le canzoni? In questo 63.o Sanremo, cominciato ieri sera e che teoricamente (assai teoricamente) dovrebbe tenerci incollati alla tivù fino a sabato notte, tutti fanno di tutto per farci scordare quello che dovrebbe essere l’elemento principale. Quest’anno poi, stretti fra la campagna elettorale e le dimissioni del papa, le canzonette slittano ancor più in coda. Peccato, perchè la qualità (grazie al direttore artistico Mauro Pagani e a Fabio Fazio che l’ha chiamato) è superiore rispetto alle ultime edizioni. Si respira aria di normalità, di contemporaneità, di canzoni che potresti sentire anche fuori dal delirio festivaliero. Ieri sera, al netto dell’omaggio a Verdi, degli abiti e delle freddure di Luciana Littizzetto, del ciclone Maurizio Crozza (sublime nella prima parte, debole e intimorito dopo le contestazioni), dei vari ospiti e delle solite amenità sanremesi, la novità delle due canzoni per artista (una sola va in finale, nessun big eliminato, tutti contenti...) ha permesso di apprezzare la prima parte del cast. Marco Mengoni, prototipo del metrosexual, festeggiatissimo dalle fan, spara “L’essenziale” e “Bellissimo”: due potenziali hit, orecchiabili, interpretate con convinzione, mezzo punto in più per la seconda, firmata da Gianna Nannini e Pacifico. Ma passa la prima, e lo annuncia Marco Alemanno, compagno e collaboratore di Lucio Dalla, che viene così ricordato sul palco che lo ha visto tante volte protagonista. L’ultima un anno fa, umile spalla del giovane Pierdavide Carone. Raphael Gualazzi, una forza. “Senza ritegno” si sviluppa su un crescendo irresistibile. “Sai (ci basta un sogno)” parte piano, poi si apre in un soul raffinato e al tempo stesso trascinante. Due grandi brani. Va in finale il primo. Daniele Silvestri canta “A bocca chiusa” (fra Società dei magnaccioni e impegno militante) e “Il bisogno di te” (clima scanzonato, in cerca di un improbabile bis di “Salirò”). Passa la prima. Atmosfere raffinate con Simona Molinari e Peter Cincotti. “Dr. Jekyll and Mr. Hyde” è un ironico e garbato gioiellino swing, musica del grande Lelio Luttazzi, testo di Alberto Zeppieri. “La felicità” ha un gusto retrò, un po’ stile “radio days”, e passa il turno. L’inserimento nel cast del gruppo Marta sui tubi è segno di coraggio. Loro ripagano Fazio e Pagani con “Dispari” e “Vorrei”, due brani intensi, intelligenti e originali, un po’ rock e un po’ folk, come impone la scena internazionale più aggiornata. A proposito di folk, di musica etnica. Ecco la napoletana Maria Nazionale, neomelodica in bilico fra una rilettura del fado (“Quando non parlo”, firmata Enzo Gragnaniello) e tradizione partenopea (“È colpa mia”, degli Avion Travel Peppe Servillo e Fausto Mesolella). Chiusura dei big con colei che col passare delle settimane è salita fra i favoriti per la vittoria. Chiara, sconosciuta al grande pubblico anche dopo il trionfo a “X Factor”, è un’eccellente interprete. “L’esperienza dell’amore”, firmata da Federico Zampaglione e da suo papà Domenico, ha le carte in regola per diventare un successo. “Il futuro che sarà”, di Francesco Bianconi, quello dei Baustelle, è un tango sofisticato, con un bel testo. Stasera gli altri sette. Ovvero Modà, Annalisa, Simone Cristicchi, Max Gazzè, Almamegretta, ma soprattutto Elio e le storie tese e Malika Ayane. Preparatevi. Che fino a sabato è lunga. E dura.

martedì 12 febbraio 2013

SANREMO stasera al via

«Quest’anno abbiamo deciso che la contemporaneità fosse la connotazione. La tradizione del festival c’è, però l’aiuto alla musica italiana deve arrivare attraverso vettori che siano popolari e che consentono questa contaminazione». In questa frase di Fabio Fazio, deus ex machina del 63.o Festival di Sanremo che comincia stasera, c’è gran parte del senso di questa edizione. Per anni il festivalone è stato musicalmente un mondo a parte: personaggi che uscivano dal letargo solo per la settimana sanremese, recentemente qualche neofita da talent show, a far da contraltare al solito vecchiume imperante. La scelta di un direttore artistico come Mauro Pagani (ex Pfm, ex collaboratore di De Andrè, musicista colto e sensibile) è stata già una dichiarazione di campo e di intenti. Come dire: si guarda all’Italia musicale del 2013, il resto va nella serata “Sanremo story”. Ma si diceva dei “talent”, che negli ultimi anni hanno lanciato una sorta di opa sul festival. Considerato che, con l’eccezione di Vecchioni nel 2011, ultimamente hanno sempre vinto loro (Emma, Valerio Scanu, Marco Carta...), favoriti dal meccanismo del televoto, nel quale il pacchetto di fan attaccati al cellulare sono in grado di fare la differenza. Aggiungi che programmi come “X Factor” e “Amici” sono rimasti fra le pochissime strade che un giovane ha a disposizione per (tentare di) emergere, ed ecco spiegato perchè anche gli organizzatori hanno pescato anche quest’anno in quel serbatoio. Sotto allora con Chiara Galiazzo, fresca vincitrice di “X Factor”, da cui arriva anche Marco Mengoni (terzo a Sanremo 2010). Dall’opposto fronte di “Amici” viene invece recuperata Annalisa Scarrone. Ma la musica italiana oggi parla anche altri linguaggi. Magari quelli dei siciliani Marta sui tubi o dei napoletani Almamegretta, o di artisti già visti all’Ariston come Elio e le storie tese, Simone Cristicchi, Max Gazzè, Daniele Silvestri. O ancora, sul versante jazzato, il cantante pianista Raphael Gualazzi (partito proprio vincendo fra i Giovani nel 2011) e l’accoppiata italoamericana Simona Molinari e Peter Cincotti (che si affidano a un inedito del nostro grande e compianto Lelio Luttazzi). Per concludere con Maria Nazionale, esponente del neomelodico più presentabile, e con i Modà, idoli dei giovanissimi, già al fianco di Emma sul podio di due anni fa. Tutti questi artisti possono piacere o non piacere (de gustibus...), ma questi sono nomi reali della musica italiana di oggi, non sepolcri imbiancati. Scorrendo fra i nomi degli autori, ci si imbatte in artisti come Gianna Nannini, Pacifico, Francesco Bianconi dei Baustelle, Federico Zampaglione, Giuliano Sangiorgi, Peppe Servillo, Enzo Gragnaniello e il citato Luttazzi. Come dire: la miglior musica italiana è presente in forze a Sanremo 2013. Che forse torna a essere il Festival della canzone italiana, com’è stato negli anni Cinquanta e Sessanta. Il resto? Luciana Littizzetto e Maurizio Crozza, tanto temuti sotto elezioni. La mancanza delle vallette in senso tradizionale. Il bacio gay annunciato stasera sul palco di Sanremo, protagonisti due promessi sposi di sesso maschile un cui video spopola sul web. Che c’entra con le canzoni? Niente e tutto, visto che contemporaneità non significa solo musica ma anche diritti civili. Fra l’altro Marco Mengoni, che stasera apre la gara, sarà introdotto da Marco Alemanno, già compagno di Lucio Dalla, lo scorso anno sul palco a far da spalla a Pierdavide Carone. Al piccolo grande uomo questo festival sarebbe piaciuto.

sabato 9 febbraio 2013

SANREMO chiara favorita

Sarà un Sanremo sotto la neve, dicono i meteorologi. Ma al Teatro Ariston farà caldo. Soprattutto per la padovana Chiara Galiazzo, che rischia di passare in poche settimane dalla vittoria a “X Factor” a quella al festivalone. Le quote Snai ora la danno a 4, il che significa che la cantante, che propone “L’esperienza dell’amore” e “Il futuro che sarà”, a questo punto è la favorita. Scendono le quotazione di Malika Ayane e dei Modà, dati rispettivamente a 5 e a 6. Aumenta la fiducia in Elio e le storie tese, che ora sono proposti a 8, alla pari con Marco Mengoni, Annalisa Scarrone e Raphael Gualazzi. Perdono terreno Daniele Silvestri e Max Gazzè (a 16), Simone Cristicchi e la coppia Simona Molinari e Peter Cincotti (a 20). Stabili Almamegretta (a 25), Maria Nazionale (a 33) e Marta sui tubi (a 40). Simona Molinari e Peter Cincotti giocano la carta dell’elettroswing, con “La felicità” e “Dr. Jekyll Mr. Hyde”, un inedito del compianto Lelio Luttazzi. Che nella sua ultima apparizione al Festival, nel 2009, accompagnò al piano e portò fortuna ad Arisa, vincitrice fra i Giovani con “Sincerità”. Anche Raphael Gualazzi, vincitore fra i Giovani nel 2011, pesca nelle nostre zone. Venerdì, nella serata “Sanremo Story”, rileggerà infatti “Luce - Tramonti a nord est”, con cui la monfalconese Elisa vinse il Festival nel 2001. Ma Sanremo è anche moda, glamour, fascinazione. Quest’anno non ci saranno le vallette intese in senso classico, anche se la presenza di due superbelle come Bar Refaeli e Bianca Balti non lasceranno il terreno sguarnito. Anzi. Lucianina Littizzetto le sfiderà comunque a colpi di leggerezza e ironia. Pare si presenterà al cospetto delle due modelle arrampicata su tacchi a pirellone fatti apposta per il suo piedino 33 e mezzo. Ma è andata anche a cercare abiti storici che hanno caratterizzato Sanremo, dagli anni Cinquanta fino all’altro ieri, e giocherà di citazione in citazione. Ultima per oggi, dall’Osservatore romano: «Molti dei giovani cantanti attuali, come alcuni di quelli che presto si esibiranno nello scintillante bailamme festivaliero sanremese, non hanno alle spalle altra gavetta se non i talent show che imperversano su tutte le sintonie». Come dire, non c’è da fidarsi.

CRISTICCHI, magazzino 18

«Siamo partiti in un giorno di pioggia, cacciati via dalla nostra terra che un tempo si chiamava Italia, e uscì sconfitta dalla guerra. Hanno scambiato le nostre radici con un futuro di scarpe strette, e mi ricordo, faceva freddo nel’inverno del ’47...». Sono i primi versi di “Magazzino 18”, una delle canzoni del nuovo album di Simone Cristicchi “Album di famiglia”, che esce in concomitanza con la partecipazione del trentaseienne cantautore romano al Festival di Sanremo. Il brano darà anche il titolo a uno spettacolo teatrale, che aprirà la prossima stagione dello Stabile del Friuli Venezia Giulia. «Il Magazzino 18 - spiega Cristicchi, che a Sanremo proporrà “La prima volta (che sono morto)” e “Mi manchi” - è quel luogo della memoria che c’è nel porto vecchio di Trieste, dove gli italiani che scappavano dalla Jugoslavia lasciarono le loro povere cose pensando di tornare a riprenderle». Com’è nata la canzone? «Nell’ottobre 2011 sono stato una settimana a Trieste, per il mio spettacolo alla Sala Bartoli “Li romani in Russia”. Stavo raccogliendo storie per il mio libro “Mio nonno è morto in guerra”, nel quale poi inserii quattro storie triestine, fra cui una proprio sull’esodo». Cosa la colpì del Magazzino 18? «Avevo visto un documentario sull’esodo. Quando entrai mi colpì la massa informe di oggetti, sembravano i resti di un terremoto, le grandi cataste che ci sono nei manicomi, nei campi di concentramento. E quasi ogni oggetto aveva attaccato il nome della persona che l’aveva lasciato lì». Lo spettacolo? «Dopo quella visita promisi a me stesso, e alle persone che mi accompagnarono quel giorno, che avrei fatto qualcosa per far conoscere questa storia. La storia di chi è partito e di chi ha scelto di rimanere. Ho letto le testimonianze nel libro di Jan Bernas “Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani”. Avevo pensato a un monologo di teatro civile, dopo è arrivata l’idea anche delle canzoni». Il debutto? «Apriamo la stagione del Rossetti, il 22 ottobre. Sono molto orgoglioso del fatto che lo spettacolo sia stato scelto per il debutto. Lo spettacolo l’ho scritto con Jan Bernas, la regia è di Antonio Calenda». Laura Antonelli? «Nel disco c’è anche un omaggio a lei, grande attrice degli anni Settanta, nata a Pola. Una volta ero andato a visitare delle tombe etrusche nel giardino di una villa a Cerveteri. Il custode mi disse che era la villa dove l’attrice aveva vissuto ed era stata arrestata. Quasi miracolosamente le pareti e gli oggetti mi raccontavano sua storia». Poi l’ha conosciuta? «Lei ora vive molto isolata. Tramite un comune amico le ho fatto sapere della canzone che ho scritto su di lei, mi è sembrato fosse contenta del fatto che qualcuno ancora la ricordi. Lei per me è il simbolo di quegli artisti maltrattati dalla vita e anche dai media, la sua è stata una vita da incubo, dalle stelle a stalle». Sergio Endrigo? «A volte sembra che canzoni, fatti e personaggi siamo come concatenati fra loro... Amo molto Endrigo, anche lui esule nato a Pola. Nella serata “Sanremo Story”, venerdì, canterò la sua “Canzone per te”, con cui vinse il Festival nel ’68, in coppia con Roberto Carlos. E a luglio farò un concerto a Spilimbergo, con l’Orchestra Sinfonica Fvg, nel quale riproporremo tutto il suo repertorio». A Sanremo cosa canta? «”Mi manchi” è proprio una canzone “alla Endrigo”, giocata sui tasti della semplicità e della dolcezza, che mostra un lato inedito, quasi fanciullesco, di me. Potrebbe essere una canzone per bambini, non a caso i miei figli, che sono piccoli, già la cantano». L’altra? «Più “cristicchiana”, se posso osare il termine. “La prima volta (che sono morto)” nasce dalla riflessione su un uomo che muore all’improvviso e si ritrova in un paradiso che somiglia a una scuola serale, dove si studia, si fa un bilancio della propria vita, si riflette su cosa si è fatto di buono e di meno buono». Lei è credente? «Non in senso cattolico. Anche se ho Cristo nel cognome e i miei antenati erano guardie papali. Forse da ciò nascono alcuni miei spunti anticlericali...».

venerdì 8 febbraio 2013

SANREMO, c'è crozza e fazio twitta il cast...

Sanremo, arriva Crozza. Il nome del comico del momento era stato fatto fra i possibili ospiti, ma non era sicuro. Ora la sua incursione nella prima serata (martedì, diretta su Raiuno) è praticamente certa. Di certo c’è anche che sarà il Sanremo di Twitter. A pochi giorni dall’inizio della maratona possiamo ancora avere dei dubbi su chi vincerà, sulla tenuta della coppia Fazio-Littizzetto, sull’efficacia della formula che prevede due brani per ogni cantante in gara, ma di un fatto siamo certi: i “cinguettiii” la faranno da padrone. Anzi, stanno già dettando i tempi dell’evento. Proprio con un “tweet” Fabio Fazio ha infatti comunicato ieri i nomi dei cosiddetti big che si esibiranno al Teatro Ariston nelle prime due serate. Lista in ordine alfabetico perchè «l’ordine di uscita - specifica il conduttore nel tweet che comprende una foto con i nomi scritti su un foglietto rosa - lo stabiliamo lunedì». Martedì scendono allora in campo Chiara, Raphael Gualazzi, Maria Nazionale, Marta sui tubi, Marco Mengoni, Simona Molinari e Peter Cincotti, Daniele Silvestri. Mercoledì tocca ad Almamegretta, Annalisa, Simone Cristicchi, Elio e le storie tese, Max Gazzè, Malika Ayane, Modà. Fra le favorite per il podio Malika Ayane, che torna al Festival dopo tre anni di assenza con due brani (“Niente” e “E se poi”) firmati da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Venerdì, nella serata “Sanremo story”, proporrà “Cos’hai messo nel caffè”, che Riccardo Del Turco cantò nel ’69. Nella stessa sera il pornodivo Rocco Siffredi dovrebbe affiancare Elio e le storie tese. Per la finale, si parla dei Coldplay. Una curiosità. Dopo anni di assenza dagli schermi russi, quest’anno il festivalone italiano potrà essere seguito dai tanti fan della canzone italiana grazie all’emittente Primo canale. Sarebbe interessante sapere in che altri paesi viene trasmesso il Festival, da sempre annunciato “in Eurovisione”...

mercoledì 6 febbraio 2013

Stasera TRAVAGLIO a trieste, è stato la mafia

«L’idea iniziale era una riflessione sulle liste sporche camuffate da liste pulite. Sì, perchè qui tutti hanno fatto finta. Berlusconi ha in lista almeno cinquanta inquisiti, ne ha fatti fuori due o tre, a ’sto punto mi piacerebbe sapere secondo che criterio. Per dirla tutta, se fossi Cosentino mi arrabbiarei pure: paga lui per tutti». Parla Marco Travaglio, che stasera alle 21 presenta al Rossetti (unica tappa regionale, seconda del tour nazionale partito l’altra sera da Bologna) il nuovo spettacolo “È stato la mafia”. Con lui sul palco, anche stavolta, dopo “Anestesia totale”, Isabella Ferrari. «L’idea era quella - prosegue il giornalista -, poi le elezioni anticipate ci hanno costretto a inventare un nuovo progetto. Ma sul tema originario almeno il prologo è sopravvissuto. S’intitola “Votare informati”. Che almeno nessuno dica: nessuno mi aveva detto nulla...». Lo spettacolo? «È la storia di questi vent’anni, del patto fra stato e mafia. Un film dell’orrore del quale non c’è ancora il finale. E del quale mi colpisce la sproporzione fra l’enormità dei fatti e la totale inconsapevolezza che i cittadini hanno di questa trattativa. Che c’è stata, a partire dal ’92 e fino a oggi, ma non è mai stata raccontata». Perchè? «Perchè in questa storia ci sono dentro i vertici dello stato. Il fatto più grave è che la trattativa sia partita non dalla mafia ma proprio dallo stato, nonostante la campagna negazionista o giustificazionista ancora in atto. Nei tg dicono “la presunta trattativa”, ma qui presunti sono al massimo i reati, non la trattativa che, ripeto, c’è stata. Sappiamo solo alcuni nomi, gli altri verranno fuori quando emergerà qualche pentito anche dalla parte dello stato, che ancora preferisce tacere. È una storia vera che supera ogni fantasia, ogni sceneggiatura, ogni piovra». Isabella Ferrari? «Legge brani di grandi del nostro Novecento: da Calamandrei a Pasolini, da Gaber a Pertini, fino a Flaiano. Testi sulla buona politica, quella che lavora alla luce del sole, che rifiuta trattative e compromessi con la malavita e il malaffare». Personaggi accomunati da...? «Da una concezione alta e altra dello stato, della politica, della democrazia. Gente che non avrebbe mai messo la legge al servizio di cosa nostra. Nessuno di loro avrebbe mai immaginato che saremmo arrivati a questo punto. Forse il solo Pasolini, con la sua carica profetica, ci era andato molto vicino. Con quarant’anni di anticipo». Questa campagna elettorale? «Sembra davvero di stare su Marte. Tutti promettono di fare cose che, tranne i nuovi arrivati, potevano fare quando hanno governato. Bersani parla di conflitto interessi, e i vari governi di centrosinistra perchè non ci hanno pensato? Berlusconi racconta ancora la fiaba di abbassare le tasse... Ridicolo». Se l’aspettava la trasformazione di Monti? «Chi va al governo prende tutto, i tecnici si sono montati testa, credevano di essere i salvatori della patria. E il servilismo della stampa li ha aiutati. Ma aumentare le tasse sui ceti deboli lo sanno fare tutti. E poi lui scopre adesso che il Pd è inadatto a governare e che il Pdl è un’accozzaglia di cialtroni. E com’è che un anno fa ha accettato tutto? Chiamava persino Berlusconi statista...».

martedì 5 febbraio 2013

Presentato 63.o SANREMO

Scordatevi Belen con la sua farfallina inguinale. Il Festival di Sanremo 2013, targato Fabio Fazio e Luciana Littizzetto (con il direttore musicale Mauro Pagani dietro le quinte), che si terrà dal 12 al 16 febbraio ed è stato presentato ieri nella città dei fiori, punta su qualità e leggerezza, sul “politically correct” e il birignao cerchiobottista. Un’arte, questa di unire l’alto e il popolare, nella quale il conduttore di “Che tempo che fa” è diventato con gli anni un maestro. «È una settimana di vacanza, vogliamo essere allegri. È l’affetto nei confronti del Festival che ci porta qui», ha esordito Fazio. Che qui in riviera, oltre a esser di casa (è nato a Savona e ha villa nei dintorni), ha già raccolto allori e prebende nelle edizioni ’99 e 2000, le più viste degli ultimi vent’anni. Per fare il tris si attinge nel presente (della musica) e nel passato (della musica e del Festival). Ecco allora la scelta di pescare dai personaggi dei “talent”, nella consapevolezza che sono rimasti una delle poche carte su cui può puntare un giovane che vuole tentare la carriera nel campo della canzone. Sotto dunque con Chiara Galiazzo, fresca vincitrice di “X Factor”, da cui arriva anche Marco Mengoni (terzo a Sanremo 2010). Dall’opposto fronte di “Amici” viene invece recuperata Annalisa Scarrone. Vanno tenuti d’occhio, considerato che nelle ultime edizioni (eccezion fatta per Vecchioni nel 2011), grazie al peso del televoto, ha sempre vinto un prodotto dei “talent”: Marco Carta, Valerio Scanu, Emma. Ma il presente della musica parla anche altri linguaggi, in passato decisamente trascurati e stavolta buttati nella mischia (i siciliani Marta sui tubi, i napoletani Almamegretta) o recuperati (Elio e le storie tese, Simone Cristicchi, Max Gazzè, Daniele Silvestri). Aggiungi un tocco di jazz (Raphael Gualazzi, partito proprio dai Giovani sanremesi, e l’accoppiata italoamericana Simona Molinari e Peter Cincotti), magari una spruzzata di neomelodico intelligente (Maria Nazionale), persino un gruppo idolo dei giovanissimi (i Modà, già sul podio festivaliero assieme a Emma), e il “cast contemporaneo” è pronto. Per mettere assieme il quale gli organizzatori hanno avuto una mezza genialata. Visto che il problema dei cosiddetti big è sempre stata la paura dell’immediata eliminazione (pur attenuata dal meccanismo dei ripescaggi), hanno recuperato dal passato remoto la formula del cantante che propone più brani. Sanremo, in fondo, nel lontano ’51, è nato così. La versione riveduta e corretta prevede che ognuno dei quattordici sedicenti campioni proponga due canzoni e l’eliminazione vada a colpire non i cantanti ma uno dei due brani di ciascuno. Sette martedì, gli altri sette mercoledì. E poi, alè, tutti felicemente in finale. Ma si sa com’è il passato, soprattutto quando in tolda c’è quel Fazio principe televisivo (anche) del revival. Si comincia con un assaggio, si finisce col piatto pieno. ecco allora quello che è già stato definito “il racconto della tradizione del Festival”, con la serata di venerdì appaltata a mostri sacri del calibro di Toto Cutugno, Ricchi e Poveri e Al Bano (che peraltro solo due anni fa ancora sgomitava in gara, finendo sul podio...). Arditi equilibrismi anche fra gli ospiti musicali: l’inarrivabile Caetano Veloso, la popstar israeliana Asaf Avidan, gli sfiziosi Antony & The Johnsons, ma anche Carla Bruni, ormai libera da incombenze da première dame. Tra gli ospiti non musicali, annunciati Claudio Bisio, Neri Marcorè e Beppe Fiorello (che presenterà la fiction su Modugno), ma si parla di un’incursione di Crozza. Il cui possibile arrivo introduce l’argomento Littizzetto. La paura delle sue bordate ha avuto tanta parte nel ventilato rinvio del 63.o Festival, “causa elezioni”. Saremmo sprofondati nel ridicolo, ma almeno questa ce la siamo risparmiata. Ora rimane da vedere se la mordacchia, all’inarrestabile piemontese, saprà resistere anche alla libertà della diretta. Speriamo ovviamente di no. Cosa rimane? Sempre sul filo tra musica colta e popolare, martedì omaggio a Verdi nel bicentenario nella nascita. La presenza dei direttori d’orchestra Daniel Harding e Daniel Barenboim, la sera della finale arriva Andrea Bocelli, che proprio dall’Ariston mosse i primi passi verso una fama ormai planetaria. Alcuni dei duetti della serata del venerdì, dedicata alla tradizione e alla storia del Festival: Antonella Ruggiero con i Marta sui tubi, Emma Marrone con Annalisa, Franco Cerri con Simona Molinari e Peter Cincotti. La giuria di qualità, che conterà per il 50% sulla vittoria finale (l’altra metà verrà decisa dal televoto), sarà formata da Nicola Piovani, Elonora Abbagnato, Stefano Bartezzaghi, Cecilia Chailly, Paolo Giordano, Carlo Verdone, Claudio Coccoluto, Rita Marcotulli. Ma c’è già la prima polemica. Anna Oxa, esclusa dal cast e presente alla conferenza stampa di presentazione, quello di quest’anno «non è un festival, è un sottoprodotto del primo maggio». La replica di Fazio: «Sanremo cerca di mettere insieme, e non di estromettere. Fatico a capire Anna». Insomma, pare sia davvero tutto pronto. Fiato alle trombe.

venerdì 1 febbraio 2013

TRAVAGLIO merc a Trieste con È stato la mafia

Bersani? «Ce la sta mettendo tutta per perdere le elezioni». Berlusconi? «Ha 50 inquisiti nelle liste, ne ha tolti solo tre o quattro, vorrei sapere secondo quali criteri». Monti? «Scopre adesso che il Pd è inadatto a governare e che il Pdl è un’accozzaglia di cialtroni. E com’è che un anno fa ha accettato tutto? Chiamava persino Berlusconi statista...». A Marco Travaglio basta dare il via. Lunedì debutta a Bologna con lo spettacolo “È stato la mafia”, mercoledì è al Rossetti di Trieste, seconda tappa del tour teatrale. Con lui anche stavolta Isabella Ferrari, come nel precedente “Anestesia totale”. Travaglio, sopravvissuto a Berlusconi? «Assolutamente sì, ci vuol ben altro. Più insidiose le scemenze sui giornali. Sembrava che la sua rimonta fosse colpa di Santoro. È al 18.5, ha recuperato due punti in due mesi, perchè ha occupato tutte le tivù, non per quella serata su La7». Ma lo querela o no? «Sì, perchè il mio unico patrimonio è la credibilità. E la devo tutelare dalle menzogne. Avevo dei dubbi perchè lui si nasconde dietro l’insindacabilità del parlamentare. Ma la Corte costituzionale dice che nemmeno loro possono infamare senza pagare il conto». La campagna elettorale? «Sembra di stare su Marte. Tutti promettono di fare cose che, tranne i nuovi arrivati, potevano fare quando hanno governato. Bersani parla di conflitto interessi, e i vari governi di centrosinistra perchè non ci hanno pensato? Berlusconi racconta ancora la fiaba di abbassare le tasse... Ridicolo». Centrosinistra in calo. «È dura perdere anche stavolta, ma se s’impegnano ce la possono fare. Restando immobili hanno già perso diversi punti. E non per colpa di Santoro. Certo, lo scandalo del Monte dei Paschi è una bella botta...». La trasformazione di Monti? «Chi va al governo prende tutto, i tecnici si sono montati testa, credevano di essere i salvatori della patria. E il servilismo della stampa li ha aiutati. Ma aumentare le tasse sui ceti deboli lo sanno fare tutti». Lo spettacolo? «È la storia di questi vent’anni, del patto fra stato e mafia. Un film dell’orrore del quale non c’è ancora il finale. E del quale mi colpisce la sproporzione fra l’enormità dei fatti e la totale inconsapevolezza che i cittadini hanno di questa trattativa. Che c’è stata ma non è mai stata raccontata». «Il fatto più grave? Che sia partita - conclude Travaglio - dallo stato, nonostante la campagna negazionista. Una storia vera che supera ogni fantasia, ogni sceneggiatura, ogni piovra...».