domenica 30 novembre 2014

HEAT, dalla svezia con furore rock, oggi DOM a trieste, teatro miela

Dalla Svezia con furore rock. Arrivano domani alle 21, al Teatro Miela, gli Heat. Giovanissimi, provengono da Upplands Väsby, la stessa città che ha dato i natali agli Europe dei quali da tempo, perlomeno in Scandinavia, sono considerati gli eredi naturali. Suonano infatti un “rock melodico” che si inserisce nella tradizione musicale delle loro terre e in effetti richiama da vicino l’epopea del gruppo che negli anni Ottanta spopolò in tutto il continente soprattutto con l’album - e il brano - “The final countdown”. Nati nel 2007 dall’unione di due diverse band, i Dream e i Trading Fate, gli Heat hanno all’attivo quattro album, usciti con cadenza biennale: l’omonimo “Heat” (pubblicato nel 2008), “Freedom rock” (2010), “Address the nation” (il primo dopo il passaggio alla multinazionale Sony, nel 2012, che comprendeva il singolo “Living on the run”) e il recente “Tearing down the walls”, consegnato alla passione dei fan nella primavera di quest’anno e seguito dal tour europeo ancora in corso e che arriva ora a Trieste. Nel 2008 la band ha partecipato allo Sweden Rock Festival, che per loro ha rappresentato una sorta di trampolino di lancio, e hanno aperto i concerti in Svezia di Alice Cooper e di Thin Lizzy. Nel 2009 ha fatto da supporter al tour degli Edguy di Tobias Sammet, con André Matos e la sua band. Gli Heat sono il cantante Erik Grönwall, il chitarrista Eric Rivers, il tastierista Jona Tee, il bassista Jimmy Jay e il batterista (dal nome che è tutto un programma...) Crash. L’ultimo arrivato nel gruppo è proprio il giovanissimo cantante Grönwall, volto ben noto in Svezia grazie alla sua vittoria di Swedish Idol, un “talent show” per musicisti che è un po’ la versione scandinava del nostro “X Factor”: il suo ingresso è coinciso con un salto di qualità del gruppo ma anche e soprattutto del gradimento da parte del pubblico, che apprezza le sue incendiarie esibizioni dal vivo. Nel 2009 i ragazzi sono stati nominati come miglior band hardrock agli Swedish Metal Awards e sono stati finalisti al Melodifestivalen, il concorso che decreta il rappresentante svedese per l’Eurovision Song Contest. Ma hanno partecipato anche ad altri importanti festival europei, da Bang Your Head a Vasby. Ed è stato proprio il 2009 l’anno della loro consacrazione, grazie alla “sponsorizzazione” del famoso attore svedese-americano Peter Stormare, che si innamora di loro e della loro musica, facendoli esibire in parecchie trasmissioni televisive svedesi. Quest’estate, a luglio, hanno aperto con successo il concerto degli Scorpions a Piazzola sul Brenta, vicino Padova. Domani aprono la serata al “Miela” gli Sherlock Brothers.

giovedì 27 novembre 2014

JAMES MADDOCK e soci al LIGHT OF DAY a muggia, trieste, il 6-12

È la quinta volta che il “Light of day”, di cui parliamo anche qui sopra, arriva a Muggia. Sabato 6 dicembre, al Teatro Verdi, l’associazione Trieste is rock organizza infatti la tappa locale dell’evento itinerante benefico. Sul palco una carovana “a stelle e strisce” guidata da Joe D’Urso, con il quale saranno sul palco anche Guy Davis, James Maddock e Anthony D’Amato, per un set acustico che promette faville. D’Urso, italoamericano del New Jersey, torna a Muggia con la sua musica ricca di riferimenti ai Wallflowers e ai Counting. Il bluesman newyorkese Davis ha come biglietto da visita una versatile carriera come musicista e compositore, ma anche attore, regista e scrittore. D’Amato è una giovane promessa della scena East Coast, sa mischiare ballate folk e riff rock’n’roll. Maddock ha fatto quattro album in quattordici anni di carriera. «Sto lavorando - ha detto agli organizzatori di Trieste is rock - a un nuovo album che uscirà negli States a inizio 2015, s’intitola “The green”. Il precedente “Another life”, pubblicato l’anno scorso, era un disco acustico e morbido. Questo è molto più rockeggiante, pieno e tirato. Sono curioso di vedere come sarà accolto dal pubblico, a partire proprio da quello italiano». Ancora il musicista americano: «Per me è un onore far parte del Light of day e girare l’Europa con gli altri musicisti per raccogliere fondi da destinare alla beneficenza. Ho tanta gente che mi segue a Ashbury Park e che viene a vedermi: questo è dovuto in buona parte all’aiuto di chi lavora con il Light of day...». Con loro, a Muggia, ci saranno anche Rob Dye (altro musicista del New Jersey che mescola rock, country, gospel e rhythm’n’blues), Caris Arkin (poliedrico cantante e percussionista) e i triestini Ressel Brothers, ovvero il trio blues con Sandro Bencich, Joe Thoman e Frank Get di cui parliamo qui sopra, che a gennaio sarà alla settimana conclusiva della manifestazione nel New Jersey. L’intero incasso della serata muggesana sarà devoluto in beneficenza, parte alla “Light of day Foundation” statunitense e parte alla Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze. Tornando alla settimana conclusiva dell’evento nel New Jersey, quest’anno ci sarà un altro triestino: Daniele Benvenuti, autore del libro “All the way home - Bruce Springsteen in the italian land”, pubblicato nel 2012, e fra i massimi springsteenologi di casa nostra. «Mi avevano invitato già negli anni scorsi - dice il giornalista e scrittore, che al Light of day ha dedicato un capitolo del libro citato -, quest’anno riesco finalmente a partecipare. E mi fa piacere esserci assieme al triestino Frank Get...».

FRANK GET a gennaio al LIGHT OF DAY in NEW JERSEY

Il rocker triestino Frank Get suonerà il 16 gennaio alla settimana conclusiva del Light of day, nel Nerw Jersey, ad Ashbury Park. Il concerto benefico itinerante voluto e sponsorizzato da Bruce Springsteen per raccogliere fondi per combattere il Parkinson è ormai un evento mondiale, che tocca tante città in tanti paesi (anche il 6 dicembre a Muggia, come potete leggere qui sotto). Ma quello “a casa del Boss”, dove tutto è nato, peraltro in un luogo leggendario per tutti gli springsteeniani, è ovviamente al centro dell’attenzione di tutti. «Nel 2012 - spiega Franco Ghietti, in arte Frank Get, nome scelto “perchè il mio cognome è impronunciabile all’estero...” - ho partecipato a un “Light of day” suonando assieme a Willie Nile, Joe D’Urso, James Maddock, Graziano Romani, Jesse Malin, Israel Nash Gripka. Sono rimasto in contatto con Joe D’Urso, organizzatore dell’evento, e quest’anno ho suonato con lui a un “private party”. Dopo un paio di mesi mi è arrivata la proposta per fare un set acustico durante la settimana conclusiva, allo Stone Pony ad Ashbury Park». Ghietti ha suonato fino al 2007 con il gruppo triestino Sottofalsonome. «Continuando a suonare e a scrivere - dice - mi sono riavvicinato molto di più all’altro filone che ho sempre ascoltato fin da giovane, dagli Allman Brothers ai Grateful Dead. Ma in fondo rimango anche uno springsteeniano della prima ora, dal lontano 1975, grazie anche ai miei cugini del New Jersey che mi fecero conoscere, oltre a Bruce, Bob Seger, John Mellencamp, Journey, Tom Petty e altri altri artisti statunitensi». A maggior ragione, dunque, la chiamata nella terra del Boss giunge quanto mai gradita. «Come repertorio - prosegue Frank Get, che da qualche anno collabora con la blues band austriaca Nostressbrothers, con cui ha suonato in mezza Europa - attingerò alla mia nuova produzione con i Ressel Brothers, con i quali saremo anche al Light of day muggesano, il 6 dicembre, ma anche ai miei dischi precedenti, da solista e con i Tex Mex. Di certo proporrò la mia versione di “No surrender”, il mio omaggio al Boss...», «Di ritorno dal New Jersey - conclude il rocker triestino - il 31 gennaio presenteremo al Naima (ex Macaki di viale XX Settembre - ndr) con i Ressel Brothers il nostro nuovo album, “To milk a duck!, anticipato in questi giorni dal singolo “Never give up”, che è già in rete...». Come si diceva, il Light of day è un festival itinerante che si svolge fra America del Nord ed Europa. È stato fondato nel 2000 dall’omonima fondazione, al fine di raccogliere fondi a favore della ricerca e per aiutare i malati di Parkinson. Il nome proviene dall’omonimo brano di Bruce Springsteen che ha dato il titolo al film del 1987 con protagonista Michael J. Fox. Pare che le origini dell’iniziativa risalgano invece alla festa svoltasi nel ’98 al Downtown Café di Red Bank per il quarantesimo compleanno del manager discografico Bob Benjamin ammalato da circa due anni, in cui vennero raccolsero fondi in suo favore. Il primo concerto avvenne nel 2000 nel club Stone Pony (lo stesso dove suonerà Frank Get) di Asbury Park, nel New Jersey, su iniziativa dei fratelli Benjamin e Tony Pallagrosi. Nel 2003, lo stesso Michael J. Fox, a cui era stata diagnosticata la malattia, ha partecipato al festival salendo sul palco con Joe Grushecky, Springsteen e Bob Benjamin.

mercoledì 26 novembre 2014

TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI all'alba a monrupino, trieste, 18-12

«Manca giusto un mese al nostro Sunrise Winter Concert sulla rocca di Monrupino, Trieste. Giovedì 18 dicembre dalle 7.30 alle 8 del mattino. Non ne sapevate niente?» I Tre Allegri Ragazzi Morti (per tutti: Tarm) l’annuncio l’hanno dato così, comne si usa adesso, sui “social”. E la lunga sfilza di commenti seguiti, in bilico fra sorpresa, entusiasmo e curiosità, è la prova migliore del seguito che la band pordenonese la fra gli appassionati. «Suoneremo in acustico - ha poi spiegato Davide Toffolo, leader e cantante del gruppo, ma anche disegnatore di successo -, senza nessuna amplificazione. Sarà il miglior risveglio possibile in un luogo incredibile qual è la Rocca di Monrupino». Ancora Toffolo: «È la prima volta che facciamo un’esperienza di questo tipo, credo sarà interessante portare la musica in una dimensione così diversa da quelle abituali, sia per il luogo che per l’orario». A dicembre i Tarm saranno anche protagonisti di un breve tour con i Sick Tamburo, altro gruppo pordenonese, rivelazione discografica dell’anno con “Senza vergogna”. Sette date (apertura l’11 a Torino, chiusura il 23 nella loro Pordenone, al Naonian Concert Hall) per portare in giro i suoni della città che ha dato i natali al punk italiano e, trent’anni dopo, ha visto nascere l’etichetta-collettivo musicale La Tempesta. I “Ragazzi morti” hanno festeggiato quest’anno i vent’anni di attività con un lungo tour, nel quale ha riproposto gran parte del proprio repertorio, da “Il principe in bicicletta” a “Occhi bassi”, da “Ogni adolescenza” a “Il mondo prima”, senza dimenticare ovviamente i brani del recente album “Nel giardino dei fantasmi”. Per il ventennale i Tarm hanno anche realizzato un musical a teatro, una “graphic novel” autobiografica di Davide Toffolo (edizioni Rizzoli/Lizard) e un concerto swing. Ora questo concerto (quasi) all’alba, che sarà aperto dal “Canto n.3 (La fine del giorno)” e proseguirà con una scaletta diversa da quella del tour 2014, più attenta a brani raramente proposti dal vivo.

lunedì 24 novembre 2014

ANCHE GIGI MAIERON con VAN DE SFROOS 6-12 a Udine

Ci sarà anche il nostro Gigi Maieron, sabato 6 dicembre al “Nuovo” di Udine, nella tappa regionale del tour di Davide Van De Sfroos. Il legame fra il cantautore friulano e il lombardo Davide Bernasconi (Van de Sfroos è una sorta di cognome d’arte che richiama foneticamente, nel dialetto comasco, l’espressione “vanno di contrabbando”, o “vanno di frodo”) non è nuovo. Maieron aveva infatti partecipato al fortunato album “Yanez” di Van De Sfroos (quarto al Sanremo 2011 con il brano che dava il titolo al disco), che a sua volta aveva fatto da consulente artistico all’album “Vino, tabacco e cielo” dell’artista friulano. Ma quella del 6 dicembre sarà una serata tutta sul filo delle lingue dialettali, visto che il concerto (nel corso del quale Van De Sfroos e Maieron duetteranno assieme) sarà aperto dal cantautore friulano Aldo Rossi con un set acustico composto da alcuni brani tratti dai suoi cinque album. Torniamo comunque al protagonista principale della serata. Il “Tùur teatràal” del cantautore lombardo, partito a settembre da Crema, ripropone molte delle canzoni che ne hanno fatto un protagonista di primo piano della scena musicale italiana, assieme ad alcuni brani del recente album “Goga e Magoga”, rifatti per l’occasione in chiave acustica. «Avevo voglia - ha detto Van De Sfroos, nato a Monza, classe ’65, cresciuto sul Lago di Como - di riscoprire il passato, affidandomi alle canzoni che ancora oggi fanno parte a pieno titolo della mia storia personale e musicale. Il teatro permette di interpretare i brani in chiave acustica e molto intima, mescolando passato e presente, con uno sguardo, perchè no, anche al futuro». Con lui Angapiemage Galliano Persico al violino, Maurizio Glielmo alle chitarre e il polistrumentista Andrea Cusmano.

sabato 22 novembre 2014

DAVID BOWIE, film su mostra londinese e album su 50 anni carriera

Uno, nessuno, centomila. Dal Major Tom di “Space oddity” all’eroe androgino di “Ziggy Stardust”, dall’Uomo che cadde sulla terra del cinema allo “Starman” del rock, dal “White duke”, il Duca bianco di “Station to station” al post-rocker di “Heroes”. E ancora: dalle sbornie psichedeliche al periodo e alla trilogia berlinesi, alle suggestioni pop di “Let’s dance”, allo sguardo sul futuro sempre presente, negli ormai lontani esordi come nel recente “The next day”. Signori, se c’è un uomo nel mondo del rock e della musica in generale (ma anche del cinema) al quale si attaglia perfettamente la massima pirandelliana, se c’è un artista da sempre proiettato sul futuro, ebbene, questo è senz’ombra di smentita mister David Robert Jones, in arte e per tutti David Bowie. A sessantotto anni (li compie a gennaio), il camaleontico artista londinese vive l’ennesimo momento di grazia, l’ennesima stagione della sua straordinaria carriera lunga mezzo secolo. Lunedì anteprima italiana a Milano, all’Arcobaleno Filmcenter, di “David Bowie is” (martedì e mercoledì nelle sale di tutto il Paese, a Trieste allo Space delle “Torri” e al Nazionale, a Udine al Visionario), il film sull’omonima mostra che al Victoria and Albert Museum di Londra è stata vista in pochi mesi da oltre 311.000 visitatori. Negli stessi giorni arriva nei negozi, reali e virtuali, il disco triplo “Nothing has changed”: praticamente la raccolta definitiva di tutto il meglio della sua musica dal 1964 al 2014, che comprende anche del materiale non pubblicato in precedenza e brani presentati per la prima volta. Ma andiamo per ordine. Il film - con una colonna sonora formata da musiche che hanno fatto la storia del rock - accompagna lo spettatore nelle sale del museo londinese, fra trecento oggetti provenienti perlopiù dall’archivio privato del nostro: fotografie, filmati, testi scritti a mano, video e “storyboard” per i video, costumi e bozzetti di costumi, schizzi, scenografie... Insomma un trionfo di memorabilia legati alla vita e al mondo di un artista che non si è limitato a scrivere la storia della musica degli ultimi decenni, ma ha messo a referto anche importanti incursioni nel cinema e ha lasciato il segno nella moda, nel design, nel costume e in definitiva nella cultura del mondo contemporaneo. Ora la mostra va in tour, con ospiti come lo stilista giapponese Kansai Yamamoto e il leader dei Pulp Jarvis Cocker. «Siamo felici - hanno detto i curatori dell’esposizione Victoria Broackes e Geoffrey Marsh - che questa mostra straordinaria viaggi per il mondo, che le persone possano immergersi nel tour cinematografico dell’esposizione di Londra. Il film offre affascinanti dettagli sugli oggetti chiave del David Bowie Archive, commenti di ospiti speciali e naturalmente una fantastica colonna sonora». Una curiosità: il film è stato registrato ad agosto, nell’ultima notte dell’esposizione al Victoria and Albert Museum di Londra ed è diretto da Hamish Hamilton, vincitore di un Bafta Award e regista della cerimonia di apertura delle Olimpiadi del 2012 a Londra. Passiamo al disco, che esce su etichetta Parlophone ed è disponibile in diversi formati: doppio e triplo cd, doppio album in vinile, ovviamente “download digitali”. Ognuno con la sua copertina (le vediamo riprodotte a destra della foto grande). «Ogni formato - conferma Jonathan Barnbrook, che firma il progetto grafico del disco - ha un’immagine diversa. Il tema comune è Bowie che guarda lo specchio: qualcosa che fosse sufficientemente forte come “archetipo” da offrire un “link” visivo immediatamente riconoscibile, ma che fosse anche chiaro nel fare capire che questa è una raccolta di canzoni che copre l’esperienza di vita di una persona, non necessariamente un concetto specifico o un determinato periodo come fanno in genere gli album». Tra le rarità: “Let me sleep beside you” (pubblicata per la prima volta in “The world of David Bowie”, nel 1970, e registrata nuovamente per un album, “Toy”, che non venne pubblicato), “Shadow man” (brano del 1971 che era stato tagliato nella versione finale di un album: insomma, un cosiddetto “out-take”), “Love is lost (Hello Steve Reich mix by James Murphy for the Dfa edit)”, “Your turn to drive” e “Wild is the wind” (entrambe per la prima volta in cd). Ma anche versioni particolari di “Young americans”, “All the young dudes”, “Life on Mars”... L’antologia spazia insomma fra le varie “stazioni” della sua carriera, tutte diverse le une dalle altre: si incrociano glam rock e incubi orwelliani, rhythm’n’blues e tentazioni intellettuali, electro pop e soluzioni sperimentali, spunti colti e retrogusti raffinati, fino alla collaborazione con Brian Eno, che da sola richiederebbe un trattato. C’è anche un inedito: “Sue (or in a season of crime)”, inciso quest’estate con Tony Visconti come produttore, assieme alla Maria Schneider Orchestra, con una sezione di fiati e ottoni che ha come solisti Donny McCaslin al sassofono tenore e Ryan Keberle al trombone. Il Daily Telegraph lo ha definito così: «L’ultimissimo esempio della genialità di Bowie nel reinventarsi. Sì, c’è il suono di una big band alle spalle, ma è un suono strano, senza traccia di nostalgia. E per quanto riguarda la voce è più misteriosa che mai, ma carica di decenni di esperienza. Il brano suona contemporaneamente familiare e molto strano, con una miscela incredibile di nostalgia e ironia. Se il jazz è il “sound of surprise”, allora Bowie lo ha certamente trovato...». Il video del brano, uscito anche come singolo, è caratterizzato da atmosfere noir, è stato girato fra Londra e New York, ed è diretto da Tom Hingston e Jimmy King. La mostra e il disco sono tasselli fondamentali per rileggere e comprendere appieno la carriera straordinaria di questo ex ragazzo inglese nato nei primi anni del dopoguerra, impressionato dai dischi (Elvis, Fats Domino, Little Richard...) che arrivavano dagli Stati Uniti, innamorato del sax ma anche dell’arte, sbarcato dalle periferie londinesi a Soho, culla dei fermenti beat degli anni Sessanta, grazie a un lavoro in un’agenzia pubblicitaria. Lì, mezzo secolo fa, è cominciato tutto. Una storia paragonabile a quella di pochissimi altri, che anche le giovani generazioni possono ora conoscere attraverso questa mostra e questo disco. In attesa della prossima, geniale intuizione/provocazione.

venerdì 21 novembre 2014

MIELANEXT 2 e 17-12 a trieste

Torna “Mielanext_reloaded”, doppio appuntamento con le nuove tendenze della musica contemporanea proposto dalla Cooperativa Bonawentura al Teatro Miela. Due serate, ognuna con due proposte spettacolari. Si comincia martedì 2 dicembre, con gli statunitensi Ryan Lott (in arte Son Lux) e White Hinterland. Il primo - secondo le note degli organizzatori - «propone un sofisticato “post-rock” e “alternative pop” molto originale, partendo dalla composizione elettronica e imbastendo arrangamenti che si fanno via via sempre più complessi. Vuoti e pieni si alternano mentre la particolare tensione melodrammatica sale come in una colonna sonora di un film, dove da un momento all’altro temi di trovarti a faccia a faccia con qualcosa di tremendo o perlomeno di inaspettato». Con lui, in scena, Rafiq Bhatia alla chitarra elettrica e Ian Chang alla batteria. Proporranno brani dal nuovo album “Lanterns”. White Hinterland in realtà si chiama Casey Dienel, è una cantautrice e pianista, che ha un repertorio di personalissime ballate. Negli ultimi lavori - si legge nelle note - «ha affinato le sue strategie aggregando piano, soul ed elettronica con solide strutture ritmiche e melodiche che evocano sia il candore soul di Carole King che la forza magnetica di Fiona Apple e Tori Amos». Il suo nuovo album s’intitola “Baby”, fra i suoi brani “Sickle no sword” e “Metronome”. E siamo alla seconda serata della mini-rassegna. Mercoledì 17 dicembre, sempre al Miela, un’altra accoppiata di giovanissimi, stavolta all’insegna della new wave elettronica: gli islandesi Samaris e il duo svedese Kristal & Jonny Boy. I primi, soprattutto ascoltando la voce della cantante Jófríður Ákadóttir, ricordano la prima Björk. Propongono un’elettronica in cui «il lato folk minimalista e quieto della terra dei geyser è pronto a erompere in qualsiasi momento in un gioco freddo-caldo (la terra del ghiaccio e del fuoco) che miscela gli stilemi evocanti i gelidi avamposti nordici con il tepore di certe sonorità “chillout” e con le pulsazioni che in certi casi sfiorano addirittura i territori “techno”. Con la citata vocalist ci sono la clarinettista Áslaug Rún Magnúsdóttir e il tastierista e programmatore Þórður Kári Steinþórsson. Il loro album di esordio s’intitola “Silkidrangar”. Completano la serata e il programma Kristina Hanses (voce e danza) e Jonny Eriksson (chitarra e “drum machine”), ovvero Kristal & Jonny Boy, già visti a Trieste lo scorso anno. Mischiano elettronica, ballad acustiche, atmosfere malinconiche. Hanno debuttato discograficamente con l’etichetta pordenonese La Tempesta.

GIOVANNA MARINI il 12-12 a gradisca, gorizia, per ALL FRONTIERS 2014

Sarà Giovanna Marini l’ospite più prestigioso di “All Frontiers 2014”, ventiseiesima edizione del “Festival di indagine sulle musiche d’arte contemporanee” organizzato dall’associazione More Music di Tullio Angelini. Tre serate: il 12, 13 e 14 dicembre, fra la sede storica di Gradisca, Gorizia e Udine. «Quest’anno - anticipa Angelini - abbiamo diverse novità, a partire dalla rete di enti e associazioni partner che si è creata attorno a More Music e tra cui segnaliamo il Mattatoio Scenico, una “zona di confine ed emozioni”, come ama definirsi, con radici a Gradisca e una sfrenata vocazione per l'avanguardia teatrale; Hybrida, la leggendaria factory tarcentina di musica e arte; il DobiaLab di Staranzano, avamposto per il dialogo e la produzione artistica transfrontaliera in bilico tra Slovenia, Croazia e Austria». Ancora l’organizzatore e fondatore della rassegna: «A livello provinciale e regionale abbiamo voluto attirare le forze più vitali della ricerca artistica del nostro territorio, le cui rotte hanno spesso incrociato le nostre, e rafforzare la nostra proposta. Auspichiamo che l'edizione 2014 del festival mostri i frutti migliori di questa sinergia e del nostro coordinamento». Ma passiamo al programma. Venerdì 12 dicembre, alla Sala civica Bergamas di Gradisca, serata dedicata al movimento free jazz degli anni Settanta, con il Dobialab Gravity Ensemble di Staranzano, che dovrebbe esibirsi con il jazzista tedesco Peter Brotzmann (il sassofonista proveniente dal gruppo di avanguardia Fluxus). Sabato 13, sempre alla Bergamas, all’interno dello spazio Interpolazioni (rassegna di indagine nata all’interno della Biennale Musica di Venezia ma che nella sua prima edizione venne organizzata proprio in Friuli Venezia Giulia, a Gorizia, nel 1985), si svolgerà una serata-evento dedicata al compositore goriziano Fausto Romitelli, recentemente celebrato dal festival Milano Musica. E siamo a Giovanna Marini, che arriva per la prima volta a All Frontiers: assieme al coro bolognese Arcanto presenterà in anteprima nazionale lo spettacolo “Aspettava nel sole” (Giovanna Giovannini dirige il coro di trentasei voci; produzione di AngelicA, Centro di ricerca musicale Teatro San Leonardo), “rafforzato” dall’esecuzione di “Dentro e fuori il pentagramma”, selezione di brani storici del suo repertorio per quartetto vocale. Appuntamento domenica 14 dicembre alle 18 al Nuovo Teatro Comunale di Gradisca d’Isonzo. La Marini - romana, classe 1937 - è una musicista, cantautrice e ricercatrice etnomusicale e folklorista italiana. La sua poliedrica attività l’ha imposta nel corso dei decenni come una delle figure più importanti nello studio, nella ricerca e nell’esecuzione della tradizione musicale popolare italiana. È anche autrice di canzoni e cantate popolari e politiche di propria composizione, fra cui non si può non ricordare “I treni per Reggio Calabria”. E il grande pubblico la conosce anche per l’album “Il fischio del vapore”, realizzato con Francesco De Gregori nel 2012. A Gradisca propone in anteprima “Aspettava nel sole”, con musiche che evocano e rileggono la classicità: dalle partiture costruite per l’”Oresteia” di Eschilo e le “Troiane” di Euripide, fino all’omaggio all’opera di Pier Paolo Pasolini, che Giovanna Marini conobbe agli inizi della sua carriera e al quale nel '75 dedicò lo struggente e ormai celebre “Lamento per la morte di Pasolini”.

giovedì 20 novembre 2014

LIZZY BORDEN e NIGHTGLOW giov a trieste, teatro miela

Dopo il successo di Willie Nile, altro botto annunciato per l’associazione Trieste is rock. Domani alle 20.30, al Teatro Miela, serata ad alta gradazione rock con il gruppo Lizzy Borden. Aprono il concerto i Nightglow e i triestini Damned pilots. I Lizzy Borden hanno da poco festeggiato i trent’anni di attività. Nati a Los Angeles nell’83, sono una band heavy metal attualmente formata, oltre che dallo stesso Lizzy Borden, cantante e leader dalla caratteristica chioma bionda (che per il nome d’arte si è ispirato a una donna che fece scalpore nel diciannovesimo secolo per essere stata accusata, e poi assolta, di vari assassinii), dal chitarrista Ira Black, dal bassista Jack Frost e dal batterista Joey Scott Harges. Vari i cambi di formazione nel corso di questi trent’anni. Ex componenti della band: i chitarristi Gene Allen, Tony Matuzak, Alex Nelson, Joe Holmes e Joe Steals, e i bassisti Steve Hochheiser e Mike Davis. Una decina di anni fa ci fu anche un cambio di nome: Starwood. Ispirato nell’aspetto ma anche nella stessa musica ad Alice Cooper, il gruppo ha partecipato al film documentario “The Decline Of Western Civilization Part II: The Metal Years”. Per esserein attività da tanto tempo, il gruppo non ha una discografia molto ampia, forse proprio per questo tutti i dischi sono molto amati dai fan. “Love you to pieces” è uscito nell’85, “Menace to society” l’anno dopo, “Visual lies” nell’87, “Master of disguise” nell’89. Poi, dopo un decennio di silenzio discografico, nel 2000 è stato pubblicato “Deal with the devil”. L’album più recente è “Appointment with death”, uscito nel 2007, ancora portato in tournèe assieme ai classici della band. Per quanto riguarda gli italiani Nightflow, sono una heavy metal band attiva da una decina d’anni, che suona «un metal classico - si legge nelle note - ispirato al filone inglese degli anni Ottanta e impreziosito da sonorità più moderne e ricercate». I triestini Damned pilots sono Don Nuts alla batteria, Willer Hertz alla chitarra e il cantante-chitarrista Ote. Dicono di suonare un genere “post nuclear stoner glam”.

ANNA LAUVERGNAC premiata dalla critica tedesca

La jazzista triestina Anna Lauvergnac ha vinto Premio della critica tedesca con l’album “Coming back home”. Trasferitasi diversi anni fa a Vienna, dove mantiene la residenza, e attualmente “itinerante” fra Austria, Grecia, India e Trieste, la cantante incassa un riconoscimento prestigioso che arriva a premiare una carriera ormai lunga e già ricca di soddisfazioni e collaborazioni. «Il Premio della critica tedesca - dice l’artista - non è legato all’industria discografica né a interessi commerciali. È assegnato da un centinaio di critici musicali, scrittori, musicologi ed editori provenienti da Germania, Austria e Svizzera». Chi viene premiato? «Le “nuove produzioni di straordinaria importanza, giudicate esclusivamente per il loro valore artistico”. Ci sono ventinove categorie. Il premio comprende infatti generi, gli artisti premiati possono essere molto diversi». Qualche premiato del passato? «Nel jazz Ella Fitzgerald, Scott Hamilton, Bill Frisell, Aki Takase. Negli altri generi Martha Argerich con Claudio Abbado, Robben Ford, Erykha Badu. Solo per citare alcuni nomi». Il suo disco premiato? «È uscito quest’estate per l’etichetta austriaca “Alessa Records”, è distribuito in vari paesi europei, ma anche in Giappone e Stati Uniti. Comprende sette brani della tradizione classica del jazz - quindi degli standard, alcuni molto noti come “Get out of town”, altri meno conosciuti come “Soft winds” - e quattro composizioni originali. Gli arrangiamenti sono del nostro pianista, Claus Raible, con la collaborazione di tutti noi». Il suo quartetto? «È formato dal pianista tedesco Claus Raible, Giorgos Antoniou al contrabbasso che è greco ma abita in Svizzera, il batterista londinese Steve Brown, e da me, italiana residente a Vienna ma ormai cittadina del mondo e quasi sempre in viaggio. Insomma, un gruppo internazionale». Come lavorate? «Siamo tutti coinvolti in ogni fase della scelta e dell’elaborazione del repertorio. Credo che questo modo di fare musica assieme e con totale coinvolgimento si percepisca: mi dicono sia stato uno dei motivi per cui la giuria ci ha premiato. Ogni musicista suona in modo profondo, a prescindere dalle doti tecniche. Si avverte una forza comunicativa e la passione per la musica: elementi che ci contraddistinguono». Era stata già premiata? «È la seconda volta che riceviamo una nomination per questo premio, anche il nostro lavoro precedente - registrato a Trieste, alla Casa della musica - era stato selezionato due anni fa. Un onore, è raro che ciò accada con due produzioni di fila». Che ci fa sempre in giro per il mondo? «Mi occupo di bambini di strada e a volte anche di adulti in difficoltà in India, che è il paese in cui passo i miei inverni da dodici anni. Scrivo e fotografo per il mio blog chiamato “Diaries of a nomadic jazz singer”». I suoi primi passi nella musica? «Le prime cose che mi vengono in mente: anni Ottanta, ristorante La Palestra. Un trio formato da Paolo Longo, Roberto Prever e Giancarlo Spirito che ospitava due cantanti alle prime armi: Maurizio Nobili e io. Poi l’incontro con Franco Vallisneri, il primo grande musicista con cui ho cantato: pianista e persona meravigliosa». Andrea Allione? «Una grande avventura musicale, lui alla chitarra e io alla voce. Andrea (chitarrista piemontese di casa a Trieste, recentemente scomparso - ndr) era un musicista con cui i brani cambiavano in ogni esecuzione, a volte radicalmente e in modo imprevedibile». Poi lei partì... «Sì, prima tappa a Graz, alla Scuola superiore di musica, con alcuni dei più grandi cantanti jazz del mondo: Jay Clayton, Mark Murphy, Andy Bey e Sheila Jordan. Negli anni Novanta ho passato vari periodi a New York. Si suonava alle jam session con musicisti allora sconosciuti: Brad Meldhau, Pete Bernstein, Larry Godings, Roy Hargrove...». Più recentemente? «Incontri musicali e collaborazioni molto intense. Quella con Fritz Pauer, uno dei padri del piano jazz in Europa, quella con Bojan Z, per me uno dei pianisti più interessanti nel jazz moderno. Gli otto anni con la Vienna Art Orchestra, con cui ho girato tutta l’Europa ma anche Canada, Cina, Russia, Israele, Cuba. L'amicizia con Sheila Jordan, mia insegnante e fonte d’ispirazione costante». Trieste? «Ci torno quando posso, la trovo sempre più bella. Spero di venire a Natale». Prossimi progetti? «L’ultimo concerto con il quartetto per quest’anno, a Graz; poi faremo un tour a maggio. A dicembre una masterclass e un paio di serate a Belgrado. A gennaio vado a Bombay, dove resterò fino ad aprile...».

martedì 18 novembre 2014

TORNA BAND AID di BOB GELDOF, contro l'ebola

Sarà il singolo più ascoltato (e scaricato) delle vacanze natalizie. È stato registrato sabato a Londra e presentato l’altra sera all’X Factor inglese. Stiamo parlando di “Do they know it’s Christmas” nella versione dei “Band Aid 30”. Ovvero: One Direction, Bono, Ed Sheeran, Paloma Faith, Midge Ure, Chris Martin dei Coldplay, Ellie Goulding, Rita Ora, Emeli Sande, Sinead O’Connor e altre star della musica pop, chiamate nuovamente a raccolta per un fine benefico da Bob Geldof, che nel 1984, trent’anni fa, fondò Band Aid e promosse la prima registrazione del brano, nel frattempo diventato un classico. Stavolta il fine è quello di raccogliere fondi per la lotta contro il virus dell’ebola. Trent’anni fa l’obbiettivo era combattere la carestia in Etiopia. Diedero vita, anzi, voce a quella prima versione stelle come Boy George, Duran Duran, Spandau Ballet, Paul Young, Culture Club, George Michael, Kool and the Gang, Sting, Bono e Adam Clayton degli U2, Phil Collins, Paul Weller... Il disco raccolse otto milioni di sterline, provocò la risposta statunitense di “We are the world” e fu all’origine dell’intero progetto “Live Aid”. Nel ventesimo anniversario della prima registrazione, nel novembre 2004, fu realizzata una nuova versione. Progetto promosso da Chris Martin dei Coldplay, con la partecipazione di Geldof e Midge Ure. Nel “Band Aid 20” c’erano fra gli altri Danny Goffey dei Supergrass, Thom Yorke dei Radiohead, Paul McCartney, Dido, Skye Edwards dei Morcheeba, Joss Stone, Robbie Williams... Nella versione 2015, il testo è stato aggiornato all’emergenza attuale: «Non vi è pace e gioia - cantano gli artisti - questo Natale in Africa occidentale. L’unica speranza che la gente avrà sarà quella si sopravvivere. Dove il comfort è da temere, dove ogni contatto fa paura, come si può credere che è davvero Natale per tutti...». Geldof ha segnalato che il governo britannico ha rinunciato alle tasse sul singolo, in modo da poter devolvere in beneficenza l’intero incasso dell’iniziativa. E ha detto: «Questa è una canzone, ma anche un evento, e adesso la scommessa è riuscire a farla diventare un fenomeno come lo diventò nel 1985».

Casa della musica, festival per bambini va a ravenna

L’anno scorso il prestigioso invito a Stoccolma per l’International children music collaboration, un network europeo per la diffusione della musica per l’infanzia. Quest’anno la trasferta è meno lunga ma altrettanto interessante. Il Festival di musica per bambini - una delle punte di diamante fra le tante attività della Casa della musica di Trieste - sabato è infatti ospite della mostra interattiva “Odorosa. Mostra gioco per nasi curiosi”, prodotta e curata da “Immaginante”, una delle realtà più attive in Italia nel campo della ricerca e delle proposte artistiche per bambini, cominciata la settimana scorsa e che si concluderà domenica 30 novembre. Piatto forte in arrivo dal capoluogo giuliano è lo spettacolo “La musica dello Gnomo mirtillo” (produzione storica del festival triestino, in doppia replica nel pomeriggio di sabato), seguito da “Lo Gnomo Mirtillo gioca ai quattro cantoni”. Ma lo staff giuliano porterà alla manifestazione ravennate anche la testimonianza del proprio lavoro, mentre Vincenzo Stera (coordinatore del festival) terrà al mattino due workshop dedicati a educatori, insegnanti, operatori. «È con grande piacere - dice Stera, napoletano trapiantato da tanti anni a Trieste, docente di scienze motorie nella scuola pubblica e di musica per bambini nella struttura di via Capitelli - che partecipiamo a questa “avventura”, dove porteremo il nostro “piccolo gnomo”. Sarà un interessante momento di confronto e di collaborazione con altri operatori. Si avverte sempre più, infatti, la necessità di riflettere sull’educazione sensoriale in un tempo dominato dalle tecnologie e la voglia di incoraggiare gli adulti a riflettere sui concetti di conoscenza ed esperienza che sono alla base delle installazioni-gioco presentate nella mostra». Lo staff dello “Gnomo Mirtillo” è costituito dalla cantante e attrice Ornella Serafini (la “fata”, voce e narrazione), da Gabriele Centis alla batteria, da Daniele Dibiaggio al pianoforte e dallo stesso Vincenzo Stera ai fiati e alle percussioni. Da segnalare che “La musica dello Gnomo Mirtillo” è da poco diventata anche un libro, accompagnato da un cd con le musiche e alcune proposte interattive, edito da Comunicarte Edizioni, che sta riscuotendo un notevole interesse soprattutto fra gli insegnanti. L’invito a Ravenna è una nuova soddisfazione per la Casa della musica triestina, conosciuta per la sua intensa attività didattica e anche perchè promuove ogni estate il festival TriesteLovesJazz, che già gode di “buona stampa” anche all’estero grazie ai tanti jazzisti che vengono a incidere nell’attrezzato studio di registrazione sito all’ultimo piano della struttura di via dei Capitelli, due passi da piazza Cavana e dunque anche da piazza Unità. Grazie alle produzioni del festival di musica per bambini, ora l’attenzione di operatori - nazionali e internazionali, come dimostra l’invito dell’anno scorso a Stoccolma - è attirata dall’attività di didattica musicale rivolta ai più piccoli che viene svolta a Trieste.

CON LA MUSICA, libro di pietro leveratto

«Sarà la musica che gira intorno, quella che non ha futuro, saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro...», cantava Ivano Fossati. Versi che tornano alla mente leggendo questo “Con la musica - Note e storie per la vita quotidiana” (Sellerio, pagg. 360, euro 16), scritto dal genovese Pietro Leveratto, musicista, docente ma soprattutto grande appassionato di musiche e dischi. Il libro parla dell’importanza dei suoni, delle canzoni, della musica nella vita delle donne e degli uomini, da sempre, in tutto il mondo. «Per farsi un’idea, anzi di più, per vedere finalmente chiaro - scrive l’autore - nell’animo umano, basta procurarsi una raccolta di arie d’opera e canzoni di qualche cantante, maschio o femmina, che abbia registrato nei primi anni del Novecento...». Gli anni di Enrico Caruso, per esempio, che nel 1904 incide a New York l’aria “Vesti la giubba”, dai “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo: disco che vende più di un milione di copie, «praticamente chiunque avesse accesso a un grammofono aveva comprato con il disco la possibilità di ascoltare a casa propria la voce del cantante...». Dal grammofono alla musica immateriale e liquida ascoltata in streaming, passando per giradischi, impianti stereo, mangianastri, autoradio, lettori cd, file mp3, youtube, piattaforme di condivisione varie... Più di un secolo dopo, non serve più “possedere” un supporto fisico, per ascoltare la propria musica preferita, il proprio artista prediletto. Ma l’importanza della musica nelle nostre vite, quella rimane. Anzi, col passare degli anni e dei decenni, è aumentata. La musica è ovunque, non dobbiamo cercarla, è lei che ci segue: nelle sale d’aspetto, al supermercato, nelle suonerie dei telefonini... Una colonna sonora - a volte non richiesta - dei nostri gesti quotidiani, delle nostre giornate, della nostra vita. Protagonisti del libro sono allora i suoni più adatti a fare da cornice agli accadimenti della vita, a eventi drammatici e vicende bizzarre, alla bellezza e alla sofferenza, al desiderio e alla gelosia. Da Bach ai Beatles, da Mozart a John Cage, da Schubert a Bob Dylan, da Coltrane a Mina, dai Queen a Erykah Badu...

FORMIDABILE QUEL 1967... libro di Bertoncelli

Formidabile quell’anno. Dicono infatti che il 1967 sia stato quello più importante nella storia ormai lunga della musica rock. Qualche esempio? I Beatles pubblicano “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” e “Magical Mystery Tour”, esce il primo disco dei Pink Floyd, muore Otis Redding, debuttano con il primo album di carriere discografiche brevissime ma fulminanti Jimi Hendrix e i Doors, i Rolling Stones finiscono in galera, Bob Dylan si ritira (e comincia a registrare i leggendari “Basement tapes”), a Monterey va in scena dal 16 al 18 giugno il celebre festival, nella famosa “estate dell’amore” i Beach Boys diffondono le loro “Good vibrations”. E si potrebbe continuare. Insomma, una stagione indimenticabile, di quelle consegnate di lì a poco alla storia della musica e della cultura giovanile, ma anche all’immaginario collettivo di almeno un paio di generazioni. Riccardo Bertoncelli, quello immortalato da Francesco Guccini nella storica “L’avvelenata” («Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate...»), arriva in questi giorni nei negozi, reali e virtuali, con il volume “1967, Intorno al Sgt. Pepper” (Giunti, collana Bizarre, pagg. 256, euro 22). Si tratta del quarto capitolo di una serie cominciata sette anni fa con “Sgt. Pepper. La vera storia” - al quale il libro si ricollega non solo nel titolo - e proseguita con “1969. Storia di un favoloso anno rock” e “1965-1966. La nascita del nuovo rock”. Ma torniamo a quei “formidabili dodici mesi”. I Rolling Stones cantano “Let’s spend the night together”. Poi vanno all’Ed Sullivan Show e sono costretti a cambiare l’invito del titolo, che diventa più castamente “Let’s spend some time together”. Debuttano i Bee Gees, ma anche Cat Stevens (primo 45 giri, “Matthew & son”), Pink Floyd (anche per loro un singolo, “Arnold Layne”), Canned Heat, Status Quo. Con il primo album rock con orchestra, dei Moody Blues, nasce il “prog” inglese. Jimi Hendrix brucia la sua prima chitarra, sul palco dell’Astoria di Londra (rituale che poi diverrà un classico della casa...). Esce l’album “Velvet Underground & Nico”. Steve Winwood lascia lo Spencer David Group e fonda i Traffic. Scott McKenzie canta l’inno pacifista “San Francisco” (in Italia ne faranno una cover i Dik Dik). Miriam Makeba conquista le classifiche con “Pata pata”. Prima le Mothers of invention e poi Hendrix “profanano” la londinese Royal Albert Hall. A San Francisco viene pubblicato il primo numero di Rolling Stone. Elvis sposa Priscilla. Muoiono Woody Guthrie e John Coltrane (e viene ucciso Ernesto Che Guevara). Persino a Sanremo, dal 26 al 28 gennaio, si respira aria nuova. Arrivano Hollies, Marianne Faithfull, Sonny & Cher: tutti peraltro eliminati, nell’edizione passata tragicamente alla storia per il suicidio di Luigi Tenco. Ma i ragazzi ascoltano “29 settembre” dell’Equipe 84, mentre Joan Baez suona per la prima volta in Italia, al Teatro Lirico di Milano, presentata da Furio Colombo... Di queste e tante altre cose, di un anno diverso da tutti gli altri parla il libro di Bertoncelli, al quale hanno collaborato fra gli altri Federico Guglielmi e Franco Zanetti. Ne vien fuori un mosaico di suoni e immagini difficili da dimenticare. L’autore conclude il volume - dopo capitoli dedicati ai protagonisti di quell’anno, alle recensioni degli album usciti, alle storie di questo o di quello - con un’intervista proprio a quel Francesco Guccini che lo immortalò nel verso e nella canzone citati. Perchè - spiega - il 1967 «è l’anno di “Folk beat n.1”, ottimo esordio e suono strano nella scena nostra di quei dì». Ma anche perchè «c’è pochissima Italia nelle pagine di questo libro, più per ragioni di spazio che per scelta, e dovevo riparare in qualche modo». Guccini racconta allora dei suoi ricordi legati a quell’anno, della sua vita bolognese, di un viaggio ad Amsterdam «perchè avevamo sentito parlare dei Provos, gli anarchici pacifisti olandesi», dell’amore per Bob Dylan ma anche per Brel, dei primi passi nel mondo della musica, della collaborazione con i Nomadi e di quel primo album... Un ’67 insomma diverso, da quello della psichedelia e del rock andato in scena nelle pagine precedenti. Ma giusto compendio che contribuisce a rendere «l’idea di quell’anno - dice Bertoncelli, che scrive di rock dal ’69 e ha scritto il primo libro italiano sull’argomento, s’intitolava “Pop story”, nel ’73 - semplice e complicato, ricco di ingenuità e di speranze, affacciato sul bordo di un futuro che era difficile immaginare tanto vertiginoso». Nel 1967, un secolo fa.

domenica 16 novembre 2014

VASCO, speranze concerto a Trieste sett15, dopo Padova 21-7

I (tantissimi) fan triestini e regionali di Vasco Rossi dovranno aspettare settembre, per sperare di vedere il loro idolo allo stadio di Trieste. Oppure, dovranno mettersi in viaggio per Padova, dove il 12 luglio, allo Stadio Euganeo, si concluderà la prima parte (peraltro l’unica per ora sicura e annunciata...) del “LiveKom.015”. Il tour comincerà il 7 giugno dallo Stadio San Nicola di Bari, come del resto il rocker di Zocca aveva già annunciato («verrò a bussare a casa vostra...») un paio di settimane fa al Medimex, nel capoluogo pugliese, in occasione della presentazione del nuovo album “Sono innocente”, subito balzato in testa alle classifiche di vendita. Tappe successive: 12 giugno a Firenze, allo Stadio Franchi; 17 giugno a Milano, allo Stadio di San Siro; 22 giugno a Bologna, allo Stadio Dall’Ara; 27 giugno a Torino, allo Stadio Olimpico; 3 luglio a Napoli, allo Stadio San Paolo; 8 luglio a Messina, allo Stadio San Filippo. Sulla base dell’esperienza degli anni e delle tournèe passate, è molto probabile che alcune di queste date (Milano, per esempio) raddoppino o addirittura triplichino. Esauriti i biglietti già in prevendita per il primo concerto in una città, di solito viene infatti annunciata la seconda e a volte la terza data. Sempre sulla base dell’esperienza degli anni e delle tournèe passate, dopo la prima tranche di concerti fra giugno e luglio, e dopo un altrettanto canonico periodo di vacanze e riposo fra luglio e agosto, è probabile un’appendice del tour a settembre. Queste riprese hanno spesso portato il Blasco anche a Trieste e a Udine. Ma a settembre non dovrebbero ancora essere ultimati i lavori allo Stadio Friuli, attualmente agibile a capienza ridotta: dunque rimarrebbe in lizza solo lo Stadio Rocco... Troppo presto, ovviamente, per avere al riguardo conferme o smentite da parte degli organizzatori. Ma il buon senso dice che, se ci sarà ripresa del tour a fine estate, anche il Friuli Venezia Giulia torna in pista per ospitare una tappa della tournèe, che sarà sicuramente una delle più affollate - forse la più affollata - dell’intero 2015. Ma torniamo alle cose sicure. I biglietti per tutte le date saranno disponibili dalle 11 di mercoledì 19 novembre su www.livenation.it e tramite il circuito TicketOne www.ticketone.it. Dalle 10 di domani partiranno due prevendite anticipate, una di 24 ore per gli iscritti al Blasco Fan Club (www.vascorossi.net) e una di 48 ore per i titolari di carta American Express (www.ticketone.it/americanexpress). Prematuro pensare alla scaletta e alle caratteristiche dello spettacolo. Ma facile intuire che le canzoni di “Sono innocente” faranno la loro parte, accanto ai classici di una carriera cominciata discograficamente nel lontano 1978.

sabato 15 novembre 2014

COSLOVICH, carriera a londra

Prosegue la “carriera londinese” del musicista triestino Giorgio Coslovich. Dopo aver partecipato lo scorso anno, unico italiano, all’edizione 2013 del London New Wind Festival, quest’anno torna alla rassegna che si svolge alla Regent Hall, in Oxford Street. Coslovich, classe 1948, un passato nella scena pop/rock triestina degli anni Settanta, è stato selezionato assieme a un gruppo di compositori prevalentemente britannici e Usa. Lo scorso anno aveva presentato “La Cour de Avignon”, riadattato per quintetto di fiati (oboe, flauto, clarinetto, corno e fagotto). Quest’anno, venerdì 21 novembre, proporrà la suite in due movimenti “Montenotte”, da lui composta, per sestetto e pianoforte. «È una suite - spiega il musicista - dalle movenze quasi gershwiniane. Per me è una grande soddisfazione tornare per il secondo anno consecutivo in questa rassegna che propone partiture provenienti da tutto il mondo». Ancora Coslovich: «Per me è un buon momento. Ho vari progetti in lavorazione, tra cui uno in collaborazione con il direttore d’orchestra Axel Boch, riguardante miei brani per chitarra classica e archi. E mi è arrivato un riconoscimento sulla rivista della Siae, “VivaVerdi”, per l’evento londinese dell’anno scorso». Questa doppia avventura nella capitale britannica sta aprendo varie prospettive al musicista triestino. L’ex Genesis Anthony Phillips ha analizzato con il direttore d’orchestra Andrew Skeet le sue musiche. «Sì, ho avuto la fortuna di conoscerlo - dice Coslovich -, lui si è espresso positivamente riguardo le mie composizioni e mi ha anche dato degli utilissimi suggerimenti con riferimento agli arrangiamenti». «Non voglio sollevare polemiche - conclude il musicista triestino, che sarà ospite nelle prossime settimane di un programma culturale sul canale Bbc 4, ma in Italia tutto diventa complicato se non appartieni al mondo accademico. Io sono parzialmente autodidatta, ma a Londra ho notato con piacere che i tuoi meriti vengono riconosciuti semplicemente per quello che fai, per le musiche che scrivi...».

WILLIE NILE stasera (ven) a trieste

Bruce Springsteen lo ha voluto spesso ospite nei suoi concerti. Little Steven, chitarrista della E Street Band del Boss, una volta ha detto: «È talmente bravo che non ci credo, che viene dal New Jersey...». Lui è Willie Nile, che domani torna a Trieste (dopo le performance del 2010 e del 2011), per presentare alle 21 al Naima Club (che poi sarebbe l’ex Macaki di viale XX Settembre 39/A) brani dal nuovo album “If I was a river”, altri dal precedente “American ride” e suoi vecchi cavalli di battaglia, come “House of a thousand guitars” e “One guitar”. Il concerto è organizzato dall’associazione Trieste is rock, alla quale il cantante, compositore e chitarrista statunitense (vero nome Robert Anthony Noonan, classe 1948) ha dichiarato: «Sono contento del disco nuovo. L’ho realizzato in studio, solo pianoforte e voce, senza il gruppo. Esce in questi giorni. Il pianoforte con cui l’ho registrato è lo stesso che ho suonato 34 anni fa, la notte in cui John Lennon è stato ucciso. Ero ai “Record Plant” quella notte, io suonavo e registravo allo studio A, lui con Yoko Ono nello studio C. E avevo ben presente che stavo suonando il piano che aveva usato lui, e che lui era nell’altra stanza. Per me è un ricordo molto forte perchè, ovviamente, è stato un evento così tragico: sento ancora gli effetti di John...». Nile ha cominciato la sua carriera negli anni Settanta, facendo tanta gavetta nei locali del Village newyorkese. Il debutto discografico arriva nel 1980, con l’album omonimo che un critico musicale dell’epoca definì «uno dei più eccitanti album folk-rock dell'era post-Byrds». Seguì un secondo album, “Golden down”, uscito nell’82, dopo il quale la sua carriera discografica fu purtroppo interrotta per circa un decennio, a causa di problemi legali con la casa discografica. Risolti i problemi, nel ’91 l’artista ha ripreso a incidere dischi - in quell’anno uscì “Places I have never been” - e a suonare dal vivo. Costruendosi negli anni una schiera di fan che lo chiamano “one man Clash”, per la sua ammirazione nei confronti di Joe Strummer. “Beautiful wreck of the world”, disco autoprodotto e pubblicato nel ’99, è stato inserito dalla rivista Billborad nella classifica dei dieci migliori album rock dell’anno. Ma un’ottima accoglienza ha accolto nel 2006 anche “Streets of New York”, omaggio alla sua città, e i dischi successivi: “House of a thousand guitars” nel 2009 e “Innocent ones” nel 2010 (con la classicissima “One guitar”). In tutti questi anni il rocker ha collaborato - oltre che con Springsteen - con Who, Ringo Starr, Elvis Costello, Lucinda Williams. Che una volta ha detto di lui: «Un grande artista. Se ci fosse un po’ di giustizia a questo mondo, dovrei aprire io i suoi concerti e non il contrario...». L’associazione Trieste is rock è particolarmente legata a questo musicista statunitense. È stato infatti proprio lui a tenere a battesimo, nell’aprile 2010, al Teatro Miela, l’attività del sodalizio. E l’anno successivo è tornato in città, per un concerto sul lungomare di Barcola. «Trieste - rivela Nile - ha un posto speciale nel mio cuore: amo la città. È splendido sapere che ci sono delle persone che amano il rock’n’roll, gente che ama la vera musica, musica autentica. Per cui certe volte chiedo alla gente se è stata a Trieste, la gran parte dice di no, e io dico loro: “Oh, è stupenda, se avete la possibilità andateci...”. Domani sera, a Trieste, Willie Nile sarà sul palco del “Naima” assieme a Johnny Pisano al basso, Danny Montgomery alla batteria, Jorge Otero alla chitarra. E promette un concerto rock ad alto voltaggio...

DAMIEN RICE, my favourite faded fantasy

DAMIEN RICE “My favourite faded fantasy” (Warner) A otto anni dal precedente album, il cantautore irlandese torna con una raccolta di canzoni «cantate direttamente guardando lo specchio delle metafore». Alcuni lo considerano una sorta di Salinger della musica pop, incline alla purezza e all’autenticità musicale, scappato dai riflettori e dal successo che aveva premiato i suoi esordi. Con questo album, finito di registrare fra i ghiacci dell’Islanda, l’artista prosegue la sua strada da solo, dopo la rottura musicale e personale con Lisa Hanningan. Anche se la voce in falsetto del brano che dà il titolo e apre l’album, quella che fra archi e chitarre elettriche canta «Conosco qualcuno che potrebbe recitare la parte, ma non sarebbe lo stesso come con te...», somiglia tanto a quella dell’ex compagna. A parte questo, disco di grande poetica, che trasuda sincerità, fra arpeggi di chitarra acustica, pianoforte e archi. E quella voce capace di scavarti nell’anima. Un gioiellino.

VASCO, sono innocente

Dal vivo è sempre più rock. Ma nel nuovo album, “Sono innocente” (Universal, tre diverse copertine, in testa alle classifiche di vendita con le prenotazioni prim’ancora di uscire), Vasco Rossi sembra volersi riappropriare - fra chiaroscuri e ballad struggenti - di quella vena melodica che ha rappresentato gran parte del suo successo. Lo aveva già fatto intuire in “Come vorrei”, il singolo che aveva anticipato la pubblicazione dell’album. Che conferma quella prima impressione. “Sono innocente ma...” fa eccezione al clima quasi soft. Il Vasco nazionale sembra vestire i panni più dell’accusatore che dell’accusato: «Sono innocente ma non mi fido più. Ho solo qualche multa da pagare, qualche pastiglia e qualche rospo da ingoiare. Sono innocente, ma qui qualcuno è sempre pronto a giudicare qualche incidente di gioventù che ancora mi fa male. Sparatemi ancora così vedremo chi cade chi perde chi ruba, non sono perfetto lo so ma sono pulito davvero, qualche macchia qua e là qualche incidente con le autorità...». Quasi una rivendicazione di identità, vestita di suoni duri, ritmi aggressivi e scatenati riff di chitarra. “Il blues della chitarra sola” somiglia a un bilancio esistenziale con chitarra “slide” a menare la danza. “Aspettami” scandaglia l’universo interiore di un uomo che non vuole sembrare incline alle tenerezze («giuro che ti sto pensando ma non è vero, disperatamente cerco di scordarti ma non è vero, tutte le volte che ho cercato di lasciarti non c’ero...»). “L’ape regina”, con parole del figlio Luca, è un ritratto femminile che non le manda a dire e rifugge dai clichè del politically correct. Chitarre quasi heavy, ma anche spesierate tastiere dance, nel brano molto ritmico “Duro incontro”. Atmosfere rock anche ne “L’uomo più semplice” («Siamo vivi, domani chi lo sa...»). “Cambia-menti” e “Dannate nuvole” erano già conosciute dai fan. Due curiosità. L’armonia ma anche alcune sequenze melodiche di “Quante volte» ricordano da vicino, trentuno anni dopo, il classico dei classici “Vita spericolata”. Ma il testo sembra innervato da una filosofia diversa: «Quante cose son cambiate nella vita, quante cose sono sempre così. Quante volte ho pensato è finita, poi mi risvegliavo il lunedì. Quante volte ho pensato nella vita voglio fare quello che mi va, poi le cose mi sfuggivan dalle dita e arrivava la realtà. Quante cose son passate ormai. Quante cose che non torneranno mai...». Altro che Steve McQueen e Roxy Bar, insomma. E poi c’è “Marta piange ancora”, una delle prime canzoni scritte da Vasco, quando aveva quindici anni, e dunque nel lontano ’67. Finora ne esisteva solo una versione pirata e incompleta. Ora entra nel canzoniere “ufficiale” del rocker di Zocca. Fra gli altri titoli: “Guai”, “Aspettami”, “Accidenti come sei bella” e “Rock star”. Disco registrato tra Bologna e Los Angeles, prodotto da Vasco con Guido Elmi (eccezione per “Guai” e “Quante volte”, prodotte da Celso Valli).

martedì 11 novembre 2014

FILM JIMI HENDRIX. E Modà

Doppio appuntamento al cinema per gli amanti della musica rock e pop. Esce oggi (nella nostra regione all’Uci Cinemas di Fiume Veneto, Pordenone) “All is by my side”, il film-tributo su Jimi Hendrix. Sempre oggi e domani (nel Friuli Venezia Giulia alle “Torri” di Trieste, ma anche a Villesse, Pradamano e Torreano di Martignacco), per un pubblico diverso ma forse ancor più numeroso, arriva nelle sale in contemporanea via satellite “Modà - Come in un film”. Quello al chitarrista scomparso nel ’70, si tratta di qualcosa di più di un omaggio all’eccezionale chitarrista di Seattle, nel film di John Ridley (regista premio Oscar per la sceneggiatura di “12 anni schiavo”) interpretato da Andrè Lauren Benjamin (in arte Andrè 3000, cantante degli OutKast) con uno stile che il Los Angeles Times ha definito “ipnotico”. Un racconto scandito dal suono della chitarra, che si interessa più dell’uomo che del mito, e che narra i dodici mesi più importanti della vita di Hendrix: dall’incontro nel ’66 con Linda Keith, che gli farà da mecenate, fino alla storica esibizione nel ’67 a Monterey. Dove dando materialmente fuoco alla sua chitarra entrò nella sfera del mito e diventò il simbolo di una generazione. «È un film straordinario - ha affermato Donn Alan Pennebaker, autore di “Jimi plays Monterey” -, e lo posso dire non solo perché Jimi era un amico ma soprattutto perché l’ho visto suonare a Monterey. Un ritratto autentico di Jimi, sia del suo talento che della sua personalità». Cambiamo registro, facciamo un salto di quasi mezzo secolo e parliamo dei Modà. Il film concerto, regia di Gaetano Morbioli, rilancia sul grande schermo il concerto allo Stadio San Siro di Milano dello scorso luglio. Canzoni alternate a scene e frammenti, che nelle intenzioni del loro leader Kekko Silvestre vanno a comporre un reportage, quasi un racconto corale che ha per protagonista uno dei gruppi pop più amati dai giovani negli ultimi anni. «Per raggiungere un sogno - dice Silvestre - bisogna inseguirlo, bisogna proteggerlo, bisogna avere la forza di perseverare e di combattere, bisogna avere fede e stima di se stessi. Ma per raggiungere un sogno spesso bisogna fidarsi di alcuni segnali, e a volte dare peso e senso ai sogni stessi...». Ma per la musica al cinema è un grande momento. È infatti di ieri la notizia che “Hai paura del buio?”, storico album degli Afterhours pubblicato nel ’97, uscirà il 26 novembre sotto forma di film-concerto per Feltrinelli Real Cinema. «Volevo fosse un film scuro e senza tempo, che - come il loro disco - non invecchiasse mai», spiega il regista Giorgio Testi, che ha già lavorato con star come Blur, Rolling Stones, Killers, Smashing Pumpkins. Nel cofanetto in vendita nelle librerie il film sarà accompagnato da un libro fotografico, con scatti di Andrea Samonà e testi del regista, degli Afterhours e dello stesso fotografo.

lunedì 10 novembre 2014

ALICE, nuovo album Weekend

“Weekend” è il nuovo album di Alice, che arriva domani nei negozi. «S’intitola così - dice l’artista forlivese, vero nome Carla Bissi, che da una dozzina d’anni vive a Tricesimo, in Friuli - perché è stato registrato per lo più durante i fine settimana di quasi un anno intero». Che canzoni ha scelto? «Canzoni che rappresentassero tanti aspetti della vita, alcune le ho ascoltate per la prima volta grazie ai produttori. Quando abbiamo cominciato a pensare all’album non c’è stato un criterio comune per la scelta, ma sapevamo cosa doveva essere questo disco: le scelte sono state fatte in base alla qualità». Apre con Francois Hardy. «Sì, in Italia è stata scordata, ma in Francia è ancora molto popolare: incide dischi, scrive libri. “Tante belle cose” è la versione italiana realizzata da Franco Battiato della sua “Tant de belles choses”, del 2004. Me l’ha fatta scoprire Francesco Messina (compagno di vita e di lavoro della cantante, friulano - ndr). Quando l’ho sentita, così densa, struggente, piena di speranza, mi è piaciuta talmente tanto che ho deciso di inserirla nel disco». Luca Carboni? «Per il dialogo del brano “Da lontano” abbiamo pensato a lui, dopo il duetto che abbiamo fatto lo scorso anno nella sua “Farfallina”, per il suo album di duetti. È un artista che ho sempre apprezzato, sin dai suoi esordi. Mi piace il suo linguaggio semplice e diretto, sa parlare di temi profondi in maniera poetica». La tromba di Paolo Fresu? «Altro artista che stimo molto. Nell’89 ha partecipato a un mio tour, poi siamo rimasti sempre in contatto. È un musicista eccezionale, ma anche un uomo di grandi qualità, attivo culturalmente e socialmente. Specie a favore della sua terra, la Sardegna. In “Tante belle cose” e “Da lontano” ha suonato in maniera straordinaria». “Veleni” è firmata Battiato e Sgalambro. «Lavorare con Franco è stato ancora una volta naturale e bello. Nell’album ha un posto di rilievo. Due anni fa, nell’album “Samsara”, aveva scritto una canzone per me dopo tanto tempo che non lo faceva. Stavolta ha fatto di più». E il filosofo scomparso? «Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo ne ha potuto apprezzare la grande profondità, la levatura culturale e intellettuale. Ci ha dato tanto e a vari livelli. Era affascinante, completamente fuori dagli schemi, dotato di grande ironia e autoironia: doti che gli hanno permesso di “mischiarsi” con la musica pop. Ci mancherà, ma ci ha lasciato delle grandi opere». Anche Claudio Rocchi non c’è più. «Quando l’ho saputo per me è stato uno shock. Ho voluto ricordarlo. Con Battiato cantiamo assieme un suo brano storico, “La realtà non esiste”, ma in una versione nuova rispetto a quella proposta all’Arena di Verona, nel concerto con Antony». E “L’umana nostalgia”? «Pensi che Claudio era venuto a casa mia, a Milano, nel ’94, per propormi di cantare quel brano assieme in un suo disco. Cosa che facemmo. Purtroppo poi non ci siamo frequentati molto. Ma lo ricordo come una persona luminosa, determinata, piena di vita ed entusiasmo. Ha avuto una vita molto intensa, piena di tante cose diverse». La copertina è di un fotografo triestino. «Sì, Massimo Gardone. Ci conosciamo da tanti anni, abbiamo lavorato assieme anche in passato, sia per le fotografie che per i video, come quello del brano “Nata ieri”, che stava nell’album “Samsara”. Con le sue foto sa esprimersi con grande sensibilità. Nella sua arte cogli una profondità e una tensione che spesso vanno al di là di quel che persona può vedere. Il servizio fotografico lo abbiamo realizzato a Trieste, nel suo studio. E ora lavoreremo con lui per il video di “Tante belle cose”». Come vive in Friuli? «Bene. Ho scelto di vivere in un luogo tranquillo, ho recuperato quel che per me è sempre stato importante per vivere bene. Del resto io sono nata in campagna, le radici sono importanti, meglio la qualità della vita che lo stress della metropoli. Da Forum Livii a Forum Iulii (nomi latini della sua Forlì e del Friuli - ndr)...». Fra i brani che completano un album raffinato e intenso: “Aspettando mezzanotte”, composta dalla stessa Alice; “Viali di solitudine” (per il semplice piacere di reinterpretarla...»; “Christmas”, scritta da Paul Buchanan dei Blue Nile; “Qualcuno pronuncia il mio nome”, composta da Mino Di Martino (quello dei Giganti, con cui Alice collabora da tempo); “Un po’ d’aria”.

domenica 9 novembre 2014

NUOVO ALBUM PINK FLOYD

Di nuovo Pink Floyd, a vent’anni di distanza dall’ultimo album di inediti. Arriva infatti nei negozi, digitali e non, “The endless river”, già balzato in testa a tutte le classifiche grazie alle prenotazioni. L’origine del disco risale in realtà al ’93, quando durante le sessioni di registrazione di “The division bell” David Gilmour, Rick Wright e Nick Mason incisero molto materiale, in parte rimasto incompiuto, che poi non trovò posto in quel disco. Ora Gilmour e Mason hanno recuperato e riadattato quei brani, in memoria di Rick Wright scomparso nel 2008. Da quelle venti ore di registrazione sono state tratte ovviamente le cose migliori, sono state aggiunte nuove cose, il tutto è stato riletto alla luce dei vent’anni trascorsi nel frattempo anche - e forse soprattutto - nel mondo della musica e della tecnologia. Gilmour: «Il disco è un flusso continuo di musica che cresce gradualmente lungo quattro parti e 55 minuti di musica. C’è una sorta di continuum con “The division bell” e sicuramente un punto di contatto è proprio “The endless river”: la frase “the endless river forevere and ever” alla fine della canzone “High hopes”». Mason: «Ci sono idee che possono essere accostate ai nostri primi album per il modo in cui è stato assemblato materiale che non è composto da canzoni secondo il formato tradizionale».. “The endless river” è un album essenzialmente strumentale, con una canzone, “Louder than words”, il cui testo è stato scritto da Polly Samson, moglie di David Gilmour, e primo singolo attualmente in rotazione nelle radio. Ancora Gilmour: «È un omaggio a Rick e in certi momenti è molto evocativo ed emozianante. Ascoltare questo materiale fa aumentare il rimpianto per la sua scomparsa e questa è l’ultima chance che ognuno ha di ascoltarlo suonare insieme a noi...».

NOTTE DI NOTE CON BAGLIONI

Un cartello gli urla "Bentornato Cla', Trieste ti ama". Lui, Claudio Baglioni, spolverino bianco e chioma argentata, attacca con "Notte di note" mentre il sipario copre ancora la scena e i musicisti. È già tempo di "E tu come stai", per aprire la tappa triestina della tranche autunnale del “Con voi ReTour 2014” al palasport di via Flavia affollato da oltre tremila persone. In scena ancora lui, il "divo Claudio", il "re di Roma", uno dei massimi interpreti e protagonisti della canzone italiana degli ultimi cinque decenni. Imbraccia l'elettrica e prosegue con "Dagli il via". Il palcoscenico è un cantiere, il “messaggio” è che qui c’è tanto da ricostruire. Quasi a voler cercare anche lui la strada che condurrà il Paese fuori dall’incertezza e dalla crisi. Ripartendo però da noi stessi. L’architetto Baglioni (si è laureato una decina di anni fa, riprendendo gli studi abbandonati da ragazzo, a causa del successo nella musica...) dimostra ancora una volta la sua naturale predisposizione per i disegni, i progetti, le ambientazioni. Oltre ovviamente che per la poetica quotidiana fatta canzone. In tre ore, accompagnato da una super band di tredici polistrumentisti e coristi, racconta oltre quarant’anni di carriera discografica (ma l’esordio vero e proprio, in un concorso per voci nuove, avvenne nel ’64, giusto mezzo secolo fa, quando il nostro aveva appena tredici anni...), in un concerto che somiglia davvero a una raccolta di grandi successi. C'è solo l'imbarazzo della scelta, pescando dal suo infinito canzoniere: da “Con tutto l’amore che posso” a “Quante volte”, da "Sono io” a “Poster" (da solo alla chitarra, con i coristi), “Amore bello”, “Io me ne andrei”, “Gagarin”, “E tu”, “Porta Portese”, “Avrai”, “E adesso la pubblicità”, “Mille giorni di te e di me”, “Strada facendo”, “Sabato pomeriggio”, ovviamente “Questo piccolo grande amore”... Verso metà concerto, spazio anche a qualche brano dell'album "Con voi", pubblicato un anno fa. Molti dei classici possono contare sul coro spontaneo, non c’è nemmeno bisogno di sollecitarlo, come fanno diversi cantanti che calcano i palcoscenici. Baglioni assiste compiaciuto, sono dichiarazioni di affetto anche queste. E decide di offrire al suo pubblico quel che la gente vuole, in equilibrio sul crinale della memoria. Un tempo diceva che non rinnegava “magliette fini” e “passerotti”, ma dava l’impressione di averne abbastanza. Volendo dimostrare che in tanti anni di carriera aveva e ha scritto anche altro. Ora sembra aver “fatto la pace” anche con quei suoi brani di tanto tempo fa, sentimentali e per certi versi "basici”, di quella “semplicità difficile a farsi”, colonna sonora di mille amori adolescenziali, che facevano sognare le ragazzine. Dice che «c’è stato un momento nel quale mi ha pesato. E molto. Non a caso per anni ho cercato di cambiar pelle ai miei pezzi. Ho cambiato gli arrangiamenti, stravolto l’armonia, qualche volta ho modificato persino le melodie. Avevo bisogno che le canzoni suonassero diverse e nuove. Per me ma anche per chi veniva ad ascoltarmi. È un’esigenza comune a molti musicisti. Poi ho capito che, una volta realizzate, le canzoni non ci appartengono più. Sono di chi le ascolta. E chi le ascolta spesso le ama per come le ha sentite la prima volta. Ho capito che, se il pubblico le ama per quel che sono, significa che in fondo non sono poi così male...». A Trieste, solito e annunciatissimo trionfo di pubblico. Stasera si replica a Conegliano.

domani (sab 8) PATRIZIO ROVERSI AL TEATRO MIELA

«Io faccio solo da trait d’union fra la platea e i due divulgatori scientifici...», tenta di minimizzare Patrizio Roversi, che domani sarà protagonista, al Teatro Miela, nell’ambito del microfestival sulla scienza “Mi&Lab”, dello spettacolo interattivo “Il dna incontra Facebook”. Al mattino per gli studenti, la sera per il pubblico adulto. «Tutto nasce - spiega il sessantenne conduttore televisivo - dal libro omonimo del genetista Sergio Pistoi, che ha voluto sperimentare in prima persona l’affidabilità dei test genetici mandando un campione della propria saliva negli Stati Uniti. Più che uno spettacolo è una “conferenza spettacolarizzata”, che nasce dalla voglia di capire, dalla nostra umana curiosità. Offriamo alla gente pillole di complessità, tentiamo - Pistoi, Andrea Vico e io - di porre la rete in un contesto psicosociale. La gente mette il suo profilo su Facebook, cerca parenti e amici, scopre affinità...» E la sua curiosità? «Quella che mi ha portato qualche anno fa a rifare il viaggio di Darwin nell’America del Sud: ne sono venute fuori sette puntate, “Evoluti per caso, sulle tracce di Darwin”, viste su Raitre e poi su SkyUno. Oppure quella che mi ha indotto, più recentemente, a fare un giro d’Italia sui temi dell’energia». “Linea Verde”? «È uno dei programmi più longevi della televisione italiana. Abbiamo un pubblico molto ampio, a volte anche quattro milioni di persone. Parliamo di territorio, cibo, ecologia. E agricoltura, che mai come adesso può e deve essere messa al centro di un approfondimento». “Turisti per caso” e “Velisti per caso”? «Con Syusy Blady è stata una grande avventura, che non è terminata. Abbiamo messo le puntate sul sito europeo “Italia Slow Tour”, con dentro tutti i viaggi fatti in Italia negli ultimi anni e già andati in onda in televisione. Il nostro fine è quello di pubblicizzare l’Italia all’estero, sempre in collaborazione con gli enti locali». Ma il “Lupo solitario” le manca? «Certo che sì, era il 1987, si andava in onda su Italia 1. Mi dicono che quando Berlusconi ci vide, disse che “quella roba” non la voleva sulle sue reti. Ma avevamo già registrato trenta puntate, e almeno quelle andarono in onda...». Eravate in anticipo sui tempi? «Non per darci delle arie, ma in effetti sì. Venivamo dal teatro di strada a Bologna, eravamo una banda di trenta o quaranta fuori di testa. Facevamo un piccolo circo con cose un po’ dementi. Ma avevamo un pubblico affezionato. Alcuni ancor oggi mi dicono “ciao Lupo”...». “Mi&lab” prosegue fino a domenica. Info: www.miela.it

stasera (ven 7) BAGLIONI A TRIESTE

Apertura con “In cammino”, il brano del progetto “Con voi” usato a mo’ di sigla, iniziale ma anche finale, di questa tornata di concerti. Poi è subito tempo di classici: da “Notte di note” a “E tu come stai”, da “Dagli il via” a “Con tutto l’amore che posso”, da “Quante volte” a “Sono io”. E ancora “Poster, “Amore bello”, “Io me ne andrei”, “Gagarin”, “E tu”, “Porta Portese”, “Avrai”, “E adesso la pubblicità”, “Mille giorni di te e di me”, “Strada facendo”, “Sabato pomeriggio”, ovviamente “Questo piccolo grande amore”... Insomma, quello che Claudio Baglioni terrà stasera alle 21 al Palasport di Trieste non è un concerto, somiglia piuttosto - sulla base di una scaletta che ogni sera contempla pochissime variazioni - a una raccolta di grandi successi. Quasi mezzo secolo di storia della canzone italiana, ripercorsi in tre ore attraverso la poetica quotidiana e la sensibilità popolare di uno dei maggiori interpreti della nostra musica. Questa ripresa autunnale del “Con voi ReTour”, partita a metà ottobre da Bruxelles e passata da Padova pochi giorni fa, dopo la tappa triestina toccherà sabato Conegliano, e poi Brescia, Torino, Bologna, Taranto, Napoli (24 e 25 novembre) e Roma (28 novembre). «In questo tour - ha detto il sessantatreenne cantautore romano nell’intervista pubblicata la settimana scorsa su queste colonne - ho cercato di raccogliere alcuni passaggi rappresentativi del mio universo musicale e “riportarli a legno”, per ritrovare il senso autentico di quelle canzoni e cercare di ripercorrere, con chi ascolta, le tappe fondamentali di questa lunga strada fatta insieme». Sul palco c’è una sorta di cantiere. «Un messaggio semplice - spiega -: ricostruire si può, ma bisogna farlo insieme, “ConVoi”, appunto. Il cantiere è il simbolo di un luogo nel quale si lavora per costruire assieme qualcosa di grande, bello e importante per tutti. Per costruire noi stessi, innanzitutto. La prima rivoluzione è quella interiore. Se diventiamo persone migliori, la realtà migliorerà insieme a noi. E se riusciremo a “scambiarci il meglio” - dare il meglio di noi stessi agli altri e prendere il meglio che gli altri ci possono dare -, allora tutto sarà migliore. Il mondo è quel che costruiamo assieme, il futuro è una strada che si lastrica sotto i nostri piedi: se seminiamo bellezza, raccoglieremo bellezza. Il mio cantiere è qui per suggerirlo, senza retorica e senza la pretesa di dispensare verità. Diciamo: venite, rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare. Insieme ce la possiamo fare». E su questo palco-cantiere, Baglioni indossa a tratti una sorta di caschetto. «Serve a proteggerci - dice ancora l’artista - dai rischi che ci sono in ogni cantiere. Costruire è un’attività che prevede sempre qualche rischio, ma questo non ci deve spaventare, né ci deve impedire di metterci a lavorare per realizzare ciò che sentiamo di dover realizzare. Il caschetto è l’assicurazione sul futuro: ci protegge e ci fa arrivare sani e salvi alla fine. Quel che conta è ciò che troveremo. Che sarà ciò che avremo costruito insieme».

martedì 4 novembre 2014

LIGABUE ARTISTA DELL'ANNO, SUL DIZIONARIO POP ROCK 2015

È Ligabue il miglior artista dell’anno, secondo il Dizionario Pop Rock 2015 che gli dedica la copertina. La nuova edizione del volume di Enzo Gentile e Alberto Tonti arriva a sessant’anni da “Rock around the clock”, il brano di Bill Haley che tenne a battesimo il genere che ha cambiato la musica e il costume del Novecento. Fra le novità di quest’anno: gli italiani Fedez, Clementino, Club Dogo, Alessandra Amoroso, Emma Marrone e Giusy Ferreri; il cantautore belga Stromae, il chitarrista statunitense Joe Bonamassa e il leggendario Bing Crosby, “dimenticato” nelle edizioni precedenti. Ma sono in tutto centoventi le nuove entrate. Per completezza e precisione, si tratta di un’opera enciclopedica: edizione che dall’anno scorso viene ogni dodici mesi rivista e ampliata rispetto a quella del ’99 pubblicata da Baldini&Castoldi. Alcuni numeri di quest’anno: 35mila gli album commentati, 2300 gli artisti citati. Un libro (edizioni Zanichelli, prefazione di Gene Gnocchi, presentazione il 16 novembre a Milano, a Bookcity) forse non da leggere tutto in una volta ma piuttosto da consultare. Voce per voce, artista per artista, “dal vinile all’mp3”, quando se ne presenta l’occasione o la voglia. Magari cedendo al giochino del “chi c’è e chi non c’è”, o andando a confrontare i propri gusti personali con quelli dei curatori. Per quanto riguarda il “Liga”, che ha appena coronato il sogno di suonare negli States, gli autori premiano con cinque stelle il suo album “Mondovisione”. E scrivono: «Crediamo che nessuno meglio di lui possa rappresentare più efficacemente la scena “made in Italy” e funzionare da cerniera tra popolarità e qualità, esemplare testimone di una idea di canzone e di un suono che, ogni giorno di più, veicolano e raccontano la colonna sonora in latitudini e tra generazioni diverse». Voti alti anche a “Caustic love”, terzo album dell’italo-scozzese Paolo Nutini, e all’indimenticato e indimenticabile Fabrizio De Andrè con “Creuza de ma”, nel trentennale della pubblicazione. A ruota i nuovi album di Caparezza, Dente, Alessandro Mannarino e Eugenio Finardi. Fra gli stranieri: David Crosby, Damon Albarn, Sixto Rodriguez e Beck.

ADDIO AD AUGUSTO MARTELLI

Compositore e paroliere, produttore discografico e direttore d’orchestra, autore di sigle televisive e cinematografiche. Ma tanti anni fa anche compagno di Mina, per cui ha scritto diverse canzoni negli anni Settanta. Ecco, con Augusto Martelli - scomparso ieri a Milano, a settantaquattro anni, dopo una lunga malattia - se ne va un pezzo dell’Italia dei sabato sera televisivi in bianco e nero, di un tempo in cui i dischi si vendevano ancora a carrettate. Nato a Genova nel 1940 e milanese d’adozione, figlio d’arte (padre compositore, sorella soprano), viveva da tanto tempo a Carimate, in provincia di Como. Comincia a lavorare nel mondo della musica, alla casa discografica Ri-Fi, e della televisione negli anni Sessanta. Compone le musiche del film “Il dio serpente” (1970), con Nadia Cassini, tra cui il brano “Djamballà” che riscuote un grande successo internazionale. Poi le canzoni per Mina, conosciuta alla Ri-Fi: da “Ero io, eri tu, era ieri” a “Una mezza dozzina di rose”, da “So che non è così” a “Tu farai”. Mina è reduce dalla relazione con Corrado Pani, padre di suo figlio Massimiliano. In quegli anni i due diventano inseparabili, nel lavoro e nella vita privata. Per lei Martelli arrangia e dirige l’orchestra per album come “Un anno d’amore / E se domani”, “Dedicato a mio padre”... E ancora le sigle tv: Nel ’74 fonda la sua etichetta discografica, “Aguamanda”, e comincia il lavoro da produttore. Negli anni Ottanta la televisione. Portano la sua firma sigle di programmi come “Casa Vianello”, ”Il pranzo è servito”, “Telemike”, “Grand Prix”, “Ok il prezzo è giusto”, telefilm come “Dallas”, ma anche “Bim Bum Bam”, “La canzone dei puffi”, vari film d’animazione. Collabora pure con lo “Zecchino d’oro”. Ma il nostro non scrive solo per la Tigre di Cremona. Collabora infatti anche con Iva Zanicchi, Ornella Vanoni, Giorgio Gaber, Johnny Dorelli, Cristina D'Avena, Heather Parisi, Giuni Russo, persino il primo Jovanotti. Da tempo Martelli era scomparso dalle scene, un po’ per la malattia, un po’ perchè non si era mai ripreso da una vicenda giudiziaria in cui era rimasto coinvolto: un’indagine cominciata nel 2001 e conclusasi nel 2007, con la condanna da parte del tribunale di Como a 18 mesi di reclusione, pena sospesa, per detenzione di materiale pedopornografico. Lascia moglie e cinque figli. Funerali domani nella Basilica di Sant’Ambrogio, a Milano.

domenica 2 novembre 2014

GREGORY PORTER domani LUN a pordenone

Dicono che è il nuovo re del canto jazz, il poeta del soul, il futuro della musica nera. In attesa di verificarne le effettive potenzialità, Gregory Porter apre domani alle 20.45, al Teatro Verdi di Pordenone, la rassegna “Il volo del jazz”, organizzata dal Circolo Controtempo e giunta quest’anno alla decima edizione. «Mia madre Ruth - dice il musicista, classe 1971, nato a Los Angeles e cresciuto a Bakersfield, infanzia difficile - era un ministro della Chiesa Battista. Da lei ho capito l’importanza della musica nella mia vita. Le mie prime conoscenze e i primi contatti con la musica per me arrivano dalla chiesa. È stato un processo naturale, nessuno mi ha spiegato cosa fosse e cosa dovessi fare, era tutto così emozionante e profondamente legato alla nostra cultura. La musica è sempre stata una parte fondamentale della cultura afroamericana. Tutti usavano la musica per pregare e chiedere la benedizione della tavola, tutta la famiglia rispondeva cantando. Per me la musica è portatrice di cose belle, è la più grande forza positiva nella vita quotidiana dell’essere umano». Cappellaccio in stile giovane Holden e vaga somiglianza con Thelonious Monk, Gregory - già premiato ai Grammy Awards - ha una voce nera, potente, a tratti rabbiosa, ma che sa essere melodica e intimista, spaziare dal funky al soul, dal gospel al rhytm’n’blues. Ricorda: «Da ragazzo amavo molto Nat King Cole. Mi ha influenzato molto, nel suo approccio, nel suo modo di cantare con grande emozione, vicino al cuore delle cose, del testo. Lui prendeva il suo tempo e dedicava energia e passione per rendere con la voce il significato dei testi, per trasmetterne le emozioni. La sua dizione era incredibile, il suo fraseggio sorprendente». «Ma devo molto anche a Marvin Gaye, con il suo approccio alla musica unico e al tempo stesso molto jazz. Era anche un ottimo pianista. Lo ascoltavo molto quando ero al college: il suo approccio al jazz era quello che volevo avere anch’io, con gli elementi soul e la sua esperienza nel canto gospel». “Liquid spirit” è il suo terzo album. Di cui Gregory Porter dice: «L’energia è la fonte, l’origine della canzone. Per l’album e i titoli dei brani, come “Water” e “Be good”, ho avuto lo stesso approccio: ho aperto le mie braccia, il mio cervello e il mio cuore e ascoltato le mie esperienze. Basta essere aperti e cercare di scrivere le cose che vedo e sento».

GILBERTO GIL, RIVOLUZIONARIO TROPICALISTA, successo a trieste

A volte bastano una voce e una chitarra, se la voce e la chitarra sono di un signore di nome Gilberto Gil. Sale sul palco del Rossetti pochi minuti dopo le ventuno. Camicia azzurra e pantaloni blu, sorride e ringrazia il pubblico per il primo di una lunga serie di applausi. E attacca con "Palco". A guardarlo ora, capelli corti e grigi al posto dei dreadlock che aveva anni fa, è difficile pensare a lui come a un rivoluzionario. Eppure quel signore di settantadue anni, elegante e dall’espressione divertita, il cui “Solo Tour 2014” dopo la tappa di ieri a Trieste si conclude giovedì a Padova, un vero rivoluzionario è stato, in tutto e per tutto simile a quelli che in ogni tempo e luogo scendono in piazza a lottare per i diritti e la libertà. A cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, con il collega e amico fraterno Caetano Veloso, dopo essersi opposto alla dittatura che strozzava il suo Brasile con la forza delle parole, della musica e della cultura (il loro movimento si chiamava Tropicalismo, il Sessantotto carioca), fu addirittura costretto all’esilio. I due vennero in Europa, a Londra, dove la loro musica divenne più internazionale, e al ritorno in patria furono accolti come degli eroi popolari, oltre che simboli della nuova musica brasiliana. Tanti anni dopo, nel 2003, Gil fu chiamato dal presidente Lula, figlio di operai ed ex sindacalista, a fare il ministro della Cultura in un paese tornato alla democrazia. Ecco, bisogna aver ben chiare queste cose, per comprendere e godere appieno dello spettacolo. Che è un viaggio acustico, in compagnia soltanto delle sue chitarre, nella sua vicenda musicale cominciata oltre mezzo secolo fa a Salvador de Bahia e al tempo stesso nella storia meticciata della musica popolare brasiliana (che è «la musica del Brasile ma anche di tutto il mondo...», aveva detto l’artista venerdì sera, nell’incontro svolto nel piccolo e stipatissimo auditorium della Casa della musica), partendo dalle radici folk di Rio e Bahia, approdando ai primi vagiti della bossa nova, quel mix di samba e jazz che ha caratterizzato il periodo d'oro della musica brasiliana, senza ovviamente dimenticare le suggestioni “tropicaliste”. Approccio intimista e minimalista, per certi versi struggente, proprio come fra i solchi (ops, i solchi non ci sono più, nella musica liquida dei tempi digitali contemporanei...) del suo recente album “Gilbertos sambas”, omaggio al suo maestro e anche lui gran rivoluzionario João Gilberto (l’ambivalente titolo è il nome dell’uno ma anche il cognome dell’altro...). Che ripropone dal vivo, assieme ai classici di una carriera da incornicare, in questo tour nato come un viaggio con la moglie Flora (presente in sala, cui dedica la canzone omonima) nella bellezza e nella cultura di alcune città europee. Grande e carismatica presenza scenica, padronanza assoluta delle proprie meravigliose corde vocali, tecnica chitarristica consolidata. «Ascoltare Gil che suona João – non a caso scrive nelle note di copertina del disco Caetano Veloso – significa entrare in contatto con l’avventura stessa della nostra musica e della nostra vita». Autorevole notazione confermata anche dal vivo. A Trieste canta “Aos pés da cruz” e “Aquele abraco", la messicana "Tres palavras" e "Desafinado", "Io che non vivo" di Pino Donaggio e "No woman no cry" di Bob Marley, in una scaletta molto ricca. Accoglienza trionfale, con tanti brasiliani (bravissimi nei cori...) in platea: atmosfera rilassata e festosa ma al tempo stesso intrisa di quella "saudade" senza la quale il Brasile non è Brasile. Perlomeno a migliaia di chilometri da casa.

TRIESTINI ALLA SANREMO DI NYC

Triestini al Festival della canzone italiana di New York. Una sorta di “Sanremo a stelle e strisce”, che all’ombra della Grande mela attira da anni (questa è la settima edizione) l’attenzione degli italoamericani ma non solo. E che quest’anno ha visto partecipare alcuni artisti triestini e regionali. Al “Crist the King Center Theatre”, nel Queens, davanti alle telecamere di Rai International, ma trasmessi anche da Icn Radio, sono infatti sfilati i triestini David Sion e Luca Forza con “Darling” (un brano ironico con alcune parole anche in dialetto triestino, video su YouTube), Tania Polla (nata a Trieste ma residente da anni da New York) con “Tempesta”, il comico friulano Andrea Sambucco, quello di “Zelig”, nella parte di “Ruggero dei Timidi” con la canzone “Torna”. Dietro le quinte, altri due triestini: il produttore Lorenzo Gavinelli (attivo con l’etichetta indipendente Moon Beat, originariamente nata a Trieste ma poi trapiantata a New York) e Ricky Russo, dj e collaboratore anche del “Piccolo”, da qualche tempo approdato oltreoceano. «Al festival - conferma Ricky Russo, che a New York collabora fra l’altro a una radio che si rivolge alla comunità italoamericana - ho dato un contributo per le selezioni dei partecipanti e degli ospiti. Oltre ai triestini ho portato Frankie Hi Nrg: la sua canzone “Pedala” è stata anche la sigla d’apertura del festival...». Patty Pravo e Massimo Di Cataldo sono stati altri due ospiti di questa settima edizione della rassegna, vinta per inciso da Silvia Cecchetti, la corista di Andrea Bocelli che vanta una partecipazione al Sanremo Giovani 1994. Ma torniamo alla pattuglia triestina. Luca Forza è un cantautore: in questi anni ha inciso due singoli con l’etichetta discografica “Bluetatoomusic”, ha partecipato all’Accademia di Sanremo con il duo “Istinto”, ha fatto da supporter a una tappa estiva del tour Max Gazzè. David Sion, triestino di origini australiane, è attivo da molti anni sulla scena musicale cittadina ma anche nazionale, avendo suonato fra gli altri con Lucio Dalla, Ron, Afrika Bambaataa, Jovanotti, Albertino, Sabrina Salerno, Mike Francis... «Attualmente abbiamo dato un nostro brano a Silvia Cecchetti e abbiamo appena proposto una nostra canzone a Patty Pravo, ospite al festival newyorkese», dice Luca Forza, che con David Sion è anche protagonista di una “produzione ironica” sul web. Il Festival della canzone italiana di New York - che a febbraio sarà ospite a Sanremo - è organizzato dall’Associazione culturale italiana di New York. Molto sentito dagli italiani residenti nella Grande mela, rappresenta da sette anni un veicolo per la promozione della canzone italiana e l’interscambio culturale fra Stati Uniti e Italia. Attualmente è la più importante manifestazione canora, di matrice italiana, che si svolge fuori dall’Italia.