giovedì 28 luglio 2011

LUIGI MAIERON


Vive fra i monti e le valli della sua Carnia. Dice che non potrebbe stare altrove. Di certo non in città. «La natura per me è importantissima, il silenzio è fondamentale: solo quando sei circondato da boschi e montagne percepisci fino in fondo l’alternarsi della stagioni...».

Si chiama Luigi Maieron, lavora nella cancelleria del tribunale di Tolmezzo («ma ho lavorato anche nei tribunali di Gemona, Pontebba e per un anno, nel ’79, al Tribunale dei minori di Trieste»), ma la sua passione è la musica. Ha appena pubblicato “Vino tabacco cielo” (Universal), il suo quarto album: il primo distribuito e promosso a livello nazionale.

Gigi fa musica da sempre. «Ho debuttato a undici anni, con mia madre fisarmonicista e mio nonno contrabbassista. Famiglia di musicisti. Allora, negli anni Cinquanta e Sessanta, si suonava dappertutto, nelle case, alle feste, dove capitava. Mio nonno era il classico vecchio musicante che girava per i paesini della Carnia, mia mamma - che mi ha avuto a quindici anni - era abbastanza nota in zona, la chiamavano Cecilia Folk. Con lei ho suonato per tanti anni. Coi Fogolars Furlans siamo anche andati un po’ in giro per l’Europa».

Da ragazzo ascolta i complessi beat, poi scopre i cantautori e il rock. Il suo primo album esce nel ’98, quando ha già passato i quaranta. «Perchè credo che far musica - spiega - non significhi necessariamente cercare i titoli sui giornali. Ho sempre avuto una gran passione ma un altrettanto grande pudore. Scrivevo le mie canzoni ma non mi sentivo pronto, non mi sembravano all’altezza di essere pubblicate. La canzone è come una grappa, va distillata bene, oltre alle frasi devi metterci anche i profumi, le assonanze. Nel ’96 ho preso la decisione, e ci ho messo due anni per ultimare il mio primo album, uscito solo a livello regionale».

Artigiano della musica, un giorno conosce Massimo Bubola («casualmente, nella redazione del Messaggero Veneto e poi a un suo concerto a Tarvisio...»), che ascolta le sue canzoni e decide di produrre il suo secondo disco. Siamo nel 2002, la Carnia è sempre casa ma comincia a star stretta, musicalmente parlando. Arrivano le segnalazioni al Premio Tenco, quelle di Gianni Mura su Repubblica, le cose cominciano a mettersi in moto. Fino a questo nuovo album.

«Diciamo che voglio mantenere quella certa profondità che il cantaurato pretende, ma nel contempo salire un po’ più in superficie, per entrare in contatto con più gente. Finora era come una corsa a ostacoli: chi voleva sentire le mie canzoni doveva andarle a cercare, e non è detto che le trovasse. Ora, con questo disco, le cose potrebbero cambiare».

Senza però abbandonare le vecchie regole. «Continuo ad alternare le canzoni in friulano a quelle in italiano, anche se in questo album sono di più le seconde. Il mio non è friulanismo, cantare in dialetto per me non è chiusura. Amo tutta la mia regione e mi sento profondamente italiano. Recentemente è stato per me un grande onore cantare a Torino, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Uso la lingua della quotidianità, delle piccole cose, ma sono convinto che il mio friulano riesca a farsi ascoltare anche oltre i confini della nostra regione».

Se n’è accorto un altro grande “dialettale”, Davide Van De Sfroos, amico ed estimatore di Maieron. «Nel suo ultimo album, lanciato dalla partecipazione a Sanremo, mi ha chiamato per cantare un ritornello in friulano nel brano “Dove non basta il mare”: una canzone che parla di migrazioni, di abbandono della propria terra. E l’altra sera, nel suo concerto in piazza a Udine, mi ha voluto di nuovo sul palco con lui...».

NO BORDERS MUSIC FESTIVAL


Poi dicono che a Trieste i concerti grossi non arrivano perchè la città è decentrata, difficile da raggiungere, fuori dai soliti giri.

E Tarvisio, allora? Sarà forse facile arrivare nella cittadina in provincia di Udine, a due passi dal confine con l'Austria e da quello con la Slovenia?

Eppure, "lassù fra le montagne", grazie al No Borders Music Festival, giunto alla sedicesima edizione, arrivano ogni estate a suonare le star più importanti della musica internazionale.

Anche quest’anno non si scherza. Stasera unica data italiana per Joe Satriani. Domani tocca a Ben Harper. Sabato Milow e Kaki King (questi concerti si terranno alle 21 in piazza Unità). Domenica ci si sposta sull'Altipiano del Montasio, dove alle 14.30 è in programma un concerto di Roberto Vecchioni.

Gran finale domenica 7 agosto, sempre alle 14.30, al Lago superiore di Fusine con un concerto di piano solo di Giovanni Allevi (tutti i concerti, in caso di maltempo, si terranno alle 21.15 al palasport di Tarvisio).

Ma vediamo nel dettaglio questi protagonisti, che vanno ad aggiungersi ai tanti nomi di prima grandezza che hanno animato la rassegna nelle passate edizioni. Gente come Pat Metheny, Caetano Veloso, Gotan Project, Kings of Convenience, Mario Biondi l'anno scorso; Goran Bregovic, Lenny Kravitz, Paolo Conte, Vinicio Capossela nel 2009; Ludovico Einaudi, Stefano Bollani, Jovanotti, Sinéad O’Connor nel 2008; Amos Lee, Bjork, Negramaro, Pino Daniele nel 2007...

Come dicevamo, si parte stasera con Joe Satriani. Classe '56, statunitense di origini italiane (nonni paterni di Piacenza, materni di Bari), è considerato uno dei più talentuosi chitarristi della scena internazionale. Nella sua carriera ha avuto collaborazioni di altissimo livello, da Mick Jagger ai Deep Purple. Due anni fa è stato protagonista dei Chickenfoot, supergruppo con Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers e due dei Van Halen. L'anno scorso ha pubblicato l'album “Black swans and wormhole wizards”.

“Give till it's gone” è invece il nuovo disco di Ben Harper, cantante e chitarrista californiano che arriva domani a Tarvisio per una delle quattro date italiane del suo attuale tour europeo. Si tratta del suo decimo lavoro in studio, il primo solista dopo “Both sides of the gun”, pubblicato nel 2006. E' stato registrato al Los Angeles Studio di Jackson Browne, che ha anche collaborato con lui nel brano “Pray that our love sees the dawn”. Nell'album sono comprese anche due canzoni scritte con Ringo Starr: “Spilling faith” e “Get there from here”.

Siamo a Milow - atteso sabato -, un cantautore belga, ventisei anni, che ha un grande successo in Austria e Germania. La sua “You don't know” e “Ayo technology” (cover acustica del brano di 50 Cent e Justin Timberlake) hanno scalato nelle ultime stagioni le classifiche europee e questo tour “From north to south” sta registrando diversi “tutto esaurito”.

Sempre sabato arriva Kaki King, americana di Atlanta, che ha debuttato nel 2003 con l'album “Everybody loves you”; ha aperto i concerti di Marianne Faithfull, David Byrne e molti altri; ha collaborato con i Foo Fighters per il loro album “Echoes, silence, patience & grace”. Nel 2007 l’artista ha collaborato inoltre alle musiche del film “Into the wild”, di Sean Penn.

Per quanto riguarda Vecchioni e Allevi, il cantautore milanese torna in regione nell'ambito del tour di successo seguito alla vittoria all'ultimo Sanremo (a fine giugno è stato anche a Trieste, al Verdi, nella serata “I nostri angeli”), mentre il pianista marchigiano è in giro per l'Italia e il mondo con il suo "Alien Tour", che ha fatto tappa proprio ieri sera a Trieste.

Prevendite nel circuito di Azalea Promotion e sui siti Box Office e Ticket One.

martedì 26 luglio 2011

ALLEVI


«Il mondo della musica classica oggi è completamente proiettato verso il passato. Non tollera un uso contemporaneo delle forme classiche. Per questo sono stato oggetto di pesanti attacchi: perchè ho fatto crollare un castello. E l’idea che la cultura sia solo culto del passato».

Parole di Giovanni Allevi, che stasera alle 21.30 propone un concerto di piano solo a Trieste, al Castello di San Giusto (mentre il 7 agosto alle 14.30 sarà al Lago di Fusine, per No Borders Music Festival). Lui è quello che ha trasformato le sue esibizioni, in Italia e all’estero, in concerti rock. Quello che da ragazzo non esitò a travestirsi da cameriere per avvicinare Riccardo Muti alla cena di apertura della Scala per dargli un suo cd (poi ritrovato con gran delusione, a fine serata, dimenticato dal maestro su una sedia...). Quello che, dopo essere diventato una star, si è attirato gli strali di Uto Ughi, che in un’intervista ha definito lui “un nano” e le sue composizioni “musicalmente risibili”.

«Ma a me non interessa rispondere alle polemiche - dice il musicista, classe ’69, diploma in Conservatorio e laurea in filosofia - né difendermi dalle critiche che mi sono piovute addosso dal mondo accademico. Pochissimi mi hanno difeso, perchè ho avuto solo il torto di dire ancora una volta che il re è nudo».

Ci spieghi.

«Io sono un fan del presente, della contemporaneità. La nostra epoca ha necessità della sua musica classica, di un decentramento culturale. Invece assistiamo alle battaglie perse di questi tradizionalisti arroccati sul passato, che non sanno guardare in faccia e interpretare la realtà».

Lei, invece...

«Io credo nel nostro tempo. Voglio avere la libertà di usare le forme classiche inserendo contenuti presi a prestito dal mondo contemporaneo. Forme classiche e contenuti pop, insomma, perchè è sempre stato così: anche in passato Beethoven, Chopin, Bartok facevano ricorso a echi della tradizione popolare, rielaborandoli in architetture colte come la sinfonia, la sonata, la toccata».

Perchè gli attacchi?

«Forse perchè ho toccato piccole o grandi rendite di posizione. O perchè questi signori credono di avere la verità in tasca, e che non si possa mischiare passato e presente. O perchè secondo loro non si può fare...».

All’estero va meglio?

«Quasi ovunque la situazione è uguale. Anche se in paesi come la Cina e il Giappone, non esistendo una grande tradizione musicale, l’idea di vivere il presente anche attraverso la musica è accettata con maggiore facilità».

Perchè il nuovo album s’intitola “Alien”?

«Perchè è nato lontano dalle richieste del mercato, dalle esigenze discografiche. E vicino a tutte le persone che vogliono vedere oltre la realtà che ci raccontano, oltre quell’universo sconsiderato e infelice che sembra crollarci addosso. Solo con gli occhi della musica si riesce a svelare la realtà, a “vedere oltre”. Il mio è un disco carico di energia, di appassionata vitalità, denso e impetuoso com’è la vita che dobbiamo riprenderci».

E chi sono, oggi in Italia, gli alieni?

«Gli alieni siamo noi che con la nostra sensibilità cerchiamo lampi di poesia tra le pieghe dell’esistenza quotidiana. Rifiutando l’omologazione, affermiamo la nostra unicità, facendo della vita un’opera d’arte. Ma sono anche tutti quelli che incontro dopo i miei concerti e hanno la vivacità negli occhi. Quelli che sanno mantenere l’incanto, la passione, lo stupore, la capacità di lasciarsi andare alla poesia».

Sul fronte opposto?

«Chi ragiona per pregiudizi, chi ha una visione catastrofica del mondo e della vita, chi sottovaluta la forza della passione. La passione che ci serve per guardare all’essenza delle cose, per imparare a riconoscere chi ci è intorno come qualcuno di speciale, per imparare a osservare il mondo senza dare nulla per scontato».

I giovani?

«Hanno la mente più sgombra. Sono affascinati dall’incontro fra forme classiche e contenuti più vicini alla loro sensibilità, al loro vissuto, alle loro storie. La mia scommessa è stata quella di proporre loro musica classica contemporanea. E loro hanno risposto positivamente».

E a loro cosa consiglia?

«Di seguire sempre e comunque i propri sogni, senza pensare di dover ottenere a tutti i costi chissà cosa. La bellezza sta nell’essere in cammino verso la realizzazione dei propri sogni. Ai miei concerti incontro spesso tanti giovani che sono più sognatori e idealisti di quanto non lo fossi io alla loro età».

Come le ha cambiato la vita il successo?

«Molto e in meglio. Ma a me il successo in quanto tale interessa fino a un certo punto. Per me è sempre stato importante scrivere musica. Rimane un fatto per tanti versi misterioso se questa mia musica, nel suo percorso, a un certo punto incontra l’interesse e il favore di uno spettatore. I concerti, le tournè sono importanti. Ma io resto legato soprattutto al momento creativo del fatto musicale».

Dicono che abbia contribuito persino al “rilancio” del pianoforte.

«Prima di me, anche Ludovico Einaudi ha riportato l’attenzione su questo strumento, che è tornato a essere molto richiesto nei corsi al Conservatorio. A me piace ricordare di aver in qualche modo rilanciato anche l’accoppiata fra pianofore e orchestra sinfonica. Da questo punto di vista, non dimenticherò mai il concerto che ho tenuto il primo settembre di due anni fa all’Arena di Verona...».

Dunque la rivedremo presto con l’orchestra?

«Certo, sicuramente dal vivo e forse anche nel prossimo disco. Non so ancora quando arriverà, anche perchè io non ragiono in termini di “obblighi discografici”. Prima conta quello che scrivo, il resto può aspettare. Amo scrivere e suonare in totale libertà. Non sopporto di dover fare un concerto uguale al disco. E non mi sento vincolato dall’idea di dover piacere a tutti e a tutti i costi, nè di dover rispondere alle aspettative della critica».

Questo tour è partito dalla California.

«Sì, sono stati concerti molto belli. Dopo questi concerti estivi in Italia, suonerò in altri paesi europei ma entro fine anno tengo molto al mio ritorno in Giappone. Le tappe del tour in quello splendido e sfortunato paese sono state rinviate a causa della tragedia del terremoto, ma non vedo l’ora di tornare laggiù. Dove c’è molta attenzione per la musica classica contemporanea».

lunedì 25 luglio 2011

ALESSANDRA AMOROSO


Da bambina voleva fare la suora, invece è diventata una piccola grande popstar. Alessandra Amoroso torna stasera a Trieste, per un concerto al Castello di San Giusto che avrà inizio alle 21.30, nell’ambito dell’appendice estiva del suo “Il mondo in un secondo tour” cominciata il 9 luglio da Vigevano e che andrà avanti fino a settembre inoltrato.

«Sono molto credente - spiega la cantante leccese, che compirà 25 anni il 12 agosto - e da bambina, verso i sette/otto anni, mi era venuta questa cosa che volevo diventare suora. Una scelta che per me significava voler aiutare le persone. Alle elementari avevo una compagna che soffriva di un handicap. In classe lei aveva l’insegnante di sostegno, ma cercava sempre me.

«Eravamo molto legate. Andavo tutti i giorni a casa sua per aiutarla a fare i compiti. E quindi dentro di me era nata la volontà di dedicarmi completamente ad aiutare il prossimo».

Poi ha cambiato idea.

«Sì, ho capito che non era una vita per me. Diciamo che quando ho visto il film “Sister act”, quello con Whoopi Goldberg che mette su un gruppo gospel in convento, mi sono convinta - al di là della finzione cinematografica - che si può fare del bene alle persone in tanti modi, a volte anche con la musica. Rimane il fatto che fare bene a qualcuno mi fa star bene».

Non vorrei sembrar sacrilego, ma per lei la Madonna ha le fattezze di Maria De Filippi...

(ride) «Questo no, ma è vero che io a Maria devo tutto. Ho provato a fare le selezioni di “Amici” la prima volta quando avevo diciassette anni, mi presentai con mia madre, non mi presero. Andò molto meglio tre anni fa, quando poi vinsi l’edizione 2008/2009. Con Maria si è stabilito subito un ottimo feeling, mi ricordo che all’inizio la guardavo e restavo a bocca aperta. Siamo rimasti in contatto, ci sentiamo spesso, trovo che sia davvero molto brava».

Cos’è cambiato in questi due anni?

«Tutto e niente. La mia vita è cambiata completamente, quando siamo in tour sono ogni giorno in una città diversa, ho uno splendido rapporto con il mio pubblico. Non è cambiato niente nel senso che mi considero sempre la ragazza che ero, appassionata di musica e felice di poter fare questo mestiere».

Da tre anni, con due vittorie e un secondo posto. “Amici” ha lanciato un’opa sul podio di Sanremo. Quando arriva il suo turno?

«Se arriva sono contenta, altrimenti va bene lo stesso. Il Festival è sempre una grande opportunità. L’ho già sperimentato non come concorrente ma come ospite, quando ho duettato con Valerio Scanu. Quindi sono assolutamente aperta al futuro, a quel che sarà».

Amy Winehouse?

«La sua vicenda mi ha molto colpita. Ero una sua fan, nella gara di “Amici” avevo anche presentato sue canzoni. Buttarsi via in quella maniera è una cosa che non tollero, è mille miglia lontano dalla mia concezione della vita. Non è solo il fatto che arrivo da un ambiente completamente diverso da quello in cui lei ha vissuto la sua breve vita. E’ che trovo incredibile avere tutto e volere sempre altro, senza godere del presente».

Prossimo disco?

«Sta andando ancora molto bene. Diciamo che c’è tempo. Ora penso al tour...».

domenica 24 luglio 2011

8.o TRIESTE SUMMER ROCK FESTIVAL


Si comincia giovedì con i Caravan, gruppo storico del progressive inglese. Si prosegue sabato con gli Arti & Mestieri (assieme ai due ex King Crimson Mel Collins e David Cross) e i giapponesi Fantasmagoria. Domenica è la volta dell’Omaggio a Battisti (vedova permettendo...), con Alberto Fortis e Andrea Mirò. Finale martedì 2 agosto, con il “Tribute to Pink Floyd” dei triestini Pinkover.

E’ il programma dell’ottava edizione del Trieste Summer Rock Festival, che verrà presentata mercoledì. Quest’anno la rassegna trasloca al Castello di San Giusto e si regala una serata in più rispetto alle ultime edizioni. «Anche stavolta - sottolinea Davide Casali, patron della manifestazione con la sua Associazione Musica Libera - abbiamo fatto miracoli, visto il budget ridottissimo. Ma ce l’abbiamo fatta, con l’aiuto degli amici di sempre, riuscendo a regalare (stavolta è il caso di dirlo, visto che la rassegna è da sempre a ingresso gratuito - ndr) una serata in più agli appassionati. Ormai da dieci anni portiamo a Trieste i grandi nomi del rock degli anni Settanta, attirando appassionati che arrivano anche da lontano».

Se l’edizione dell’anno scorso aveva brillato per le performance di Steve Hackett, Grandmothers of Invention e Focus, anche quest’anno i nomi sono all’altezza della situazione e della tradizione.

Gli inglesi Caravan, scelti per la serata di apertura, sono attivi da oltre quarant’anni, da quando cioè furono protagonisti, assieme a Robert Wyatt, Soft Machine, Hatfield and the north e tanti altri, di quella corrente di pop progressive che passò alla storia della musica come la Scuola di Canterbury. Arrivano a Trieste - unica tappa italiana del tour - in un periodo di rinnovata attività dal vivo, sulla scia della ristampa celebrativa di “In the land of grey and pink”, il loro disco forse più importante, pubblicato nel ’71. E si presentano in un sestetto guidato dai fondatori Pye Hastings e Richard Coughlan, con l’aggiunta di Geoffrey Richardson, Jan Schelhaas, Jim Leverton e Mark Walker.

Sempre nella serata di giovedì, il giovane musicista triestino Luigi De Santi (classe ’85) presenterà dal vivo il suo primo album “Dejavu”: un lavoro di pop progressive che ha già ben impressionato gli appassionati del genere.

Sabato apertura con la band giapponese Fantasmagoria, guidata dalla violinista Miki Fujimoto, reduce dai successi del Poseidon Fall Festival di Tokyo, con cui la rassegna triestina ha sviluppato un’interessante collaborazione. Si prosegue con il jazz-rock mediterraneo degli Arti & Mestieri, il gruppo di Beppe Crovella e Furio Chirico molto attivo negli anni Settanta (alcuni ricorderanno il loro album “Tilt”). Con loro, due ospiti d’eccezione: il fiatista Mel Collins e il violinista David Cross, che sono stati in tempi diversi (’70-’72 il primo, ’72-’74 il secondo) nei leggendari King Crimson.

Due tributi per concludere. Domenica a Lucio Battisti: Alberto Fortis e Andrea Mirò proporranno il loro spettacolo “Ci ritorni in mente”. Sempre che la vedova del compianto artista con scateni i suoi legali, come fa sempre - e spesso con successo - quando qualcuno si azzarda a ricordare la grande arte del marito senza il suo permesso, che comunque non arriva mai. E martedì tributo ai Pink Floyd, i cui classici verranno rivisitati dal gruppo triestino dei Pinkover: da “The dark side of the moon” a “Animals”, passando ovviamente per “The wall”.

sabato 23 luglio 2011

AMY WINEHOUSE +




LONDRA

La cantante inglese Amy Winehouse è stata trovata morta nel suo appartamento londinese a Camden Square. Aveva 27 anni. Era stata lungamente in cura per droga e alcol. Secondo notizie rimbalzate su Twitter, sarebbe rimasta vittima di un'overdose. La polizia: «Circostanze da chiarire».



di CARLO MUSCATELLO

Amy non ce l’ha fatta. E il suo nome va ad aggiungersi alla lunga, luttuosa lista di protagonisti del mondo del rock che hanno perso la propria personale battaglia contro le dipendenze da droga e/o alcol.

Amy come quarant’anni fa Janis Joplin, e Jimi Hendrix, e Jim Morrison. Tutti accomunati dalla stessa giovane età, ventisette anni, e dallo stesso destino: il successo, la fragilità, le sostanze, l’incapacità di venirne fuori - come pure tanti protagonisti musicali in questi decenni sono riusciti a fare - e infine la caduta.

Era nata a Enfield, nel Middlesex inglese, il 14 settembre ’83. Famiglia ebraica, padre di origine russa. Si avvicina alla musica già da bambina: a dieci anni fonda un gruppo rap, a sedici è già professionista, a venti esce il primo album, “Frank”. La sua splendida voce nera viene paragonata a quelle di Sarah Vaughan e Macy Gray. Il disco ha successo. Ma il botto arriva nel 2006, con l’album “Back to back” e il singolo apripista “Rehab”. Che sta per “riabilitazione” e parla già del suo rifiuto di disintossicarsi dall'alcol e dalla droga. Il problema dunque ha radici lontane.

Droga o non droga, nel 2008 la cantante vince cinque Grammy Award. E’ la consacrazione. Ma nel frattempo i giornali inglesi scrivono di una donna “clinicamente affetta da psicosi maniaco-depressiva che rifiuta le cure”. Lei ammette di aver sofferto di disordini alimentari: un po' di anoressia, un po' di bulimia. «Non sono del tutto a posto - dice - ma credo che nessuna donna lo sia». Le cose sono un po’ più complicate.

Le cronache di questi anni sono un susseguirsi di incidenti, apparizioni in pubblico in stato confusionale, episodi di molestie, esibizioni interrotte, intossicazioni, ricoveri in clinica, ricadute, promesse con le gambe corte. Dichiara: «Mi diverto molto certe notti, ma poi esagero e rovino la serata col mio ragazzo. Sono veramente un'ubriacona...».

Viene arrestata in Norvegia, e subito rilasciata dietro pagamento di una cauzione, per possesso di marijuana. Su Youtube appare in un video mentre fuma crack e ammette di avere preso “sei valium per calmarsi”. Ma ciò non le impedisce di incantare, nel giugno 2008, il pubblico londinese accorso ad Hyde Park per il concertone in onore dei novant’anni di Nelson Mandela.

Dicevano che la sua ultima cura per disintossicarsi dall’alcol avesse avuto successo. Ma un mese fa, il 18 giugno, al concerto di apertura del suo tour europeo, a Belgrado, i ventimila accorsi ai piedi della fortezza Kalemegdan per applaudirla si sono trovati dinanzi, dopo un’ora di attesa, una donna ubriaca assolutamente non in grado di reggersi in piedi né di connettere, figuriamoci di tenere un concerto rock. E l’hanno sonoramente fischiata.

Tempo un paio di giorni, l’annuncio ufficiale: tour annullato. Compresa ovviamente l’unica data italiana prevista, il 16 luglio al Summer Festival di Lucca. La Rete intanto rilancia le impietose immagini di Belgrado.

Il resto è storia di ieri. Secondo il Sunday Mirror, Amy Winehouse sarebbe morta a causa di un cocktail di farmaci e droghe. E i suoi amici negli ultimi tempi avevano più volte espresso il timore in merito al suo “consumo di vodka, totalmente fuori controllo”.

Ricordiamola come la grande interprete che era. Un talento raro, spazzato via da una deriva autodistruttiva che doveva e forse poteva essere fermata.

BATTIATO


Ventuno e quarantotto di ieri, serata fresca in piazza Unità. Franco Battiato ha l'aplomb di un professore universitario. E invece è anche una popstar. Come dimostra l'accoglienza che gli riservano i tremila davanti al palco.

Un concerto qui, dove qualche anno fa ha partecipato a una serata de "I nostri angeli", gli mancava. Sì, perchè in quasi quarant’anni di frequentazioni triestine il musicista siciliano ha suonato quasi dappertutto: nel vecchio manicomio di San Giovanni e al Rossetti, a San Giusto e nel defunto Stadio Grezar. Una volta persino in piazza Goldoni, alla partenza di una marcia antimilitarista organizzata dai radicali negli anni Settanta, con una rudimentale amplificazione formata da un paio di megafoni montati sul tetto di un’auto.

Altri tempi. E tutti momenti diversi di una carriera straordinaria, che lo ha imposto come uno degli artisti più intelligenti e originali della nostra scena.

Questo tour, partito la settimana scorsa da Roma, porta il titolo di un vecchio classico, “Up patriots to arms!”, che stava nel disco “Patriots”, del 1980. E il vecchio invito ad arruolarsi nell’esercito inglese letto su un muro di Manchester che aveva ispirato quel brano è sempre d’attualità, come esortazione a svegliarsi dal torpore, a scuotersi dall’apatia, a riprendere in mano - con armi metaforiche - i destini del paese.

Concerto abbastanza rock, aperto a sorpresa dalla brava Nathalie di "X Factor". Il sessantaseienne musicista siciliano stavolta lascia i tappeti nella residenza alle pendici dell’Etna e si presenta in scena in piedi, con band e quartetto d’archi.

La scaletta pesca nella produzione degli ultimi trent’anni, prediligendo i brani che lo soddisfano in questo periodo (“un distillato della mia musica”, ha detto), e dunque senza nessuna concessione a logiche di promozione discografica.

Oltre al brano che dà il titolo al tour e apre la serata, riascoltiamo classici e brani meno noti al grande pubblico: da “Auto da fè” a “No time no space”, da “Un’altra vita” a “Shock in my town” a “Gli uccelli" e "Segnali di vita”.

Ma la cifra civile e stilistica sta soprattutto in due canzoni. Vent’anni fa, alla vigilia di Mani pulite, Battiato cantò “Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos'è il pudore...”. E ancora: “Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni, questo paese è devastato dal dolore”.

Oggi, in un periodo simile a quella stagione, il nostro non rinuncia al ruolo di pacato fustigatore del potere. E in "Inneres auge" canta: “Che male c'è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare servitori dello stato? Non ci siamo capiti: e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti? Che cosa possono le leggi dove regna soltanto il denaro? La giustizia non è altro che una pubblica merce...”. Applausi.

Scriviamo a concerto ancora in corso. Ma il programma prevede altri classici come “Prospettiva Nevsky” e “La cura”, “I treni di Tozeur” e “La stagione dell’amore”, “L’era del cinghiale bianco” e “Voglio vederti danzare”, “Summer on a solitary beach” e "E ti vengo a cercare". Tutte perle senza tempo, di una bellezza purissima. Quasi battiatesca.

martedì 19 luglio 2011

JIM MORRISON 40


«This is the end, my friend...». Un verso ascoltato milioni di volte, che ci riporta all'epopea di Jim Morrison e dei suoi Doors. Già, c'è anche lui, fra i protagonisti belli e dannati che hanno lasciato anzitempo la scena del rock e della vita. Giusto quarant'anni fa, fra il '70 e il '71. Macabramente accomunati da un paio di elementi: avere il nome che cominciava per J ed essere morti tutti a ventisette anni, nel pieno di un furore creativo che, unito alla morte in giovane età, li ha subito trasformati in mito.

Jimi Hendrix e Janis Joplin li abbiamo ricordati nell'autunno scorso. Ora tocca al fascinoso e carismatico leader e cantante dei Doors, scomparso il 3 luglio del '71. Erano anni particolari. Woodstock aveva da poco chiuso i battenti, calando forse inconsapevolmente il sipario anche sul sogno di una "nazione alternativa", di un mondo diverso e migliore. Dell'illusione che attraverso la musica si potesse anche cambiarlo, quel mondo.

James Douglas Morrison, per tutti Jim Morrison, fu trovato morto nella sua stanza d'albergo parigina. E nella capitale francese fu sepolto, al cimitero monumentale di Père Lachaise, da allora meta di un pellegrinaggio di fan vecchi e nuovi, che in tutti questi anni non si è mai interrotto.

Riposa accanto a Oscar Wilde, Balzac, Chopin, Proust, Victor Hugo. Ma la tomba più visitata, la lapide sempre coperta di fiori e di bigliettini è sempre la sua. Quella del ragazzo nato in Florida nel 1943, da Clara Clark e George Steve Morrison, ammiraglio della Marina degli Stati Uniti.

Lui è stato uno che ha bruciato la vita troppo in fretta. In una biografia c'era scritto che da bambino subì degli abusi sessuali che ne avrebbero condizionato la personalità. Bello, efebico e per tanti versi maledetto. Secondo la versione ufficiale fu trovato cadavere nel bagno dell'appartamento di Rue Beautrellis, nel quartiere parigino di Marais, dopo una serata di alcol e sregolatezze al Rock'n'Roll Circus, club alla moda.

Viveva nella capitale francese da quattro mesi con la sua compagna, Pamela Carson. Non ne poteva più della California e anche nei Doors, la band intellettuale e underground fondata nel '65 nella vitalissima Los Angeles (il nome era stato ispirato a The doors of perception di Aldous Huxley) che gli aveva regalato fama e ricchezza.

Ripeteva spesso che «il rock è morto». Voleva vivere soltanto di poesia. La sua vera passione era la scrittura: lasciò oltre pagine e pagine di versi, aneddoti, epigrammi, saggi, racconti, soggetti, sceneggiature. Influenzato da Rimbaud e Baudelaire, da Celine e Nietzsche, da William Blake e dai poeti della Beat Generation.

Pare che la sera prima di morire Morrison andò nel Quartiere Latino per comprare dell'eroina per la sua donna (che sarebbe poi morta di overdose nel '74). Lui pare che non si drogasse: preferiva l'alcol.

Ma chissà com'è andata veramente. Il medico legale non riscontrò nulla di sospetto. Non venne fatta autopsia. La sepoltura fu autorizzata dopo una breve inchiesta senza esito. Il certificato medico parlò genericamente di morte naturale per arresto cardiaco. Una vaghezza per alcuni sospetta, che ha alimentato varie congetture, persino quella di un fantomatico piano dell'Fbi per eliminare un simbolo della contestazione alla guerra in Vietnam.

Fantasie, con ogni probabilità, anche se sulla morte non è mai stata fatta chiarezza e molti hanno addirittura creduto a una messinscena dell'artista per liberarsi dal fardello della popolarità e cominciare una nuova esistenza.

Capita spesso che la morte da giovane trasformi un artista in mito. Nel caso di Jim Morrison da tanti anni assistiamo forse a qualcosa di più. È diventato un punto di riferimento anche per ragazzi nati quando lui era morto già da un pezzo. Affascinati da quel poeta diventato cantante rock quasi per caso, che quando saliva in scena andava in trance, che fu arrestato per atti osceni, che dava scandalo dichiarando di voler fottere la madre e uccidere il padre.

Definito "il poeta del sesso e della morte", soprannominato "il re lucertola", Jim Morrison aveva studiato cinematografia alla Ucla di Los Angeles, dove ebbe come compagno di studi Francis Ford Coppola. Che quando nel '79 girò Apocalipse now, gli rese omaggio a modo suo, inserendo nella colonna sonora del film il brano dei Doors "The end". This is the end, my friend... Appunto.

DISCHI - CAROLE KING e JAMES TAYLOR + jovanotti


Carole King e James Taylor , com’eravamo. E come siamo. Due nomi incisi a caratteri indelebili nella storia del pop statunitense. Nomi legati soprattutto a una canzone, “You’ve got a friend”, scritta da lei (dicono per lui) e poi interpretata da entrambi, separatamente, anche se la versione più popolare è rimasta quella firmata da lui. Tempo fa i due si sono ritrovati sul palco del Troubadour sul Santa Monica Boulevard a West Hollywood, Los Angeles, a celebrare il mezzo secolo del locale (che vide nascere artisti come Jackson Browne, David Crosby, Randy Newman, Joni Mitchell, Neil Young...) ma anche i quarant’anni passati dal loro incontro, su quel palcoscenico. Ne sono venuti fuori il “Troubadour Reunion Tour”, che ha girato gli Stati Uniti, ma anche due dischi: “Live at The Troubadour” e “Troubadours” (entrambi cd e dvd su etichetta Hear Music). Dentro si respira la miglior canzone americana di quegli anni. Brani tuttora godibilissimi che si intitolano - in ordine sparso, alcuni dell’una e alcuni dell’altro - “So far away” e “Machine gun kelly”, “Carolina in my mind” e “It's too late”, “Smackwater Jack” e “Will you love me tomorrow?”, “Country road” e “Fire and rain”, “Sweet Baby James” e “I feel the earth move”, “You can close your eyes” e ovviamente il gioiellino “You’ve got a friend”. Quando si incontrarono su quel palco, nel 1970, i due avevano storie diverse alle spalle. Carole King, nome d'arte di Carole Klein (New York, 9 febbraio 1942), era autrice affermata, in coppia con il marito Gerry Goffin. Pare che gli stessi Beatles avessero citato la coppia Goffin-King come fonte d’ispirazione per l’originalità. Dopo il divorzio la crisi, da cui la signora uscì alla grande con l’album “Tapestry”, del ’71: quattro Grammy e oltre venti milioni di dischi venduti in tutto il mondo. James Vernon Taylor (Belmont, Massachusetts, 12 marzo 1948), dopo una giovinezza funestata da un ricovero in un ospedale psichiatrico per depressione e seri problemi di tossicodipendenza, nel ’68 si ritrovò a Londra a incidere il suo primo album per la Apple, etichetta dei Beatles. E al disco collaborarono anche Paul McCartney e George Harrison (che si ispirò alla “Something in the way she moves” dell’americano per scrivere la sua celebre “Something”). Ma il successo arrivò un paio d’anni dopo, al ritorno negli States, con l’album “Sweet Baby James”. Quell’incontro di quarant’anni fa suggellò dunque la collaborazione fra due giovani artisti che stavano vivendo la loro stagione creativa migliore. In tutti questi anni si sono persi e ritrovati tante volte. Ma quella immortalata da questi dischi, assieme alla band storica, è senz’altro quella da ricordare. E consegnare all’enciclopedia della musica popolare del Novecento.

- FRANTI e JOVANOTTI

Dicono che sarà il tormentone dell’estate. Di certo sarà un pezzo che ascolteremo molte volte. “The sound of sunshine” è il nuovo singolo di Michael Franti, voce e autore degli Spearhead, cantato in duetto con Jovanotti (nella foto). Il brano ha anticipato l’uscita del nuovo, omonimo album di Michael Franti and Spearhead. Non è la prima volta che il cantante/attivista statunitense e Lorenzo Cherubini lavorano insieme. Nel ’99 i due cantano “Dal basso”, brano contenuto nel disco “Capo Horn” di Jovanotti; nel 2008 arriva una nuova collaborazione, in “Mani libere”, nell’album “Safari”. E l’artista americano è stato ospite del Safari Tour. Quest’anno un altro duetto, nel brano “Battiti di ali di farfalla”, nell’album “Ora” di Jovanotti, e una nuova esibizione assieme, al Forum di Assago, a maggio. Ora questo brano carico di energia positiva, “allegro e arioso, che cerca di immortalare quella sensazione che si prova svegliandosi la mattina, tirare le tende e vedere che c’è una giornata di sole di

fronte a noi”, come spiega Franti. Atmosfera divertente, quasi sudamericana.