E poi c’è il rock. Con il pop, la leggera, il folk, il jazz… Sì, perché oltre a classica e lirica, prosa e teatri dialettali, cinema e arti varie, a Trieste c’è anche tanta sonorità, tanta musica. IES si fa aiutare in questo viaggio dentro la “città della musica” da un giornalista, Carlo Muscatello, attento testimone di quanto prodotto negli anni a Trieste. Cominciamo da qui allora: come la chiamiamo la musica prodotta negli anni a Trieste, semplicemente popolare?
“Negli anni Settanta il cantautore triestino Gino D’Eliso aveva coniato l’azzeccato neologismo Mitteleurock. Diciamo che la nostra è una musica popolare che pesca nella storia, nella posizione geografica, nelle peculiarità della città”.
La Trieste multiculturale, multietnica, multi-tutto, quanto è stata influenzata e contaminata dalle culture che l’hanno attraversata?
“Nel dopoguerra gli americani hanno portato una ventata di suoni che nel resto del Paese ancora non erano abituali. Forse solo a Napoli, altro grande porto, si viveva qualcosa di analogo. L’antico legame con l’Austria ha poi lasciato come eredità la grande passione per l’operetta. E infine c’è lo sguardo curioso verso Est, verso i Balcani. Il compianto Alfredo Lacosegliaz è stato fra i primi a indagare quel meraviglioso e ricchissimo serbatoio di ritmi e suoni, mentre i suoi coetanei guardavano solo a quanto arrivava da Inghilterra e Stati Uniti”.
Una carrellata di nomi che hanno fatto la storia musicale della città…
“Pericoloso: si rischia sempre di dimenticare qualcuno. E comunque per trovare artisti di prima grandezza dobbiamo tornare agli anni Sessanta e ai “soliti” Lelio Luttazzi, Teddy Reno, Lorenzo Pilat. Con l’aggiunta di Sergio Endrigo che però era nato a Pola, del “triestino” Bobby Solo (all’anagrafe Roberto Satti, romano di nascita), di Flavio Paulin, il celebre falsetto dei Cugini di campagna, nato a Trieste e poi volato nella capitale”.
Più recentemente?
“C’è stata e per fortuna c’è ancora la monfalconese Elisa, nata nel capoluogo regionale. Senza dimenticare un drappello di validi strumentisti, da Claudio Pascoli a Toni Soranno a tanti altri rimasti dietro le quinte. Quelli insomma che suonano nei dischi e nei concerti, rimanendo sempre un passo dietro le star”.
E il futuro? Che futuro c’è per la nostra musica?
“Il lavoro svolto in questi anni da un’istituzione meritoria come la Casa della musica, assieme alle altre scuole che hanno via via affiancato il Conservatorio, sta producendo nuove generazioni di cantanti, musicisti, autori che possono dire la loro anche fuori dai confini locali. Alcuni già lo stanno facendo”.
“E poi - conclude Carlo Muscatello - c’è il web, moltiplicatore di opportunità per qualsiasi ragazza o ragazzo che prenda in mano uno strumento e si avvicini all’universo meraviglioso delle sette note. Le moderne tecnologie permettono oggi a chiunque sia dotato di talento di affacciarsi sulla scena musicale, senza sottostare alle antiche trafile, senza dover sempre bussare alle porte a Roma e Milano…”.