giovedì 25 febbraio 2010

SANREMO savoia


Secondo scippo ai danni di Casa Savoia a distanza di sessantaquattro anni? È possibile, analizzando quel che è successo sabato notte, nella mezz’ora precedente la proclamazione di Valerio Scanu quale vincitore del sessantesimo Festival di Sanremo. E leggendo i dati dei tabulati del televoto, che la Rai non voleva diffondere ma il quotidiano Avvenire ha pubblicato ieri in esclusiva.

Non sembri irriguardoso accostare l’esito del referendum fra monarchia e repubblica del 2 giugno 1946 al risultato della sessantesima edizione del più modesto festival di canzonette che dal 1951 - fra alti e bassi - catalizza, per pochi giorni all’anno, l’attenzione degli italiani. Ma ormai la nostra è la repubblica della televisione, dunque...

Premessa storica. Come si sa, il risultato del referendum istituzionale fu all’epoca molto contestato. Si votò il 2 e 3 giugno del ’46. Due giorni dopo, superata la metà dello spoglio, la monarchia si avviava a vincere largamente. Tanto che De Gasperi preannunciò a Umberto II una vittoria che nello spazio di mezza giornata si tramutò in sconfitta. Fra denunce di brogli e proteste dei monarchici, il risultato finale fu: 12.717.923 voti per la repubblica, 10.719.284 per la monarchia. Il 17 giugno l’ultimo re d’Italia (”il re di maggio”, che regnò per soli ventiquattro giorni) partì per il Portogallo. È l’esilio, poi costituzionalmente sancito, per lui e i discendenti maschi di Casa Savoia. Fino al marzo 2003.

Siamo all’altra notte. Contro ogni previsione della vigilia, la canzone ”Italia amore mio” arriva seconda al Festival. Una dichiarazione d’amore stucchevole e retorica scritta da Emanuele Filiberto (trentottenne nipote dell’ultimo re d’Italia, un passato di opinionista juventino da Fazio nel primo ”Quelli che il calcio” e di vincitore di ”Ballando con le stelle”) con Enzo Ghinazzi in arte Pupo (cantante di successo negli anni Ottanta, recentemente riciclatosi come conduttore televisivo), che la cantano assieme al tenore Luca Canonici.

I tre erano stati bersagliati da fischi e proteste del pubblico a ogni loro apparizione. Scatenando persino l’ormai famosa rivolta degli orchestrali, all’annuncio del loro ingresso fra i primi tre.

A mezzanotte e dieci in sala stampa si dava per certa la loro vittoria. Il primo responso ufficioso del televoto li dava in vantaggio di 200 mila voti su Scanu. Pare che a questo punto si sia diffuso il panico fra gli organizzatori, incapaci di gestire - in un teatro già reso incandescente dalla protesta dell’orchestra ma anche dal siparietto con Costanzo, Bersani e Scaiola - l’eventuale vittoria del contestatissimo trio.

Ecco allora che avviene il miracolo. Nel rush finale Pupo e il principe - che fino alle 23.12 erano in testa di 212.482 voti - incassano solo 1384 preferenze, mentre il giovane sardo di ”Amici” se ne accaparra 96.517. E nello spazio di pochi minuti passa in testa con ventimila voti di scarto.

Strano? Di più. A conferma dell’inaffidabilità e dell’estrema malleabilità di un metodo, quello del televoto, al quale Sanremo si affida da due anni sulla scia di altri programmi televisivi molto popolari.

A margine, un dato: per il Festival i televoti (non i televotanti, visto che ognuno poteva votare più volte: altra scorrettezza) sono stati 3.606.950, che a 0.75 euro cadauno fanno 2.705.212 euro. Una bella cifra e un bel business, quasi tutto dell’operatore telefonico.

E per concludere un’osservazione, fra serio e faceto: se broglio c’è stato, anche questa volta è stato a fin di bene. Come sessantaquattro anni fa ci ha evitato di tenerci ancora l’impresentabile monarchia compromessa con il fascismo, stavolta ha fatto sì che Sanremo venisse vinto da una canzone imbarazzante. Con versi tipo «Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente». Puro revisionismo istituzional canzonettaro. Della serie: le colpe dei padri - e dei nonni, ma soprattutto dei bisnonni - non devono ricadere sui figli. Nemmeno se fanno parte di Casa Savoia.

Che a Sanremo 2010 ha comunque scritto la pagina peggiore della sua storia dopo l’8 settembre. Scherziamo? Sì, ma fino a un certo punto.

domenica 21 febbraio 2010

SANREMO ultimo


Per la seconda volta consecutiva ”Amici” trionfa al Festival di Sanremo. E per la seconda volta con un ragazzo sardo che, prima di salire sul palco dell’Ariston, era praticamente sconosciuto al grande pubblico e amato soltanto dalle schiere di giovanissimi televotanti che da anni seguono con passione il ”talent show” di Maria De Filippi.

Che, verrebbe da dire, ha ormai lanciato un’opa sul vecchio Festival: l’anno scorso con il cagliaritano Marco Carta, classe ’85, stavolta con Valerio Scanu, nato alla Maddalena, vent’anni ad aprile, bella voce ma fama di antipatico sin dalla penultima edizione di ”Amici”, quando dovette cedere il passo a quella Alessandra Amoroso che è arrivata a soccorrerlo nel duetto di giovedì sera, quando la sua ”Per tutte le volte che” (scritta fra l’altro da Pierdavide Carone, impegnato nella squadra dei bianchi nell’edizione ancora in corso del ”talent” di Canale 5) si è giocata con successo la riammissione dopo l’eliminazione incassata nella seconda serata.

Un destino comune (eliminati, riammessi, sul podio) al contestatissimo trio di Pupo con Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici, che l’altra notte sono arrivati secondi dietro Scanu ma davanti all’altro favorito della vigilia, quel Marco Mengoni che appena poche settimane fa aveva vinto ”X Factor”. Pare anzi che nel televoto il distacco fra vincitore e trio sia stato veramente ridotto.

La furbata ruffiana del giovane Savoia che canta ”Italia amore mio” è il vero segno dell’avvenuta mutazione di Sanremo, da festival della canzone a vetrina televisiva. Il nipote dell’ultimo re d’Italia ha cominciato tanti anni fa facendo l’opinionista juventino in tivù da Fazio (con Idris, do you remember?), ha proseguito vincendo ”Ballando con le stelle”, è finito sul podio all’Ariston. Fra i fischi di una parte del pubblico, la ribellione dell’orchestra che ha inscenato l’inedita protesta con tanto di spartiti stracciati, ma evidentemente anche con il gradimento della parte meno giovane del pubblico televotante.

Che dire? È il festival della televisione, nel quale vincono i giovani lanciati dai talent show e si affermano i personaggi familiari alla grande platea televisiva. Lo stesso Pupo è ridiventato popolare riciclandosi come conduttore televisivo, dopo anni di oblio musicale.

Raiuno, che ha utilizzato tutto il Festival per reclamizzare senza pudore i suoi prossimi programmi, festeggia Antonellona Clerici e gli (inaspettati) alti ascolti del Festival: anche la finale ha sfiorato i dodici milioni e mezzo con share del 53 per cento. E presto comincerà a pensare all’edizione dell’anno prossimo. Il direttore artistico Mazzi (già produttore di Cocciante, al quale ha offerto ben mezz’ora di spettacolo nella serata di venerdì) e la celebrata casalinga vestita a festa dovrebbero lasciare il passo.

Nell’ottica del ”Talent Sanremo” il prossimo conduttore potrebbe allora essere Francesco Facchinetti, che sul palco dell’Ariston c’è già stato più volte. Una, indimenticabile, nel 2004: a torso nudo, tutto tatuato, quando si faceva ancora chiamare Dj Francesco e cantava i versi memorabili di ”Bella di padella”. Ora il figlio di uno dei Pooh è cresciuto, conduce da tre anni con sobrietà ”X Factor” (tenendo fra l’altro a bada le intemperanze di quel Morgan che con la sua esclusione è stato al centro dell’altra grande polemica dell’edizione di quest’anno, prima che entrassero in scena Pupo col principe...), e la Clerici l’ha indicato come suo delfino anche in diretta tivù in queste serate del Festival, con la regia che lo inquadrava ogni volta che si parlava del prossimo conduttore.

Chissà, potrebbe essere il modo scelto dalla Rai di continuare sulla strada dei giovani e dei talent show. E magari di evitare un terzo trionfo di ”Amici” a Sanremo. Il televoto probabilmente non si tocca, ma il suo peso andrebbe ridimensionato, magari con una giuria di qualità. Alle quali sono peraltro affidati gli esiti di tutti i festival (cinema, teatro, musica...) del mondo. Ma Sanremo, come si sa, da sempre è un mondo a parte.

SANREMO finale


Valerio Scanu ha vinto il sessantesimo Festival di Sanremo, davanti a Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici (bersagliati dai fischi e dalle vibrate proteste dell’orchestra e del pubblico in sala) e all’altra stella dei talent show Marco Mengoni. Il punto più basso toccato da Casa Savoia dopo l’8 settembre, come ha scritto qualcuno sul web.

Strano Paese, il nostro. Che s’innamora ancora dei principi e dove gli operai rimangono senza lavoro ma vanno in pellegrinaggio - con la benedizione del segretario del Pd, presente in platea - a Sanremo. È avvenuto ieri sera, nella serata finale del Festival, con una delegazione di tre operai degli stabilimenti che la Fiat vuol chiudere a Termini Imerese, intervistati pochi minuti prima di mezzanotte da Maurizio Costanzo, che torna così ufficialmente in Rai dopo ventisei anni di dorato esilio a Mediaset. Per loro, come per tanti altri in quest’Italia del 2010 in mano a una cricca di affaristi, lavoro probabilmente non c’è e non ci sarà. Ma vuoi mettere: sono saliti sul palco dell’Ariston.

Torniamo alle canzonette, che è meno peggio. Ieri sera finale con ripasso delle canzoni finaliste, vari spot per la Rai, fra cui uno in stile Bollywood per ”Tutti pazzi per amore 2” (e nel gruppone di Emilio Solfrizzi fa capolino anche la triestina Ariella Reggio) e uno coi ragazzi di ”Ti lascio una canzone”, l’omaggio a Michael Jackson, il musical sexy di Lorella Cuccarini, il soul di Mary J. Blige...

Tutti a celebrare il festivalone ”normale” di Antonellona Clerici. Che ha firmato un’edizione comunque di svolta, di cambiamento. L’alternativa era morire lentamente, davanti a un pubblico sempre più anziano e via via - di decesso in decesso - meno numeroso, o inventarsi una qualche scommessa per rivitalizzarsi.

L’intuizione dev’essersi insinuata nelle menti dei caporioni di Raiuno lo scorso anno, davanti al primo trionfo di ”Amici” (Mediaset) sul palco dell’Ariston, con la conduttrice Maria De Filippi che premiava Marco Carta, primo grazie al televoto ma fino a quel momento noto solo al popolo del talent show che aveva vinto l’anno precedente.

Meglio a questo punto, avranno pensato i cervelloni, puntare tutto sui ”talent” e sul televoto. Ecco allora che il vincitore di ”X Factor” da quest’anno partecipa di diritto al Festival. Ed entra Marco Mengoni. Poi la commissione seleziona - assieme a Valerio Scanu, finalista del penultimo ”Amici”, quello vinto da Alessandra Amoroso - anche la vincitrice morale della penultima edizione del ”talent” di Raidue (Noemi) e fra i giovani anche quel Tony Maiello che nella prima edizione dello stesso programma non aveva avuto fortuna, ma poi Mara Maionchi l’ha accolto sotto la sua ala protettiva e il ragazzo ha finito per vincere il girone Nuova Generazione.

A cucinare la pietanza è stata chiamata una che di piatti in tivù se ne intende: Antonellona Clerici, da Legnano, classe ’63, che dicono piaccia soprattutto alle donne per quella sua perenne e inoffensiva aria da casalinga non disperata ma vestita a festa, che arranca su tacchi troppo alti e stenta a contenere le grandi poppe in abiti imbarazzanti quasi come le interviste nelle quali si avventura con la regina di Giordania o quella del pop Jennifer Lopez. Al confronto delle quali - checchè ne dicano i suoi estimatori - la giunonica signora scompare per manifesta inadeguatezza, oltre che per classe, stile, bellezza e tante altre cose.

Bene. Anzi male. Sia come sia, fra giovani che diventano star in due mesi vincendo un talent show e giovani pronti a televotarli ovunque gareggino (a margine: un milione e rotti di voti a 0,75 euro per sms, fate voi il calcolo, comunque un bel business...), l’operazione di rivitalizzazione del malato terminale sembra riuscita. Anche se torna alla mente quella battuta del medico che dice con aria contrita ai parenti: l’operazione è andata benissimo, purtroppo il paziente è morto. Qui a essere defunto, senza possibilità di resurrezione, è il festival della canzone italiana.

Sanremo è infatti diventato il festival della televisione, della notorietà televisiva. Così si spiega anche il caso del trio messo su da Pupo con Emanuele Filiberto e il tenore Canonici. Non torniamo sulla canzone ruffiana e orrenda («tu non potevi ritornare, anche se non avevi fatto niente...» canta Pupo rivolto al giovane Savoia), che ha fatto rivalutare purtroppo solo post mortem l’”Italia” di Mino Reitano sbertucciata al Festival di ventidue anni fa. E non torniamo nemmeno sull’incredibile figuraccia cui è andato inspiegabilmente incontro Marcello Lippi (dopo il cui intervento il trio andava squalificato, a norma di un regolamento che vale per tutti o per nessuno). Diciamo solo che mettere assieme il brevilineo cantante toscano riciclato come conduttore televisivo e il nipote dell’ultimo re d’Italia, già ballerino in tivù, risponde solo a questa logica televisiva.

Problemi che ovviamente non sfiorano mamma Rai, che da giorni si frega le mani ed esulta per il successo di questa edizione, in termini di ascolti e di share. Tacendo dell’assoluta mancanza di controprogrammazione Mediaset nei giorni del Festival. A differenza degli anni passati, quando i programmi di punta della concorrenza non venivano sospesi com’è avvenuto quest’anno.

Consoliamoci con le poche cose buone viste e sentite in cinque serate, che hanno avuto almeno il pregio di essere meno lunghe delle edizioni precedenti, baudiane e non: l’esotismo multiculturale di Malika Ayane (scuderia Caterina Caselli, premio della critica), la classe straniata e surreale di Irene Grandi (canzone scritta dal leader dei Baustelle), il festoso urlo di riscatto meridionale di Nino D’Angelo. Ma soprattutto alcuni sprazzi di classe pura nella serata celebrativa dei sessant’anni del Festival: il duetto-capolavoro di Elisa e Fiorella Mannoia in ”Almeno tu nell’universo” (Sanremo ’89, con la mai abbastanza compianta Mia Martini), le emozioni autentiche regalata da Massimo Ranieri, l’eleganza di Carmen Consoli in una versione assolutamente contemporanea di ”Grazie dei fiori”.

Ops, ma qui stiamo parlando di musica, di canzoni, di interpreti. Argomenti che a Sanremo sono diventati da tempo secondari, quasi una scusa per occuparsi d’altro. Ripensandoci, una cosa giusta l’ha detta, il direttore di Raiuno Mauro Mazza: il Festival è tornato a somigliare all’Italia di oggi. Ma non è un complimento. Perchè non è un bel Festival, non è - fra un’intercettazione e l’altra, fra una ruberia e l’altra - una bella Italia. Malata di volgarità, cattivo gusto, illegalità.

sabato 20 febbraio 2010

SANREMO 3


Sessantesimo Sanremo: fra i giovani ha vinto il napoletano Tony Maiello con ”Il linguaggio della resa”. Festival ormai alla serata finale. Arrivati a sabato, come sempre, conta chi vince, chi lega il suo nome a quest’edizione del 2010. Ma andiamo per ordine.

Ieri sera partenza con la musica da discoteca del dj francese Bob Sinclair e il comico di ”Zelig” Johnny Groove (al secolo Giovanni Vernia). Che scambia Antonellona Clerici per Lady Gaga (ma con una qual somiglianza «con quella che faceva la pasta in tv») e chiede dov’è ”dj Vessicchio".

Malika Ayane, affiancata dalla prima ballerina della Scala di Milano, Sabina Brazzo, apre la nuova sfilata dei big ancora in gara, che sono tornati a essere dodici dopo il ripescaggio giovedì notte di Valerio Scanu e del trio Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici.

Sono proprio loro tre - dopo il passaggio di Simone Cristicchi con il Coro dei minatori di Santa Fiora, Irene Grandi con Marco Cocci, Irene Fornaciari e i Nomadi con Mousse T & Suzie, Marco Mengoni con il Solis String Quartet, - a scatenare i fischi e le proteste di parte della platea e a provocare un piccolo caso.

Come annunciato, per riproporre la loro ruffianissima (e orrenda) ”Italia amore mio”, si presentano scortati dalle Divas in tricolore ma soprattutto da Marcello Lippi. Che non canta ma pretende di spiegare il perchè della sua presenza («sono qui perchè per una canzone con questo titolo non poteva non esserci il ct della nazionale di calcio. Qui c'è della sostanza, non ha importanza come il brano viene cantato...»), infilando un pensiero agli italiani all’estero, un ricordo del ct della nazionale di ciclismo Franco Ballerini e ovviamente una citazione, con tanto di immagini sul megaschermo, della vittoria di quattro anni fa in Germania. Citazione bissata poi anche nel testo, riveduto e corretto per l’occasione («in quella notte di Berlino...»). Peccato che, a norma di regolamento, che non prevede discorsi di presentazione, i tre andrebbero squalificati. Per ora si sono beccati dal pubblico dell’Ariston il coro ritmato ”a casa, a casa...”.

A risollevare le sorti della serata arriva la superstar Jennifer Lopez, canzone, balletto e intervista di rito. Niente male per un compenso, si dice, di 850 mila dollari. Più tardi, la regina del pop riappare e arriveranno pure gli idoli dei giovanissimi, i tedeschi Tokyo Hotel. Il cui compenso sarà sicuramente più basso.

Torniamo ai cantanti in gara. Valerio Scanu ancora con Alessandra Amoroso, Arisa con Lino Patruno e la sua Jazz Band, Enrico Ruggeri con i suoi vecchi Decibel (con i quali fece il suo primo Sanremo, fra i giovani, esattamente trent’anni fa: e per l’occasione, il cantautore milanese rispolvera gli occhialoni bianchi vintage dell’epoca...), Noemi con i Kataklò, Fabrizio Moro con Jarabe De Palo e Dj Jad (Articolo 31), Povia con Marco Masini.

Ma quella di ieri è stata anche la serata della finale dei giovani, girone quest’anno denominato Nuova Generazione. Al solito, sono rimasti stritolati dalla macchina del festivalone, guadagnando un po’ d’attenzione più per la polemica della quindicenne Jessica Brando (che giovedì, non potendo cantare dopo mezzanotte in quanto minorenne, era presente solo con un filmato registrato in prova) che per le canzoni.

Ha vinto Tony Maiello (dal primo ”X Factor”, prodotto da Mara Maionchi), gli altri finalisti erano Luca Marino e Nina Zilli. Che è sembrata quella dotata di maggiore personalità, con la sua ”L’uomo che amava le donne”. A lei il Premio della critica.

Ma si diceva del vincitore - o della vincitrice - di stasera. Che potrebbe essere Marco Mengoni ma anche Malika Ayane. Con dietro un gruppetto di possibili ”terzi incomodi”, formato da Valerio Scanu, Simone Cristicchi, Arisa e Noemi.

Come già detto, i giovani che provengono dai talent show (Mengoni, Scanu, Noemi ma anche il giovane Maiello) possono contare su una schiera di fan abituati a mobilitarsi con il televoto. Ha funzionato lo scorso anno per Marco Carta, potrebbe funzionare di nuovo, anche se il peso del televoto stavolta è stato ridotto con l’inserimento delle preferenze espresse dai componenti dell’orchestra.

Cristicchi e Arisa hanno due canzoni che funzionano. Una vittoria della Ayane, metà milanese e metà marocchina, scoperta fra i giovani di Sanremo dell’anno scorso, sarebbe invece l’affermazione della qualità. La sua ”Ricomincio da qui” è infatti - assieme a ”La cometa di Halley” di Irene Grandi ma anche all’eliminata ”Jammo ja” di Nino D’Angelo - la cosa migliore del Festival di quest’anno. Nel complesso deboluccio.

venerdì 19 febbraio 2010

SANREMO 2


Eliminati anche Sonhora e - a sorpresa - Valerio Scanu. È il responso della seconda serata del sessantesimo Festival, dopo che gli ascolti del debutto (quasi 11 milioni di telespettatori, con un picco di 14 e mezzo e lo share del 45 per cento) hanno rassicurato mamma Rai. Apertura con le ballerine del Moulin Rouge in sgargianti costumi di piume gialle e arancioni. Antonellona Clerici - che più tardi azzarderà persino un can can tricolore - sbuca in quella selva di gambe in abito di lamè, dondolando beata su un’altalena.

Il tempo di ricordare gli eliminati della sera precedente e di far riascoltare i primi tre dei big ancora in gara (Povia, Ruggeri e Noemi) ed ecco i ”tre tenorini” da lei stessa lanciati nel programma ”Ti lascio una canzone”. Gianluca, Ignazio e Piero hanno 46 anni in tre, fanno il verso a Carreras Domingo Pavarotti, sono prodotti da Tony Renis e hanno già alle spalle un disco e un tour negli Stati Uniti. La Clerici se li coccola: «I miei ragazzi... ormai sono diventati delle star mondiali...», cinquetta.

Altri cantanti in gara, poi la regina Rania di Giordania (intervista assolutamente imbarazzante), la stella di ”Avatar” Michelle Rodriguez, la presentazione dei primi cinque giovani in gara (Nina Zilli e Luca Marino, che passano il turno e vanno alla finale di domani; Broken Heart College, Mattia De Luca e Jacopo Ratini, che già salutano la compagnia). Ma la melassa della conduttrice avvolge e anestetizza tutto. Festival davvero da dimenticare, dal punto di vista dello spettacolo.

Non la pensa ovviamente così il direttore artistico Mauro Mazza, che sbandiera l’abbassamento dell’età media dei telespettatori (51,9 anni, mentre le prime serate di Raiuno nell’ultimo periodo sono seguite da una platea sui 58,3 anni). La parola d’ordine in casa Rai diventa: i giovani tornano a guardare Sanremo. Sarà vero? Mah...

Di certo l’inserimento di nomi nuovi provenienti dai talent show nasce in quest’ottica. E il televoto (quest’anno attenuato da un ”voto di qualità” affidato ai componenti dell’orchestra del Festival) fa sì che i ragazzi provenienti da ”Amici” e ”X Factor” diventino automaticamente favoriti per la vittoria finale. È successo lo scorso anno con Marco Carta, si ripete quest’anno con Marco Mengoni, ben dotato vocalmente ma con una canzone per la quale non è il caso di strapparsi i capelli. Meglio allora Noemi, altra talentuosa reduce di ”X Factor”, che però non viene inserita fra i favoriti per il podio. Sul quale potrebbe invece salire la ragazza-fumetto Arisa.

«L'anno scorso - sottolinea Mazza - la vittoria di Carta fu un evento. Dietro c'era un mondo di giovani che attraverso i blog, il mondo della rete e dei talent show sceglie i talenti su cui scommettere come generazione. Ritrovarne alcuni qui fra i big fa in modo che il Festival incontri i giovani e che ci sia un dato d'ascolto non solo tradizionale».

Sarà. Intanto il Festival è l’occasione per diffondere alcuni dati dell’industria discografica italiana, che a Sanremo ha sempre guardato con particolare attenzione, essendo comunque una vetrina di prim’ordine. Il fatturato del 2009 è stato di 144 milioni, mentre nell’anno precedente aveva toccato quota 178 milioni (fonte Fimi-Confindustria, che rappresenta le principali aziende del settore).

Un crollo del venti per cento, dunque. Che si aggiunge ai cali dei nove anni precedenti. E la vivacità del mercato della musica online, cresciuto del 27 per cento nel 2009, non basta a fornire ossigeno sufficiente a un quadro che vede le vendite di cd e dvd musicali in calo del 24 per cento, a 123 milioni di euro.

Ma torniamo alla gara. Ieri sera, il secondo ascolto delle canzoni ha confermato che gli unici due brani davvero dignitosi sono quelli dell’esotica Malika Ayane e della ”baustelliana” Irene Grandi. E guadagnano qualche posizione, in un’ideale classifica di qualità, anche le canzoni dello stralunato Cristicchi e del vecchio saggio Ruggeri. Ben oltre la mezzanotte, al solito, graduatorie e nomi dei nuovi eliminati. Ai quali però è regalata una chance di salvezza: fra i cinque artisti che sono stati finora bocciati, stasera ne verranno ripescati due.

Intanto si apprende che Toto Cutugno è rimasto male dell’eliminazione («ma l’ho presa con dignità...»). Mentre Pupo vede «un livore strano» dietro la sua eliminazione assieme al giovane Savoia e al tenore Canonici ma è sicuro del ripescaggio. E Nino D’Angelo gli risponde elegantemente - ma con un fondo di verità - sostenendo che la sua canzone è «’na chiavica». A proposito dell’ex scugnizzo, che ha cantato in partenopeo stretto ”Jammo ja”, il ministro Zaia chiede la par condicio delle canzoni in dialetto («a una in napoletano ne deve corrispondere una in veneto...»). Forse la miglior battuta, seppur involontaria, del Festival.

Sempre il direttore artistico Mazza - che da ragazzo frequentava casa Almirante, come ha rivelato a un giornale la vedova dell’ex leader missino, donna Assunta - dice che Sanremo «è tornato a somigliare all’Italia di oggi». Qui forse ha proprio ragione. Perchè siamo proprio messi male. Sia come Paese, ed è la cosa più grave, sia come Festival. Ma a ciò potremmo anche sopravvivere.

Ah, almeno una buona notizia. A Sanremo non si specula più sul caso Morgan. Intanto la canzone che doveva presentare al Festival, ”La sera”, che è anche bella, spopola su Youtube. A proposito di giovani...

mercoledì 17 febbraio 2010

SANREMO 1


Toto Cutugno, Nino D’Angelo con Maria Nazionale, il trio Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici sono stati eliminati dal sessantesimo Sanremo. È questo il primo verdetto emesso dal Festival, che ieri sera è cominciato con venti minuti di cazzeggio allo stato puro, firmati dalla premiata ditta Paolo Bonolis e Luca Laurenti. Così, giusto per cominciare bene un Festival, la cui vigilia è vissuta come al solito di troppe chiacchiere. Sì, perchè a volte basta poco, per esempio la leggerezza di quei due grandi signori dello spettacolo, per regalare un sorriso a una grande platea televisiva.

Peccato che dopo i ”traghettatori” fra l’edizione dell’anno scorso e quella di quest’anno, si materializzi nel suo abito rosso ”alla Jessica Rabbit” Antonellona Clerici. Una che nelle settimane scorse - così ha raccontato alla stampa interessata all’argomento - è finita in ospedale a causa della sua smania di dimagrire e presentarsi in forma sul palco dell’Ariston. Pare sia passata dalla taglia quarantotto alla quarantadue, ma il ”traguardo” stava per costarle caro.

La signora è così. Inadeguata e irritante, a tratti persino imbarazzante. «La giuria si è espressa? Ma cos’è, una tromba o un trombone...?». Peggio di lei, ieri sera, nella prima serata del festivalone, solo alcuni cantanti. Già, i cantanti. Che poi Sanremo dovrebbe essere la loro festa, la festa delle canzoni italiane. Non ora, non qui.

Apre le danze Irene Grandi. ”La cometa di Halley” gliel’ha scritta Francesco Bianconi, dei Baustelle. Ed è una delle poche belle canzoni di quest’anno. A riportarci alla cruda realtà arriva Valerio Scanu, secondo ad ”Amici” dell’anno scorso, dietro la vincitrice Alessandra Amoroso (che lo raggiungerà venerdì, nella serata dedicata ai duetti). Canta con voce ben impostata ”Per tutte le volte che”, canzone che più sanremese non si può. Se questi sono le giovani promesse, siamo messi davvero bene.

Arriva Toto Cutugno, al quindicesimo Festival con una sfilza di secondi posti nei ruggenti anni Ottanta. ”Aeroplani” è tradizionale come il panettone a Natale, ma odora di naftalina come un maglione appena tolto dall’armadio. Allora meglio Arisa, sempre personaggio-fumetto anche dopo il cambio di occhiali e di look: la sua ”Malamorenò” strizza l’occhio al passato, e le ironiche tre coriste rimandano all’epoca del Trio Lescano, per un quadretto simpatico che funziona egregiamente. E meglio anche Nino D’Angelo, che con Maria Nazionale regala una ”Jammo jà” (unico brano in gara in dialetto, che sfrutta così la novità del regolamento di quest’anno) che mischia l’atmosfera dei vicoli partenopei alle suggestioni della world music mediterranea.

Ancora dall’universo dei talenti show ecco Marco Mengoni, fresco vincitore di ”X Factor”. Canta con enfasi festivaliera ”Credimi ancora”, e vi aggiunge nell’interpretazione un tono inquietante che regala originalità al prodotto finale. Dicono sia fra i favoriti per la vittoria finale, non foss’altro per la dote che si porta dietro dalla recente affermazione televisiva: al televoto, proprio come l’anno scorso, quando ha vinto Marco Carta (direttamente da ”Amici”), è affidata anche quest’anno buona parte del verdetto finale.

C’è tempo per le comparsate pallonare di Antonio Cassano (150 mila euro che potevano essere risparmiati...) ma soprattutto per la favola moderna du Susan Boyle, il brutto anattrocolo che la scommessa di un talent show inglese ha trasformato in pochi mesi in una star internazionale. Nonostante l’aspetto non gradevole e l’età avanzata (quarantanove anni il primo aprile) per una debuttante. La sua ”I dreamed a dream”, otto milioni di copie finora vendute in tutto il mondo, è stata salutata da una standing ovation del pubblico dell’Ariston.

Le cose peggiorano di molto, poco più tardi, con l’apparizione dell’impresentabile trio formato da Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici: ”Italia amore mio” vuol essere una dichiarazione d’amore al nostro Paese, ma finisce per essere una summa di banalità e luoghi comuni. Salutati da qualche fischio e da un tricolore sventolato in platea.

Ma in questa corsa al ribasso, nulla viene risparmiato. Arriva infatti la filippica retorica e moralista che la Clerici imbastisce per sfruttare ancora per un po’ la vicenda Morgan. Alla signora non è bastato gettarsi come uno sciacallo sulla vicenda fino a domenica sera, dichiarando che il cantante milanese - squalificato per aver dichiarato di usare la cocaina come antidepressivo, nonostante il successivo pentimento e la promessa ”non lo faccio più” in tutti i programmi televisivi disponibili - avrebbe comunque partecipato, in un modo o nell’altro, al Festival. Davanti alla smentita della Rai non ha fatto una grinza. A lei interessava solo ottenere qualche titolo di prima pagina in più, per tentare disperatamente di tener alta l’attenzione sul ”suo” Sanremo. Che squallore.

«Sono anni luce lontana dalla droga, l'unica droga che ho è la mia famiglia. Anzi, sono persino intollerante nei confronti di questo fenomeno soprattutto quando diventa moda», ha detto ieri sera la conduttrice. «La passione di Morgan è la musica: avrei voluto farvi ascoltare la sua canzone ma i vertici Rai non me l'hanno permesso...». E così la presenza annunciata si è ridotta a due frasi imbastite male e alla lettura di un verso della canzone, ”La sera”, che l’artista avrebbe dovuto presentare. Lettura coronata da questa frase agghiacciante: «Morgan, spero che tu e tutti quelli come te si possano ritrovare. Un abbraccio...».

Ma la serata è ancora lunga. E ci sono altri big in gara. Simone Cristicchi torna con ”Meno male” all’ironia degli esordi. Mischia con naturalezza cronaca e gossip, citazioni di Carla Bruni e ”Sarko-sì Sarko-no” (che forse hanno convinto la premiére dame a non tornare quest’anno nella città dei fiori...), in un pastiche sarcastico che in certi momenti rimanda alla vecchia ”Terra dei cachi” di Elio e le storie tese.

Altra classe con Malika Ayane. ”Ricomincio da qui” è un fascinoso quadretto esotico: forse la cosa migliore del Festival di quest’anno assieme al brano di Irene Grandi. Enrico Ruggeri scandaglia l’universo donna con ”La notte delle fate”, ma l’esercizio gli è riuscito assai meglio in altre circostanze.

Il resto sono i due fratellini veronesi Sonohra, che con ”Baby” offrono una ballata rock melodica; Povia che ha tolto ogni riferimento esplicito a Eluana Englaro dalla sua ”La verità”, che comunque rimane debole; Irene ”figlia di” Fornaciari che canta con i Nomadi ”Il mondo piange”; Noemi e la sua ”Per tutta la vita”; la rabbia di Fabrizio Moro con ”Non è una canzone”. I giovani, assieme alla prima graduatoria, arrivano dopo mezzanotte e mezzo. E dopo gli ammiccamenti sexy dell’artista ”burlesque” Dita Von Teese. Che ci azzecca con Sanremo? Nulla, ovviamente.

martedì 16 febbraio 2010

DISCHI - PIERO CIAMPI


Sono passati trent’anni dalla scomparsa di Piero Ciampi, livornese con fama di ”maledetto”, e un cofanetto (”Piero Ciampi e altre storie”, cd più dvd, Sony) lo ricorda a chi lo ha conosciuto e ai tanti che non hanno fatto in tempo.

Era nato a Livorno nel ’34. Durante il servizio militare, a Pesaro, conosce Gianfranco Reverberi - futuro autore e produttore di successo - e con lui forma un complessino. Parte per Parigi, dove si guadagna da vivere cantando nei locali e facendosi conoscere come ”Piero Litaliano”. Che nel ’63 diventa il titolo del suo primo album. Ma il ragazzo è inquieto, parte e ritorna mille volte, mentre i suoi amici (Gino Paoli, Luigi Tenco, lo stesso Reverberi) cominciano a far carriera nel mondo della musica.

Nel ’70 si ripresenta sul mercato discografico con un 45 giri e Aznavour gli offre la grande platea televisiva del suo ”Senza rete”. Sembra che qualcosa si muova. Nel ’71 va persino al ”Disco per l’estate”, dove però arriva buon ultimo, ed esce il suo secondo album, intitolato semplicemente ”Piero Ciampi” e premiato dalla critica come disco dell’anno. Scrive le canzoni per un album di Nada, Raidue gli dedica uno special, il Club Tenco lo invita mille volte...

Ma la sua carriera artistica deve lottare innanzitutto contro Ciampi stesso. Contro la sua fama di ”artista maledetto”, contro le sue scelte autodistruttive, contro il suo alcolismo, contro la sua indisponibilità ai compromessi, contro la sua genialità disordinata e ingestibile.

Muore il 19 gennaio del 1980, in un ospedale romano, pochi giorni dopo l’arrivo del sospirato sì di un’importante casa discografica al progetto di un album dedicato alle sue migliori canzoni. Canzoni che in questi trent’anni non sono state dimenticate. Anzi, hanno vissuto di vita propria grazie anche ai suoi amici di ieri e di oggi, a quelli che hanno fatto in tempo a conoscerlo ma anche a quanti hanno intrecciato solo a distanza la propria sensibilità all’arte del poeta toscano.

Da Nada, livornese come lui, a Gino Paoli, che alle sue canzoni ha dedicato anni fa un album (”Ha tutte le carte in regola per essere un artista”) e continua a rendergli omaggio nei suoi concerti dal vivo, avvicinandolo nel ricordo a Luigi Tenco. Da Zucchero ai La Crus, da Mimmo Locasciulli fino ai Baustelle: tutti segni, grandi e piccoli, dell’importanza che il passaggio di Ciampi ha avuto nel mondo della canzone italiana.

Ora questo cofanetto. Il dvd contiene ”Adius, Piero Ciampi e altre storie”, il film di Ezio Alovisi presentato alla Biennale Cinema di Venezia 2008. Nel cd sono invece raccolte diciotto tra le sue canzoni più significative: ”Te lo faccio vedere chi sono io” e ”Adius”, ”Il Natale è il 24” e ”Tu no”, ”Bambino mio” e ”Miserere”, ”Mia moglie” e ”Disse: non Dio, decido io”, ”Io e te, Maria” e l’inedito ”E il tempo se ne va”, la cui interpretazione è affidata all’attrice Rossella Seno. Canzoni senza tempo, che sanno ancora emozionare chi ascolta.


SADE


Erano dieci anni che Sade non faceva un disco nuovo. Ed è passato un quarto di secolo (...!) dal suo esordio con ”Diamond life”. Era il 1984, e la splendida Helen Folasade Adu - questo il vero nome della cantante, classe ’59, padre nigeriano e madre inglese - spargeva fascino e talento ovunque apparisse. Cantando con classe e innata eleganza brani poi diventati classici come ”Your love is king”, ”Smooth operator”,”The sweetest taboo”...

Ora arriva ”Soldier of love” (Sony), sesto album in studio di una carriera ricca di cinquanta milioni di dischi venduti, e sembra quasi che il tempo si sia fermato. Sembra di tornare a quei giorni nel bel mezzo dei musicalmente deprecabili anni Ottanta, magari a Riva del Garda, quando Sade presentò il suo primo disco alla Mostra internazionale di musica leggera che si svolgeva in quella cittadina lacustre.

I protagonisti di quella che all'epoca fu definita la ”cool generation” (Everything but the girl, Carmel, Working Week, gli stessi Style Council...) hanno, chi più che meno, fatto perdere le proprie tracce. Ma la loro lezione, ovvero conciliare il pop più raffinato con atmosfere vicine al jazz, ha fatto proseliti. Un nome su tutti: Amy Winehouse.

Lei, l’ancora bella Sade, che in questi anni ha girato presto le spalle alla popolarità da rotocalco e si è ritirata nella sua casa di campagna, dedicandosi più al giardinaggio che alla musica, dimostra di non aver perso né smalto né classe.

Dieci canzoni, suoni eleganti, pacati, giusto la ritmica un po’ più accentuata, una generale impressione di malinconia. «È così - spiega Sade -, non posso farne a meno. La tristezza ben gestita porta alla felicità, credo. Ti libera e ti permette di lasciartela alle spalle. Le canzoni felici in realtà possono farti stare peggio. Non sono una depressa cronica, ma ho senz'altro un'inclinazione alla malinconia».


PETER GABRIEL Per festeggiare i sessant’anni appena compiuti, Peter Gabriel si regala un album di cover. Da ”Heroes” di David Bowie - che apre il disco - a ”The boy in the bubble” di Paul Simon, da ”Listening wind” dei Talking Heads a ”The power of the heart” di Lou Reed, senza dimenticare ”I think it’s going to rain today” di Randy Newman, ”Street spirit” dei Radiohead, ma sopratutto quella ”Philadelphia” di Neil Young che stava nell’omonimo film di Jonathan Demme e rimane una delle più belle canzoni degli ultimi vent’anni. La novità? Il disco è stato realizzato con strumentazione esclusivamente acustica arrangiata da John Metcalfe per la produzione di Bob Ezrin. Non vi sono chitarre né batteria, ma solo pianoforte, archi e ottoni. E ovviamente la magica voce dell’ex Genesis. Che ha già annunciato un originale progetto gemello intitolato “I’ll scratch yours”, nel quale saranno gli artisti qui omaggiati a rendergli il favore incidendo sue canzoni.


DIALETTI L’apertura del Festival di Sanremo alle canzoni in dialetto non sembra aver scatenato entusiasmi. Ci pensa questa raccolta a regalarci una panoramica dei più famosi brani popolari e dialettali di sempre. Il doppio cd, 46 canzoni, ripercorre, regione per regione, in un ideale viaggio dal nord al sud della penisola, canzoni, cori, danze e inni di tutt’Italia. Dalle Alpi (”Montagne del me’ Piemont”, ”La Valsugana”) alla isole (”Ciuri ciuri”, ”Vitti ‘na crozza”), dalla pianura padana (”L’uva fogarina”, ”La bella Gigogin”, ”Sciur padrun da li beli braghi bianchi”) al meridione (”Calabrisella”, ”Quant’è bello lu primm’ammore”, ”‘O surdato ‘nnammurato”) e al centro (”Tanto pe’ cantà”), le voci di cantanti e interpreti di tutte le epoche accompagnano in un viaggio fra i ricordi di una tradizione che si tramanda di generazione in generazione. Trieste e il Friuli Venezia Giulia sono rappresentati da ”La mula de Parenzo” e ”Il cjalzumit”. Il cast schiera Rabagliati, Boni e Latilla, Lauzi, Casadei, Villa, Modugno, Califano, Rondinella, Cinquetti, Farassino, Ranieri, Taranto, Spadaro, Vanoni, Profazio, Quartetto Cetra, Rascel, Ricchi e Poveri, Santagata...

60.o SANREMO


Sessantesimo Sanremo: è quasi tutto pronto. Si parte martedì, si va avanti fino a sabato notte, coi vincitori e le polemiche e tutto il resto (superospiti superpagati, pax televisiva con Mediaset, sciocchezzuole di contorno...), per quella che è sempre meno rassegna canora e sempre più spettacolo televisivo.

Vi ricordate com’era bello quando Sanremo era il Festival della canzone italiana? Non sono passati tanti anni. C’erano i cantanti, le canzoni, le gente si divideva a favore degli uni o delle altre, e più del responso delle giurie (sempre contestate) valeva quasi sempre la ”prova finestra” del pubblico: il motivo più fischiettato dalla gente la mattina dopo, il brano più trasmesso dalla radio nelle settimane successive, il disco ai vertici delle classifiche di vendita nei mesi primaverili era quello che legava per davvero il suo nome al Festival di quell’anno.

Quest’anno si comincia male, malissimo. Dalla conduttrice, Antonellona Clerici, più adatta a quei programmi di mezzogiorno per massaie intente a preparare manicaretti che alla musica, sino a certe inquietanti presenze come tal Emanuele Filiberto, nipote dell’ultimo re d’Italia e figlio di quel signore più noto alle cronache nere e rosa che agli affari di stato.

Il giovin pretendente al trono fa parte di un trio con Pupo e il tenore Luca Canonici. La loro ”Italia amore mio” minaccia sfracelli già dal titolo. Nella serata dei duetti l’allegra brigata ha coinvolto nientemeno che il ct della nazionale, Marcello Lippi, che però ha promesso di non cantare. E rischia di incrociare lo sgradito Antonio Cassano (superospite superpagato).

Chissà come la prenderà Toto Cutugno, che torna sul luogo del delitto dopo diversi anni, con il brano ”Aeroplani”: stavolta sul palco dell’Ariston sfila qualcuno - lo strano trio, appunto - più nazionalpopolare di lui.

Altro concorrente che non ama passare inosservato: Povia. È al quarto Sanremo, il terzo in gara. Uno l’ha anche vinto, nel 2006. L’anno scorso ha cavalcato le polemiche con ”Luca era gay e adesso sta con lei...”. Stavolta fa di peggio: va a scomodare la vicenda di Eluana Englaro, che meriterebbe solo tanto silenzio e tantissimo rispetto, per regalarci ”La verità”. Vi bastino i primi versi: «Mamma papà ora vi vorrei parlare...».

Un altro vincitore recente è Simone Cristicchi (”Ti regalerò una rosa”, tre anni fa), che sceglie di tornare all’ironia degli esordi con ”Meno male”. Dicono che quel verso (”Che bella Carla Bruni... Sarko-no Sarko-sì...”) sia all’origine del mancato ritorno al Festival della ”première dame”. Anche se fosse, ce ne faremmo una ragione.

Uno che invece a Sanremo ha vinto due volte (”Si può dare di più” con Morandi e Tozzi, ’87; ”Mistero”, ’93) e ancora ha voglia di tornare è Enrico Ruggeri: per ”La notte delle fate” si porta dietro la compagna Andrea Mirò, che dirigerà l’orchestra.

E passiamo ai vincitori fra i giovani delle ultime tre edizioni, quest’anno tutti nel girone principale. Arisa, rivelazione lo scorso anno con ”Sincerità” (al piano Lelio Luttazzi), sembra voler ripercorrere la stessa strada e ci riprova con ”Malamoreno”.

I veronesi Sonohra avevano vinto due anni fa: ora tornano con ”Baby” e si rivolgono sempre alla platea dei giovanissimi. E Fabrizio Moro, che aveva vinto tre anni fa con ”Pensa”, sempre e solo fra i giovani, stavolta propone ”Non è una canzone”.

Una che fra i giovani non ha mai vinto ma prima o poi era chiaro che l’avrebbero infilata di riffa o di raffa fra i big è Irene Fornaciari. Pur di essere promossa, si fa scortare dai Nomadi: assieme canteranno ”Il mondo piange”, scritta da papà Zucchero. Dite che è raccomandata? Ma no, cosa andate a pensare...

Reparto talent show. Marco Mengoni, talentuoso vincitore del recente ”X Factor”, canta ”Credimi ancora” ed è fresco di televoto, sistema che ha portato lo scorso anno al trionfo sanremese di Marco Carta e influenzerà anche il podio di quest’anno. Dalle penultime edizioni di ”X Factor” e ”Amici” arrivano anche Noemi (no, non quella di ”papi”, quella che ha duettato con la Mannoia...) e Valerio Scanu.

Completano l’appello tre artisti da ascoltare con attenzione: Malika Ayane, Irene Grandi e Nino D’Angelo. La cantante di madre italiana e padre marocchino torna a Sanremo con ”Ricomincio da qui”, promettendo un’altra oasi di classe ed eleganza. La rocker toscana si riaffida a Francesco Bianconi dei Baustelle, che ha scritto per lei ”La cometa di Halley” (e che già le aveva regalato ”Bruci la città”, non ammessa in passato al Festival e poi premiata ugualmente da un grande successo). L’ex scugnizzo è invece l’unico a sfruttare l’apertura del Festival 2010 al dialetto: la sua ”Jammo ja” parla napoletano ma promette sprazzi di world music.

Da ultimo, Morgan. Che, come noto, non ci sarà. Dicono che ”La sera” sia una canzone molto bella e particolare. Ma l’ex Bluvertigo è incappato nella nota intervista nella quale ha ammesso di assumere cocaina. Ciò gli è valso la squalifica e un’esposizione mediatica senza pari, che non aveva ottenuto nemmeno in tre edizioni di giurato a ”X Factor”. Lui, che ha sempre giocato a fare l’artista ”maledetto”, dopo lo scivolone è apparso ovunque, persino da Vespa, come uno scolaretto pentito che giura ”non lo faccio più”. Della sua vicenda, condita da quintali di ipocrisia, si è parlato fin troppo. Anche senza di lui, godetevi il Festival. Sempre che non abbiate di meglio da fare.

mercoledì 10 febbraio 2010

CORRADO GUZZANTI


Non ci resta che ridere, verrebbe da dire. Magari risate amare, come quelle suscitate ieri sera al PalaTrieste da Corrado Guzzanti con il suo ”Recital”. Spettacolo che gira - con varie riprese - da un anno, ma viene continuamente aggiornato dai tanti riferimenti all’attualità politica più stretta.

Si parte con un Giulio Tremonti trasformato in ministro del Re Sole, con tanto di abiti settecenteschi. Non fa in tempo a placare le folle che protestano sotto la sua finestra (”La crisi è finita, adesso se avete fame è psicosomatica...”), che viene incastrato nella classica intervista sui temi dell’attualità.

E allora sotto con il grande cetriolo globale che vola basso, per questo bisogna andare raso muro sperando che se lo becchi qualcun altro. Con la social card che io volevo chiamare la carta del morto di fame. Con gli italiani che hanno eletto il truffatore anche se lo sanno che i giudici hanno ragione, ma proprio per questo è meglio avercelo amico che nemico. L’intervistatrice non capisce? Chiaro, perchè sei donna e pure comunista. E comunque se non ce la fate ad arrivare alla fine del mese, tranquilli: non è mica una gara...

Guzzanti, romano, classe ’65, figlio del giornalista e politico Paolo, fratello di Sabina e Caterina (che lo affianca nello show assieme alla storica spalla Marco Marzocca), dagli ”Avanzi” televisivi del ’92 ai ”Fascisti su Marte” cinematografici di pochi anni fa ha sempre creato personaggi di due tipi: </CF>da un lato le creazioni originali, quali il regista Rokko Smithersons, l’istrionico e “coatto” adolescente Lorenzo, il santone Quelo, la procace conduttrice Vulvia, il gerarca fascista Barbagli, il poeta Brunello Robertetti; dall’altro le imitazioni di personaggi reali, come Emilio Fede, Antonello Venditti, Gabriele La Porta, Giovanni Minoli, Umberto Bossi, Romano Prodi, Francesco Rutelli, Gianni Baget Bozzo, Edward Luttwak, Vittorio Sgarbi, Gianfranco Funari, Walter Veltroni.

Alcuni di questi sono tornati anche ieri sera, alternati alle gag nelle quali l’artista si presenta con la sua faccia - e la sua voce - vera. ”Questo governo ha cominciato subito togliendo le mignotte dalla strada. E dove le mettiamo, direte voi. Ingenui... Riaprire le case chiuse? Perchè le case, ne basta una...”.

Ma non si pensi a una comicità a senso unico. Quando impersona Bertinotti che spiega la crisi della sinistra, Guzzanti sa picchiare anche meglio: ”Dividersi è bello e giusto. E noi ci dividiamo anche quando la pensiamo alla stessa maniera...”. La caricatura, completa di erre moscia, è vecchia ma funziona sempre. Quasi quanto la verà novità: una parodia di Antonio Di Pietro che sembra più vero dell’originale.

Con Padre Federico (Marzocca) cerca di spiegare l'esistenza di Dio e la difficoltà di comunicazione con i fedeli. Il top si raggiunge quando allo stralunato sacerdote, impegnato nel tentativo di educare le nuove generazioni ai rischi della droga e dello sballo in discoteca, si affianca una Miss Italia sciocca e tonta (Caterina Guzzanti), per la verità non troppo diversa dall’interpretazione che la sorellina fa del ministro della pubblica istruzione Maria Stella Gelmini.

Ma il mattatore, ovviamente, è sempre e soltanto e comunque lui, il padrone di casa, capace di calarsi in tanti personaggi, tratteggiandone i tic e quant'altro serva a farli capire, senza essere mai volgare (”no, non è volgarità, è satira...”). In un crescendo di gag divertenti e a tratti strepitose.

Il suo segreto è forse riuscire a stare sempre in bilico fra la satira dissacrante e l’esagerazione delirante. Gabriele La Porta, la presentatrice Vulvia di Rieducation Channel, padre Florestano Pizzarro...

A Trieste, spettacolo lungo ma mai noioso. E successo affettuoso per poco meno di duemila spettatori. A Udine, due mesi fa, erano oltre tremila. Torniamo al discorso già fatto di una piazza, quella triestina, che risponde meno di altre. Ma Corrado Guzzanti, che è bravo davvero, in questo non c’entra nulla.

lunedì 8 febbraio 2010

FICTION BASAGLIA


L’orrore dei manicomi in prima serata, ieri e oggi, su Raiuno. Le sevizie ai pazienti, la contenzione, le camicie di forza, l’elettroshock. Tutta roba vera prima di Basaglia, diventata ora fiction nel film per la tivù ”C’era una volta la città dei matti”. Che racconta per la prima volta alla grande platea televisiva la rivoluzione basagliana, nata fra Gorizia e Trieste, proprio nel periodo in cui riprende vigore il dibattito che vuole condurre a una revisione di quella Legge 180 che nel ’78 ha chiuso i manicomi.

Si parte da un simbolico tuffo in Canal Grande, nella Venezia borghese di mezzo secolo fa. Il giovane Franco Basaglia - interpretato da un convincente Fabrizio Gifuni - sfida la sua ragazza a dirgli sì, «altrimenti mi butto dalla finestra...». Detto, fatto. Seguono le prime disquisizioni teoriche nelle aule di medicina dell’università di Padova, le prime frizioni con il mondo accademico. E l’arrivo nel ’61, come direttore, all’ospedale psichiatrico di Gorizia.

Lì, in mezzo alle tante, agghiaccianti storie di ordinaria vita manicomiale, Basaglia-Gifuni incontra anche la giovane Margherita, interpretata da Vittoria Puccini. Che è finita là dentro solo per avere la colpa di essere viva. Fra matti veri e presunti.

Giorno dopo giorno, anno dopo anno, in quel luogo di repressione della malattia e non di una sua possibile cura, lo psichiatra veneziano elimina ogni forma di contenzione fisica dei malati, permette loro di passeggiare nel parco, offre loro la prima vera possibilità di guarigione. Insomma, restituisce loro dignità umana, diritti civili, speranza. Fra mille difficoltà l’impossibile diventa possibile.

«La prima volta che entrai all'ex ospedale psichiatrico di Trieste - ha detto il regista del film Marco Turco - sapevo che mi stavo mettendo su una strada lunga e difficile, ma non avevo idea del mondo in cui sarei entrato. È stata l'esperienza basagliana a indicarmi la strada da seguire, quella di stare con i pazienti, di conoscerli, di parlarci, di ascoltarli anche quando le cose che mi dicevano erano incomprensibili. I racconti delle loro sofferenze, delle torture subite, gli elettroshock, le contenzioni, le umiliazioni andavano oltre la ricostruzione storica di quegli avvenimenti, entravano nel personale, nell'intimità e questo dava loro quella concretezza che io ero tenuto a ricostruire attraverso la finzione. Questo è stato il leit-motiv di tutta la lavorazione del film: restituire la verità di quella vicenda».

Stasera, seconda e ultima puntata. La fiction - girata fra Trieste, Gorizia, Venezia e Roma, prodotta da Claudia Mori, musiche di Mauro Pagani - verrà presentata venerdì anche nell’ambito dell’incontro internazionale ”Trieste 2010: che cos'è salute mentale?”, che comincia domani a Trieste. Ospiti da mezzo mondo, dai paesi dove la rivoluzione basagliana è studiata - e applicata - ormai da tanti anni.

«È il dolore che fa diventar matti, o è l’esser matti che fa sentire tanto dolore?», chiede un paziente nella fiction. Che è cruda, choccante, coraggiosa, a tratti tenera. In una parola: umana. E forse servirà a far capire qualcosa di Basaglia e della sua rivoluzione, più di tanti fumosi discorsi, e convegni, e articoli, e libri, che si sono succeduti in tutti questi anni.