BATTIATO
Canta Franco Battiato: «Uno dice che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare primari e servitori dello stato? Non ci siamo capiti: e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti...?».
Ancora: «Che cosa possono le leggi dove regna soltanto il denaro? La giustizia non è altro che una pubblica merce. Di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente...».
Versi quanto mai espliciti da ”Inneres auge”, il brano che dà il titolo al nuovo album (Universal) del sessantaquattrenne musicista siciliano. Sono passati diciotto anni da quando Battiato cantava ”Povera patria” («schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos'è il pudore... tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni...»). Era il ’91, si era alla vigilia della stagione di Mani Pulite e delle stragi mafiose, la parte sana del Paese si aggrappava alla speranza di un cambiamento. E l’artista scrisse quella splendida - e al tempo stesso dolente - invettiva contro l’arroganza del malgoverno, che si sperava non avesse bisogno di un seguito.
Il seguito - purtroppo e per fortuna - è arrivato. Purtroppo perchè è il segno che la situazione è, se possibile, ancora peggiore di quella che vivevamo all’alba degli anni Novanta. Per fortuna perchè almeno una sdegnata voce si leva, unica, fra i cosiddetti artisti, per denunciare la decadenza della vita pubblica. Con la complicità dei tanti che preferiscono un silenzio indifferente.
Sia come sia, ”Inneres auge” (qualcosa come ”l’occhio interiore” in tedesco) è un atto d’accusa contro una società malata, dove morale ed etica sono valori ormai fuori moda, dove il denaro è l’unico metro di giudizio. Situazione che Battiato aveva lucidamente previsto in tempi non sospetti. Ricordate ”Bandiera bianca” (da ”La voce del padrone”, dell’81)...? Ammoniva: «siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro, per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare quei programmi demenziali con tribune elettorali...». Insomma, gli anni passano ma il quadro non cambia. Anzi.
”Inneres auge” è uno dei quattro inediti dell’album. Gli altri sono ”U cuntu”, in dialetto siciliano con un verso finale in latino, in cui canta anche il filosofo Manlio Sgalambro; ”Inverno” di Fabrizio De Andrè (presentata a gennaio allo speciale di ”Che tempo che fa”, su Raitre, in occasione del decennale della morte del poeta genovese); ”Tibet”, cantata in inglese e composta nel 2008 contro il regime cinese, che finora era disponibile solo su iTunes.
Fra gli altri brani ci sono delle riuscitissime riletture di canzoni già pubblicate: ”Un'altra vita”, da ”Orizzonti perduti” del 1983; ”Haiku”, da ”Caffè de la Paix” del ’93; ”La quiete dopo un addio”, da ”Ferro battuto” del 2001. Riascoltate le quali, si ha conferma dell’antico detto: non c’è nulla di più inedito del già pubblicato. Soprattutto se firmato Franco Battiato.
TENCO
Può sembrar strano che escano ancora, magari da qualche cassetto, degli inediti di un artista scomparso nel gennaio ’67, cioè quasi quarantatré anni fa. Ma tant’è. È appena stato pubblicato ”Luigi Tenco, inediti” (Ala Bianca, collana ”I dischi del Club Tenco”), doppio album di un cantautore che ha anticipato la nostra miglior canzone d’autore.
Curato da Enrico de Angelis, responsabile artistico del Club Tenco, il doppio comprende due cd ricchissimi: nel primo compaiono canzoni mai pubblicate come ”Padroni della terra”, traduzione di ”Le deserteur” di Boris Vian, e tre brani che il cantautore piemontese non aveva mai inciso e che sono quindi stati affidati a interpreti come Massimo Ranieri (”Se tieni una stella”), Stefano Bollani (”No no no”, solo strumentale) e Morgan (”Darling remember”, traduzione in inglese di ”Vola colomba”).
Molte le versioni alternative di brani già noti ma con musiche, testi o arrangiamenti diversi dagli originali: ”Quello che tu vorresti avere da me” (sulla stessa musica de ”Il tempo dei limoni”), ”Quando”, ”Il tempo passò”, ”Come mi vedono gli altri”, ”Se stasera sono qui”.
Ma anche ”Ragazzo mio”, ”Non sono io”, ”Ah l'amore l'amore”, ”Vedrai vedrai”, ”Io sono uno”, ”Guarda se io”, ”Un giorno dopo l'altro” cantata in francese e in inglese, ”Ognuno è libero” in spagnolo. E ancora ”I know, don't know how” e ”The Continental”, eseguite al sax contralto da Tenco in registrazioni del ’57 e un'intervista radiofonica al cantautore di Sandro Ciotti.
Nel secondo cd, 17 brani interpretati da vari artisti in esibizioni tratte proprio dalla ”Rassegna della canzone d'autore” di Sanremo intitolata a Tenco: da Vinicio Capossela a Roberto Vecchioni, da Simone Cristicchi a Shel Shapiro, da Alice ad Alessandro Haber, dagli Skiantos a Tetes de Bois, da Giorgio Conte a Ricky Gianco, da Ada Montellanico a Eugenio Finardi...
"Luigi Tenco, inediti” anticipa un futuro progetto a cui da tempo il Club Tenco e Ala Bianca stanno lavorando: la pubblicazione in cofanetto dell'intera produzione del cantautore.
MARIO BIONDI Ai piani alti delle classifiche di vendita, da un paio di settimane c’è lui, Mario Biondi, la voce nera della musica italiana. Con ”If”, che comprende undici inediti e tre classici rivisitati con lo stile inconfondibile dell'artista catanese. Registrato tra Roma e Rio de Janeiro, masterizzato a New York e con il contributo degli archi registrati a Londra dalla Telefilmonic Orchestra London, il disco ospita tutti i musicisti che hanno accompagnato Biondi nella sua carriera: da Herman Jackson (piano) a Michael Baker (batteria), da Jacquès Morelenbaum (violoncello) a Ricardo Silveira (chitarra), da Sonny Thompson (basso e chitarra) a Lorenzo Tucci (batteria), da Fabrizio Bosso (tromba) a Giovanni Baglioni (chitarra)... Fra i brani: ”Serenity”, ”Something that was beautiful» (di Burt Bacharach), ”Be lonely”, "Love dreamer”, ”I know it's over» (versione inglese di ”E se domani”, di Carlo Alberto Rossi, cantata da Mina), ”Winter in America” (cover del celebre brano di Heron), ”Everlasting harmony”... Elegante e sofisticato.
SERGIO CAMMARIERE «Il suono sono andato a cercarmelo in posti lontani, ho immaginato un luogo di pace dove contemplare la natura...». Così Sergio Cammariere presenta il suo nuovo album, che mette tra parentesi le ambientazioni jazz dei lavori precedenti e si avventura in una ricerca musicale che lo porta a scoprire sonorità inedite: quasi un’incursione in mondi lontani di cui percepiamo a volte solo l’eco. L’album comprende tredici brani nuovi, di cui due solo strumentali. Esotici gli strumenti utilizzati: sitar, moxeño, vina, tampura, tabla... Al fianco dei tradizionali pianoforte, chitarre, violino, percussioni, tromba, sax, archi... «Ogni frammento di questo disco fa parte di un mosaico attraverso il quale s’immaginano le carovane come il senso della storia, il passaggio dell’umanità, generazioni senza luogo e senza tempo», spiega il musicista calabrese, sempre affiancato nella scrittura dei testi dall’antico socio Roberto Kunstler. Per chi acquista l’album su iTunes c’è una bonus track: “L’impotenza” di Giorgio Gaber, già presentata da Cammariere al Festival Gaber.